HISTORIA de CROSE
dal 1796 al 1818



LA FINE DELLA SERENISSIMA

La fissità della decadenza veneziana stava per essere squassata dalla catastrofe napoleonica: nell’anno 1796 l’esercito austriaco attraversò i territori del medio e basso Piave per andare in Lombardia a contrastare i Francesi; la popolazione restò sbigottita sia per l’eco delle notizie che giungevano da oltralpe sia per i soprusi degli Austriaci, sprezzanti la neutralità disarmata di Venezia; fu costretta a subire perquisizioni, requisizioni e ogni sorta di angherie, ma la Serenissima non poteva più nulla: ormai imbelle si appellava alla propria neutralità disarmata.

Nel marzo seguente gli Austriaci ripassarono , questa volta in fuga, requisendo viveri e foraggi. E dietro di loro, poco dopo, giunsero i Francesi i quali, a loro volta, non solo effettuarono le stesse requisizioni, ma minacciarono di compiere esecuzioni capitali qualora le loro richieste non fossero prontamente accolte.

La ventata di novità portata dai Francesi sconcertò la popolazione, e soprattutto “provocò dolore la notizia delle dimissioni del Doge Lodovico Manin e del Maggior Consiglio il 12 maggio 1797”. [Chimenton]
Il potere passò a una giunta municipale protetta dai francesi. Ma l’improvvisa fine della millenaria Repubblica di San Marco provocò uno stato di anarchia in quanto si sfaldò tutto l’apparato amministrativo e giudiziario della Serenissima. Sorsero contrasti tra i nostalgici della Repubblica e i “giacobini” impazienti di arrivare a un radicale cambiamento della società.

Napoleone decretò il 28 maggio una “provvisoria organizzazione” politico-amministrativa-giudiziaria della regione con distretti, cantoni, municipalità comprendenti più paesi, ma di durata effimera.

Ai primi di giugno fu istituita la municipalità comprendente “Croce con Musil, Capo d’Argine e luoghi annessi Meolo e Losson, Portegrandi e Trepalade”, con 5.946 abitanti, inclusa nella terza Viceprefettura (con residenza a San Donà) dipendente dalla provincia di Venezia e dal dipartimento dell’Adriatico: le altre due Viceprefetture erano Chioggia e Adria. Il dipartimento dell’Adriatico era formato dall’antico dogado, a cui si aggiunsero parte del Friuli, parte della Marca Trevigiana e Padovana e parte del Polesine. I suoi confini erano limitati dai dipartimenti di Passariano, del Tagliamento, del Basso Po e del Brenta.

Le simpatie popolari che il nuovo regime aveva suscitato scemarono subito per un susseguirsi di requisizioni e di imposizioni a cui le Municipalità dovevano far fronte per non veder giungere un drappello di Dragoni ad applicarle con la forza. In uno dei tanti proclami si giunse a chiedere la consegna delle fibbie d’argento delle scarpe, mentre ogni bando si concludeva con la formula: “salute e fratellanza”.

“Sacranón de Dio!”

Il malcontento si accrebbe con l’emanazione di alcuni decreti che incontrarono l’ostilità popolare. Se già dal 18 maggio era stato decretato il sequestro di tutta l’argenteria delle chiese, grandi furono la delusione e lo sdegno per le offese al tradizionale profondo sentimento religioso e per la soppressione di organizzazioni e congregazioni religiose. I soldati francesi bestemmiavano il “Sacre nom de Dieu” e i contadini veneti impararono a dire “Sacranón de Dio!”.
Il 20 agosto il Comando Militare di Treviso emanò il primo decreto di leva obbligatoria. In settembre fu imposto ai commercianti l’Imprestito Secco Mercantile, cioè una contribuzione forzosa senza interessi, ed ai proprietari terrieri fu imposta la Gravezza del Taglione, cioè un’imposta supplementare che incideva per il 10% sulle rendite. In ottobre fu ordinata l’adozione del calendario rivoluzionario francese con l’inizio dell’anno il 22 settembre e nuovi nomi dei mesi.

Alcuni patrioti che credettero alle promesse di Napoleone lanciarono un plebiscito per unire il Veneto alla Repubblica Cisalpina. L’iniziativa fu attuata sotto forma di sottoscrizione in liste recanti la seguente dicitura a stampa: “Voto del popolo del Distretto Trevisano–Coneglianese di unirsi alla Repubblica Cisalpina una e indivisibile cogli altri popoli liberi d’Italia”. La esecuzione delle sottoscrizioni venne affidata ai parroci, che si può ben immaginare come vedessero quei senza Dio di Giacobini: in quasi tutti i paesi della nostra zona le liste furono restituite in bianco.

L’insuccesso del plebiscito fu attribuito dai patrioti all’impreparazione della popolazione ad esercitare la sovranità popolare, ma vi erano motivi più evidenti: «il popolo non partecipava all’effervescenza della borghesia e toccato negli averi, nelle cose care, maltrattato con violenze d’ogni genere, concluse con la sua logica semplice e infallibile che i liberatori sono venditori di ciancie e che una sola cosa è vera: gli stranieri sono ladri».
[CERVELLINI G.B. Il plebiscito del 1797 nel Dipartimento di Treviso, Treviso 1891]

L’istinto popolare non s’ingannava. Napoleone rivelò cinicamente in quanta considerazione tenesse le aspirazioni libertarie dei patrioti cedendo, il 17 ottobre, con il trattato di Campoformido, il Veneto all’Austria, in cambio del Belgio.

Il ritorno degli Austriaci

Gli austriaci il 15 gennaio 1798 presero possesso della regione e furono accolti come liberatori poiché la popolazione sperava che il loro regime “facesse cessare requisizioni e angherie, restaurasse il rispetto dell’ordine, della religione, della morale e della proprietà”
[E. Degani, Note 1795-1805, Udine 1892]
Come primo atto gli austriaci abrogarono ogni legge o norma emanata dopo la caduta della Serenissima e ripristinatrono le magistrature esistenti nel gennaio del 1796. Sostituirono le Municipalità con Provveditorie, rette ciascuna da tre Provveditori nominati dal Governo Centrale, la Repubblica fu divisa dall’Austria in semplici province dell’impero Austriaco, senza funzioni di Stato.

Beh, non era tanto meglio: il ripristino dei privilegi nobiliari, di cui la breve dominazione francese aveva dimostrato l’anacronismo, il ripristino della censura, i divieti di fumar tabacco nelle pubbliche vie e di effettuare discorsi politici e, per le donne, di indossare vesti scollate (...!) smorzarono le simpatie per il nuovo regime; che inoltre sottopose i sudditi a pesanti oneri facendo effettuare “per tratte” il trasporto delle armi, delle vettovaglie e delle artiglierie (diretto in Lombardia), usando carri requisiti sul posto e guidati dai proprietari
[E. Bellis, Annali opitergini, Oderzo 1960]

Il 22 giugno ogni capo di casa dovette compiere sul Vangelo il giuramento di fedeltà all’imperatore Francesco II. L’amministrazione non fu certo liberale: mirava ad essere efficiente e onesta e onestamente cercò di realizzare un certo benessere per i suoi sudditi. Ma la guerra e un’epidemia che decimò i bovini ed una prolungata siccità che immiserì i raccolti determinarono (1800) un rincaro dei prezzi del 30%. La scarsità di foraggi impose l’obbligo di far approvare dalle autorità locali ogni vendita di fieno, stipulata nella zona, sotto pena della confisca, al fine di alleviare i disagi derivanti da una grave penuria di foraggi, causata dalla siccità, e reprimere i maneggi di quanti li incettavano per specularvi.
[A.V.S., Frammenti podestà di Caorle (1754-1830)]

Quell’anno però fu anche sistemata la viabilità da Trieste a Venezia con l’apertura di una strada che aveva il seguente tracciato: Portogruaro Summaga - Prà di Pozzo - Belfiore - Annone - Corbolone - San Stino - Biverone - Torre di Mosto - Pra di Levada - Gainiga - Ceggia - Cessalto - Grassaga - Noventa - San Donà di Piave - Musile - Croce di Piave - Fossalta di Piave - Meolo - Musestre - Portegrandi (con l’attraversamento del Piave a mezzo di traghetto tra San Donà e Musile).

Di nuovo i Francesi

Napoleone, tornato dall’Egitto, aveva riorganizzato l’esercito e il 14 giugno 1800 sconfiggeva gli austriaci nella battaglia di Marengo (Alessandria).
I francesi occupavano il Veneto fino alla Livenza, gli austriaci coi cosacchi arrivavavano al Tagliamento. La temporanea occupazione del Basso Piave da parte dei Francesi (gennaio-febbraio 1801) determinò il ripristino delle istituzioni amministrative repubblicane del 1797 e una nuova ondata di requisizioni e contribuzioni. Per tali motivi (e per un’epidemia che decimò il bestiame) si verificò un vertiginoso aumento dei prezzi: il frumento passò dalle L. 40 allo staro del precedente raccolto a L. 86 ed il sorgo turco fece un balzo da L. 36 a L. 53.
[BELLIS, Annali opitergini]

E di nuovo gli Austriaci

Col trattato di Luneville del 9 febbraio 1801 si giungeva alla seconda spartizione della Venezia. I francesi si fermavano all’Adige.

La situazione si aggravò ulteriormente l’anno seguente poiché alle difficoltà economiche dovute ad una seconda siccità che bruciò i raccolti si aggiunse il dilagare del colera.

Il depauperamento del territorio raggiunse però il culmine nel 1805 per una terza siccità contemporanea ad una gravissima epidemia.
[MUTINELLI F., Annali delle provincie venete dall’anno 1801 al 1840, Venezia, 1843]

Una nota di don Bottamella descrive la scarsità di parroci e il numero delle anime:

Il Sottoscritto Parroco D. Gio: Ant.[oni]o Bottamella

Attendo il Capell.[an]o a momenti e fratanto tengo in assistenza il R.[everen]do D. Giuseppe Zorzenoni, ma senza per ora Confessione.

Nota della Popolazione in questa Parrochia
Anime . . . . . . . . . . . . . 890

Il sopras.[crit]to Parroco

La mansion.[ari]a quotidiana dalla Vene.[zian]a Scola di S. Rocco di Venezia per qualità del D. Ant.[oni]o Giusti è mancante da pochi giorni.

La mansion:[ari]a della N. D:[onn]a Chiara Malipiero Capello che in passato era quotidiana ora è festiva offiziata dal R.[everen]do D. Giovanni Brunetta. abita in Ponzan.

Non sappiamo a chi fosse rivolta la nota. L’anno è desunto dalla presenza del nome del Zorzenoni, che firmò talvolta i registri parrocchiali in quel 1805.

E di nuovo sotto Napoleone

La formazione di una nuova coalizione antinapoleonica (Austria, Inghilterra e Russia) portò quell’anno ad una nuova guerra e a nuovi disagi. In agosto il governo austriaco obbligò ogni paese, pena la morte, a precettare uomini e requisire buoi e carri per riattare le strade in modo da facilitare gli spostamenti delle truppe e il loro rifornimento. Fra ottobre e novembre pesanti requisizioni vennero imposte tanto dagli Austriaci in fuga (dopo la sconfitta inflitta da Massena a Caldero) quanto dai Francesi che li tallonavano La vittoria napoleonica ad Austerlitz sulla coalizione portò alla pace di Presburgo (27 dicembre) in cui si stabilì il passaggio del Veneto dall’Austria a un nuovo stato: il Regno d’Italia (comprendente Veneto e Lombardia) sotto la sovranità di Napoleone.

La nuova aggregazione venne accolta con sospetto dagli abitanti ormai timorosi di ogni mutamento, né aumentò le simpatie il decreto recante l’istituzione della Leva militare obbligatoria: alle prime estrazioni a sorte la maggiornza di coscritti si diede alla latitanza.
[F. Mutinelli, Annali delle Provincie Venete dall’anno 1801 al 1840, Venezia 1843]

Un alleggerimento della pressione fiscale e una normalizzazione della vita pubblica portarono però ad un mutamento dell’opinione pubblica, specialmente dopo la promulgazione del Codice Civile Napoleonico (aprile 1806) per cui tutti i cittadini avevano pari diritti di fronte allo Stato. Con esso furono presi alcuni provvedimenti che cambiarono il volto della società veneta, come l’obbligo di tenere i registri di stato civile al posto dei registri parrocchiali, di allontanare i cimiteri dai centri abitati e attorno alle chiese (estensione dell’editto di Saint Cloud del 1804), la lotta contro il vaiolo.
Napoleone diede al Veneto un nuovo assetto amministrativo sul modello di quello francese: la regione fu divisa in Dipartimenti, ogni Dipartimento si ripartì in Distretti, ogni Distretto fu, a sua volta, composto da Cantoni che raggruppavano più Comuni. L’innovazione più importante fu una democratizzazione delle amministrazioni locali con l’istituzione dei Consigli Comunali.
L’assetto comunale decretato da Napoleone fu vantaggioso per quei centri, come San Donà, che erano dotati di una classe dirigente attiva e capace. Infatti l’organo deliberante dell’Amministrazione Comunale era il Consiglio Comunale, a cui accedevano di diritto tutti i possidenti del comune e i capifamiglia commercianti o industriali, purché avessero compiuto i 35 anni di età. L’esecutivo a sua volta era diretto da un Sindaco, di nomina regia, ma scelto fra i consiglieri e affiancato da 3 Anziani (assessori) eletti dai membri del Consiglio Comunale.
[Bollettino delle leggi del Regno d’Italia, 1806]

Inizialmente si ebbe una erronea interpretazione del concetto di Comune poiché ogni borgo pretese di amministrarsi autonomamente. San Donà, ad esempio, si divise in ben 4 comuni: San Donà, Mussetta, Fossà e Grassaga, frazionamento che costò al paese la perdita della sede distrettuale in quanto quei comunelli furono aggregati al Dipartimento del Tagliamento, con capoluogo Treviso, e inseriti nel distretto di Oderzo.
[Bollettino delle leggi del Regno d’Italia]

La ripartizione, compiuta a Milano da funzionari che spesso ignoravano le situazioni locali e talvolta persino la posizione geografica delle località, fu rivista nel 1807.

Il nuovo decreto trasferiva San Donà dal Dipartimento del Tagliamento (Treviso) a quello dell’Adriatico (Venezia), elevandola a capo-distretto e sede cantonale di una vastissima area: San Donà, Noventa di Piave, Mussetta, Tre Porti con Cavallino, Cava Zuccherina con Caodesil, Croce di Piave con Musil, Porte Grandi con San Michiel del Quarto, Crea, Tre palade, Campalto, Terzo e Terzera, Caorle con San Gaetano, Cà Cottoni con Brian, e San Zorzi di Livenza, Torre di Mosto con Bocca di Fossa, Burano con Mazzorbo e Torcello, Sant’Elena, Staffolo e Fiumicin.

Si rese comunque necessario un terzo decreto per ovviare ad alcuni errori e a più omissioni: come quella di Grisolera, smebrata in due parti.

In quel 1807 il signor Antonio Tolotti acquistava dal gentil uomo Alessandro Molin “porzione di terreno contiguo alla chiesa” di Croce e, dando un’occhiata alla mappa del 1768 (vedila QUI), deduciamo che si trattase del terreno delimitato dall’Argine San Marco, dalla strada comunale che metteva alla chiesa (la via principale del paese) e dalla strada comunale detta di Croce (attuale via del Bosco) (terreno che corrisponderà nel XX secolo alla campagna di Vendraminetto e nel XXI al quartiere “Don Natale”)
Questa informazione ci risulta da una lettera del medesimo del 17 giugno 1828.

Nel 1808 il «Codice di Commercio di terra e di mare» fissò le norme e gli obblighi dei negozianti: una donna sposata non poteva esercitare un mestiere o gestire un negozio senza il permesso del marito né un minore senza quello del padre
[ALBERTI L., Quadro del sistema di commercio vigente nelle Provincie Venete nell’anno 1823 ]

1809: Il governo precettò gli operai per lavori di fortificazione a Marghera in previsione di una nuova guerra fra la Francia e l’Austria. L’obiettivo di Napoleone era la conquista di Vienna con l’azione convergente di due armate, la sua, proveniente da nord, per l’altra ordinò al figliastro, il viceré Eugenio, che si trovava a Milano, di assumere il comando dell’armata d’Italia e di passare all’offensiva, in modo da aprire un secondo fronte a sud. Il viceré Eugenio arrivò a Mestre il 10 aprile 1809, e lì pose il suo quartiere generale. Il giorno seguente prosegui per Udine, passando dunque per le nostre zone. Arrivato nel capoluogo friulano ricevette la dichiarazione di guerra dall’arciduca austriaco Giovanni, comandante in capo dell’armata nemica, che si era schierata ai confini del regno ed era pronta a muovergli contro.
Apertesi le ostilità, gli Austriaci batterono i Francesi a Fontanafredda, vicino a Pordenone e procedettero a requisizioni di vino, di frumento e di avena e imponendo un contributo per il mantenimento delle truppe di stanza a Conegliano. [E. BELLIS, Annali Opitergini]
Sembra che i Veneti si levarono in massa contro i Francesi; ma gli Austriaci a Croce non giunsero e probabilmente non ci fu nessuna sollevazione; i Francesi comunque ritornarono anche da quelle partii a metà maggio. Il governo del regno italico decretò la nullità, salvo i diritti acquisiti da terzi, di ogni atto pubblico promulgato durante l’occupazione austriaca e prorogò il pagamento delle imposte in tutto il Dipartimento dell’Adriatico. [F. MUTINELLI, Annali delle Provincie Venete]
A nord intanto, il 6 luglio, gli austriaci venivano sconfitti da Napoleone a Wagram, seguì il 14 ottobre la pace di Schönbrunn: gli austriaci erano costretti a ritiravarsi, perdendo Trieste e l’Istria. Diventavano francesi tutte le Venezia: la Venezia Tridentina, la Venezia Julia, tutta l’Istria e la Dalmazia.
Nei mesi successivi si scatenò la repressione francese, con arresti.

In mezzo alla confusione e alla paura si ebbe in quel 1809 la compilazione del catasto di San Donà di Piave [che per il Comune Censuario di Croce fu completata nel 1810] atto importantissimo per un’analisi sulla situazione socio-economica del paese.

Il 24 ottobre 1812 si avvertì un terremoto che fortunatamente provocò solo panico. L’epicentro del sisma era a Cavasso nel Friuli. [Giornale Dipartimentale dell’Adriatico, llf. 97 del 1812]

Vicende dell’Oratorio Giusti

L’Oratorio che era stato del conte Giusti, e che per legato di lui alla sua morte era finito in commissaria alle Scuole San Rocco di Venezia (vedi visita pastorale del 1745), guadagnandosi per questo in seguito il nome di “Scuola” al colmello, nome che le sarebbe rimasto fino al Nocecento) dalle Scuole era stato venduto al conte Burrovich Smajevich. Dalla famiglia Burrovich Smajevich passò nel 1813 alla famiglia Bizzaro.
[Da una dichiarazione della Curia di Treviso, successiva al 1860, relativa all’oratorio Giusti]

La malattia di don Bottamella

Don Antonio, 86 anni, in quel periodo si ammalò. La malattia gli avrebbe imposto il riposo forzato e il parroco non avrebbe più celebrato messa. Una delle cose che dovevano averlo fatto star peggio in quegli anni fu probabilmente quella di sentirsi chiamare “cittadino” o “signor don Bottamella”: don Antonio era infatti un parroco di animo buono e dovevano sicuramente risultargli estranee tutte le vicende politiche e le nubi irreligiose sulla missione dei preti che s’erano andate addensando negli anni delle guerre napoleoniche.

Ancora guerre

Il 20 agosto 1813 l’Austria dichiarò guerra a Napoleone, reduce dalla disastrosa campagna di Russia e abbandonato dai Prussiani. Per l’occasione costituì una armata per invadere l’Italia affidata al feldmaresciallo Heinrich Bellegarde, che costrinse l’esercito del Regno d’Italia del viceré Eugenio di Beauharnais a ripiegare dal Veneto; gli Austriaci giunsero in questa zona ai primi di ottobre [L. Rocca., Motta di Livenza e i suoi dintorni]; ma l’8 febbraio 1814, sul Mincio, Bellegarde fu sconfitto da Beauharnais.
Nei due mesi successivi la posizione di Beauharnais peggiorò sensibilmente, a causa del passaggio del Regno di Napoli di Gioacchino Murat all’alleanza con l’Austria (già dall’11 gennaio), del successo della parallela offensiva austro-prussiana sulla Francia che portò il 31 marzo all’occupazione di Parigi e il 6 aprile all’abdicazione di Napoleone, e di una congiura anti-francese a Milano, sostenuta dalla nobiltà milanese, che sfociò il 20 aprile nel saccheggio del Senato e nel massacro del ministro Prina: fu così che il 23 aprile il viceré dovette firmare a Mantova la capitolazione. Il 26 aprile 1814 il commissario austriaco Annibale Sommariva prendeva possesso della Lombardia a nome del feldmaresciallo Bellegarde, e il 28 aprile Milano veniva occupata da 17.000 soldati austriaci.
Il 25 maggio Bellegarde sciolse la Reggenza del Regno d’Italia, che cessava di esistere, e assunse i poteri come Commissario plenipotenziario delle province austriache in Italia per il nuovo sovrano, l’Imperatore Francesco I d’Asburgo. Il 12 giugno assunse la carica di Governatore generale in conseguenza dell’annessione della Lombardia già milanese all’Impero, proclamata il giorno stesso.

Il Congresso di Vienna

La caduta di Napoleone avrebbe dovuto, nei piani delle Potenze vincitrici, riportare l’Europa a quella che era prima del 1789, senonché la profondità dei cambiamenti portati dalla conquista francese, unita ad alcuni vantaggi territoriali che qua e là le antiche dinastie avevano ottenuto negli ultimi cinque lustri, consigliarono l’apertura a Vienna di un grandioso Congresso per la risistemazione dell’Europa.
L’Austria potè riannettere sotto il suo governo diretto i territori italiani che le appartenevano da lunga data per dominio diretto, cioè Trento, Trieste e Gorizia, o indiretto, come l’antico Ducato di Milano (Milano, Como, Pavia, Lodi, Cremona) e il connesso Ducato di Mantova, annessione sancita giuridicamente il 12 giugno da un proclama di Bellegarde, ripetitivo di una sanzione imperiale del giorno 7; ma, differentemente, l’antica Repubblica di Venezia, per la quale l’unico diritto risaliva al disconosciuto Trattato di Campoformido (1797), non potè avere medesima sorte: lì l’annessione allo stato austriaco fu legittimata unicamente dall’accordo delle potenze vincitrici al Congresso di Vienna, e fu ottenuta a fronte della rinuncia ai diritti dinastici degli Asburgo sui Paesi Bassi cattolici (l’attuale Belgio): Napoleone nel 1797 aveva ceduto il Veneto all’Austria per avere il Belgio, ora l’Austria rinunciava al Belgio per tenersi il Veneto. Per comprendere l’utilità, per Vienna, dello scambio, basti ricordare quel che sosterrà Carlo Cattaneo, cioè che dal ‘Lombardo-Veneto’ Vienna traeva un terzo delle gravezze dell’impero, benché esso facesse solo un ottavo della popolazione.

“Apertesi le trattative intorno alle cose d’Italia, e volendo quivi, siccome ne faceva pubblica promessa il congresso viennese, incominciare le sue decisioni da un grande atto di giustizia, statuì che l’Austria rientrerebbe in possesso di Milano e di Mantova; altresì gli Stati veneti di terraferma con la giunta di alcuni territorii che, per antichi accordi fra i potentati italiani, appartennero un tempo agli Stati di Parma e di Ferrara; acquisterebbe ancora, non solo le terre della Valtellina con le contee di Bormio e di Chiavenna, siti molto opportuni a sopravvedere dappresso le cose della Svizzera, ed in caso di bisogno, introdurvi dissensioni, ma più lungi, in fondo alla Dalmazia, quelle che una volta componevano la repubblica di Ragusi”.

I territori già veneti sulla costa orientale adriatica furono dunque aggregati direttamente all’Austria, ma Milano e Venezia erano tradizionalmente legittimate, per antica consuetudine, a godere di governi autonomi (anche se, nel caso di Milano, sotto sovrano straniero). Occorreva quindi riorganizzare tali territori in una entità amministrativa apparentemente autonoma, anche se unita all’Austria dalla persona del sovrano. La soluzione scelta fu di creare un unico Regno con una capitale ed due governi, cui venne dato il nome di ‘Regno Lombardo-Veneto’.


Confini del Regno Lombardo-Veneto

Il nome venne scelto ad esito di un, non breve, dibattito. Gli austriaci (o i loro alleati) non vollero conservare il nome scelto da Napoleone, Regno d’Italia. Vi sono evidenze che si prese in considerazione la dizione Ost und West Italien (Italia orientale ed occidentale), e perfino österreichische Italien (Italia austriaca). Vennero infine scartate dizioni eccessivamente legate a una delle due capitali o regioni: d’altra parte, Milano e le Venezie non erano mai state unite sotto un’unica corona sin dalla caduta del Regno Longobardo e non esisteva alcun termine per definire unitariamente i due territori. Si preferì quindi pronunciarle entrambe, con l’intento di stimolare un senso di avvicinamento che rendesse possibile un futuro unitario tra le popolazioni lombarde e quelle venete. La difficile onomastica segnalava bene, tuttavia, la artificiosità della nuova creazione amministrativa.

Morte di don Bottamella

Mentre l’Europa decideva come chiamare il nuovo stato, don Antonio Bottamella, parroco di Croce dal 1763, il 12 gennaio 1815 moriva. Era stato il parroco più longevo dalla nascita della parrocchia, aveva superato perfino il pur longevo e grandioso don Pietro suo predecessore; non aveva avuto la statura intellettuale di quello ma era stato sicuramente molto amato dai crocesi, soprattutto all’inizio del suo rettorato. Poi l’età e le difficoltà della parrocchia lo avevano esacerbato. Era rimasto un ottimo parroco ma aveva perso la pazienza con un popolo così difficile da educare.
Leggiamo dal Registro dei morti della Parrocchia, in data 14 gennaio 1815, che

“Il Rev.mo Signor D. Antonio Bottamella della chiesa di S. Pietro di Castello di Venezia e nel corso di anni cinquanta parroco di questa Parrocchia, munito di tutti gli aiuti spirituali di S. Chiesa, dopo lunga e penosa infermità, nell’età di 88 anni circa passò da questa a miglior vita il dì 12 del corrente mese alle ore sette pomeridiane, e il di lui cadavere fu sepolto in questo cimitero appresso l’altare della Beata Vergine del Rosario assistendo alla di lui tumulazione cinque Parochi della Congregazione, fatte le solenni esequie e cantata la messa solenne dal Reverendissimo Signor Don Marco Tonini Arciprete di Zenson di Piave. Erano due anni che esso non celebrava.”

“Appresso l’altare della Beata Vergine del Rosario” significa sulla sinistra della chiesa.


Don Osvaldo Moretti

Il reverendo don Osvaldo Moretti giunse dalla diocesi di Concordia, con le sue belle bolle firmate l’anno prima dal vescovo Bressa, quale provvisorio “economo spirituale”
Era nativo di Chions, diocesi di Concordia. Che prete era? Nel seminario di Concordia, dove aveva avuto la sua ordinazione sacerdotale, si era fatto notare per le sue doti musicali. Ma più che maestro di musica e valente esecutore, si era dimostrato un profondo studioso di teologia: per queste sue doti già all’età di 29 anni gli era stata affidata la parrocchia di S. Salvatore in quel di Udine. Poi era passato parroco a Maniago. Quindi era giunto a Croce, inviato dal vescovo ma “invitato” da non si sa chi.
Questa volta il giuspatronato toccava al “gruppone” dei sei e il gruppone concordò facilmente sul suo nome. Non sappiamo se i giuspatroni di Croce scelsero lui semplicemente perché era il vicario “economo spirituale” in carica e degnissima persona, o se avessero menato per farlo arrivare apposta a Croce. Ma erano ormai lontani gli anni in cui si litigava per il diritto di nomina. Trovare un parroco bravo era una fortuna per tutti, chiunque lo proponesse.
Sappiamo che don Moretti era uomo di indole dolce, adattabile, eccellente nel sapere, portato verso la spiritualità, pregi sostenuti da una salute vegeta e vivace [testimonianza raccolta dai nuovi parrocchiani dopo il suo trasferimento a Carpenedo]
Il 10 marzo il signor Giuseppe Mioni, uno degli aventi diritto, nominava procuratore speciale per la nomina di don Moretti il signor Francesco Maschio, di Fossalta.

Francesco I
Imperator d’Austria, Re d’Ungheria, e di Boemia ecc. ecc. ecc.
a tutti i presenti e futuri salute.

N.°179 Questo giorno 10. dieci Marzo 1815 mille ottocento quindici, Regnando Francesco Imperatore d’Austria, Re d’Ungheria, e di Boemia ecc. ecc. ecc.

Comparso avanti a me Notaro munito di Patente Municipale 31 Gennaro 1814 N.° 213. alla presenza delli due qui sotto segnati Testimoni [,] il Sig.r Giuseppe Mioni del fu N. S. Antonio, possidente, quivi domiciliato nella Parrocchia di S. Luca, ed a me noto costituisce in di Lui Procuratore Speciale

il Sig.r Francesco Maschi abitante a Croce di Piave Dipartimento del Tagliamento

Al quale impartisce la più ampla facoltà, ed autorità di devenire in nome del de[tto] Sig.r Comparente per li propri titoli e rappresentante all’elezione del Vicario spirituale della Chiesa Parrochiale di Croce di Piave nella persona del Reverendo Don Osvaldo Moretti del fu Antonio di Chions Dipartimento del Tagliamento, conferendo ad [egli] la investitura di questo ecclesiastico beneficio nelle consuete forme, e facendo quanto [si] rendesse a tal oggetto necessario come se personalmente v’intervenisse il detto Sig.r Mandante, il quale promette di avere per fermo, rato, e valido tutto ciò che sarà [dal] nominato suo Procuratore fatto, agito, ed operato sotto generale obbligazione in [...]

Fatto, letto, e pubblicato a chiara ed intellegibile voce al detto Sig.r Comparente ed agl’infrascritti Testimoni in Venezia, Dipartimento dell’Adriatico, nello Studio di me sottoscritto Notaro, posto in Piazza di S. Marco Sotto le Gallerie Nuove N.° 53. in presenza del Sig.r Pietro Pighini del fu Gio: Battista, e Domenico Grego del fu Angelo, quivi domiciliati il primo in Parrochia di S. Marziale, ed il secondo in quella di S. Silvestro, Testimoni [...] ed idonei, li quali unitamente allo stesso Sig.r Comparente ed a me notaro sottoscrivono
Giuseppe Mioni
Pietro Pighini Testimone
Domenico Grego Testimone

Paulino Comincioli Not.(ar)o

Il 4 aprile, gli altri cinque del “gruppone” si ritrovarono da un notaio veneziano e stilarono il documento di nomina in favore di don Osvaldo Moretti.

Francesco I
Imperatore d’Austria, Re d’Ungheria, e di Boemia ecc. ecc. ecc.
a tutti i presenti e futuri salute.

Questo giorno 4 quattro Aprile 1815 milleottocentoquindici

In nome di Francesco I Imperator d’Austria, Re d’Ungheria, e di Boemia, Comparsi alla presenza di me Notaro piaza Pan... numero 267 residente in questo municipio il 29 Gennaro 1814; e sottosegnati Testimoni la Signora Maria Corner del fu Piero consorte del Signor Alvise Renier del fu Andrea fecero con l’assenso, e permissione del nominato di Lei marito qui presente, ed assenziante, con essa domiciliato nella Parrocchia di Santa Maria Gloriosa dei Frari, Signori Giovanni Bernardo del fu Manin, domiciliato nella detta Parrocchia, Signor Tommaso Guizzato del fu Giovanni Maria, domiciliato in quella di Santa Maria Formosa, e Antonio Tolotti del fu Francesco, domiciliato in quella di Santa Maria Gloriosa dei Frari, tutti a me noti, facendo li stessi come Giurisdicenti in vigor de’ di loro titoli, a rappresentanza alla presentazione di Parroco di Santa Croce di Piave, dipartimento Adriatico, ed atteso essere vacante la detta Parrochia di Paroco, attesa la morte successa del Reverendo Signor don Antonio Bottamella ultimo possessore Benefiziario, ànno concordemente nominato, come nominano per Parroco il Reverendo Signor don Osvaldo Moretti, ora economo spirituale in detta Parrocchia in luoco del deffonto stesso, all’oggetto[?], che come appoggio del presente atto autentico di Nomina, possa presentarsi alla Curia Vescovile di Treviso per l’ispezioni di suo Istituto.

Scritto, letto, e pubblicato presenti la P... surriferita ad alta, ed intelligibile voce in questa Città di Venezia nel mezzo di me sottoscritto Notaro posto Parocchia di San Marco nel primo Piano guardante sopra il Campiello dei Leoni, presenti il Signor Camillo Costantini del fu Gio: Battista, e Gio: Battista Baldi di Giacomo, ambi domiciliati in questa Città, il primo nella Parocchia di Santa Maria del Giglio, e il secondo in quella di San Simeone; testimoni idonei.
li quali unitamente a tutti giuspatroni, a me Notaio si sono ... [segnati]
Maria Corner Renier
Alvise Renier marito di detta mia moglie
Tommaso Maria Guizzato per ogni ... titolo, in rappresentanza
Zuanne Bernardo
Antonio Tollotti
Camillo Costantini testimonio
Gio: Battista Baldi testimonio

Domenico Zuccolli del fu Alvise Notaro

Numero rog. Venezia li 4 Aprile 1815
Registrato al Protocollo Diritti fissi Affari Civili, Foglio 91 e pagò Centesimi 34:

Giacomazzi G.

Prima di seguire l’effetto delle carte legali soprariportate occorre ricordare che il 7 aprile 1815 veniva annunciata la costituzione degli Stati austriaci in Italia in un nuovo Regno del Lombardo-Veneto. In base al Trattato di Vienna esso aggregava i territori dei soppressi Ducato di Milano, Ducato di Mantova, Dogado e Domini di Terraferma della Repubblica di Venezia, oltre alla Valtellina già parte della Repubblica delle Tre Leghe, e all’Oltrepò ferrarese già pontificio, mentre lo Stato da Màr, già sottoposto alla Serenissima, ne fu invece escluso incorporandolo direttamente ai territori dell’Impero.



Il Regno fu affidato a Francesco I d’Asburgo-Lorena, Imperatore d’Austria e re del Lombardo-Veneto.

A sinistra: ritratto di Francesco I, primo sovrano del Lombardo-Veneto, fino alla sua morte nel 1835.

Il re e imperatore avrebbe governato attraverso un viceré, con residenza a Milano e a Venezia, nella persona dell’arciduca Ranieri che era austriaco e fratello dell’Imperatore.


Torniamo a seguire le fasi della nomina del nuovo parroco di Croce.

Il 14 aprile Francesco Maschi spediva a don Moretti una lettera autenticata dall’agente comunale di Fossalta, unita alla procura avuta dal signor Mion, in cui si scusava della propria impossibilità di accompagnare il parroco a Treviso.

R[everendissi]mo Sig[no]re

Li 14 Aprille 1815 Fossalta di Piave

Reso vaccante questo Beneficio Parrochiale di S.(ant)a Croce di Croce di Piave per la morte del Re(verendissi)mo Sig(no)r Ant(oni)o Filippo Bottamella ultimo e immediato di Lui possessore pei miei Titoli e rappresentante, spontaneamente e liberamente eleggo la di Lei Persona a successore del Defunto Parroco suddetto, volendo che questa mia Lettera per mancanza di Notaio Pub(lic)o che non può quì facilmente avere, abbia e riporti tutto e pieno effetto, come se fosse un’atto rogato e stipulato da mano Pubblica con tutte le formalità volute dalla Legge, e vigenti Regolamenti. Ella potrà pertanto munito di questa mia presentarsi liberamente alla Curia R(everendissi)ma di Treviso, onde riportarne la approvazione, e quindi la Canonica Investitura, a tenore delle Leggi Ecclesiastiche. La spedisco in pari tempo la Procura a me diretta dal signor Giuseppe Mioni di Venezia, colla nomina della di Lei Persona a questo Beneficio Parochiale, non potendo io a cagione delle molte urgenti mie occupazioni convenire in Persona, a presentarla a tenore dell’atto medesimo.
Confido che la di Lei Persona sicome è stata finora, così sarà di molto Spirituale vantaggio a questa Popolazione. Le prego lunga vita e ciò perché Ella possa esser utile alla Chiesa. E mi pregio di essere

Di lei
Um[ilissi]mo Servitore
Fran[ces]co Maschi

Al molto Re.[veren]do Sig.[no]r
Il Signor D: Osvaldo Moretti
Vicario Spirituale di Croce di Piave

L’Agente Comunale
di Fossalta di Piave
certifica l’autenticità della sottoscritta firma
del Sig.[no]r Fran.[ces]co Maschi possidente domi-
ciliato in questo Comune al Civ.[ic]o. N.° 771

dall’Ufficio Comunale li 14 Aprile 1815
Rizzi

Il giorno dopo anche Elena Pisani, moglie di Giovanni da Lezze, dalla sua villa di Cao d’arzere spediva a don Moretti la sua lettera di nomina.

Molto Rev.do Sig.r

Reso vacante cod.[est]o Beneficio Par.[rocchia]le di S. Croce di Croce di Piave per la morte del Rev.do Sig.r D. Gio.[vanni] Ant.[oni]o Bottamella ultimo ed immediato di lui possessore, la di cui elezione pei miei titoli, e rappresentanze a me pure si appartiene spontaneamente, e liberamente eleggo la di Lei Persona in Parroco di quella Chiesa vacante, intendendo, che questa mia elezione, benché fatta senza il concorso di P.[redett]o Notaio, valer debba come se fosse rogata e stipulata per mano del Notaio medesimo; e ciò affinché Ella munito di questa mia si presenti alla Ill.ma e R.ma Curia di Treviso ad effetto di ottenere la necessaria canonica investitura. E perché dubitar non si possa che tale è la mia volontà, ho fatto riconoscere il mio carattere, e la presente firmata di mia propria mano da questo Agente Comunale di Fossalta di Piave, il quale vi pose il Sigillo della sua Agenzia Comunale.

Ho intanto il piacere di essere

Di Lei
Devotiss.a Serva
Elena Pisani da Lezze

Al Molto Rev.o Si.r
Il Si.r D. Osvaldo Moretti
Vic.o Sp.e di Croce di P.e

L’esame di don Moretti

Con le lettere di nomina in mano, don Osvaldo Moretti il 20 aprile 1815 si presentò dunque in Curia a Treviso per l’esame canonico che avrebbe dovuto confermarlo nel possesso del Beneficio di Croce di Piave.
L’esame consisteva di tre parti: la prima nel commentare un versetto del Vangelo; la seconda nel dire qualcosa relativamente a una sessione di un certo Canone, la terza nell’interpretare sei quesiti relativi alla morale.

- Quid è hoc, quod nobis dicit medicum [che cosa ci dice la parola medico?]

- “Can. 2 Ses: 23 Si quis dicerit” [se ne dica qualcosa]

Cap: 1: Adest qui unico tantum actu plures homines afficit contumelia; committitne unum vel potius tot peccata, quot fuerunt homines iniurijs lacessiti? [Cap. I: Supponiamo che vi sia chi con un unico atto reca offesa a più persone. Commette egli un solo peccato oppure ne commette tante quante sono le persone colpite dalle ingiurie?]

Cap: 2dus: Homo quidam jam remoto scandalo altero, omnique sui ipsius periculo, animi tantum recreandi gratia legit turpia. Quaero: 1.° an peccat? 2do si peccat, an mortaliter, vel venaliter tantum peccat? [Cap. II: un uomo, senza dar nessuno scandalo a chicchessia, con pericolo solo per lui, solo per rallegrarsi l’animo, legge cose turpi. Chiedo: pecca? E se pecca, pecca mortalmente o si tratta di peccato veniale?]

Cap: 3tius: Pancratius Par.us Eccl(esi)ae ruralis cum quodam die festo Missa esset celebraturas, jamque Populus convenisset, animadvertit nulla superesse hostiam majoris formae, quae ad Sacrificium adhiberi solet, nec posse aliunde opportune haberi; Dubitat ergo, an minus malus sit a Missae celebratione abstinere, vel cum parva particula celebrare. Quaero quid ei faciendum sit? [Cap. III: Pancrazio, parroco di una chiesa di campagna, mentre la messa al dì festivo sta per cominciare, ed è già arrivato il popolo, si accorge che non c’è più nessuna ostia di forma più grande, di quelle che vengono usate di solito per il Sacrificio, né in alcun modo se ne può procurare una; perciò dubita se sia minor male astenersi dal celebrare la messa o celebrarla con l’ostia piccola. Che cosa dovrebbe fare?]

Cap: 4tus: Silverius Sanctae Eccl(esi)ae jurispatronatus jussus ab Eccl(esi)ae Patrono tempore Visitationis E(pisco)pi varia indumenta sacra sibi ab aliis commodari curari, ne visitatoris aliquod Decretum conderent, quod in Patronis dedecus verteretur. Quaero an, et cujus criminis Pa(storal)is reus sit. [Silverio, parroco di una santa chiesa di giuspatronato, ha ricevuto l’ordine dal patrono della chiesa che in occasione della visita del vescovo siano preparati vari indumenti sacri per sé e per gli altri, per non cadere in qualche decreto del visitatore, cosa che tornerebbe a disonore dei Patroni. Chiedo se, e di quale crimine pastorale sia colpevole]

Cap: V: ...erat in quodam Regno, ne triticum extraheretur ad vitandam famem. Titius amore lucri quisque tridici modios clam extraxit. Quero an ille mortaliter peccavit. [In un certo regno vi era una legge perché non venisse sottratto del grano, per evitare la fame. Tizio, per amore del lucro, rubò di nascosto tredici moggi. Chiedo se peccò mortalmente]

Cap. VI Cajus statuerat ad Domum meretriciam accedere; dum autem esset ad alia occupatus propositum interrupit, renovavitque; tandem accepit, et fornicatus est. Quaero: an illa pluraproposita fuerint plura numero peccata, an unum? [Caio aveva deciso di accedere ad una casa di meretricio; essendo occupato da altre ose, lasciò cadere il pensiero; poi lo rinnovò, andò nella casa e fornicò. Chiedo: quei propositi reiterati furono un peccato solo o più peccati?]

B. Ga.us Tarvisinus
Bartholomaeus Can.ius a Ripa exam.r Prosyn.
Can.ius Antonius Pellizzari exam.r Prosynod.s
Sanctes Eid.e O..hica Rector Semr. exam.r Prosynod.s

Queste furono le risposte date da don Moretti

Quid è hoc, quod dicit medicum

Evang(elium) Dom(inicae). 3tiae Post Pascha

Esordio Ricevuto da G.[esù] C.[risto] l’avviso, che fra poco tempo egli sarebbe per risalire al Padre concepirono essi somma tristezza, vedendo, che per tal guisa essi venivano privati della consolazione di conversare più lungamente con lui; e siccome credevano, che egli dovesse secoloro fermarsi, siccome altrove li assicurò; ecce ego vobiscum sum usque ad consumationem saeculi; così d’accordo lo interrogarono, che si voglia dire quel medicum; che in questo incontro uscì dalla divina sua bocca.
Esortaz.e Preso motivo di queste parole si può formare discorso al Popolo sulla fiducia, che noi dobbiamo avere che G. C. sedendo alla destra del Padre esercita presso di lui l’ufficio di nostro Mediatore, ed Avvocato. Advocatum habemus apud Patrem; unus est mediator Dei, et hominum Christus Iesus. E quindi il Popolo eccitava ad una grata, e continua ricconoscenza verso di Lui, e in lui riporre tutte le cristiane nostre speranze, ricorrendo a Lui nelle nostre afflizioni, conoscendo; che momentaneum hoc, et leve nostrae tribulationis esternae gloriae pondus operatur in coelis; etc.

Don Moretti affrontò quindi il secondo punto e la terza parte dell’esame in un secondo foglio.

Ses XXIII
Can(on)e 2do. Se alcun dirà; che oltra il Sacerdozio non ci sono nella cattolica Chiesa altri Ordini maggiori, e minori, per cui, siccome per gradi, si sale al Sacerdozio sia scomunicato.

//

Ad primum capum responsio. Variant inter se Teologi quot numero peccata committat, qui uno actu plures u: q: homines occidit; contumelia afficit etc: P. Gabriel Antoine tract... de pecc: u... asserit quod licet etiam unum tantum committatur numero peccatum, illud tamen aequiparat gravitate numero peccatorum; quae correspondent numero personarum, quorum violantur jura; et proinde contumeliae sunt lacessitae [Risposta al capo primo: variano le risposte tra i teologi su quanti peccati di numero commetta colui che, con un solo atto, uccide più uomini, o porta offesa a più uomini. Padre Gabriel Antoine tratta ... dove asserisce che, se pure si consideri che si commetta un solo peccato, esso tuttavia è pari per gravità a un numero di peccati che corrisponde al numero delle persone delle quali vengono violati i diritti e di conseguenza causate le offese]

//

Ad capum 2dum responsio primae partis. Affermat(ive), quia etiamsi nullum omnino subeat peccandi periculum; tamen dat operam rei illicitae; neque enim christiano homini licet legere quod teste Paulo licet nominare: Omnis turpitudo, aut stultiloquium, quod ad rem non pertinet nec nominetur in notiis; inquit D. Paul. Cong.
Peccat autem venialiter; cum ex hipothesi non adsit periculum. [Risposta al capo secondo, prima parte: Sì, perché se anche nessuno subisca pericolo di peccare, tuttavia commette cosa illecita; infatti non è lecito a un cristiano leggere cio che al testimone Paolo è lecito nominare: ogni turpitudine o stultiloquio che non c’entri non venga nemmeno nominato in nota, dice D. Paul. Cong. Tuttavia pecca venialmente, in quanto, secondo le ipotesi fatte non vi è rischio di pericolo]

//

Ad 3tium Respons(io).
R: deponat dubium, et Missam celebret, ut populus praecepto satisfaciat; et celebret etiam cum parva ostia; praeceptum enim de audienda missa excellit Ecclesiae ritum de sacrificando cum ostia majori. [Risposta al terzo capo: Deponga il dubbio e celebri la Messa, affinché il popolo possa soddisfare al precetto; il precetto di ascoltar messa infatti prevale sul rito della chiesa di sacrificare con l’ostia maggiore]

//

Ad IV. R(esponsio). Silverius illudit in re gravi officio Visitatoris Epi[scopali], et proinde peccat graviter contra decus, quod Ecclesiae functionibus debetur. [Risposta al IV: Silverio oltraggia in cosa grave per l’ufficio del visitatore episcopale, e perciò pecca garvemente contro il decoro che si deve alla funzioni della Chiesa]

//

Ad V.. Vel illi frumenti modii ita fuerant necessarii, ut ex illa extractione grave reipublicae damnum provenit vel non; si primum mortaliter peccavit; quia in re gravi Regis edictum violavit; si secondo non peccavit mortaliter; quia violatio levis levem parit culpam. [Al V: nel primo caso peccò mortalmente perché violò in una cosa grave l’editto del re; nel secondo caso non peccò mortalmente perché una violazione lieve pareggia una colpa lieve]

//

Ad VI. Affermative: quia peccata numero multiplicantur per repetitionem actuum; atque illa renovatione propositi actus moltiplicati sunt; ergo Cajius tot numero peccata commisit quot proposita renovavit [Certamente, perché i peccati vengono moltiplicati di numero per la ripetizione dell’atto; e per quel rinnovo di proposito gli atti sono moltiplicati; perciò Cajo tanti peccati commise quante furono le volte che rinnovò il proposito]

Osvaldus Moretti

La preparazione di don Moretti era ineccepibile. L’esame fu superato brillantemente, e il vescovo poté emanare la bolla provvisoria di nomina: se entro nove giorni nessuno avesse avuto qualcosa da reclamare la nomina sarebbe stata definitiva.
Così avvenne e il 29 aprile, un sabato, di quel 1815, sedicesimo di pontificato di papa Pio VII Chiaramonti, don Moretti fu investito ufficialmente della proprietà della parrocchia di Croce di Piave. In seguito sarebbe stato elencato al numero 7 nel frontespizio del Libro dei battesimi, “eletto dalla N.D. Chatina Corner, e gli altri consorti come al numero 3 l’anno 1815”. Al numero 3 ci stavano li elettori di don Girolamo Querini ovvero Giovanna Corner, Cecilia Corner, Niccolò Pesaro, Orsola Morosini, Ascanio Zustinian, Cecilia Loredan.

Rivoluzione amministrativa

Intanto stava per cambiare il mondo, quello politico-amministrativo, almeno.
Lombardia e Veneto, separate dal Mincio, ebbero ciascuna un governo proprio Consiglio di Governo, affidato ad un governatore, e distinti organismi amministrativi dette Congregazioni Centrali, alle cui dipendenze stavano le amministrazioni locali, tra cui le Congregazioni Provinciali e le Congregazioni Municipali.
Le competenze del Governatore, attraverso il Consiglio di Governo, erano assai ampie e riguardavano: censura, amministrazione generale del censo e delle imposizioni dirette, direzione delle scuole, lavori pubblici, nomine e controllo delle Congregazioni Provinciali. Oltre, naturalmente, al comando dell’esercito imperiale stanziato nel Regno, che, negli anni successivi si sarebbe occupato soprattutto di garantire l’ordine pubblico.
L’amministrazione finanziaria e di polizia, infine, era sottratta al Consiglio di Governo e attribuita direttamente al governo Imperiale a Vienna, che agiva attraverso un Magistrato camerale (Monte di Lombardia, zecca, lotto, intendenza di finanza, cassa centrale, fabbricazione di tabacchi ed esplosivi, uffici delle tasse e dei bolli, stamperia reale, ispettorato dei boschi e agenzia dei sali), un Ufficio della Contabilità, una Direzione generale della Polizia.
Considerata la eccezionale centralizzazione del potere nelle mani del Governatore, nominato da Vienna, e del governo imperiale, ben si comprende come il ruolo del Viceré fosse assai marginale, ridotto a mera rappresentanza. A tal fine egli manteneva splendidi palazzi, ove teneva corte.
Tutte le alte cariche del Regno erano, naturalmente, di nomina regia, mai elettive. In gran parte erano affidate ad austro-tedeschi e comunque tutti austro-tedeschi furono, sempre, i governatori, la grandissima parte degli ufficiali stanziati in Italia (mentre la truppa rispecchiava l’eterogenea composizione delle popolazioni dell’impero) e il Viceré: i forestieri godevano, quindi, del controllo quasi assoluto sulla vita del Regno. (Famoso, a tal proposito, un colloquio del 1832 fra il nobile lombardo Paolo de’ Capitani e Metternich: “Che necessità c’è di far occupare ogni posto notevole da Tirolesi e da sudditi di altre province?”)

Al patriziato locale, italiano, non restava che il governo delle Congregazioni provinciali e municipali, cioè posizioni assolutamente secondarie. Le Congregazioni municipali, ad esempio, curavano solamente la manutenzione di edifici comunali, chiese parrocchiali e strade interne, gli stipendi dei propri dipendenti e della polizia locale.

A sinistra la suddivisione provinciale del Regno.

Ogni Provincia fu suddivisa in distretti (in tutto 127 in Lombardia, 91 nel Veneto), ogni distretto suddiviso in comuni, cellule di base dell’amministrazione pubblica.
La burocrazia sarebbe aumentata a dismisura.

All’Ill(ustrissi)mo e Reverend(issim)o Monsg(no)r Vescovo

di Treviso

Per corrispondere alla ricerche dell’Eccelso Governo, la Prefettura dell’Adriatico invita la di Lei compiacenza a trasmetterle il documento comprovante il diritto di nomina dei Juspatroni del Benef(ici)o Parrocchiale di Croce di Piave, il qual documento mancava nella Bolla Canonica rilasciata da cod(est)a Curia al Sacerdote D. Osvaldo Moretti.

Dall’Imp. Reg. Pref(ettur)a dell’Adriatico
Venezia 7. Luglio 1815

Del Prefetto rinspedito (?)
Il Consigliere Anziano
Vendramin Calergi

La risposta della Curia:

All’Imp. R. Prefettura dell’Adriatico in

Venezia

Siccome nel caso di quest’ultima vacanza della Chiesa Pa(rochi)ale di Croce di Piave di questa Diocesi, per far constare il Titolo padronale sopra di essa, è stato di mestieri rimontare a più di una delle ...ate ... istanza, attese le variazioni de’ Compatroni; così tutti li fatti documenti redatti in forma furono consegnati alla parte interessata, che diceva di subordinarle a cotesto Officio. Ora, per non ripigliar una operazione laboriosa, sarà pr... la detta Parte, a supplire ad ogni suo difetto nel proposito.

Treviso 10 luglio 1815

Decreti su tutto

Arrivarono i primi decreti. Il 5 agosto il Governo austriaco decretò che le Amministrazioni Comunali vigilassero sulle adulterazioni dei generi alimentari e permettessero la macellazione dei suini e degli ovini solo da ottobre ad aprile. Un secondo decreto il 5 ottobre vietò la navigazione sui fiumi nottetempo, durante le piene, ed impose ai barcari [=proprietari di barche da carico] di farsi rilasciare dalle autorità comunali un «Atto di autorizzazione a patronaggio», cioè una licenza di trasporto. [ALBERTI L., Quadro del sistema di commercio vigente nelle Provincie Venete nell’anno 1823]

Applicazione del decreto di ripartizione

Per quanto riguarda Croce, essa entrò a far parte del Comune di San Donà nel Distretto di San Donà (il VII).

I comuni del VII distretto erano: S. Donà, Fossalta, Noventa, Cava Zuccherina, Ceggia, S. Stino.
Non furono rispettati i confini ecclesiastici: il distretto di San Donà di Piave abbracciò paesi sottoposti a tre diocesi diverse: Treviso, Venezia e Ceneda.
Il governo si riservava qualche rettificazione dei confini qualora l’esperienza l’avesse mostrata necessaria.

“Il programma del governo austriaco si ispirò ad un unico concetto: dare un po’ di vita a Venezia, limitata ormai alla sola capitale ed a pochi paesi del vecchio Estuario. Si ebbero delle proteste da parte dei paesi che si videro soggetti a due giurisdizioni (ecclesiastica e civile) diverse: vecchie tradizioni e interessi ormai acquisiti reclamavano, specialmente in ordine alle parrocchie soggette al Vescovo di Treviso, il rispetto a consuetudini inveterate e la continuazione dello statu quo. Si conserva ancora, nell’archivio di Curia, copia delle istanze che si presentarono in proposito, e delle proteste un po’ forti per le intromettenze, certo esagerate, che si sospettavano fossero pervenute dalla capitale del vecchio dominio veneto: istanze e proteste a nulla valsero. e lo sdoppiamento dei confini si impose per principi politici e per interessi regionali; si mantiene e si conserva anche oggi.” [Chimenton]

Il trevigiano Chimenton, cent’anni dopo il fatto, se la prendeva un poco con Venezia... affari suoi.

L’amministrazione

A seconda della loro popolazione, i Comuni potevano appartenere a tre classi differenti: i Comuni di I classe, cioè i capoluoghi controllati direttamente dalle Delegazioni Provinciali, avevano un Consiglio Comunale di non più di 60 membri; i Comuni di II classe, dotati di un Consiglio Comunale di almeno 30 membri, erano sottoposti ad un Cancelliere del Censo; i Comuni di III classe, i più piccoli, erano diretti dall’Assemblea dei proprietari (i Censiti) che si riuniva una volta l’anno, alla presenza del Cancelliere del Censo, per nominare i funzionari e per approvare il bilancio e i tributi, mentre nella restante parte dell’anno venivano delegati tre proprietari per l’ordinaria amministrazione.

Il I gennaio 1816 entrarono in vigore i codici civile e penale austriaci.

Lo stesso anno un nuovo decreto affidò l’amministrazione dei Comuni a un Convocato Generale e alla Deputazione Comunale. Il Convocato Generale era il massimo organo comunale, avendo tutti i poteri già detenuti dal napoleonico Consiglio Comunale, ed era composto da tutti i possidenti (maggiorenni e residenti in loco) soggetti a estimo, cioè iscritti nel ruolo delle imposte. La Deputazione Comunale, avente funzioni di una Giunta, era composta di tre membri, risultati eletti a scrutinio segreto dal Convocato fra i suoi appartenenti: chi riportava il maggior numero di voti assumeva il titolo di Primo Deputato, carica corrispondente alla odierna di Sindaco. Assisteva un agente, odierno segretario, più cursori, cioè personale stipendiato dallo Stato.

I capifamiglia del paese furono di nuovo chiamati a prestare sul Vangelo un solenne giuramento di fedeltà all’imperatore d’Austria. Un decreto governativo ribadì il divieto di vendita di ogni tipo di arma da fuoco. [A.S.V., Frammenti podestà di Caorle (1754-1830)]

1816: Una persistente piovosità da maggio a luglio infracidì i raccolti e provocò la carestia. Gli speculatori aggravarono l’indigenza incettando le poche biade e rivendendole a prezzi astronomici.

In parrocchia ci si preoccupava per la mancanza di canonica.

Un documento di Curia
N. 566
I ricorrenti si rivoglieranno al R.° Amministratore de’ Vacanti nel Distretto di S. Donà, perché voglia prendere in considerazione l’esposto, e trovata giusta l’istanza appoggiarla presso l’Ecc.° Governo.

Dalla Cancell.a Vescovile di
Treviso li 20 Luglio 1816

firm.o Giuseppe V.o di Treviso

All’Ill.mo e Rev.mo Mons.

Vescovo di Treviso

Ricorso

della Parrocchia di Croce di P.

in punto

Di ottenere dai Giuspatroni di detto Benefizio la Canonica che fu demolita fin dal 1792; e i materiali dispersi in altro uso capriccio dei Giuspatroni.

Copia.

L’Originale fu restituito.

Dal tardo autunno al nuovo raccolto la popolazione soffrì le angosce della fame e l’alimentazione insufficiente (qualche manciata di polenta scondita) causa il dilagare della pellagra
[F. MUTINELLI, Annali delle provincie venete.]

Col passar dei mesi i sudditi veneti e lombardi si resero conto che il nuovo Regno del Lombardo-Veneto era poco più che una finzione: il potere era affidato al governo viennese, i ‘tedeschi’ erano onnipresenti e sottraevano al patriziato ed agli intellettuali italiani grandi spazi che, in un regno realmente autonomo, sarebbero spettati loro. Sotto il Regno d’Italia, retto sì da un Re (Napoleone) e da un viceré (Eugenio) francesi, che ne avevano fatto un protettorato di Parigi, veneti (e lombardi) godevano almeno di una amministrazione autonoma e quasi totalmente nazionale, come pure di un esercito nazionale, ove numerosi erano gli ufficiali italiani.
Ancorché efficiente, pareva ai più che il Governo austriaco, non rispettando i diritti tradizionali di Venezia, non godesse di alcuna legittimità. Comunque prese decisioni significative per l’evoluzione della vita civile. Nel 1817 impose l’adozione del sistema metrico decimale dei pesi e delle misure al fine di razionalizzare e uniformare i molti sistemi in uso. Contemporaneamente un apposito decreto vietò «le stadere con asta di legno poiché si prestano a molte frodi» [L. ALBERTI, Quadro del sistema di commercio vigente nelle Provincie Venete nell’anno 1823]
Poco poté invece contro il tifo che da febbraio a novembre il tifo imperversò in tutta la zona. [Venezia, Archivio del patriarcato di Venezia, b. 2B-XXV]

Il 9 settembre 1817 in Venezia morì il vescovo di Treviso, Marin, alla veneranda età di 77 anni.

“Ai 10 fu il cadavere trasportato a Treviso, e precisamented a tutto il clero ricevuto alla porta Altinia e condotto in Duomo ivi tumulato, previo sontuoso funerale, concorso di popolo, di messe e funebre apparato e con universale plauso le fu recitatal’orazione funebre dal celebre don Jacopo Monico, degnissimo maestro di retorica accademica e bibliotecario in Seminario di Treviso”.
[De Gobbis, Diario]

Il governo austriaco indicò come nuovo vescovo monsignor Jappelli, che fu però ricusato dal Vaticano. Iniziò una lunga vacanza per la diocesi, retta dal vicario Giovanbattista Rossi.

Il malcoltento contro il governo austriaco si manifestò contro decreti che abrogavano antiche consuetudini, quale ad esempio, sempre nel 1817, quello che vietava di suonare le campane di notte durante i temporali, imposto ai campanari sotto pena di perdere il posto; chissà cosa ne pensò don Moretti. Altro malcontento era dovuto all’eccessiva lunghezza del servizio militare (8 anni) ed all’uso corrente di mandare le reclute in lontane guarnigioni (in Ungheria o in Croazia).
Paradossalmente furono proprio le autorità austriache a favorire la formazione di una coscienza nazionale adottando una linea politica piena di sospetti e censure ai limiti del ridicolo, applicando offensive limitazioni delle libertà personali e soprattutto appoggiandosi ad un rigido ed ottuso sistema poliziesco.

La bolla di Pio VII del 1° maggio 1818 subordinò la diocesi di Treviso, ancora senza vescovo, a quella metropolitana di Venezia, imponendo a tutti i parroci di prestare fedeltà all’imperatore, depurando dal catechismo nazionale le risposte che si riferivano all’obbedienza e agli altri doveri verso Napoleone, conservando però alla domanda: Per quale ragioni siamo noi tenuti a questi doveri verso l’Imperatore e Re nostro? la risposta:

Primieramente perché Dio il quale crea gli imperi e li distribuisce secondo il suo vlere ricolmando di doni l’Imperatoree Re nostro tanto in pace quanto in guerra, lo ha stabilito nostro sovrano, lo ha reso ministro della sua potenza a sua immagine sopra la terra. Onorare dunque e servire l’Imperatore e Re nostroè onorare e servire Dio steso. In secondo luogo perché nostro Signore Gesù Cristo, tanto con la sua dottrina quanto co’ suoi esempi, ci ha egli stesso insegnato quello che noi dobbiamo al nostro sovrano. Egli è noto nell’atto di obbedire a Cesare Augusto: egli ha pagato il prescritto tributo; come egli ha comandato di rendere a Dio ciò che appartiene a Dio, così ha ordinato di rendere a Cesare ciò che appartiene a Cesare.

8 luglio 1818: CRAC NELLA STORIA DI CROCE

La rettifica dei confini dei Comuni che il Governo si riservava di apportare nel 1815 giunse nel luglio del 1818. E sancì il CRAC nella storia di Croce: i Comuni del distretto di San Donà erano dunque S. Donà, Grisolera di sopra,Musile, San Michele del Quarto, Fossalta, Meolo, Noventa, Cava Zuccherina, Ceggia.

Avete letto bene: Musile e non Croce. Fu Comune Musile e non lo fu Croce. Eppure Croce era più estesa e aveva più abitanti e più storia di Musile, ma per qualche incomprensibile ragione Croce da quel momento fece parte del Comune di Musile.

L’11 dicembre 1818 morì la contessa Lucia, moglie di Luca Ivanovich. Fu sepolta nell’abside dell’oratorio alla Fossetta, come ancora ricorda una lastra tombale ricca di errori.

 

D.O.M.
HIC QUIESCUNT HUMANAE ESTIGIA
LUCCIAE COM.SA IVANOUICH LUCAE
DILEET.MA ET AFFET.MA UXOR
CRISTIANAE PIETATE RELIGIONEQUE OBSER.X EXEMP.MA
OMNI MORALIS VIRTUTE HORNATA
NATA ANNO J77J DOBROTAE CATTARENSIS
PETRI CAMENAROUICH FILIA
DECESSIT UN DECIMO DIE DECEMB. J8J8. VENETUS
JN DOMO SUAE FAMILIAE MESTISSIME
PRO HAC PRETIOSA PERDITA ETTATIS SUAE MEDIE

Traduzione
D.O.M.
QUI RIPOSANO I RESTI UMANI DELLA CONTESSA LUCIA IVANOVICH
DILETTISSIMA ED AFFETTUOSISSIMA MOGLIE DI LUCA
OSSERVANTE ESEMPLARE DELLA PIETÀ CRISTIANA E DELLA RELIGIONE,
ORNATA DI OGNI VIRTÚ MORALE
NATA NELL'ANNO 1771 A DOBROTA del CATTARO 1,
FIGLIA DI PIETRO CAMENAROUICH
MORÍ L'UNDICI DICEMBRE 1818. VENETO 2
NELLA CASA DELLA SUA FAMIGLIA MESTISSIMA
PER QUESTA PREZIOSA PERDITA NEL MEZZO DELLA SUA VITA

1 - a sud di Dubrovnik = Ragusa
2 - secondo il “MORE VENETO” cioè il calendario veneto, che andava dal 1° marzo al 28 febbraio successivo

Sono evidenti alcuni errori:

per HUMANAE ESTIGIA leggi HUMANA VESTIGIA
per LUCCIAE leggi LUCIAE
per DILEET.MA leggi DILECT.MA
per AFFET.MA leggi AFFECT.MA
per CRISTIANAE leggi CRISTIANA
per MORALIS leggi MORALI
per MESTISSIME leggi MESTISSIMAE
per ETTATIS leggi AETATIS
per MEDIE leggi MEDIAE


Per una trattazione completa dell’argomento vedi
CARLO DARIOL - Storia di Croce Vol. I - IL PAESE DELL'INVENZIONE
dalle origini all’arrivo di Don Natale (1897), Edizioni del Cubo