HISTORIA de CROSE
dal 1940 al 1945



Pronti alla guerra

Dal 16 maggio [al 30 giugno] presso Bardella Luigi in località Croce lungo l’Argine San Marco nella cosiddetta postazione N. 7 erano accantonati una trentina di legionari della M.V.S.N. 9a Legione Milizia Contraerei del Comando Distaccamento di San Donà di Piave: il calcolo è desunto dal fatto che verranno pagate 450 giornate di presenza; un’altra quarantina [550 giornate] erano i volontari accantonati presso la casa di Montagner Marcello lungo la sponda dell’argine del Piave tra Musile e Fossalta; infine un’altra ventina [350 giornate di presenza] erano presso Sforzin Antonio “in località Filon”, postazione N. 6. El fi’on era la lunga strada dritta [attuale via Verona] che collegava l’argine San Marco quasi con via Bosco.

In maggio e giugno XVIII (non veniva neanche più indicato l’anno Domini) arrivarono e furono diffusi gli stampati per la mobilitazione civile.

Vittorio Di Legui, partito per il fronte col sangue amaro nei giorni in cui sperava invece di ottenere la licenza matrimoniale, partì con in testa la voglia di vendicarsi di Rupeo che, a suo dire, tale licenza gli aveva negato; Vittorio era deciso a “a sputargli in faccia” la prima volta che l’avesse rivisto, sempre se al ritorno dalla guerra l’avesse trovato ancora vivo. Giunto al suo reparto ebbe la fortuna di trovare un capitano comprensivo che gli concesse immediatamente la licenza matrimoniale di dodici giorni. E così Vittorio si presentò da don Natale per fissare la data delle nozze, ma il paroco volle prima impartigli un po’ di dottrina, data la carente istruzione religiosa dell’aspirante sposo; ovviamente di sposarsi in chiesa col sole alto neanche parlarne, disse il paroco, visto che la ragazza era incinta, questo Vittorio lo sapeva.

In municipio serviva uno scrivano, fu indetto il concorso, e il 6-7-8 giugno si riunì la commissione che oltre a un presidente esterno, il dottor Malignano Amerigo, e al segretario comunale, il ragionier Luigi Fatica, contava tra i suoi membri Lucchetta Pietro, il segretario politico del Fascio. (I tre riceveranno come compenso rispettivamente 400, 300 e 300 lire.)

La sera dell’8 giugno, alle otto e mezza, cioè dopo la campana dell’Ave Maria, Vittorio Di Legui e la Letizia si sposarono. E non fu l’ultima cerimonia del giorno, perché un’ora dopo don Natale sposò Luigi-Eliseo Sgnaolin con la Maria-Pierina Bergamo.
La sera, a casa di Vittorio e della Letizia, a festeggiare tra amici e parenti, a festeggiare col cuore a metà dato il pensiero incombente alla guerra, c’erano otto richiamati che partirono il giorno dopo. Vittorio sarebbe partito per San Pietro del Carso, a far la guardia alla frontiera.

Il 10 giugno, le maestre entrarono in classe e scrissero alla lavagna “Oggi l’Italia è entrata in guerra”.

“Dichiarazione di guerra. Mussolini parla dal balcone di Palazzo Venezia. La notizia della guerra non sorprende nessuno e non desta eccessivi entusiasmi. Io sono triste, molto triste: l’avventura comincia. Che Dio assista l’Italia”
[dal diario del ministro degli Esteri, Galeazzo Ciano]
[dai pensieri di Don Natale]

Il paroco, per esplicita richiesta delle autorità civili, fece suonare le campane.
Si diceva che sarebbe stata una guerra breve, Hitler aveva già invaso mezza Europa e Mussolini aveva bisogno “di qualche decina di morti da far pesare al tavolo della pace”. C’era da credergli, perché il Duce “aveva sempre ragione”.
Lo stesso giorno il podestà di Musile dichiarava soppressa la IIa condotta ostetrica, segno tangibile che cominciavano i risparmi di guerra. Le proteste contro la soppressione, decisa da mesi, non erano mancante; per gli abitanti del paese sarebbe stata una piccola rogna doversi recare dal dottore a Fossalta o a Musile. “Almeno metteteci un telefono!”, avevano chiesto. E difatti nella medesima seduta il Comune deliberò di cercare un accordo con la Tel.Ve per l’installazione di un posto di telefono pubblico nella frazione di Croce in collegamento diretto con San Donà di Piave. La cifra in ballo era di 10.000 lire. Tale collegamento “sarebbe utile per la frazione stessa, specie dopo la recente soppressione delle condotte medica e ostetrica. Negli anni precedenti tale proposta aveva trovato difficoltà di ordine economico finanziario. Ma ora la spesa verrebbe sensibilmente ridotta dato il notevole sviluppo della rete telefonica in questi ultimi anni” scrisse il verbalizzante.

Diversi erano i crocesi richiamati alle armi. Tutti speravano che la guerra sarebbe stata breve, la Germania aveva già conquistato l’Europa. Più di cinquecento sarebbero stati i richiamati in tutto il Comune nel corso della guerra.
Partì per la guerra anche il portalettere Antonio Pietro Montagner e fece sapere che al suo ritorno non avrebbe ripreso servizio. Fu sostituito dal crocese Bruno Bardella di Giuseppe, nei cui campi si erano tenute le esercitazioni della MVSN.
Il 22 giugno Hitler entrava a Parigi e il 28 l’aereo di Italo Balbo, governatore della Libia, veniva abbattuto per errore dalla contraerea italiana. Italo Balbo sarebbe stato sostituito dal feroce generale Graziani.

La guerra pareva geograficamente distante; ma anche venticinque anni prima era sul Carso e poi era improvvisamente piombata sul Piave. Don Natale confidava di non dover vedere la sua chiesa, anzi le sue chiese (perché anche quella di Ca’ Malipiero e adesso anche quella di Millepertiche erano sue) crollare giù. Nel 1919 aveva 53 anni, aveva energia da vendere; adesso di anni ne aveva 74, non era più un ragazzino, davvero confidava di non dover tornare a ricostruirle. Era ancora forte come un toro, così si sentiva, e le sue dimostrazioni di forza fisica erano ancora impressionanti; ma tutti cominciavano a vederlo appesantito.

A quindici anni dalla ricostruzione il tempio di Croce era tornato all’antico splendore, anche se qualcosa in verità rimaneva da fare: ad esempio l’altare della Madonna del Rosario era ancora provvisorio. In parrocchia si voleva acquistare una Madonna del Rosario nuova, dato che quella esistente, di cartapesta e rivestita d’organza, in posizione seduta, era parecchio rovinata dalla polvere e affumicata dalle candele. D’accordo con i fabbricieri, don Natale stabilì di vendere l’oro degli ex-voto offerti alla Beata Vergine del Rosario e ne chiese licenza al vescovo:

Eccellenza Illustrissima e Reverendissima
		Monsignor A. Maniero Vescovo 
				    di Treviso 
A nome dei fabbriceri e dei fedeli di Croce di Piave oggi 11 luglio 1940 consegno a Vostra Eccellenza a mezzo persona di fiducia, gli oggetti d’oro consistenti in anelli, orecchini, fermali [sic], collane, ecc; nonché altri oggetti d’argento, offerti dai parrocchiani da epoca remota a tutt’oggi alla B. V. Maria della Salute, perché V. Eccellenza voglia compiacersi di venderli nella miglior stima, e col ricavato venga costruito in questa chiesa parrocchiale, secondo il desiderio della popolazione, l’altare ad onore della B. V. Maria della Salute, che andò distrutto nella guerra del 1917; e passibilmente siano anche provveduti i candelabri, le tovaglie, ecc. occorrenti all’altare stesso.
Gli oggetti in oro pesano Kgmi 1,021 (dico chilogrammi uno e grammi vent’uno)
Gli oggetti in argento, pesano Kgmi 0,070 (dico grammi 70) Non appena questa fabbriceria conoscerà l’ammontare della somma ricavata dagli oggetti sopraddetti, inviterà un competente artista a presentare il progetto del nuovo altare, che dovrà essere in armonia degli [sic] altri altari laterali già esistenti in questa chiesa parrocchiale.

Con profondo ossequio ringrazio Vostra Eccellenza, a nome pure della fabbriceria, e invocando la Vostra Benedizione mi dichiaro

Croce di Piave 11 Luglio 1940

Devotissimo
Don Natale Simionato

I fabbriceri
Favotto Luigi
Bincoletto Luigi
Bergamo Giuseppe

Don Silvio Zavan rilasciò ricevuta:

NB. Rilasciato avviso di ricevuta oggi 11 . VII . 1940 _ e consegnato l’oro e l’argento al Cassiere dell’ufficio amministrativo.

D S Zavan
C.V.

Lite di don Natale col coro

Ma c’era qualcosa da sistemare fin da subito con gli uomini della chiesa: negli ultimi tempi la Compagnia Cantorum del paese, sotto la guida di Attilio Guseo, aveva fatto un po’ come gli era parso. I cantori venivano sì a cantare alle funzioni religiose ma partecipavano anche a esibizioni canore di carattere più che profano in giro per i paesi e don Natale non voleva mischiare sacro e profano: il coro della chiesa doveva rimanere il coro della chiesa! Poiché “di musica sapeva il fatto suo” e “guardava anche la virgola” e non mancava di ricordare che “chi canta prega due volte”, aveva però anche ricordato che bisognava farlo in un certo modo; e poi trovava da ridire sull’atteggiamento scanzonato del capocoro: non che Attilio fosse ateo, ma “veniva a messa solo per poter dirigere il coro, il più delle volte insegnava i canti ai coristi ma poi non veniva neanche a messa quando era ora di cantare.”
Non sentendosi assecondato dalla corale, don Natale era quasi tentato di riprenderne in mano personalmente; del resto ne aveva impostate a suo tempo di messe cantate a tre voci. L’aveva fatto grazie ai Granzotto, ai Mariuzzi, ai Rasera, tutta gente con una bella voce; ma erano proprio loro, i Granzotto, i Mariuzzi, i Rasera, gente che aveva bella voce e cantava in chiesa, che amavano però cantare anche fuori, e così pure el Gobo Daniel, che fuori di chiesa, e talvolta anche in chiesa, cantava “il Rigoletto con la sua voce da basso e dicevano che avesse quattro note dopo dell’organo” [Diana Teso]. Il paroco pose l’aut-aut, o solo in chiesa o niente più in chiesa; i cantori si ribellarono e decisero di scioperare la domenica successiva: solo Basilio Sforzin non scioperò e don Natale lo lodò pubblicamente durante la messa: «Questo è un uomo! ché non ha fatto sciopero» [Toni Sgnaolin].
I contrasti tra paroco e corale parevano destinati a degenarare: i coristi minacciarono di andarsene a cantare nella chiesetta di Ca’ Malipiero; e allora si sarebbe assistito all’assurdità che nella chiesetta figlia si sarebbero udite messe cantate molto più ricche che nella chiesa madre; don Natale raccolse la sfida e li lasciò andare: concluse dentro di sé che conveniva concentrarsi sui giovani, più disposti a lasciarsi guidare.
Ad un accordo comunque si giunse:

14 – 7 – 1940
Croce di Piave

Dichiarazione

Noi sottoscritti già cantori della chiesa di Croce di Piave, a nome della compagnia cantorum, riceviamo dal parroco di Croce 2 spartiti con relatrice [intendi: relative] parti della Messa a 3 Voci di L. Perosi, più 2 spartiti con relatrice [=relative] parti della Messa a 2 voce [=voci] di I. Mitterer di proprietà della compagnia ex cantorum. Nel contempo dichiariamo a nome della compagnia stessa di non aver altra musica di nostra proprietà nel repertorio musica eclesiastica della Chiesa di Croce di Piave: e dichiariamo che da questo giorno in poi non apparteniamo più alla cantoria di Croce e non daremo mai alcun disturbo per nessun motivo né al parroco, né alla nuova compagnia Cantorum della Chiesa di Croce formata prevalentemente di membri di azione cattolica.
Oggi stesso il parroco dichiara che se eventualmente in avvenire qualche ex-cantore, indendesse [=intendesse] unirsi alla nuova compagnia cantori di Croce, sotto la piena obbedienza del parroco o del suo delegato, previo consenso della nuova compagnia cantorum, sarà bene accettato; però riamarrà [=rimarrà] sempre escluso l’ex cantore Guseo Attilio.

Croce di Piave 14 Luglio 1940
firmati per l’ex compagnia cantori
Mariuzzo Attilio
Antoniazzi Giuseppe
Danieli Erminio

In municipio torna il vecchio segretario. Era stato richiamato alle armi anche il segretario comunale, Luigi Fatica; e perciò il podestà, il 22 luglio, deliberò di richiamare in servizio il segretario in quiescenza Domenico Sgreva fu Amedeo, che risiedeva a Venezia.

Il giorno dopo l’Ordinario di Treviso chiese al papa, ovvero a un suo delegato, se il parroco di Croce potesse alienare gli “ex-voto” offerti alla Beata Vergine della Salute. Il tono della lettera rivelava un autore a noi già noto per il suo gelatinoso rispetto delle forme: monsignor Costante Chimenton.

Beatissimo Padre,
Il sac. Natale Simionato – parroco di Croce di Piave, in questa Diocesi, prostrato al bacio del Sacro Piede, umilmente implora dalla Santità Vostra la grazia di poter alienare gli ‘ex voto’ offerti alla B.V. della Salute che si venera nella prefata parrocchia, stimati dai periti del valore di L. 8948 (ottomilanovecentoquarant’otto).
Il ricavato sarà impiegato per la costruzione di un altare dedicato alla medesima B.V. della salute, altare che venne distrutto nella guerra del 1917.
Il Consiglio Diocesano di Amministrazione ha dato, in data 19 luglio u.s. il suo parere favorevole.
Accompagno l’istanza colla speranza che venga benignamente accolta e chiedo alla S. V. umilmente la Benedizione Apostolica.

Treviso – 23 luglio 1940

L’Ordinario di Treviso
M Chimenton

Concesso con R. P. della S. C. Concilio
N 2275/40 del 7 Agosto 1940.
Eseguito il 31 Agosto 1940
Tassa £ 105.

In agosto Bruno Bardella lasciava a sua volta l’incarico di portalettere, sostituito da Vincenzo Fistarol, mentre Hitler dava inizio all’operazione “Leone marino” contro l’Inghilterra.
Nuovo accantonamento di legionari presso le abitazioni di Bardella Luigi lungo l’Argine S. Marco (£. 27,60 pagate) e di Montagner Marcello (£. 29,40).

Il 23 settembre il consiglio Provinciale delle Corporazioni impose ai Comuni di provvedere alla intestazione e distribuzione della carte annonarie generiche fornite dal Poligrafo dello Stato in numero di 1750. Per la compilazione furono incaricati Montagner Europeo, I° applicato dirigente l’Ufficio Anagrafe, Cattai Ermenegildo, scrivano (vincitore dell’ultimo concorso), Bellingeri Nunzia e Trevisiol Livio, avventizi. Della distribuzione furono incaricati Tonicello Ernesto e Trevisol Livio, avventizi, D’Andrea Giovanni messo, Bellese Riccardo guardia, Ormenese Irma bidella.

Nonostante la guerra, ricominciava la scuola.

A Ca’ Malipiero la scuola elementare teneva solo le prime tre classi, la IV e la V si facevano a Croce, in piazza. E nelle scuole di Croce capitavano anche ragazzi di 14-15 anni, rimasti indietro.
Le maestre erano 4, tre giungevano da Venezia – la Zora degli Antoni, la Ebe Caraffa Lorenzetti e la Rina Siega – e poi vi era la Tosca Saladini di Croce, alla quale il gruppo faceva capo. La Rina Siega era una donna prosperosa, terribile, una specie di generale vestito di nero che teneva a bacchetta 25-30 studenti; mi bocciò in seconda elementare perché ero una “ribelle”, e finii in classe con mia sorella Paola con la maestra Ebe Caraffa Lorenzetti; quindi andai liscia fino in quinta. La Rina Siega aveva in classe anche una nipote che abitava a Ca’ Malipiero, la quale la chiamava “signora” anziché zia, per non dimostrare troppa confidenza. E questa nipote ogni tanto urlava “Signora, signora, Giancarlo ha lo specchietto” quando il discolo Giancarlo Cancellier si divertiva a tormentare le ragazze infilando un pezzo di specchio tra le loro gambe all’altezza delle ginocchia. Talvolta Giancarlo Cancellier chiedeva di uscire per andare al bagno e invece usciva dalla scuola, e dalla finestra faceva sberleffi ai compagni rimasti in classe. Alla fine delle lezioni Giancarlo buttava in aria la sacchetta con tutto il contenuto urlando che bisognava dare aria ai libri, aria, aria!
[dai ricordi della Diana Teso]

Hitler il 5 ottobre sospendeva l’operazione “Leone marino” e dieci giorni dopo, in prima mondiale, usciva il film “Il Grande Dittatore” di Charlie Chaplin, il primo in cui lo stesso Chaplin parlava (e derideva il Fuhrer e il Duce); in Italia veniva impartito l’ordine di ignorare la pellicola.

Nuovo liceo a San Donà. Il 16 veniva aperto il Liceo scientifico di San Donà dedicato all’eroe dell’aria Crico. Tra i 6 [o 7?] iscritti del primo anno c’era Giorgio (Gae)tano Rorato, futuro medico condotto di Croce.

Il 19 ottobre veniva ribadito un divieto già precedentemente imposto: quello di pubblicare avvisi mortuari dei caduti in guerra.

Il podestà Cuppini [delibera n.° 174], prendeva provvedimenti per la condotta medico-ostetrica di Croce conseguenti alla decisione della sua abolizione:

Con decorrenza I° gennaio 1940 XVIII il servizio medico nel territorio della condotta di Croce delimitato dalla ferrovia con inizio dal Fiume Piave fino al passaggio a livello di Croce (cimitero), dalla strada del Bosco fino alla Triestina, dalla Triestina lungo la strada Casera fino a casa Mutton; da casa Mutton per la strada a sinistra fino all’incrocio della strada Emilia; dall’incrocio della strada Emilia fino all’incrocio della strada Bellesine; dall’incrocio della strada Bellesine fino alla strada Triestina; seguendo la direttrice della strada Bellesine fino alla Triestina Canale Fossetta a destra è affidato al dottor Alessandro Da Re mediante aggregazione del relativo territorio alla contigua condotta del Comune di Fossalta di Piave.

Con decorrenza I gennaio 1941, XIX, lo stesso provvedimento sarebbe stato attuato per la condotta ostetrica.

Il 28 ottobre, anniversario della marcia su Roma (Mussolini era sensibile alle date), dai confini albanesi iniziava la campagna italiana contro la Grecia. Nel Comune di Musile cominciava la distribuzione delle carte annonarie, tipiche dell’economia di guerra, e don Natale continuava a distribuire le sue “benedizioni” ai grandi e le sue coccole ai bambini.

Tenerezze di don Natale verso i bambini e suo modo di tenere le confessioni e di trattare coi grandi

Per i bambini don Natale aveva sempre avuto un debole e invecchiando le tenerezze nei loro confronti erano quasi aumentate. La mattina, dopo il catechismo in chiesa, li guardava sciamare verso la scuola, dove li attendeva l’ora di ginnastica fascista, e a molti di loro dava un buffetto sulla guancia o una carezza sul capo.
I bambini lo andavano a trovare il sabato per la confessione. C’erano due confessionali in chiesa, uno a sinistra tra i due altari, l’altro a destra dove era la scala che portava alla cantoria. Non c’erano solo i bambini, a dire il vero, in fila per la confessione:

il sabato c’era sempre una fila di donne e di vecchi in fila fuori del confessionale, così vicini che ognuno finiva per ascoltare quello che diceva chi era davanti; c’era chi si sbrigava e chi raccontava tutte le fisime della famiglia. I bambini tremavano, un po’ per imbarazzo e un po’ per soggezione. Lui li chiamava invariabilmente “angioletto”.
«Angioletto, angioletto dimmi, dimmi…»
«Ho disubbidito alla mamma…»
«Alla messa? »
«Vengo sempre».
«A comunione?»
«Sempre».
«E dopo?»
E dopo e dopo! Quante robe vuoi che avessimo da raccontare? Ma io quella volta là avevo quella roba là «Avrei una roba…»
«Dimmi… dimmi… dimmi angioletto…»
«Be ecco... Gh’ho dita… gh’ho dita “na merda!” a me mama!»
«Oooo demonietto, demonietto… per penitenza tre Pater Ave Gloria… e un Atto di dolore subito e poi uno al banco».
[dai ricordi della Diana Teso]

Ogni tanto andava lui a trovare i bambini a scuola, la mattina o il pomeriggio, già, anche di pomeriggio perché, per mancanza di aule, le classi si dovevano alternare nelle aule.

Ricordo quando la mattina presto, prima che entrassero in classe, li prendeva a uno a uno in braccio e se li strucconava al collo, irritando la loro pelle delicata con le sue guance mal rasate e ammorbandoli col suo fiato di tabacco. Poi li rimetteva giù e dava loro uno pacca affettuosa sulle spalle: «E adesso sta brava a scuoea…»
[Dai ricordi della Diana Teso]

Ma quando s’impuntava, quando batteva il piede per terra, allora c’era da aver paura. Aveva una voce! Mi ricordo quando chiamava la nipote, che voce! Noi eravamo in piazza, dopo mezzogiorno, per la dottrina; prima andavamo a dottrina, e poi, finita la dottrina, ci fermavamo un poco a giocare attorno alla chiesa – non potevamo star fuori a lungo perché i genitori poi ci volevano a casa – e quando eravamo fuori attorno alla chiesa poteva capitare che don Natale uscisse dalla canonica e chiamasse: “Netaaaa! Netaaaa!”. Aveva un vocione che dal brollo lo si sentiva distante un chilometro «Neetaaa! Netaaaaaa!».
[Dai ricordi di Toni Dariol]

L’appellativo era passato dalla sorella alle nipoti? Altre testimonianze smentiscono l’ipotesi che don Natale chiamasse “Neta” la Giulia o la Maria. Forse il ricordo si riferisce al 1939, quando la “Pineta” (“Neta!”) era ancora in vita e Toni aveva solo quattro anni…

La Marcellina Carrer, del 1917, originaria di Passarella, che vide don Natale per la prima volta in quel 1940, avendo sposato Emilio Mariuzzo ed essendo venuta proprio in quell’anno ad abitare nella casa dei Mariuzzo lungo la Fossetta, una casa vicina alla casa degli Ormenese, ne ebbe un’impressione bonaria, favorevole:

A messa andavamo a Ca’ Malipiero. Veniva “il prete grasso” a far messa alle 8, dopo che aveva fatto la messa alle 6 in parrocchia e prima di quella delle 10. Lui veniva alle otto con il cavallo e il biroccio. C’erano tosati insieme con lui. Don Natale voleva che tutti entrassero e faceva segno che entrassero, lasciava aperte le porte, non permetteva, no, che rimanesse gente sulla strada.
[dai ricordi della Marcellina Carrer]

Abbiamo la conferma che don Natale, all’inizio della guerra era già fisicamente “abbondante”. Ma già che siamo vicini alla casa degli Ormenese, andiamo a dare una occhiata alla parete frontestrada: i proprietari avevano già fatto scrivere sul muro esterno di casa, frontestrada appunto, uno dei famosi slogan fascisti

NEL SEGNO DEL LITTORIO ABBIAMO VINTO
NEL SEGNO DEL LITTORIO VINCEREMO

per il quale lo Stato pagava un premio? La Marcellina non si accorse mai della scritta, neanche a guerra finita.

Littorio o non littorio, per vincere la guerra bisognava esercitarsi. Nei mesi di novembre e dicembre i legionari della MVSN alloggiarono e si esercitarono presso le case di Bizzaro Elena vedova Visentin e presso la casa di Visentin Giuseppe. Più che con le parate e gli addestramenti la guerra si faceva sentire con le restrizioni e i razionamenti, di cui si cominciava ad avvertire il peso.

Problemi col nuovo cappellano

Don Natale, che aveva sostituito i cantori ribelli con la corale dei giovani, era in difficoltà perché il gruppo dell’Azione Cattolica, inizialmente così promettente, col nuovo cappellano, don Antonio, si era assottigliato, un po’ troppo in verità. Se n’erano accorti i cantori più vecchi, che tentarono di rientrare nella corale parrocchiale e si presentarono in canonica per trattare, convinti che don Natale, preso dalla bisogna, li avrebbe riaccolti; ma don Natale non era tipo da dimenticare i torti o ammettere deroghe agli aut aut che aveva stabilito e “quasi li incantonò tutti quanti, grande e grosso com’era, e quelli scapparono via”. [Toni Sgnaolin]
Certo il problema del coro rimaneva perché purtroppo don Antonio non aveva pazienza né col canto né coi giovani; don Natale, tra sé e sé, si diceva che c’era da immaginarlo, notando come fin da subito il cappellano avesse avuto problemi in canonica coi due pronipoti che, si sa, erano un po’ vivaci: loro lo prendevano in giro, forse per via del suo col stort e lui se la prendeva; non sapeva farli divertire come don Giovanni, anzi. Inoltre era piuttosto inefficiente anche come cappellano. Don Natale se ne lamentò col cancelliere vescovile:

Illustrissimo e Reverendissimo Monsignor S. Zavan
				Cancelliere Vescovile
						Treviso
Mi dispiace dovervi riferire che il Reverendo Don Antonio Campion si mostra sempre più alcoolizzato.
Egli è incontentabile a mensa sia per i cibi che per il vino: tanto che da giorni non interviene più a mensa, né a desinare né a cena, ma si ritira nella propria stanza a mangiare pane, formaggio od altro, e a bere del vino il più generoso che può avere dalle famiglie.
Quando ha bevuto a sazietà, allora egli alza la voce, offende le persone di casa, se la piglia con i cani, i gatti, i sorci, e infelici quelli che non arrivano a scappare: rimangono calpestati sotto i suoi piedi.
Diffida di tutte le persone di Canonica, per cui deposita le sue questue presso due famiglie del paese. In agosto p. p. gli sembrava che gli fossero mancate trecento lire dal cassetto in camera, e subito accusò le persone di Canonica di furto e sparse le voci in paese!
L’azione cattolica della gioventù è parola pressoché vana. I giovani dell’anno scorso non vi partecipano più, fatta eccezione della Presidenza. Coll’anno nuovo sono iscritti alcuni precari. Nei primi mesi dell’anno corrente il R. D. A. Campion mi aveva promesso formalmente che si sarebbe occupato un po’ anche pel canto gregoriano ai fanciulli. Ma non ha mai incominciato, anzi non vuole canti né in chiesa, né fuori: e non gradisce punto che si occupi il parroco.
Per quanto sopra non ho in lui un Cooperatore positivo ed efficace, come desidera ed abbisogna il paese. Quindi non credo opportuno di iniziare regolarmente la Messa del fanciullo, fino a tanto che la Divina Provvidenza, mi potrà dare un Reverendo Cooperatore opportuno.

Con distinti ossequi
Croce di Piave 16 novembre 1940

Devotissimo paroco
Don Natale Simionato

Don Antonio beveva in canonica e soprattutto in giro per le case; i parrocchiani conoscevano la sua debolezza ed egli non la nascondeva. I ragazzini lo deridevano perché “el tiréa indrìo el col, come se’l vesse un ticchio”.

La guerra in Grecia andava male ma nessuno lo sapeva: il 3 dicembre le truppe italiane furono costrette a chiedere l’intervento tedesco e il giorno dopo Mussolini toglieva l’incarico di capo di stato maggiore al generale Badoglio per affidarlo al generale Cavallero.

Troppe tasse da pagare

Anche i conti economici di don Natale rivelavano qualche manchevolezza: la divisione della parrocchia in due e lo scorporamento della parrocchia di Millepertiche avevano ridotto le entrate, mentre era giunto il momento di pagare le tasse sulla ricchezza mobile.

Ill.mo e Rev.mo Mons. S. Zavan
				Cancelleria Vescovile
							Treviso
Il 3 dicembre 1940 mi sono presentato al Sig. Capo Ufficio di Ricchezza Mobile di S. Donà di Piave, al quale ho esposto il fatto della divisione di Croce di Piave in due parrocchie per Decreto Vescovile an. corr. cioè Croce e Millepertiche.
Di conseguenza ch’egli dividesse l’onere della tassa ricchezza mobile che ammonta a Lire 800 annue, più l’aumento di circa 80 per ogni bimestre. Detto Capo-Ufficio mi disse che la denuncia di ricchezza mobile va fatta ogni due anni nel mese di Luglio: che l’ultima denuncia doveva esser fatta entro Luglio prossimo passato: che per conseguenza al momento non può fare la divisione dell’imposta ricchezza mobile, costituente il beneficio di Croce di Piave: ma che entro Luglio 1942 ritorni al suo Ufficio e che senz’altro sarà fatta la divisione legale.
Però, soggiunse, che mi rechi da Sua Eccellenza Mons. Vescovo, e che interessi Lui stesso a fare la divisione fra le parti dell’imposta ricchezza mobile per gli anni 1940 e 1941, fino a Luglio 1942; e che a quell’epoca verrà fatta la divisione a norma di legge.
Pertanto prego V.S. Rev.ma del favore di esporre il caso a Sua Ecc. Mons. Vescovo, perché si degni fare tale operazione: e quindi mi venga rifusa dal R. Rettore delle Millepertiche la parte della somma di Ricchezza Mobile già da me pagata per l’anno 1940, e la parte che dovrò pagare negli anni 1941 e 1942, cioè fino a tanto che verrà effettuata la divisione legale.

Con distinti ossequi.
Croce di Piave 10 Dicembre 1940

Dev.mo paroco
D.n Natale Simionato

Nel frattempo, per preparare se stesso e i parrocchiani al Natale, il paroco aveva chiamato da Venezia due bravi Gesuiti, padre Domenico Piemonte e un confratello. La loro Piccola Missione prese avvio sabato 14 dicembre e per i giorni dell’Avvento i due si alternarono alla “tina”, cioè al pulpito basso addossato alla parete destra della navata.
La guerra in corso forniva certamente spunti di riflessione. Ma nel corso dell’Avvento essa fece la sua comparsa direttamente.

La prima vittima di guerra

Il 16 dicembre, sul fronte greco-albanese, morì Erminio, il primogenito dei Davanzo, fratello di Nini che serviva in canonica. Un amico della sua compagnia, certo Frasson di Jesolo, sapendo ch’Erminio era di Croce, aveva ritenuto di dover scrivere alla famiglia ma non sapendo l’indirizzo spedì la lettera al parroco del paese. Don Natale la ricevette sabato 21 dicembre, e immaginò il dolore che doveva provare in quel momento la famiglia, avvisata come lui; proprio a luglio il paroco aveva battezzato il primogenito di Erminio; affidò a Dio l’anima del caduto e ritenne doveroso comunicare la notizia l’indomani a tutti parrocchiani perché condividessero il dolore dei genitori del giovane e portassero loro i dovuti conforti.
Alla messa prima delle 6, durante la predica, il paroco, annunciò pertanto che dal fronte greco-albanese era arrivata la notizia che il primo dei compaesani aveva dato la vita per la Patria, e fece il nome del caduto. I genitori di Erminio, presenti alla funzione, sbiancarono in volto. Non lo sapevano. Nessuno li aveva avvisati.
Come? Possibile che nessuno li avesse avvisati? Don Natale, che non immaginava d’essere il solo a saperlo, s’avvide dell’indelicatezza e a fine messa spiegò loro della lettera che aveva ricevuto. Ma solo lui l’aveva ricevuta: nessuno aveva avvisato i genitori. A casa l’intera famiglia cadde nell’angoscia, l’ansia salì alle stelle, la moglie di Erminio, non ufficialmente vedova, piangeva disperata con in braccio il figlioletto di cinque mesi, non ufficialmente orfano. La notizia girò il paese; i familiari, con la morte nel cuore, tornarono a chiedere spiegazioni a don Natale, poi attesero per giorni e giorni la lettera ufficiale che non arrivò. Era una croce vivere con il dubbio e alla fine risolsero d’informarsi presso le autorità militari, le quali smentirono la morte di chicchessia, si precipitarono anzi da don Natale e lo interrogarono su come avesse ricevuto la notizia; lo minacciarono del carcere perché aveva rivelato involontariamente una notizia ‘falsa’, in ogni caso coperta da segreto militare. Don Natale riuscì a convincerli della sua buona fede; temette soprattutto per il soldato amico di Erminio che gli aveva spedito la lettera e che, allo stato delle cose, rischiava la fucilazione.

Il 20 dicembre 1940, alle ore 10, si riunì nell’ufficio Municipale la Commissione per l’erogazione dei premi di natalità e nuzialità disposti per l’anno 1940. Erano presenti il Cavalier Renato Cuppini podestà e presidente, il segretario politico del Fascio Pietro Lucchetta, la signora Alice Vendrame segretaria del Fascio Femminile, il parroco cavalier Tisato don Giovanni e il cavalier ufficiale dottor Filippo Rizzola, ufficiale sanitario. Dovendo erogare premi per la somma di L. 3.000 la commissione li suddivise a metà: 1.500 per premi di nuzialità e 1.500 per premi di natalità. Furono assegnati 15 premi di nuzialità da L. 100 e 30 premi di natalità da L. 50.

Nel bilancio di previsione per il 1941, data la situazione critica, il podestà deliberò di realizzare economie su tutti i fronti, in particolare raccomandando ai medici condotti di tenere sotto controllo la spesa per i malati poveri. I quali si sa che non pensano mai ai bilanci generali.

Il 29 dicembre cominciava la Battaglia d’Inghilterra: la Luftwaffe sganciava bombe incendiarie su Londra, provocando almeno 3.000 vittime tra i civili.

1941

Il regime cercava di stringere tutta la popolazione sotto l’idealità della lotta e della guerra e il 10 gennaio 1941 XIX° in tutta Italia furono organizzati i Littoriali Maschili e Femminili del Lavoro, ma nonostante gli inviti romani il Comune di Musile aderì blandamente.

Per qualche ragione che non fatichiamo a decifrare (la paga bassa? Troppa la fatica?) la guerra metteva in difficoltà i portalettere: Francesco Striuli durò solo i primi quindici giorni di gennaio, seguito nei secondi quindici da Gildo Piovesana.

Con l’inizio dell’anno aveva preso a funzionare la condotta consorziata, e la novità che bendispose i crocesi fu che “il dottor Da Re, a differenza di Arduino, cominciò ad andare per le case”.

Gli Italiani venivano attaccati dalle truppe britanniche in Eritrea e da quelle britanniche e australiane a Tobruk (21 gennaio), che il giorno dopo cadeva in mano britannica. A Croce i Legionari della MVSN, al comando del Centurione Caberlotto Antonio, si esercitavano in vista di non si sa che cosa e alloggiavano ancora presso le case Visentin e Bizzaro.

La grana “militare” caduta sul collo di don Natale (la rivelazione della morte di Erminio Davanzo) lo indusse a una maggiore loquacità su quella per così dire “amministrativo-ecclesiastica”, meno triste, ma ugualmente fastidiosa: la creazione della parrocchia di Millepertiche aveva definitivamente impoverito le risorse di quella di Croce, eppure don Natale era chiamato a pagare tasse anche sulla parte di parrocchia che non era più sua.
Ricevuta dal cancelliere vescovile una lettera in cui gli si chiedeva conto dei redditi della parrocchia, ritenne di dover far presente anche la questione della proprietà del terreno della chiesa delle Millepertiche:

Illustrissimo e Reverendissimo Monsignor S. Zavan
					Cancelliere Vescovile
							Treviso
Rispondo a’ vari punti della Vostra lettera rispettabile del 17 Gennaio 1941.
I. La tassa ricchezza mobile del parroco di Croce di Piave, corrisponde perfettamente a quella da Voi indagata presso il Capo-Ufficio Imposte di S. Donà di Piave: cioè sul reddito imponibile L. 6000 quartese e libere offerte. Più reddito imponibile di Lire 1000 su incerti di stola bianca e nera: totale reddito imponibile Lire 7000, precisamente come Vi feci conoscere di presenza in Curia Vescovile.
Il reddito imponibile ricchezza mobile di L. 6000, risulta parte dal quartese sulla piccola striscia di territorio in zona alta, antica lungo la strada Argine di S. Marco (circa un decimo) e parte (circa nove decimi) di tutto il territorio di bonifica di Croce e Millepertiche che non corrisponde quartese ma semplici e libere offerte, perché non riconosciuto.
La distinzione del provvento quartese dal provvento libere offerte, (cioè territorio vecchio e bonificato) sul beneficio totale di Croce, l’Agente delle Tasse di S. Donà di Piave non l’ha mai fatta, ma ha sempre calcolato un unico cespite globale sotto il titolo colorato di quartese: e ciò a favore del parroco per sostenere almeno il titolo colorato di quartese su tutta l’estensione della parrocchia. Tale fu il parere e il consiglio datomi anche dal Reverendissimo Monsignor Carlo Agnoletti di cara memoria, dall’Avvocato Gastaldi di Venezia, dallo stesso R. Subeconomo Avv. S. De Colle di San Donà e poi dal R. Subeconomo Zambon di Ponte di Piave e S. Donà, da me interrogati a suo tempo.
Su questo titolo colorato globale di quartese e offerte, è stato fissato dall’Agente Imposte di San Donà di Piave nel Luglio 1938 un reddito di Lire 6000, che io fui consigliato di accettare per non far ricorso alla II e IIIa Commissione Imposte a maggior danno del paroco, e per non dare apparenza di rinuncia al diritto quartese sulle Bonifiche. Ora V. S. Reverendissima con lettera del 17 Gennaio 1941, di propria iniziativa, eleva a diritto di quartese il titolo colorato di ricchezza mobile sulla sola parte di bonifica rimasta a Croce e addossa, sempre gratuitamente, l’intera tassa di ricchezza mobile di Croce e Millepertiche a carico del paroco di Croce di Piave. È chiaro che questo Vostro modo di giudicare non è giusto né conforme al buon senso.
Ora perché colla costituzione (anno 1940) della nuova parrocchia Millepertiche, il territorio di Croce di Piave è rimasto molto inferiore per estensione di quello aggregato alle Millepertiche, ho domandato e domando che l’importo totale dell’Imposta ricchezza mobile in lire 800 annue, e l’aumento attuale di lire 80 circa rateali, siano divisi fra il paroco di Croce e il Rettore della nuova parrocchia Millepertiche dal 1940 in poi. Questo dovrebbe essere il giudizio imparziale sull’esposto: come fu imparziale la divisione da Voi fatta della tassa sugli incerti di stola bianca e nera in lire 120 annue, sul reddito globale imponibile di lire 1000, cioè in lire 60 per Croce e lire 60 per Millepertiche.
Quanto alla porzione di terreno sito alla Millepertiche da me acquistato con atto Notarile 11 Maggio 1934, stipulato in Curia Vescovile dal Notaio Galanti e alla presenza di Mons. Vicario Generale V. Gallina, di me acquirente e venditori Barbieri e Perissinoto coniugi, nonché dell’approvazione di Mons. Vescovo Longhin di s. m., io intendo che il Legato sia rispettato a termini del Contratto stesso, cioè che il reddito vada integralmente e in perpetuo a beneficio della chiesa parrocchiale di Croce di Piave e non per altre, e che sia amministrato in perpetuo dal paroco di Croce di Piave. Per conseguenza io non intendo, né accetto che si abbia a travisare il senso del Contratto legale surriferito, ma che a termini precisi del Contratto vengano fatte le pratiche necessarie presso la S. Sede per la Voltura, e che a suo tempo nella richiesta venga inserita copia del Contratto Notarile e copia di questa mia lettera.

Con ossequi
Croce di Piave 28 gennaio 1941

Devotissimo paroco
Don Natale Simionato

La lettera, di tre pagine e mezza, fu letta con qualche perplessità dal cancelliere che vi appose sopra, con una grossa matita rossa, un visibile “Letto” sulla prima pagina e, lungo la costa della terza pagina, un più critico “Non è così: il denaro consegnato al Vescovo, col quale fu comprato il terreno, non è a disposizione del Parroco”.

Guerra e vita quotidiana

All’inizio di febbraio la “Melia” postina (Camin) tornò a distribuire le lettere, ma solo per 5 giorni; poi toccò a Rizieri Albanese per una settimana.

Il 6 febbraio le truppe britanniche entravano a Bengasi: la Cirenaica era perduta. A sostegno degli italiani giungevano in Libia Erwin Rommel e due divisioni dell’Afrikakorps.

Il 12 febbraio venivano liquidati a Marin Oreste i pagamenti per l’installazione di tutte le tabelle segnaletiche lungo le strade del Comune. Il 22 febbraio al segretario del Fascio Lucchetta venivano pagate le usuali 2.000 lire quale contributo per il Patronato Scolastico.

Il 26 febbraio le truppe britanniche entravano anche a Mogadiscio, nell’Africa Orientale Italiana: la guerra era per gli Italiani un vero disastro. E tuttavia le notizie che circolavano erano molto più ottimistiche.
Il 6 marzo vennero distribuite 7762 tessere annonarie: con la tessera si andava al “casuin” di Cosmo o di Davanzo, di Viscardi o di “Bepi de ’a Orsoea” (Minetto), oppure al panificio da Giabardo a Fossalta; gli esercenti trattenevano uno dei tagliandini di cui la tessera era composta, che poi consegnavano al Comune per essere rimborsati.
Il 10 marzo fu pagata a don Giuseppe Favero la III rata (delle 5) di 1.000 lire quale contributo per la costruzione della chiesa di Millepertiche.
Non fece scalpore la notizia ufficiale, in marzo, dopo le menzogne altrettanto ufficiali, che il soldato Erminio Davanzo era morto in guerra sul fronte greco-albanese. “Il Governo e l’Esercito e la Patria tutta riconoscente” porgevano le loro condoglianze ai genitori e alla moglie del defunto.
Il 29 marzo sul Mar Egeo la Regia Marina Italiana perdeva cinque navi nella Battaglia di Capo Matapan contro la Royal Navy. Il 2 aprile le truppe britanniche entravano ad Asmara, nell’Africa Orientale Italiana. Lo stesso giorno nel comune venivano distribuite 8022 tessere annonarie per minestre.
Il 14 aprile finalmente una buona notizia: le truppe italiane entravano a Lubiana e s’impadronivano della Dalmazia. Tra le truppe italiane che il venerdì santo del 1941 entrarono in Jugoslavia, c’era anche Vittorio Di Legui:

entrammo in Jugoslavia senza incontrare resistenza, quasi; solo in seguito sarebbero venute le battaglie, e avemmo più morti contro i partigiani che al fronte. La guerra coi partigiani jugoslavi si sarebbe rivelata ancora più sporca della guerra d’Abissinia.
[Ricordi di Vittorio Di Legui]

Il 3 maggio [delibera n.° 55], in ottemperanza alla circolare N° 25/5754 del 2 aprile 1941 XIX che invitava il Comune ad acquistare subito 8 maschere a gas e altre 12 entro il 30 giugno, in modo da raggiungere la quota pari al 45% delle maschere previste quale dotazione necessaria per il Comune, il podestà deliberò l’acquisto delle 20 maschere antigas per l’importo di lire 1364,80; ma immediatamente dichiarò alla Prefettura che il Comune era nell’impossibilità di dar corso all’acquisto con i fondi previsti nelle competenze del bilancio 1941 e doveva ricorrere a finanziamenti statali.

Il servizio di procacciato funzionava sempre peggio: il 6 maggio entrò in servizio il signor Scomparin Giuseppe, che sostituì il signor Fistarol che aveva sostituito il signor Bardella che era subentrato al signor Montagner: quattro procaccia in un anno. Erano soprattutto gli abitanti di Croce a lamentarsi che non arrivassero le lettere. E Dio solo sa quanto attese fossero le notizie, ancorché dolorose, in periodo di guerra.

In canonica in quel periodo la stanza destinata al “servo” (stanza a cui si accedeva dal sottoportico della stalla e della caneva) era vuota perché Nini Danét, che da anni serviva in canonica, era stato richiamato alle armi. Il paroco, per lo sfalcio dell’erba, per il governo del cavallo e del maiale, per la manutenzione del brollo, si faceva dare una mano da lavoranti a giornata: tra di loro vi era Berto Sforzin, che un tempo abitava alle Case Bianche e che da qualche mese era venuto ad abitare nella baracca dietro ‘el paeazz’.
Le volte che don Natale aveva bisogno di lui, mandava uno dei nipoti a chiamarlo e Berto si presentava in canonica a prender ordini. Talvolta don Natale si faceva accompagnare da Berto col cavallo a distribuire avvisi in giro per la parrocchia, oppure a prendere la carne da Teghét (Turchetto) a San Donà, poco dopo il ponte. Quando Berto non era disponibile, don Natale si faceva accompagnare dai nipoti che ormai erano cresciuti.

Il viavai in canonica era sostenuto, le spese per tutta la famiglia era notevoli e talvolta le nipoti non facevano abbastanza economia, per cui i rapporti tra il paroco e le nipoti, e anche quelli con i pronipoti, erano talvolta complicati; don Natale doveva riconoscere che i due pronipoti erano cresciuti un poco discoli e forse era il caso che imparassero un mestiere: così a maggio, quando saltò fuori l’occasione di andare a lavorare presso lo zio, a Brescia, Franco “Bigi” fu mandato a imparare il mestiere di piastrellista che era stato anche del padre. Vincenzo, più gracile di salute rimase in canonica.

Don Natale trascorreva la maggior parte del tempo in canonica e nel suo studio: leggeva e pregava. Raramente andava per le case, se non per portar la comunione ai malati. Ma prevalentemente stava in canonica. Lì, riceveva tutti coloro che avevano bisogno di lui. Per tutti aveva una parola buona. E non mancava, nel momento difficile, di distribuire una parola di speranza. Se gli capitava un padre a chiedere rapidamente un matrimonio per la figlia rimasta incinta, dispiaciuto, il paroco dichiarava che il matrimonio doveva essere fatto presto, prima dell’alba. «Ma quanto presto?» «Presto, a’e sète». «Non si potrebbe fare un po’ dopo?» E se il padre aveva un po’ di pazienza e insisteva, riusciva a tirare sull’orario, finché don Natale, comprendendo l’angustia della famiglia in vergognose ambasce per l’accaduto, immancabilmente concedeva: «E va ben, la sposemo ae nove e mezza. Però te me porta un caretel de fen (o de zhuche)», pegno obbligatorio per ottenere il perdono celeste.

Era tollerante con tutti don Natale. Non lanciava anatemi contro chi non andava a messa e lo teneva a distanza. Spesso proprio coloro che non andavano a messa erano quelli con cui andava più tranquillamente d’accordo. Don Natale condannava l’errore e perdonava l’errante. Per raccontare un episodio: Romeo Rigato, che abitava di fronte alla canonica, si divertiva a prendere in giro il vecchio Santo Calderan, a farlo uscire dai gangheri, e quello, incapace di controllarsi, immancabilmente prorompeva in una litania di bestemmie; e così fece Romeo una volta che con la coda dell’occhio vide passare sul sagrato il paroco, non visto invece da Santo: il quale proruppe nella sua abituale litania. Don Natale non poté non sentire, e intervenire: «Te si un àseno, Santo, te si un àseno», ponendo poi fine all’imbarazzo del vecchio panettiere invitandolo a bere una scodella di vino: «Te speto in canonica…»
[dai ricordi di Marcello Fornasier]

Il 18 maggio gli Italiani perdevano l’Amba Alagi, conquistato dagli Inglesi. Ai primi di giugno, in tutto il Comune, furono distribuite 7711 tessere annonarie per minestre. Il 6 giugno il podestà autorizzò i lavori di imbiancatura nella scuole, affidati ad Amadeo Fregonese. L’11 giugno fu installato un “punsante” alla fontanella di Croce.


25 giugno 1941: Angelo Venturato davanti alla Trattoria alla Fossetta.
La guerra sembra lontana, di un altro mondo.

Quattro giorni prima (il 21 giugno) la Germania aveva dichiarato guerra all’URSS: era l’Operazione Barbarossa, attacco di proporzioni gigantesche portato da 145 divisioni germaniche contro 170 divisioni russe. I tedeschi ottennero subito grandi successi, l’URSS fu costretta ad abbandonare la Polonia e gli stati baltici attestandosi sulla linea Stalin. Il 24 le truppe dell’Asse entravano a Brest-Litovsk, il 28 a Minsk, il 30 a Leopoli e a Riga, il 5 luglio la Wehrmacht raggiungeva il fiume Dnepr.
Vittorio Di Legui, impegnato sui luoghi che erano stati teatro di cruente battaglie nella I Guerra, ossia Cima Grande, Monte Calice, Grandi Ciari, Passo della Morte... si sentì dire da un tenente di Trieste che gli sarebbe toccato andare in Russia. Oddio, e quando? Quando rientrò a San Pietro del Carso, un sergente maggiore gli fece una proposta «Vuoi venire con me?» «Dove? » «In Russia». «In Russia?» «Se vieni via con me andiamo e torniamo». Il maggiore lo invitava a seguirlo nel servizio delle tradotte, gli sarebbe convenuto, altrimenti gli sarebbe toccato ugualmente di partire di lì a poco per il Fronte Russo. Vittorio accettò. Il 10 luglio partirono dall’Italia i primi contingenti di Alpini (CSIR) per la campagna di Russia.

Don Natale sollecitava la Curia riguardo alla questione della divisione delle tasse sulla ricchezza mobile con la parrocchia di Millepertiche.

Ill.mo Rev.mo Mons. S. Zavan
				Cancelliere Vescovile
						Treviso
Prego V. Rev.ma S. del favore di dar evasione quanto prima alla mia lettera raccomandata in data 17 gennaio 1941 per ogni effetto di legge naturale, civile ed ecclesiastica: e perché nelle condizioni attuali del paroco di Croce l’entrata non copre l’uscita, e nuovi bisogni urgenti si presentano pel bene spirituale della parrocchia. Con ossequi
Croce di Piave 24 Luglio 1941
(Venezia)

Dev.mo Paroco
D.n Natale Simionato

Sul finire dell’estate un gruppo di beghine più pretesche del prete spedì al vescovo Mantiero una denuncia anonima contro don Natale (2 settembre 1941). La busta fu aperta e letta dal delegato vescovile, monsignor Chimenton.

Eccellenza Reverendissima,
Si avrebbe tanto desiderato poter parlare con Lei, ma ci è stato detto che anche venendo non ci riceverebbe ed allora abbiamo pensato a scriverle.
Siamo cinque mamme della parrocchia di Croce di Musile, ma lo creda il nostro è anche il palpito di tutte le buone mamme di questa parrocchia, che vengono a supplicarlo per una cosa molto importante: La nostra parrocchia Eccellenza, i nostri figlioli, in quali condizioni si trovano!!!
Pensi che delle ragazze del paese non ve n’è più una che si sposa onestamente, e quello che non sa mai niente è il parroco poveretto! e quindi matrimoni disonesti con suono di campane ed organo altrimenti la paga è più piccola! Vi è più di una ragazza che adesca i giovani al male, tutti lo sanno, solo il parroco ignora tutto per non seccarsi di chiamarle e dare loro una buona ramanzina. Vi è una certa Barbieri Irma, sposata solo in chiesa, abbandonata dal marito certo Bassetto, sposata in municipio con un certo Casonato, e si devono vedere ogni tanto tutti e due alla Comunione. Il parroco, che comunica sempre lui, che ha chiamato la Barbieri e che le ha detto che va all’inferno se non si separa perché la comunica e comunica anche il suo drudo, e sono ormai da due anni che mangiano e dormono insieme!?
Le funzioni della domenica, che desolazione; due tre uomini e poche donne, e basta, perché quel povero parroco fa addormentare tutti con le sue nenie mentre spiega il Catechismo e le persone preferiscono stare a casa che andare a dormire in chiesa ed intanto la disonestà trionfa, bestemmiano gli uomini e donne.
Ed in Canonica che robe! che esempi. Il Cappellano dice che gli è stato rubato il granoturco, il parroco ha detto che in questi ultimi giorni le è mancato sei quintali di frumento, al capellano tempo indietro gli è mancato £. 350 e chi è che porta via? Uno dei nipoti, bestemiatore di prima riga è stato allontanato; ma quello che è in casa, a 16 anni è fuori tutte le sere con la morosa, certa Sgnaolin che sta nella strada delle Contee.
La chiesa fa pietà, la luce non si accende perché costa, ed ora in luogo dell’incenso si usa fiori secchi di camomilla; perché costa. Ed il parroco non è che chiede mai niente per la Chiesa alla gente, solo e tutto per Lui; e dice che non può più andare avanti perché il Vescovo le ha tolto il beneficio.
I nostri bambini? poveretti! Il Cappellano fa un quarto d’ora e non di più, (non è esagerazione) di Catechismo e poi li manda via, quelli che arrivano un poco dopo devono accontentarsi di aver fatto la strada e devono tornare indietro perché la dottrina è già finita, che cosa vuole che imparino in un quarto d’ora!?
E poi credo che non stia bene che vada in giro per la parrocchia a parlar male del parroco, e poi troppo vino beve questo cappellano, ormai tutti lo sanno anche i ragazzi. E alla sera va a cena ora in una casa ora in un’altra, dicendo che in canonica è troppo sporco ed egli non ha stomaco di mangiare in mezzo a quella sporcizia, ma lo scopo è perché nelle case può bere vino!!
Noi Eccellenza la preghiamo d’interessarsi un poco anche di questo paese, che del resto anche questo è sotto le sue cure.
Dispiace il doverlo dire, ma il Vescovo Longhin, forse perché conosceva meglio le deficienze naturali del nostro parroco e le infinite miserie del paese e per conseguenza ha sempre mandato zelanti cappellani, bravi, giovani, pieni di vita che hanno insegnato un poco di dottrina ai ragazzi. Mentre Vostra Eccellenza ad un vecchio parroco, che non pensa alle anime, ma a far soldi, ha messo un vecchio cappellano che non fa niente e che beve. Ma che è forse Croce scelto come ricovero dei Preti?
In paese si dice che V. Ecc. non vuole fare torti al parroco perché quando muore lascierà tutto al Seminario, e per i soldi si lascia andare in malora le anime?
Metta una mano anche Lei Monsignore nella coscienza e se la esamini, se lo farà credo non starà più tanto a provederci di un parroco santo, zelante, disinteressato e di un eguale capella[no], giovani e non vecchi, come sono nei paesi vicini che fanno un mondo di bene, che noi invidiamo. Questo è l’anelito delle mamme buone di questa infelice parrocchia tale per l’incuranza dei sacerdoti.
Ci perdoni e ci benedica
Cinque mamme della parrocchia di Croce di Musile.

Non avevano spiegato le cinque delatrici che il marito della Irma Barbieri se n’era andato a lavorare in Belgio abbandonando la moglie con una neonata di un giorno; e che il signor Casonato, cui una salute cattiva aveva negato la possibilità di avere figli, s’era preso cura della Irma e della bambina, e che a quest’ultima faceva, a detta di tutti, amorevolmente da padre. Don Natale, per scrupolo di coscienza, aveva avvisato la donna dei dettami della chiesa; poi, dimostrando una sapientia cordis che le cinque delatrici non avevano, aveva lasciato che l’uomo destinato dalla medicina a non essere genitore fosse il padre di una figlia destinata dalla sorte a non avere padre.
La sostanza dell’amor coniugale era più importante delle forme; e il parroco che aveva ricostruito da zero la parrocchia distrutta non dava peso alle forme di bigottismo che sempre ammalano i benpensanti. Era vecchio, ne aveva viste tante. E sapeva che di tante sciocchezze era inutile darsi pena.
E chi erano poi queste ragazze che adescavano i ragazzi al male... se non fanciulle innamorate dell’amore?
E che cosa si può dire di un ragazzo di 16 anni che ha voglia di star fuori tutte le sere in compagnia della ragazza che gli piace?

Monsignor Chimenton, ripiegò la lettera, fece per riporla nella busta, si bloccò, la riaprì e stringendola forte tra le dita ebbe quasi un moto di stizza nei confronti del parroco di Croce: non aveva nessuna difficoltà a prestar fede alla denuncia, per quanto anonima. Quindi la rilesse e con una matita sottolineò i passi sui quali intendeva chiamare Don Natale a discolparsi; quindi si sedette alla sua macchina da scrivere e buttò giù una durissima lettera:


CURIA VESCOVILE
   TREVISO
			Treviso- 6 settembre 1941

Reverendissimo Arciprete,

Ritengo mio dovere, prima di parlare al Superiore, inviarVi appunti ricavati da una denuncia che Vi riguarda.
Non solo siete accusato di non interessarVi del bene delle anime e del decoro della chiesa, ma Vi si fanno accuse specifiche. “ La nostra parrocchia, Eccellenza, i nostri figliuoli, in quali condizioni si trovano !!! Pensi che delle ragazze del paese non ve n’è più una che si sposa onestamente, e quello che non sa mai niente è il parroco, poveretto!! e quindi matrimoni disonesti con suono di campane ed organo altrimenti la paga è più piccola!
Vi è più di una ragazza che adesca i giovani al male, tutti lo sanno, solo il parroco ignora tutto: per non seccarsi di chiamarla e dare loro una buona ramanzina.
. . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Le funzioni della domenica , che desolazione !! due o tre uomini e poche donne, e basta, perchè quel povero parroco fa addormentare tutti con le sue nenie mentre spiega il Catechismo e le persone preferiscono stare a casa che andare a dormire in Chiesa ed intanto la dosnosetà trionfa bestemmiano gli uomini e le donne. ed in Canonica che robe! che esempi!
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Uno dei nipoti, bestemmiatore di prima riga è stato allontanato; ma quello che è in casa , a 16 anni è fuori tutte le sere " con la morosa. . . . . . . .

Vi prego di rispondere a queste accuse, che sono gravissime, e di provvedere in proposito: lo esige il bene delle anime. .
Per parte mia poi Vi prego di dirmi se è: vero che in parrocchia di Croce di Musile esiste una donna, che separata dal marito, convive con un altro uomo; e se è vero che Voi date la S. Comunione e pubblicamente a questa donna e anche al suo drudo.
Attendo risposta scritta.
Colgo l’occasione per inviarVi il mio saluto e per professarmi

Di Voi dev/mo
Mr Chimenton

Rev.do
D. Natale Simionato
Parroco di Croce di Musile ( Venezia)

Ovviamente Chimenton scrisse “Croce di Musile”, sapendo quanto la locuzione infastidisse don Natale. Non la usò invece due minuti dopo quando iniziò la lettera per il cappellano.



CURIA VESCOVILE
    TREVISO
			Treviso - 6 settembre 1941

A D. Antonio Campion – Cappellano di 
				Croce di Piave
Carissimo,

Sono giunte delle accuse a tuo carico. Prima di riferire le cose al Superiore, te le notifico, perchè tu mi risponda per iscritto e prenda un provvedimento. e provveda per il bene tuo e per quello delle anime.
Riporto le accuse nei termini con cui sono state esposte nella denuncia.
“I nostri bambini poveretti ! ! ! Il cappellano fa un quarta d’ora e non di più ( non è esagerazione) di catechismo e poi li manda via , quelli che arrivano un poco dopo devono accontentarsi di aver fatto la strada e devono tornare indietro perchè la Dottrina è già finita, che cosa vuole che imparino in questo quarto d’ora? E poi credo che non stia bene che vada in giro per la parrocchia a parlare male del parroco, e poi troppo vino beve questo cappellano, ormai tutti lo sanno anche i ragazzi. E alla sera va a cena ora in una casa ora in un’altra dicendo che in canonica è troppo sporco ed egli non ha stomaco di mangiare in mezzo a quella sporcizia, ma lo scopo è perchè nelle case può bere vino!!!!”

Tu comprendi la gravità delle accuse. Se ti ricordi ti ammonii anche in passato, a voce e tu hai negato. Oggi la cosa si presenta più grave.
Attendo la risposta scritta. E intanto ti mando il mio saluto e mi professo

Il Delegato Vescovile
Mons. Chimenton

Iniziava l’assedio di Leningrado da parte della Wehrmacht. Tre giorni dopo, don Antonio Campion, obbediente alle richieste di Chimenton, rispose:

Croce di Piave 9/9/41

Revmo Monsignore,

Come Lei desidera, rispondo brevemente alla sua del 6 u.s.
Quanto alla Dottrina. Prima di mandarmi a Croce, Mons. Vescovo mi disse: Ti domando due sole cose: La Dottrina e l’Azione Cattolica. Risposi: Miracoli non ne ho mai fatti, ma ci metterò tutta la buona volontà. La prima domenica del mio arrivo a Croce, quando mi presentai al popolo, ripetei il mandato ricevuto dal Superiore. Mi misi all’opera e, non ostante le difficoltà locali,(grandi distanze, negligenza dei genitori, lavori ecc.)cercai di organizzare nel modo migliore la Dottrina. Predicazione in chiesa, ripetute visite ai genitori fruttarono abbastanza. Così ancora l’anno scorso si poté partecipare alla Gara Foraniale di S. Donà e conquistare il Guidone per la Classe II.
Meno due mesi d’inverno, la Dottrina vien fatta ogni giorno nel modo seguente:
Classe prima: Lunedì=Mercoledì=Venerdì. Circa 100 partecipanti. Poiché questi piccoli non sanno leggere, faccio ripetere ogni volta le preghiere e tutta la Dottrinetta di I.
Classe II: Martedì=Giovedì=Sabato. Iscritti 40. Frequentanti al massimo 20. Do una lezione alla volta, la spiego e ascolto la precedente a ognuno.
Classe III: Lunedì=Mercoledì=Venerdì. Iscritti N. 70. Frequentanti N. 15. Come la classe II.
Classe IV: Lunedì=Mercoledì=Venerdì. Iscritti N. 32. Frequentanti 6=7. Come la classe III
Classe V: Martedì=Giovedì=Sabato. Iscritti N. 16. Frequentanti 6=7. Come la classe IV.
Ogni sera mi porto a Cà Malipiero e faccio come a Croce. Sono solo e senza maestri. Inoltre non ho a mia disposizione che la sacrestia di Croce e la chiesetta di Cà Malipiero. Il tempo impiegato varia da classe a classe a seconda del numero.
Questa, Monsignore è la pura verità e sarò ben grato se Lei vorrà rigorosamente controllare quanto ho esposto.
Quella persona che ha sentito il dovere di denunciare il fatto deve aver sognato o non conosce nulla o è isterica o malevola. Amo credere che non sia malevole.

Quanto alla seconda denuncia affermo quanto segue:
affermo quanto ho detto l’anno scorso.
È vero che parecchie volte sono stato a cena fuori di canonica, la maggior parte delle volte da Don Giuseppe di Mille Pertiche e qualche rara volta anche da qualche buona figlia del paese.
La ragione? In canonica, specialmente nello scorso inverno e nella primavera il pranzo ordinariamente si faceva alle 13,30 e la cena alle 9, 9,30. Non potendo il mio stomaco resistere fino a quelle ore e senza lamentarmi, a mezzogiorno e alle 7 di sera, mangiavo pane e formaggio in camera e poi andava a riposare senza attendere l’ora della canonica. Certo dopo tanti giorni di questo cibo asciutto, lo stomaco stava male e sentivo quasi per ribellione il bisogno di andar qualche cosa fuori casa, Monsignore, può domandare a Don Giuseppe quante volte sono andato a dirgli: dammi polenta e formaggio o salame perché la polenta di canonica è fatta in 5 minuti, con la semola ecc. L’accusa di andar fuori per trovar vino è un’invenzione. Io ho tenuto fino a poco tempo fa tutto il vino della questua perché speravo di metter su casa nello spiazzo da comperare per le opere parrocchiali. Se volevo un bicchiere di vino l’avevo senza bisogno di mendicarlo.
Anche la Giulia mangiava amaro quando, tornando, dicevo di aver cenato. Era un tacito rimprovero per lei che non si sbrigava mai di fare quel boccone di mangiare.
Quanto alla sporcizia è una cosa nota a tutti perché tutti lo constatano. Ecco, Monsignore, come stanno i fatti. Desidero e invoco una rigorosa inchiesta perché le cose siano messe in perfetta luce.
Non so né desidero sapere chi sia la persona denunciatrice.
Certo però lo immagino. Infatti, otto giorni or sono, io mi sono recato da Mons. Saretta per affari del Palazzo ed egli mi ha chiesto se era vero che io dalla porta della Chiesa avevo gridato: Andate fuori, uomini, non ascoltate quel pazzo (Parroco). Risposi: Monsignore, non ho perduto, grazie a Dio, la testa. E Monsignore: Queste cose vengono fuori dalla canonica.
Con rispettosi ossequi
Devmo
Sac. Antonio Campion

Anche don Natale non mancò di puntualizzare su tutto:

 Illustrissimo e Reverendissimo Monsignor C. Chimenton
				Delegato Vescovile
						Treviso
La vostra lettera in data 6 settembre 1941 mi capitò veramente inaspettata, tanto che ritenevo fosse sbagliato l’indirizzo. Poi da qualche indagine fatta ho capito che le calunnie in essa contenute a scredito della parrocchia, del parroco e della Canonica di Croce, sono state dettate e inviate dal cappellano; il quale non ha nulla da perdere in questa parrocchia, né la parrocchia e specialmente la gioventù ha nulla da guadagnare da lui: come nulla hanno avuto da perdere le altre parrocchie alla sua partenza, le quali anzi hanno cantato il Te Deum. Così mi fu riferito per lettera che ancora conservo. Quanto al mio ministero, io studio tutta la settimana il Vangelo e il Catechismo che devo spiegare in Chiesa, quantunque abbia una pratica di mezzo secolo. La popolazione mi ha sempre ascoltato e mi ascolta , benché qualche volta abbia abusato della bontà del popolo oltrepassando la mezz’ora nella predica. D’estate pur troppo che a Vespero, noto meno concorso di uomini specialmente, per motivo dei lavori d’urgenza campestri: così ne’ giorni di sagre, molta gioventù si reca agli spassi nelle parrocchie circonvicine! E chi può trattenerli? Quanto al decoro della chiesa ho sempre provveduto al fabbisogno. Qui non si suonò mai né campane, né organi per matrimoni notoriamente disonesti: né si verificarono quegli scandali accennati nella lettera. La mia canonica è sempre stata la casa amata e prediletta di tutte le buone persone e in particolare dei Reverendi Religiosi. dove egli è lavato, pulito, lustrato: dove nessun cibo gli va bene, ad eccezione del vino che non gli è mai troppo: dove abusa della pazienza dei documenti [inservienti], i quali tutto il giorno lavorano per servirlo e non riescono mai ad accontentarlo. Oh! che roba! che esempi! in Canonica. Quanto ai due nipotini, orfani di padre, non furono mai bestemmiatori, anzi di buon esempio per l’amore alla chiesa, ai sacramenti. Certo non si può pretendere che i fanciulli nascano santi, ma che si facciano santi. Il più giovane, Luigi, d’anni 13, terminato il I° corso d’avviamento a San Donà di Piave, l’ho mandato in Maggio p.p. a Brescia a mestiere presso suo Zio, dove mantiene ottima condotta sotto ogni riguardo. L’altro, Vincenzo, d’anni 15, entrerà quest’anno al 3° Corso d’avviamento a San Donà, dopo il quale assumerà un impiego. Egli è assai debole di costituzione, attende con amore allo studio, alla chiesa, e si reca di buon’ora a letto anche per motivo di salute: né alla sera esce mai di casa. Ambedue i nipotini, furono i fanciulli prediletti e amati dal Cooperatore Don Giovanni Basso, attualmente a S. Donà: mentre furono fin da principio totalmente abbandonati dall’attuale Cappellano, e così paulatim tutti gli altri giovani già iscritti all’azione cattolica. Quanto alla donna di cui mi si accenna nella lettera, nel 1924 ha celebrato matrimonio solenne con suono di campane e d’organo in questa chiesa parrocchiale, trascurando però l’atto civile ch’io le aveva vivamente raccomandato, come di dovere. Un mese e mezzo dopo essa fu abbandonata dal marito, il quale per motivo di lavoro si recò in Belgio, di dove non tenne più corrispondenza con la moglie. Anzi questa dice di aver saputo da altro operaio, che il marito all’estero si è unito con altra donna, dalla quale ebbe dei figli. Pertanto la moglie, il I agosto 1940 si unì civilmente con altro uomo in Comune di Musile, clandestine. Appena venuto a conoscenza del fatto, invitai la donna con suo padre e sua madre, facendole notare la gravissima condizione in cui si era messa, invitandola quindi a separarsi subito: ma non ottenni alcun effetto. Mi fu riferito che la donna fu veduta qualche volta accostarsi alla mensa Eucaristica, confusa nella folla. Mi misi quindi in attesa per scoprirla e finalmente alcuni mesi fa, la vidi inginocchiata alla balaustrata, ben velata, per ricevere la Comunione. Io la sorpassai, negandole la Comunione e allontanandola a viva voce dalla balaustrata alla presenza dei fedeli. D’allora non la vidi più appressarsi. Il suo drudo spesso viene a Messa a Croce, ma non fu mai visto attentare di ricevere la Comunione. Inoltre, come di dovere, mi sono rifiutato in Pasque, di benedire la loro abitazione. Ecco tutto per sommi capi. Noto che vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima è molto facile ad accogliere accuse anche inverosimili a carico del paroco di Croce, dettate da persone male intenzionate, alcoloizate o squilibrate, le quali mirano di screditare fin dalla radice, il vecchio paroco di Croce! A tempo opportuno, a difesa del buon nome, della canonica e del paese, leggerò dall’altare la vostra rispettabile lettera del 6 settembre 1941. Aggiungo che non avrei creduto di dover spedire a’ miei Reverendissimi Superiori simile lettera dopo mezzo secolo di Sacerdozio.

Con rispettosi ossequi
Croce di Piave 10 Settembre 1941

Dev. paroco
Don Natale Simionato

Don Natale lesse la lettera del Chimenton in chiesa alla messa della domenica e un moto di indignazione attraversò il paese: come potevano in Curia pensar questo di don Natale, dando corso a una denuncia anonima! Chimenton, friggendo per la figura che il paroco gli aveva fatto fare (qualcosa dovette giungergli all’orecchio), in una seconda lettera (del 19 settembre, che non possediamo) smorzò i toni, tentando d’essere più morbido, quasi conciliante (lo deduciamo dalla replica di don Natale). Ma don Natale si dichiarò per nulla soddisfatto:

 Illustrissimo e Reverendissimo Monsignor C. Chimenton
				Delegato Curia Vescovile
							Treviso
La vostra lettera del 19 Settembre corrente, per quanto autorevole, ratione offici, non mi appaga punto: perché di fronte a tanti gravi accuse contro il paroco e canonica di Croce, di fronte a tanto danno delle anime, Voi, ratione offici et boni animarum, non dovreste passarci sopra, come fate, ma provvedere in merito. Ed io non intendo di dover incominciare oggi a lavorare pel bene delle anime, come alluderebbe la vostra lettera, perché è già mezzo secolo ch’io lavoro con tutte le mie forze pel bene spirituale e materiale delle anime: e però chiedo che si faccia regolare processo a difesa del mio buon nome, del buon nome della Canonica e del paese. Tutto questo pel bene delle anime da me rovinate secondo le replicate accuse a Voi pervenute sul mio conto da circa un anno a questa parte!
Tanto per ogni buona ragione umana, religiosa e civile.
Con Dev. ossequio
Croce di Piave 23 Settembre 1941

Dev. paroco
D. Natale Simionato.

Il Chimenton, piccato per aver fatto la figura dell’idiota che dava corso alle denunce anonime, cercò appoggio in monsignor Saretta, arciprete di San Donà:


CURIA VESCOVILE
    TREVISO
			Treviso – 2 ottobre 1941

Carissimo Monsignore,
 
Tu conosci bene la posizione di Croce di Piave: ne 
hai parlato più volte a S. Ecc. che mi riferì il tuo 
pensiero chiaro ed esplicito. D’altronde qui giungono 
con frequenza suppliche ed istanze, perchè si 
addivenga ad un radicale provvedimento.
Le accuse contro il cappellano sono queste:
1)- Poca passione per la  dottrina  cristiana.
2)- Nessun ascendente presso i buoni.
3)- Beve molto.
4)- Spesso in giro per il paese e fuori paese.

Le accuse contro il parroco sono più gravi:

1)- Nessuna cura per il bene delle anime 
2)- Poco buon esempio nei familiari di casa canonica.
3)- La predicazione male impartita.
4)- Nessuna stima presso la popolazione. 
5)- Amministra i Sacramenti anche a qualche 
concubinario.

S. Eccellenza Mons. Vescovo ti prega di inquirere 
sul posto e di mandare una relazione scritta. 
Gli interessati, infatti, ammoniti respinsero ogni 
addebito.

Scusa della noia, e abbiti, con la riconoscenza, 
il mio saluto.
Aff.mo sempre 
( Mons. Dott. Costante Chimenton)


Ill.mo e Rev.mo
	Mons. Luigi Saretta
	Arciprete di 
	S. Donà di Piave

Due giorni dopo aver ricevuto la lettera, monsignor Saretta aveva già concluso le sue “indagini”. In realtà si basò lui pure sulle denunce di “pie donne” e “buoni fedeli”.


    Chiesa Arcipretale
  di S. Maria delle Grazie
   in S. Donà di Piave
							Riservata
Caro Monsignore, in merito alle accuse contro il Cappellano e il Parroco di Croce, di cui mi hai inviato copia, dopo rinnovate indagini, devo confermare purtroppo, che corrispondono tutte, più o meno, a verità.
La situazione, dal punto di vista religioso e delle anime, è assolutamente insostenibile. Sacerdoti e religiosi seri, che hanno predicato a Croce o che sono arrivati da quella parrocchia, buoni fedeli e pie persone del luogo, anche recentemente, sono venuti da me per deplorare tale stato di cose.
Però, a mio parere, il maggior responsabile è il Parroco, che non lascia fare e sembra sempre sia in agguato contro il Cappellano.

Sempre tuo aff.mo
Mons. Luigi Saretta

8 ottobre 1941




Abbandoniamo le beghe parrocchiali e torniamo al fronte: Vittorio Di Legui, inquadrato nel Genio-Servizio tradotte del Carso, partecipava al trasporto sul fronte russo di convogli di quaranta-cinquanta vagoni alla volta, carichi di militari e di munizioni. Sarebbe giunto anche a Stalingrado, a 49,5 gradi sotto zero, sul Don, a Kiev in Ucraina, a Karcow, dove avrebbe incontrato Bellinaso di Musile. Avrebbe visto i soldati italiani morire congelati nelle loro divise di orbace.

La comprensione della tragedia che stava investendo il mondo sfuggiva agli abitanti del paese. Sui fronti più o meno lontani, la guerra continuava a divorare le misere risorse della nazione.
Il 9 ottobre il podestà Bortolotto di San Donà, in ispezione a Musile,

in merito allo svolgimento inerente alla parte finanziaria di questa Amministrazione fa osservare quanto segue:

ENTRATE
Per superiori disposizioni le entrate sono state previste nella stessa misura degli anni decorsi e nel complesso le previsioni non si accertano che in misura ben inferiore a causa delle provvide leggi in favore delle famiglie numerose che vengono esonerate; ed a causa della contrazione dei consumi per ciò che riflette l’imposta di consumo
- la previsione complessiva escluse le partite di giro per il 1941 di L. 633.511.87
si prevede un accertamento di circa L. 580.000. =
con una differenza a peggioramento di L. 52.911.87

USCITE
Le uscite stanziate in misura tale da poggiare le entrate sono tutte insufficienti al bisogno in specie gli articoli di manutenzione strade, spedalità, medicinali ai poveri, manutenzione locali a causa dei forti rialzi dei prezzi.
Si prevede che alla fine d’anno vi saranno fatture da pagare per circa L. 50.000.= fuori degli stanziamenti di bilancio per spese obbligatorie e improrogabili.
In riepilogo abbiamo

MINORI ENTRATE L. 52.911.87
MAGGIORI USCITE L. 50.000.=

TOTALE PEGGIORAMENTO L. 102.911.87



Il 15 ottobre [delibera n.° 112] in Comune venne assunto Bruno Casonato in qualità di addetto al razionamento consumi; la distribuzione di carte annonarie riguardava ormai tutti i generi di consumo: c’erano le carte annonarie da minestra, quelle da grassi, zucchero e sapone, e le carte individuali abbigliamento.

Il 19 ottobre la maestra Alice Treu, maestra delle Fossetta, si lamentò con una lettera al podestà che la pompa della scuola non funzionava. Concludeva la sua lamentela con “Vincere”.
Il 20 ottobre le maestre del Lazzaretto Palmira Astori ed Elisa Davanzo chiedevano al podestà riparazioni per la scuola.
Le maestre di Croce per l’anno appena incominciato erano:
13. Vianello Saladini Tosca
14. Degli Antoni Zora
15. Siega Rina
16. Lorenzetti Ebe
mentre quelle della Fossetta erano
17. Treu Alice
18. Dalla Bella Resy Ratti
19. Vio …

Dopo esser rimasto senza Nini, don Natale rimase anche senza Berto, che preferì partire per la Germania:

“Capitò una mattina che c’era una squadra di gente che andò a lavorare in ferrovia: gli chiesero quanto guadagnasse dal prete; una lira al giorno, rispose Berto; avrebbe preso di più di là, gli dissero; e così Berto accettò di andare a lavorare in Germania”.
[dai ricordi della figlia Dirce]

Il 5 novembre, nel presentare il problematico bilancio per l’anno successivo, il podestà segnalò con accuratezza che il deficit di cassa sarebbe stato di L. 103.877,66. Il ragionier Franchin Girolamo aveva intanto sostituito il segretario comunale Fatica, ma non riusciva a trovare alloggio in centro a Musile; aveva perciò investito del problema il podestà, che il 15 novembre, dopo alcune trattative col dottor Rizzola che metteva in affitto la sua casa in via Giovinezza N° 30, accettò l’offerta per cinque anni, destinandola dunque ad abitazione per il nuovo segretario comunale.

Presidente dell’O.N.B. comunale era diventato Pietro Lucchetta, un fascista un poco esaltato, uno di coloro, per dare l’idea, che nelle richieste rivolte al podestà, ad esempio, ometteva d’abitudine l’Anno Domini, lasciando solo l’ordinale fascista.

le conferme ai propri giudizi ottenute da monsignor Saretta sulla situazione in canonica a Croce indussero il Chimenton a far pressione sul vescovo perché mandasse un nuovo cappellano in sostituzione di don Antonio: il nome ce l’aveva bello pronto, quello di don Igino Bernardi, un giovane prete di provata obbedienza, moderno e quadrato come la gran parte dei giovani che non avevano conosciuto che il Fascismo, “praticissimo di ‘regime’ parrocchiale”. Fisicamente era grande e grosso, di carattere deciso, e non si sarebbe fatto intimorire da don Natale.
Quali dovessero essere compiti di don Igino a Croce il Chimenton li spiegò in una lettera falsamente cortese che inviò a don Natale:


  CURIA VESCOVILE
    TREVISO
						20/XI/941
Rev.mo Arciprete.

Mi consta che è giunto a Croce di Musile in questi giorni il nuovo cappellano, D. Igino Bernardi. La S. V. avrà dovuto constatare che è un sacerdote non solo intelligente, ma anche praticissimo di regime parrocchiale. La scelta fu fatta dal Superiore,perchè, come già Le esposi nell’ultimo colloquio tenuto nella Sua canonica, Lei possa restare tranquillo per ciò che si riferisce al bene delle anime.
In modo speciale il cappellano può e deve assumere l’impegno di tutta l’Azione Cattolica; deve coadiuvarLa nel catechismo agli adulti; far progredire, se ne è il caso, le scuola di Dottrina. Si intende che è sempre cappellano,e come tale, prima di agire, prenderà consiglio e informerà la S. R. Rev.ma; ma Lei resterà contento e sarà felice nel lasciare a don Bernardi quelle iniziative che sono richieste dalle necessità dei nuovi tempi.
Non dubito che resterà contento della scelta, che fu fatta dal Superiore: il nuovo cappellano sarà un confratello che La saprà amare e rispettare e accontenterà le Sue aspirazioni, come curerà con passione, in pieno accordo con la S. V., il vero interesse della parrocchia.
Si intende che in qualsiasi evenienza, Lei mi terrà informato delle cose e in tutti i particolari.
Mi è grata l’occasione per ripeterLe i miei ossequi più rispettosi e per professarmi

dev.mo sempre
Il Delegato Vescovile
Mons. Dott. C. Chimenton

Ill.mo e Rev.mo
D. Natale Simionato
Arciprete di CROCE DI MUSILE

Don Natale capì che l’avevano mandato per controllarlo. “No son mia Marco Caco, mi!” Poi buttò un’occhiata al fondo della lettera e rilesse a mezza voce: «“Croce di Musile”, eh?»
Si sedette a tavolino e buttò giù subito una lettera con cui chiedeva quali erano gli accordi economici che avrebbe dovuto mantenere col nuovo cappellano, e quali sarebbero stati i compiti del medesimo. In quanto all’alloggio, il cappellano avrebbe potuto (continuare a) vivere (come già stava facendo) nel “fabbricato”? E, a proposito di “fabbricato”, era il caso di procedere alla raccolta di fondi per il suo acquisto?

Il 21 novembre le maestre della Fossetta scrivevano al podestà di essere ancora in attesa della legna.
Dopo una raccolta di fondi in giro per il paese il 29 novembre la Fabbriceria di Croce pagò al Comune 10.000 lire quale anticipo per l’acquisto del fabbricato comunale (Delibera del 24-1-40). Ma don Natale voleva sapere quali erano esattamente le condizioni di utilizzo del fabbricato. E mentre una flotta di sei portaerei al comando del Viceammiraglio Chuichi Nagumo salpava dalla baia di Hitokapu e si dirigeva alla volta di Pearl Harbor in silenzio radio, in Curia a Treviso si componeva la lettera con la quale si incoraggiava don Natale a procedere all’acquisto del palazzo, acquisto del quale era già stato firmato il preliminare.


CURIA VESCOVILE
   TREVISO
      			Treviso- 29 novembre 1941

Rev.mo Arciprete,
La presente semplicemente per confermarVi per iscritto, quanto fu già deciso, fra Voi e S. Ecc. Mons. Vescovo:
1)- Esiste preliminare di acquisto della nota casa. Urge quindi provvedere alla rifusione dell’importo consegnato, e al pagamento dell’intero importo di spesa.
2)- Deve essere costituito un piccolo comitato, incaricato a raccogliere i fondi necessari allo scopo.
3)- Il cappellano, appena compiuto l’acquisto, potrà abitare nella nuova casa; in questa esistono altre stanze che devono essere adibite anche per la dottrina cristiana e per l’A.C.
4)- La nuova casa sarà intestata alla chiesa di Croce.
5)- Al cappellano, quando passerà ad alloggiare nella nuova casa, il parroco passerà un sussidio di L. IO ( dieci) per il vitto, che oggi gli fornisce in casa canonica.
6)- Al cappellano sono affidate, oltre l’ordinario ministero, le seguenti mansioni specifiche: due Messe festive, con predicazione: tutto il lavoro per la dottrina cristiana: l’organizzazione dell’A.C. escluso il gruppo U.C. e D.C. che restano, per ora alla dipendenza del parroco. Il parroco però può, anche per questi due gruppi, invocare l’assistenza del cappellano, qualora lo ritenga utile.
7)- Per la Messa del Fanciullo, si veda di organizzare, di comune accordo fra parroco e il cappellano, in modo che si svolga con decoro e sia provvisto al buon ordine.
Nella sicurezza che gli accordi conchiusi saranno di giovamento al bene spirituale della popolazione , Vi presento i miei ossequi e mi professo

Aff/mo sempre
M Chimenton

Ill.mo e Rev.mo
D. Natale Simionato
Parroco di
CROCE DI PIAVE

Comico e viscido risulta l’utilizzo, per la prima volta da parte del Chimenton, della dicitura “Croce di Piave”, allo scopo di evitare ogni motivo di attrito col paroco, proprio mentre il Monsignor Dottore gli dettava tutto ciò che dovesse fare e dopo avergli messo vicino un cappellano con l’intento di scavalcarlo. “Croce di Piave, eh?”
Don Natale ci pensò su, poi replicò che tali condizioni erano troppo onerose:

 Illustrissimo e Reverendissimo Mons. C. Chimenton
				Delegato Curia Vescovile
						Treviso
Vista la Vostra rispettabile lettera del 29 novembre 1941, devo riferire che sono impossibilitato ad accettare l’onere di un contributo di £ 10 giornaliere al nuovo Reverendo Cooperatore che intende passare in casetta:
I° perché nelle condizioni attuali economiche, cioè dopo la divisione della parrocchia, le entrate del beneficio parrocchiale non coprono le uscite, comprese le tasse.
II. attendo ancora la rifusione delle tasse sulla ricchezza mobile e incerti, da me pagata anche per la nuova parrocchia Millepertiche , e ognor crescenti;
III. la rifusione delle prediali da me pagate sul terreno di mia proprietà alle Millepertiche, e goduto dal Curato D. G. Favero.
IV. Richiedo che la voltura di detto terreno, campi circa tre, venga fatti a termini del Contratto legale stipulato dal Notaio Galanti, e cotesta Illustrissima e Reverendissima Curia, cioè a favore della fabbriceria di Croce di Piave.
Inoltre ricordi V. S. Illustrissima che anch’io vivo di limitate elemosine.
Con rispettosi ossequi
Croce di Piave 3 Dicembre 1941

Dev.mo paroco
Don Natale Simionato

Essendo la canonica “piena di gente”, don Igino aveva preferito da subito andare a vivere in “casetta”, cioè nell’appartamento del fabbricato comunale lasciato libero dal dottor Arduino. Con sé, a fargli da perpetua, il cappellato aveva chiamato la sorella Rachele, da tutti chiamata “donna Rachele”, come la moglie del Duce.

Il 7 dicembre le forze aeronavali dell’Impero giapponese attaccarono a sorpresa la flotta statunitense di stanza a Pearl Harbor, nelle isole Hawaii, infliggendole gravissime perdite.

Furti in parrocchia

Ma ben peggiori furono le perdite che subì don Natale due giorni dopo: la cassa della fabbriceria, fissata alla parete del corridoio superiore della Canonica, subì uno scasso, e la cosa destò ovviamente clamore in parrocchia. I sospetti si appuntarono sul nipote del parroco, Vincenzo, ragazzo vivace e un po’ scansafatiche; ma non vi era nessuna prova che fosse stato lui. No, don Natale non volle dar seguito a denunce contro chicchessia, come gli consigliava il cappellano. E poi era inutile mettere il ragazzo nei guai quando ancora non si sapeva esattamente cos’era stato rubato. Ma in paese cominciarono a circolare le voci di quant’era accaduto.

Il 14 dicembre il fotografo Striuli di San Donà venne a Croce a fotografare il Monumento ai Caduti di “Croce di Musile”. A quale scopo? Non certo turistico, dato che si era in piena guerra.
La ditta Fregonese Amedeo cottimista – imprenditore edile di Croce riparava il tetto del municipio (13.100 lire Dicembre 41), mentre la necessità del “calcolo dei razionamenti dei consumi” obbligava il Comune all’acquisto di una macchina addizionatrice “DUCONTA” per la cifra di 1.950 lire.
La Maria Granzotto, figlia del vecchio “cavabuse”, da parecchi mesi svolgeva il compito di custode comunale.

Fu col timore di dover rendere conto del furto che don Natale lesse la lettera di convocazione in Curia. Quando invece si presentò a Treviso (18 dicembre) scoprì che era per la questione del mantenimento del cappellano. Il cancelliere vescovile don Silvio Zavan andò a prendere la lettera che don Natale gli aveva spedito due settimane prima, e dopo aver discusso a lungo riguardo il mantenimento del cappellano, segnando qui e là sulla lettera dei “sì” che dichiaravano di accogliere le richieste di don Natale, alla fine i due giunsero a un accordo e firmarono una convenzione.

 

CURIA VESCOVILE
    TREVISO
			Treviso, 18 dicembre I941.

Convenzione

Oggi, in Curia, tra il M.R. Sig. Parroco di Croce di Piave, D.Natale Simionato, e il Delegato Vescovile in rappresentanza del Vescovo, si conviene quanto segue:
I) Il Parroco di Croce corrisponderà al Cappellano , Don Igino Bernardi , per concorso al suo sostentamento fuori canonica L. 7 (sette) giornaliere, e la Fabbricieria della Chiesa parrocchiale di Croce altre L. 3 (tre) giornaliere , fino al 3I dicembre 1942.
2) Il Cappellano di Croce godrà delle questue d’uso e degli altri incerti consuetudinari in parrocchia e in diocesi.
3) al termine dell’anno economico I942 , tenuto conto di quanto il cappellano ha avuto di questue e d’incerti, sarà al Parroco di Croce aumentata o diminuita la quota di concorso al mantenimento del medesimo cappellano , secondo che saranno trovate insufficienti o sufficienti le entrate per l’onesto sostentamento del cappellano . L’esonero però al Parroco sarà fatto dopo che sarà esonerata la Fabbriceria della chiesa parrocchiale dal suo contributo.
Il controllo sulle entrate del cappellano e il giudizio sulle necessità del medesimo sarà riservato al Vescovo o al suo Delegato, non senza aver sentito in proposito il Parroco.
Con il contributo suddetto il parroco per questo prossimo anno, non ha altri oneri personali verso il Cappellano .
Fatto letto, approvato e sottoscritto.

Il Parroco di Croce di Piave
f° Don Natale Simionato

Il Delegato Vescovile
f° Mons. C. Chimenton

Per copia conforme
all’originale conservato in Curia
Il Cancelliere Vescovile
D. Silvio Zavan

Quindi il cancelliere prese la lettera di don Natale sulla quale aveva segnato i suoi “Sì” e in calce aggiunse a mano: “Risposto a voce il 18/XII/1941”.

Quanto alla scasso della cassa della Fabbriceria, don Natale non fece parola in Curia. Tornato in paese, alle insistenti richieste di don Igino se durante la recente visita a Treviso egli ne avesse fatto menzione al cancelliere, don Natale lasciò la cosa sul vago. Il cappellano prese quindi l’autonoma deliberazione di scrivere al suo diretto superiore. Gli ordini che aveva ricevuto da Chimenton erano precisi: riferire tutto. E tutto il cappellano per iscritto riferì.
Quando ebbe la lettera per le mani al Chimenton non parve vero di aver qualcosa di più di una voce per poter inquisire la condotta di don Natale. Il 3 gennaio 1942 buttò giù una dura lettera in cui dichiarava che sapeva del furto; perché dunque don Natale non aveva sporto immediatamente denuncia ai Carabinieri? E perché, quand’era stato in Curia qualche giorno prima, non ne aveva fatto parola col cancelliere vescovile per ottener consiglio sul da farsi? Don Natale, con la sua proverbiale pazienza, prese carta e penna e cominciò a rispondere:

 Illustrissimo e Reverendissimo  Mons. C. Chimenton
				Delegato Vescovile
						Treviso

A riscontro Vostra inchiesta 3 Gennaio 1942, riferisco che 
riguardo allo scasso cassa fabbriceria, fissa alla parete 
del corridoio superiore della Canonica, avvenuto il 9 o 10 
Dicembre 1941, non ho dato immediatamente denuncia, perché 
stavo a vedere di che realmente si trattasse; e intanto 
facevo le indagini più minute per scoprire il reo.
I fabbriceri nel corso dell’anno 1941, hanno fatto tre 
estrazioni del denaro della cassa, cioè
Ia il 3 Maggio 	 	con l’ammontare di lire  1171.90
II il 31 Agosto 	“	“		   “    “    776.50
III il 31 Dicembre	“	“		   “    “  1228.60 
Per cui non è possibile precisare se realmente vi fu 
qualche ammanco, o tutt’al più di qualche manata di monete 
in rame.
Ritengo che il ladro o i ladri, dopo la rottura dei lucchetti, siano stati disturbati, e quindi abbiano abbandonati il tentativo.
Né la Canonica né la Chiesa sono assicurate circa i furti.
Non si hanno indizzi degli autori dell’attentato, tanto più che la Canonica è frequentata da molte persone.
Inoltre in Chiesa, si ritiene in Dicembre scorso, fu scassinata la cassettina del Crocifisso, contenente qualche decina di lire: e al momento dell’accertamento li 28 dicembre 1941, si contarono nella cassetta stessa Lire 6,10.
I Reali Carabinieri di S. Donà di P. in seguito a notizie di furti in Canonica e in chiesa di Croce hanno fatto un sopraluogo li 3 Gennaio 1942, i quali hanno constatato l’accaduto.
Con devoti ossequi
Croce di Piave 7 Gennaio 1942

Dev.mo paroco
Don Natale Simionato

o – o – o – o


(14 gennaio 1942: don Natale con i coscritti del 1924 davanti al campanile)

o – o – o – o

Chimenton non era per nulla soddisfatto della risposta e ritornò sull’accaduto con altre domande per don Natale: che cosa avevano detto i Reali Carabinieri, che avrebbero avvisato loro la Curia o che lasciavano l’incombenza a lui? Davvero non si aveva indizio di nessun colpevole? Perché invece erano giunte in Curia alcune notizie in proposito; e si facevano anche dei nomi! Possibile che don Natale non ne sapesse niente?
Tra le prove che il Signore aveva mandato a don Natale vi era anche quella di avere come superiore il Chimenton.

 Illustrissimo e Reverendissimo  Mons. C. Chimenton
				Delegato Curia Vescovile
							Treviso
A riscontro Vostra II inchiesta in data 14 Gennaio 1941 sull’attentato furto in canonica 9 o 10 Dicembre scorso, riferisco che:
I Reali Carabinieri il giorno 3 Gennaio corrente al loro sopraluogo in Canonica Croce, dopo d’aver constatato l’accaduto, mi hanno detto che avrebbero riferito l’attentato a cotesta Illustrissima e Reverendissima Curia.

Poi ci ripensò, e cambiò il punto finale in un punto e virgola, e aggiunse , e nient’altro.

Io dichiarai loro che ho fatto e farò ogni indagine possibile per scoprire il reo, e che qualora lo potessi identificare sarò il primo a metterlo nelle loro mani.
Altrettanto ripeto a V. S. Reverendissima.
A tutt’oggi, ad onta delle più diligenti e assidue indagini, non ho alcun indizio positivo.
V.S. Reverendissima mi scrive: .
E perché, domando io, non si danno tali notizie, né si fanno nomi, con eventuali prove, anche al paroco?
Per ora non ho altro da aggiungere.
Le mie indagini continuano, e così quelle di altre persone di fiducia, e sarà mio dovere, in seguito, di dare a V. S. Reverendissima altre eventuali notizie del caso.
Con rispettosi ossequi
Croce di Piave 18 Gennaio 1942

Devotissimo paroco
Don Natale Simionato

In canonica erano arrivati i soldi ricavati dalla vendita degli ex-voto e destinati all’acquisto della nuova statua della Madonna del Rosario. A don Natale in verità dispiaceva disfarsi della vecchia statua, che, seppur di cartapesta, per vent’anni aveva fatto bella mostra di sé, oltre che in chiesa, alla processione della sagra; a lui piaceva un sacco quella povera Madonna seduta sul baldacchino di legno, che in spalla ai portantini, gli pareva quasi un papa. Ma tale era stata la volontà dei parrocchiani di acquistarne una nuova che alla fine don Natale aveva ceduto.

Mussolini decideva di inviare in Germania 200.000 lavoratori, in sostituzione dei tanti tedeschi mandati in URSS a rimpiazzare i soldati morti, e di inviare direttamente dei soldati in Russia: era il progetto dell’ARMIR (Armata Italiana in Russia) che sarebbe giunta al fronte ai primi di luglio.

Il comune pagava la prima rata del contributo all’E.I.A.R. (401,75 lire su 800).

Croce rimaneva spesso senza portalettere e gli abitanti della frazione protestavano. Il centro di Musile era rimasto senza la sua vecchia, storica levatrice, la Carlotta Dalla Mora Baron, andata in pensione; non ci stava più con la testa.

“VINCERE”. Nei documenti della scuola (in uno datato 8 febbraio 1942) era comparsa l’intestazione “Ad Augusta per Angusta”. In calce provveditore e maestre chiudevano sempre con “VINCERE”. Il 17 febbraio 1942 il segretario politico del Fascio di Combattimento di Musile di Piave, Pietro Lucchetta, si dava da fare perché il podestà Cuppini trovasse modo di assicurare al paese un servizio di posta più regolare; come di prassi, anche lui concludeva la missiva con l’auspicio “VINCERE!”. Tutti auspicavano la vittoria, “VINCERE” era un ritornello ossessivo.

Altro furto in canonica. L’unico che sembrava perdere era il paroco. La sera del 20 febbraio si verificò un altro furto: questa volta il ladro si era fatto audace perché era penetrato addirittura nella camera di don Natale scassinando la porta della camera e la cassetta dove il paroco teneva i soldi. Ancora una volta don Natale decise di prendere tempo prima di far denuncia. Ma don Igino Bernardi il giorno dopo aveva già riferito tutto a monsignor Chimenton.

Reverendissimo Monsignore

I soliti malandrini, Venerdì 20 Febbraio, mentre stavamo in chiesa per la via Crucis, sono penetrati nella stanza del Parroco di Croce Don Natale Simionato, e scassinati i cassetti dell’armadio non si sa quale somma abbiano asportato. Il Parroco in proposito non si è pronunciato.
Pare però che in questi cassetti ci fossero diversi denari per l’acquisto della statua della Madonna e degli oggetti d’oro pure della Madonna.
In Parrocchia c’è un vasto mormorio, e tutti si domandano fino a quando le cose potranno durare così. Tanti per questo disordine che c’è non mettono più piedi in chiesa, e nessuno fa elemosina, perché sono sdegnati di vedere i denari delle offerte fare così triste fine.
Questo perché i superiori siano informati, e si persuadano che bisogna venire a dei provvedimenti energici, per togliere tali sconcezze che tanto ci screditano presso il popolo.
Con i sensi della più profonda stima La ossequio rispettosamente e mi professo di V. S. Illustrissima
Devotissimo in C.J Croce di Musile 21/2/1942 XX

Sac. Igino Bernardi
Cappellano

Lunedì 23 febbraio don Natale attaccò il serét al cavallo e andò a denunciare il furto ai Reali Carabinieri di San Donà i quali, nel pomeriggio vennero a fare un sopralluogo in canonica e decisero di portare in caserma per accertamenti la nipote Giulia, il pronipote Claudio e il servo.
A Treviso, soddisfatto della delazione, Chimenton inserì un foglio nella sua macchina da scrivere e rispose al cappellano:


				  24 . 2 . 1942
CURIA VESCOVILE
  TREVISO

Carissimo , 
Sta bene quanto tu mi scrivi nella tua del 21 p. p. – 
Dimmi però anche che cosa tu hai fatto in proposito , 
e in primo luogo se hai denunziato ai RR.CC. il nuovo 
furto.
    In seguito a queste notizie risponderò alla tua .
Con tanti saluti
		Affez.mo
		Chimenton
	
Al Rev.mo Signore
Don Iginio Bernardi 
Cappellano di
(Venezia)	Croce di Musile

Con un movimento secco, Chimenton estrasse dal rullo della macchina da scrivere il foglio appena compilato e ne inserì un altro; meditò per qualche istante le formule da usare, quindi scrisse la lettera per don Natale; dopo una serie di allusioni che volevano essere larvate ed erano sfacciate, concluse non con un non meno falso “devotissimo”.


				Treviso, 24.2.1942.
CURIA VESCOVILE
  TREVISO

Rev.mo Arciprete ,
Giungono notizie in Curia che il 20 p.p., proprio nella 
Sua stanza, in casa canonica, fu perpetrato un nuovo 
furto.
Denunzi immediatamente il fatto ai Carabinieri, e li 
preghi di reperire questo ladro, che deve bene 
conoscere la Sua casa canonica, e che probabilmente 
è autore anche dei furti perpetrati in passato.
Aspetto una Sua risposta. E intanto presento, con 
le mie condoglianze, il mio ossequio sincero .
			Dev.mo sempre
			Chimenton
Al Rev.mo Arciprete 
Don Natale Simionato
(Venezia) Croce di Musile

Le due lettere, spedite insieme e con medesima destinazione, insieme arrivarono due giorni dopo. Don Natale consegnò al cappellano quella a lui destinata. Il cappellano, se la lesse, si portò in camera sua e subito rispose:


In X. J
Reverendissimo Monsignore
Il Parroco stesso ha denunciato il furto ai R.R.C.C., i quali 
dopo fatto il sopraluogo hanno invitato in caserma la nipote, 
il nipote ed il servo. Li hanno interrogati e poi hanno trattenuto 
in caserma il ragazzo (nipote). Alla sera di Lunedì il parroco 
visto che il giovane non veniva a casa, ha mandato il servo 
con una lettera dal Maresciallo pregandolo di lasciarlo libero, 
perché assolutamente non può essere il responsabile (così dice 
e pensa lui.) Il maresciallo quindi lo lasciò ritornare.

	Dalla denuncia fatta ai RR.C.C. risulta che il denaro asportato 
	è di £ 2000, ed inoltre un libretto di banca al portatore. I timori 
        però sono quelli che le donne di A.C. hanno raccolto per l’acquisto 
	della statua della Madonna.
	Io tacio ed osservo, ascolto quello che dicono e non posso far altro, 
	perché ogni mia parola od atto sarebbe interpretata sinistramente 
        dal Parroco e dai suoi famigliari. Dire al Parroco che i ladri sono 
	in casa è inutile, perché lui come al solito, dice e pensa il 
	contrario di quello che pensano e dicono gli altri.
	
Questo quanto ho potuto vedere e sapere in questi giorni.
		Con rispettosi ossequi
				Devotissimo in Gesù
Croce di Piave 26/2/1942 XX°
			Sac. Igino Bernardi
			Cappellano

Il giorno dopo il Chimenton, che certamente non aveva ancora ricevuto la surriferita risposta ma dentro di lui era certo che il cappellano avesse obbedito, scrisse ai Carabinieri per verificare in qual modo erano stati informati.


CURIA VESCOVILE
    TREVISO
			Treviso- 27 febbraio 1942

Ill.mo Sig. Maresciallo ,
Mi consta che Vi fu denunziato il nuovo furto, 
perpetrato in casa canonica di CROCE di Musile, 
e proprio nella stanza del parroco. Quindi un furto 
perpetrato da chi conosce bene le consuetudini di 
casa canonica.
Vi prego di non aver riguardi e di agire con la 
massima oculatezza , ma nel medesimo tempo con 
la massima rigorosità. Usate tutta la vostra abile 
arte e fate di riuscire a scoprire il ladro, 
chiunque esso sia. Noi Vi applaudiremo sempre: 
lo reclama la giustizia , come lo reclama il buon 
popolo di Croce, che sente ogni secondo giorno , 
il fine a cui sono destinati quei risparmi che 
vengono offerti per il decoro del culto.
Scusate le noie continue che Vi procuro, e 
permettetemi di rinnovare i miei ossequi e 
di professarmi
Di Voi Obb/mo
	Il Delegato Vescovile di Treviso
	(Mons. Dott. Costante Chimenton)

Ill. Sig. Maresciallo
Nocilli Mariano	RR.CC
				S. Donà di Piave

Don Natale, dopo quello che era successo, ritenne di dover avvisare anche la Curia, senza immaginare che il suo cappellano aveva già riferito tutto per filo e per segno:

 Illustrissimo e Reverendissimo Mons. C. Chimenton
				Delegato Curia Vescovile_
							Treviso

Purtroppo che il giorno 20 febbraio 1942 dalle ore 7 alle 8 sera, 
mentre io funzionavo in chiesa e le persone di canonica erano 
pure in chiesa, meno la nipote Giulia che rimaneva sola in casa 
per attendere alla cucina, ignoti ladri riuscirono a scassinare 
la porta della mia stanza, e quindi scassinare un cassetto 
dell’armadio e asportare una certa quantità di denaro di mia 
proprietà, più offerte di fedeli per la nuova statua della 
Madonna del S.S. Rosario, e un libretto di banca vincolato 
di proprietà di Scian Giulia e Scian Maria vedova Barsi, sorelle.
La denuncia fu fatta subito la mattina seguente ai R.R. Carabinieri 
di S. Donà di Piave, ma a tutt’oggi non si hanno indizi degli 
autori del reato.

Con devoti ossequi.
Croce di Piave 28 febbraio 1942

		Devotissimo paroco
		Don Natale Simionato

Monsignor Chimenton gli rispose tre giorni dopo: lui le indagini le aveva già fatte e le conclusioni già tirate. Scrisse addirittura a mano:

  
Rev. Arciprete.
Rispondo alla vostra del 28 febbraio p.p._
Non Vi nascondo la mia disperazione: il fatto è gravissimo. 
Il ladro dev’essere lo stesso che perpetrò il furto d’un mese fa; 
e che conosce molto bene la Vostra casa canonica, e conosce 
pure bene le Vostre consuetudini.
	Ho visto d’ufficio i RR. CC. Sandonà; li ho pregato 
a moltiplicare le inchieste; bisogna riuscire a scoprire il ladro 
e a farlo arrestare. Su questo aspetto insisterò anche in seguito 
presso le pubbliche autorità.
Voi pure interessatevi perché il delinquente sia colpito 
inesorabilmente
Nella speranza che si possa raggiungere il risultato vagheggiato, 
Vi protesto il mio ossequio, e mi professo
			Di Voi devoto
			Mons. Chimenton

Illustrissimo e Reverendissimo
Don Natale Simionato
Parroco di
Croce di Musile
(Venezia)

«Ah sì?! Il ladro dev’essere lo stesso… E lu come faeo a saverlo? Àseno… àseno che no l’é altro… che scrive sempre “Croce di Musile” … sottolineà dó volte… Chimenton finirà par tirarme a zimenton!» sbottò don Natale dopo aver riletto la lettera e aver tratto l’ennesimo sospiro. Ma come veniva il superiore a sapere di ciò che accadeva in canonica? Cominciò a sospettare di don Igino. Non gli era mai entrato del tutto in simpatia: troppo scostante, troppo saccente, troppo “moderno”; tanto rigorismo non rivelava un uomo di cuore; e, a dirla tutta, che non fosse un uomo di cuore lo confermava la sua mancanza di passione per la musica e per il canto; perciò qualche settimana dopo accolse con sollievo la notizia della di lui promozione (certamente ottenuta per i buoni uffici tenuti a Croce) a parroco di San Trovaso.

Il 13 marzo in Italia la razione giornaliera di pane era ridotta a 150 grammi. La guerra andava per le lunghe e, nonostante il “VINCERE” ovunque ripetuto, la fiducia degli italiani in Mussolini cominciava a scemare.

Per la nuova statua della Madonna del Rosario don Natale si era rivolto alla scultore Ferdinando Demetz di Ortisei (Bolzano) di cui aveva già visto qualche opera: si orientò per una statua a colori, in piedi, che gli era parsa bella e il cui prezzo era buono, e l’acquistò. In verità, prima di procedere all’acquisto, avrebbe dovuto ottenere il via libera della Commissione Diocesana d’Arte Sacra, il cui presidente era proprio il Chimenton. Vuoi vedere che, solo per non averlo interpellato, il Monsignor Dottore gli avrebbe fatto storie? Don Natale pregò lo scultore di sollecitare lui stesso l’approvazione dalla Commissione.

Per risolvere il problema della posta il 29 marzo 1942, anno XX, il Comune dichiarò di essere disposto ad assumere la spesa per la messa in opera delle piastre di impostazione: una presso la rivendita Minetto in via Fossetta, una presso la rivendita Fuser in via Casebianche. Appellarsi al segretario del Fascio aveva avuto la sua efficacia. Del resto ci si rivolgeva al segretario del Fascio per tutto, dalle questioni più importanti – per ottenere un qualsiasi lavoro, ad esempio – alle più futili. Il partito-stato era impegnato a far funzionare lo Stato. In quei giorni “la camerata Vianello” (la maestra Saladini) ringraziava il segretario del Fascio, Lucchetta, per essersi dato da fare prima per la distribuzione del latte, quindi lo ringraziava per la regolarità del servizio di consegna della posta in frazione Croce.

Don Natale si premurava di inoltrare la seguente domanda al podestà:

 On. Sig. Podestà
		di
		  Musile di Piave

Domando il nulla osta per le seguenti processioni solenni 
che avranno luogo in questa parrocchia, come di metodo, 
dalla chiesa all’argine di S. Marco.
Ia    Venerdì Santo 3 aprile 1942, dalle ore 18 alle 19.
2a    Corpus Domini 4 Giugno 1942 dalle ore 7 ½ alle 8 ½ ant.
Con ossequi
Croce di Musile di Piave 31 Marzo 1942

			Il paroco
			D.n Natale Simionato

La domanda, dopo il nulla osta di Cuppini, avrebbe dovuto ottenere anche il visto della Regia Questura di Venezia, che sarebbe arrivato a Pasqua ormai trascorsa, a processione già fatta. Domanda dunque inutile, ma necessaria nella burocrazia di guerra.

Altrettanto inutile perché dettata solo dal rispetto delle forme era la domanda dello scultore Demetz alla Commissione di Arte Sacra:


Cav. FERDINANDO DEMETZ
SCULTORE  7 – IV – 1942 – XX
ORTISEI – Bolzano - Italia

On. Commissione d’Arte Sacra – Curia Vescovile – Treviso
Il molto Rev. Don Natale Simionato parrocho di Croce di Piave 
(S. Donà) mi da l’incarico per eseguire la statua – legno 
della “Madonna del Rosario” – grandezza di cm 160 – secondo 
la qui rimpiegata foto N = 900 – così prego per la Vostra 
approvazione.
In stante attesa
			devotissimo
			Ferdinando Demetz
1 allego foto

C’era una piccola bugia della lettera: la statua era stata bel che consegnata. La Commissione si riunì, il giudizio non fu positivo e il verbalizzante, sotto dettatura del Chimenton, aggiunse in calce:
dalla fotografia risulta che la statua è ripetuta in serie e colorata. Si inviti lo scultore a presentare qualche cosa di nuovo e a trattare e a finire i suoi lavori senza colore. Carlo C… [Canessa?]

La settimana dopo Chimenton comunicò la notizia a don Natale:



CURIA VESCOVILE 		Treviso, 24.2.1942.
    TREVISO

Rev.mo sig. Arciprete ,
A sua norma Le notifico copia di un verbale che La
interessa:
Croce di Piave (Musile): - Nuova statua rappresentante 
la Madonna del Rosario:- Scultore Demetz, di Ortisei.
La commissione vista la fotografia che il cav. Ferdi-
nando Demetz ha inviato, in data 7 aprile 1942 , ma 
pervenuta il I0 dello stesso mese ,  alla curia di 
Treviso, rappresentante la nuova statua ordinata 
dall’arciprete di Croce di Piave (Musile) , è 
dispiacente di dover dichiarare che la statua 
non può essere approvata. 
Dalla fotografia infatti risulta che la statua è 
ripetuta in serie ed è colorata. Si invita lo scultore 
a presentare qualcosa di nuovo e a fornire i suoi 
lavori senza colore.
Si rimanda al Sig. Demetz la fotografia spedita , 
unitamente al presente verbale , di cui copia si 
spedisce all’arciprete di Croce di Musile.

Per spese di esame e di controllo L. 15 ( quindici)

Con tanti ossequi
		Della S.V. Ill.ma Dev.mo
		Il Segretario della C.D.A.S.
		( Mons. Dott. Costante Chimenton )
_________
Revdo
Sac. Natale Simionato
Parroco di 
Croce di Piave ( Musile)

Quando don Natale ebbe la lettera in mano, non poté che scuotere la testa per l’ennesima fissazione del monsignor dottore: ora sarebbe stato costretto a rispedire la statua all’autore e a rivolgersi a un altro scultore: altro tempo perso, altri fastidi. Eppur era così bella la nuova statua della Madonna, colorata certo, ma con l’espressione di una delicatezza infinita.

I rapporti col cappellano, se mai erano stati vivi, dopo la vicenda dei furti in canonica s’erano decisamente raffreddati. Il cappellano, eppur bravo, eppur pratico, più che passione per la musica aveva mostrato quella per l’orto; e difatti s’era ricavato dietro il ‘palazzo’ un orto che coltivava con competenza. Ma ne avrebbe lasciato i frutti al successore in quanto il buon lavoro fatto per il Chimenton gli aveva meritato la promozione a parroco di S. Trovaso.
Don Natale, in una lettera all’amico monsignor Vitale Gallina del 28 aprile 1942, persona della Curia che il paroco sentiva più vicina di altre, dichiarò che sperava nell’invio di un cooperatore “buono, umile, famigliare”.

 Illustrissimo e Reverendissimo  Mons. Vitale Gallina
								Curia Vescovile
										Treviso
Vi invio i miei più cordiali auguri nella lieta occasione del Vostro Onomastico, S. Vitale, ad multos annos.
Nel contempo Vi notifico che il mio attuale R. Coop. D. Igino Bernardi è stato nominato meritamente Paroco di S. Trovaso, dove dovrà passare tra poco.
Pertanto Vi prego del favore di adoperarvi perché mi venga assegnato un R. Cooperatore di carattere buono, umile, famigliare, com’è desiderato in paese, e da me.
Possibilmente che abbia anche un po’ di cognizione di canto gregoriano.
Con devoti ossequi e ringraziamenti Croce di Piave 28 Aprile 1942 (Venezia)

Affmo paroco
Don Natale Simionato

Nemmeno giunsero agli orecchi di don Igino le sottolineature di don Natale, che evidentemente giudicava il solerte cappellano “né buono, né umile, né famigliare” ma soprattutto “privo di ogni cognizione di canto gregoriano”. Risuonò invece fragoroso il rumore dello scoppio del pneumatico della bici sulla quale, incurante della propria vigorosa stazza, il cappellano montò un pomeriggio troppo in fretta e con troppa energia, scatenando le risate senza fine di coloro che assistettero alla scena. A smontare tanto ordine e tanta inflessibilità a volte basta una gomma che scoppia sotto il culo. Don Igino se ne andava lasciando dietro di sé una coda di risate.

Don Natale aveva continuato in quei mesi a raccogliere i soldi per comprare il fabbricato comunale (‘el paeazz’) da adibire ad abitazione del cappellano e ad asilo. Dopo il primo acconto di 10.000 lire pagato dalla Fabbriceria ora stava accumulando le altre 15.000 lire necessarie; nonostante la guerra e le economie che essa imponeva, li aveva quasi tutti messi da parte, esattamente com’era riuscito a “far su” i soldi per costruire la chiesa di Millepertiche: li aveva racimolati con il ricavato del quartese, ma ancor più con le offerte che da più parti gli giungevano in cambio delle sue benedizioni la cui fama irritava da tempo gli uomini di Curia.

Don Igino, già con un piede in partenza, ebbe la bella idea di avallare una “ribellione” del coro nei confronti del paroco e la cosa fece infuriare don Natale. Nella lettera a Chimenton del 6 maggio 1942 don Natale decise di levarsi qualche sassolino dalle babbucce. La prese alla lontana, andando a recuperare la dichiarazione dei vecchi cantori.

 Illustrissimo e Reverendissimo Mons. C. Chimenton
						Delegato Vescovile
								Treviso
Diversi cantori vecchi di Croce, in data 14 luglio 1940 mi hanno rilasciata l’acclusa dichiarazione.
Tale dichiarazione era opportuna e necessaria per evitare nuovi scioperi di detti cantori, insubordinati, nemici del canto gregoriano e poco o nulla praticanti le funzioni specialmente vespertine, durante le quali si recavano all’osteria o in gita.
Ho escluso in modo assoluto il Capo–coro Guseo Attilio, nato a Croce, domiciliato da vari anni a San Donà di Piave, perché di cattiva condotta, protettore delle feste da ballo, tanto che già negli anni anteguerra si costruì una sala da ballo nel centro di Croce, e nel contempo intendeva dirigere la schola cantorum.
Dopo la dichiarazione qui allegata dei cantori amici del Guseo, sono subentrati a formare un bel coro molti ottimi giovanetti, i quali con amore e zelo sostengono tutte le Sacre Funzioni della chiesa con canti gregoriani e liturgici, sotto la guida del paroco.
Ora con dispiacere ho notato che il Reverendo Cappellano Don Igino, all’insaputa del paroco, ha invitato i vecchi cantori scioperanti a cantare la Messa nella lontana frazione di Ca’ Malipiero il 3 Maggio corrente, mentre il paroco cantava la stessa Messa del titolare in parrocchia, con la nuova compagnia cantorum, composta di giovani, facendo così altare contro altare: con l’intenzione evidente di promuovere dicerie, discordie in paese.
Ora, in base al Canone 1185 Iuris Canonici, del Sinodo Diocesano rt. 455, e Codice Civile Penale art. 140, ecc., prego Vostra Signoria Illustrissima e Reverendissima riferire quanto sopra a Sua Eccellenza Illustrissima e Reverendissima Mons. Vescovo ad evitanda mala majora.
Con rispettosi ossequi.
Croce di Piave 6 maggio 1942

Devotissimo Umilissimo paroco
Don Natale Simionato

Il canone 1185 del Diritto Canonico dice precisamente: “Sacristia, cantores, organorum moderator, pueri chorales, campanae pulsator, sepulcrorum fossores, ceterique inservientes a solo ecclesiae rectore, salvis legitimis consuetudinibus et conventionibus et Ordinarii auctoritate, nominantur, pendent, dimittuntur” ovvero “La sacrestia, i cantori, l’organista, i fanciulli del coro, il campanaro, i seppellitori e gli altri inservienti sono nominati unicamente dal rettore della chiesa, fatte salve legittime consuetudini e convenzioni […], da lui dipendono e da lui sono licenziati”. Don Natale dimostrava di conoscere bene il Diritto Canonico. La chiusa della lettera, di riferire tutto al vescovo, si rivelava necessaria in quanto il Chimenton, don Natale l’aveva ormai capito, aveva l’abitudine di riferire al vescovo solo quello che più gli faceva comodo, spesso distorcendo la realtà. Era così da più di vent’anni ormai, da quando il paroco si era opposto a quel delegato così immanicato con i maggiorenti di Musile, così amico di don Tisato da favorire la parrocchia di quello con lo smembramento delle Case Bianche e la loro annessione a quella di Musile – ma i due erano d’una stessa pasta e d’una comunanza ideologica che non si poteva che definire fascista –; era così da quando, sulla collocazione della riedificanda chiesa, il paroco era riuscito a imporre il suo “dov’era e com’era” vanificando i desideri palingenetici del Chimenton; ed era così da quando la Commissione vescovile aveva dato torto al delegato e ragione al paroco sulla questione della rettifica del decreto di smembramento. Ora, citando gli articoli dei codici che obbligavano l’animoso monsignore a riferire con puntualità al vescovo quanto scritto nella lettera, lo avrebbe irritato ancor di più; ma il Chimenton non gli era amico da anni: che almeno il vescovo sapesse come il delegato usava i cappellani.

Il tono del Chimenton nella risposta di due giorni dopo era secco e finto insieme:



Treviso 		8/5 – 42
Reverendissimo Arciprete
In risposta alla Vostra del 6 p. p. 
1. – Don Bernardi passerà presto a S. Trovaso; non è 
     il caso, quindi, di prendere certi provvedimenti
2. – Però sarà ammonito, e si sentiranno le sue 
     giustificazioni.
3. – In ordine poi alla Vostra del 28 aprile diretta 
     a Mons. Gallina, e da questo passata al mio 
     ufficio, Vi assicuro che si farà il possibile 
     per accontentarVi.
     Mi è grata l’occasione per protestarVi i miei 
      ossequi e per professarmi
			Di Voi devotissimo
			Mons. Chimenton

Reverendissimo Don Natale Simionato
Parroco di Croce di Musile
(Venezia)

“Croce di Musile!… e sottolineà do volte… Che sempiàt de àseno!”

Berto Sforzin era tornato dalla Germania con una risipola che gli aveva deturpato il volto di vesciche e ora era ricoverato in ospedale.

Arriva la Madonna nuova

Sul finire del mese giunse a Croce la nuova statua della Madonna del Rosario: la figura, eretta, alta 160 centimetri, reggeva con la sinistra il Bambino e con la destra porgeva il rosario; madonna e bambino avevano in testa una corona di legno. Ai crocesi piacque parecchio. Venne collocata in sostituzione dell’altra dentro una teca di vetro per proteggerla dalla polvere. La vecchia statua della Madonna seduta finì provvisoriamente in sacrestia: avrebbe dovuto finire bruciata con tutte le sue vesti, secondo la prassi canonica, ma a don Natale piangeva il cuore separarsene; per il momento preferì far fare un bucato delle sue vesti impolverate e conservare in sacrestia l’amata e gloriosa statua che avrebbe ancora potuto tornar utile, per le processioni della Festa del Carmine, ad esempio, dato che era più leggera e più stabile della nuova. Fu in quel frangente di confusione che sparirono le vesti della Madonna. La Dirce, sedici anni, figlia di Berto, che in passato aveva accompagnato talvolta il padre quando andava a lavorare in canonica, ultimamente ci andava senza di lui, ancora in ospedale per la risipola; le nipoti del paroco la mettevano a lavare il bucato e fu in una di quelle occasioni che la ragazza vide in disparte il vestito d’organza della Madonna in attesa di essere risistemato: non ci pensò un attimo e se lo portò a casa, spalleggiata dal pronipote di don Natale, Claudio, che aveva per lei una sicura simpatia. Quando la signora Maria chiese al figlio dov’era finita la “roba”, quello rispose: «È stata bruciata con le altre vesti rovinate della statua».
Claudio e la Dirce s’erano conosciuti qualche mese prima, il giorno che Claudio era andato a consegnare in casa Sforzin una torta avanzata dalla congrega dei preti della sera prima e proprio la Dirce gli aveva aperto la porta: assai gentile le era sembrato il ragazzo sin da quel primo frangente. E generoso adesso nel proteggerla dopo la scomparsa degli abiti della Madonna.
La signora Maria, abile di cucito, dovette provvedere un’altra veste per la Madonna vecchia, mentre con la roba sottratta e portata a casa la Dirce si cucì parecchie sottovesti; indossarle le dava un’emozione particolare e quando giocava con le amiche a rincorrersi e quella stavano per afferrarla lei le ammoniva: «Non mi toccate, perché sono tutta santa, ho indosso gli abiti della Madonna».

In quei giorni don Natale era impegnato coi fabbricieri nei conti della parrocchia. Il 18 maggio la Fabbriceria di Croce pagò al Comune le 15.000 lire di saldo per l’acquisto del Palazzo.

Sparisce il fante. Se la madonna vecchia non sparì immediatamente, sparì invece un’altra statua, e definitivamente: il fante sopra il monumento ai caduti. E finalmente si capì a cos’erano servite le foto al monumento di qualche mese prima: a valutare se era il caso di asportarlo. Il 31 maggio l’imprenditore Fregonese Amedeo tra le varie riparazioni e lavori negli edifici comunali (municipio, ufficio postale e varie scuole) “con ordine del Signor Podestà” fatturò 190 lire per aver “levato monumento a Croce e trasportato alla stazione di San Donà”. Sarebbe stato fuso per esigenze militari. Non Amadeo, il fante!
Le sempre maggiori restrizioni di guerra continuavano a minare il consenso di cui godeva Mussolini appena due anni prima. All’inizio di giugno si costituiva, tra le forze antifasciste, il Partito d’Azione. Due erano le correnti che lo componevano, una liberalsocialista, l’altra di Giustizia e Libertà; già si pensava alla caduta del Fascismo e si elaborava un programma per la costruzione di uno stato postfascista, mirato a una economia mista e alla nazionalizzazione dei grandi monopoli industriali e finanziari.

I conti della parrocchia, dopo il saldo del pagamento del ‘paeazz’ dovevano essere in crisi perché il 15 giugno don Natale fece intestare alla Chiesa Parrocchiale di Croce (atto N° 9521 registrato dal Notaio Galanti di Treviso) il terreno su cui sorgeva la chiesa di Millepertiche, in Comune di Musile di Piave (Foglio 28 M.N. 6 di Ea. I.48.90), che lo stesso don Natale aveva donato alla Chiesa Parrocchiale di Croce di Piave otto anni prima (atto Galanti dell’11 Maggio I934 n°3520) e che gli era stato “sfilato” con l’erezione di Millepertiche a parrocchia. Il paroco non avrebbe voluto mettersi in guerra con la Curia, ma ce lo trascinavano.

Qualcuno non s’accorgeva nemmeno della guerra più grande, quella mondiale. La vita nei campi si ripeteva uguale. La Marcellina Carrer ricorda che per lei fu un periodo di grande lavoro sui campi:

Quando nel ’40 mi sposai e venni via da casa mia, dove ero rimasta io da sola con mia madre perché i miei fratelli erano già andati a lavorare, qui dai Mariuzzo c’erano già tre cognate e io fui la quarta. Mi ritrovai in mezzo a una famiglia di venti persone. Andavamo d’accordo, certo, una parola ogni tanto… ma mi piaceva la famigliona.
Poi, con gli uomini in guerra, ché solo uno non era in guerra, eravamo rimaste quattro donne a casa e mi toccava alzarmi presto la mattina e andare a buttar i zopponi su dai cavini, noi donne distribuite una par cavin. E portavamo i sacchi da Ormenese, che facevamo là l’agenzia, su in alto sul graner e quando eravamo giunti in cima buttavamo giù il sacco, stanche morte. Dopo aver lavorato, andavamo a casa, a rincurar el fiol (il secondo, ché il primo, nato nel 1941, mi era morto di 40 giorni… Io ero con il dottor Da Re di Fossalta, che mi diceva che il bambino non aveva niente, aveva lo spasmo, si diceva, ma io lo attaccavo al seno e non tirava sotto di me… Finché mi morì tutto gonfio). E poi si tornava sui campi, e mi capitò anche di arare coi quattro buoi, invece non mi toccò mai di andare a mungere le mucche. Ah, quanto ho lavorato… Però non abbiamo mai patito la fame. Avevamo l’orto
Noi avevamo il forno da pane, metà paese veniva a fare il pane dai Mariuzzo, veniva perfino a prenotarsi, e il forno sfornava pane così buono… No, non abbiamo tribolato la fame, noi, in tempo di guerra… Non abbiamo neanche visto militari…
Non so com’era il paese, se c’erano poveri, io so solo che noi non abbiamo mai patito la fame. La Armida, andava dietro al pollame, e suo marito andava dietro all’orto, all’orto andavano dietro loro due, e poi lui veniva anche per i campi e noi donne una settimana per ciascuna facevamo i servizi e quando non li facevamo andavamo per i campi. Facevamo le formagelle, le faceva mia suocera, Tilio Tozzato me lo ricorda sempre, «Quante formagelle mi ha dato tua madre…»
Sulla tavola non mancava mai la verdura, patate, fagioli, tegoline, insalata pomodori. Il giovedì compravamo pesce, e poi avevamo salame sempre, due porzei all’anno, e vino buono.
Non c’era frigo, e consumavamo man mano. La domenica sempre il brodo. Il sabato si uccideva un capo o due di pollame e tutto andava mangiato, figuriamoci se buttavamo via qualcosa! Ma scherziamo? A me piacevano i radici e fagioli, i fagioli, che venivano messi a seccare, potevano essere mangiati in inverno. E mi piaceva la cipolla, anzi, lo scalogno. La sera andavo a prendere ’e scaeogne per buttarle sui radicchi e fagioli e veniva mia cognata Armida «E vutu magnarla tutta ti?» perché temeva che io me le prendessi tutte. «Prenditene anche tu, furba…» le dicevo. La suocera poi veniva a tocciare sul mio piatto, tanto era buono il sugo dei fagioli con lo scalogno..
La polenta sul fogher con la caliera appesa, poi sul tagliere e la si tagliava col filo, ed era polenta buona… Mangiare abbiamo mangiato, no posse dir de no…
[dai ricordi di Marcellina Carrer]

Il nuovo cappellano, don Paccagnan

L’8 luglio, venne a Croce, ad abitare nel ‘Palazzo’, il nuovo cappellano, don Mario Paccagnan. La Dirce Sforzin ancor ricorda la data del suo arrivo perché “giusto un mese prima” lei aveva perso la madre; ironia amara della sorte, era il padre che stava male, ancora in ospedale con la risipola che pareva dovesse morire e la moglie lo andava ad assistere tutti i giorni; e morì lei di peritonite fulminante.
Don Mario venne con tutta la famiglia: la mamma, il papà Antonio, il fratello Pietro e la sorella Antonietta. Il fratello Pietro veniva a casa, cioè a Croce, solo di tanto in tanto, perché lavorava come impiegato dalle parti di Treviso; “e le volte che veniva a casa discreditava un poco il fratello, perché andava in giro in bici con le braghesse rotte, insomma non aveva decoro da fratello di un prete” .
Il cappellano , buono, alto, magro, legò facilmente con gli abitanti del paese e con i vicini di casa. La sera, prima di ritirarsi, passava spesso a salutare gli Sforzin, che abitavano nella baracca dietro il Palazzo e si fermava a fare due chiacchiere con loro; lì veniva anche la signorina Mariuccia, la santola della siora Tosca, che abitava nella casa di fianco al ‘Paeazz’ e poi veniva la Bepa Zanina, che aveva l’abitudine di chiedere al padrone di casa: «Berto, cosa dìseo par doman?» «Luna in pìe, mariner sentà. No piove» rispondeva Berto. Chissà cosa voleva dire. Don Mario rideva, senza saper interpretare.
Il cappellano aveva ereditato dal predecessore l’orto ormai in rigoglio e perciò aveva necessità di tanto in tanto di passare dagli Sforzin per chiedere un badile o una vanga. Anche Toni, il padre del cappellano, passava spesso dagli Sforzin per chiedere in prestito il martello, o il badile, e poi dimenticava di riportarlo indietro e toccava sempre alla Dirce andare a richiederglielo.

In Africa si svolgeva la prima battaglia di El Alamein tra le forze italo-tedesche e quelle britanniche; il 4 luglio veniva bombardata Brema; il 9 giungevano in Russia altri contingenti dell’ARMIR per un totale di 230.000 soldati italiani, in gran parte impiegati sul Don.

Andé fora co ’a vecia! Accadde probabilmente nel luglio di quell’anno, durante la processione della Madonna del Carmine: gli uomini incaricati di portare a spalle la statua della madonna insistettero col parroco per portare in giro per le strade del paese la statua nuova, quella “in piedi”. Don Natale insistette perché portassero in giro la vecchia, più leggera in quanto di cartapesta e più stabile perché di forma seduta; da sempre si era portata in processione quella, perché rischiare con la nuova? La gente lo credette troppo affezionato alla vecchia statua, e insistette per la nuova; ma il paroco temeva che la notizia della processione con la madonna “in piedi” (una madonna nuova dunque) arrivasse in curia e non voleva dar adito a voci di aver comunque acquistato la statua, rinfocolando una polemica con la Commissione d’arte sacra che quella statua gli aveva bocciato; perciò il paroco insistette perché gli uomini portassero in giro la vecchia: «Andé fora co ’a vecia, andè fora co ’a vecia…» A nulla valsero le esortazioni del vecchio parroco. Gli uomini vollero uscire con la nuova e venne il diluvio.

Il 22 luglio iniziava la sistematica deportazione degli ebrei dal ghetto di Varsavia.

Il 9 agosto

IL PODESTÀ

veduto il R.D.L. del 14 luglio 1941 XIX N.° 646 relativo alla concessione di un assegno temporaneo di guerra ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni; considerata la necessità di dar corso alla sua applicazione […]; considerato che tale nuova spesa non può essere sostenuta dal bilancio comunale senza grave pregiudizio per gli stanziamenti del bilancio ordinario, al quale è stato applicato un disavanzo di amministrazione di L. 260.399.99 […]

D E T E R M I N A

di concedere a decorrere dal I° luglio 41 XIX e per tutta la durata della guerra ai dipendenti di ruolo e provvisori del Comune l’assegno temporaneo di guerra in conformità all’accluso prospetto e di chiedere corrispondente contributo del Ministero dell’Interno necessario di far fronte alla spesa di cui trattasi.

[Le colonne della tabella corrispondono alle seguenti voci: Qualifica - Se di ruolo o meno - Stipendio, indennità di servizio attivo paga o retribuzione annua al 30/6/1941 - Totale assegno temporaneo di guerra in ragione di un anno(*) - Quota mensile (a partire dal I luglio)]

Montagner Europeo	I° applicato	sì   12.127,04   1320,00	110,00 
Baron Giovanni		2° applicato	sì   11.324,73   1320,00	110,00
D’Andrea Giovanni	cursore		sì    8.046,37	 1284,00	107,00
Cattai Ermenegildo	scrivano	sì    6.747,00	 1154,00	 96,16
Bellese Riccardo	guardia		sì    5.162,00	 1096,00	 91,35
Pivetta Giovanni    custode cimitero	sì    3.564,00	  712,80	 59,40
Rizzola Cav.Uff.Dr.Filippo medico	sì   15.010,30	 1320,00	110,00
Pero Francesca		levatrice	sì    5.788,91	 1058,90	 88,25
Beraldo Ormenese Irma	bidella		sì	997,67	  199,40	 16,65
Luchetta Elisa		bidella		sì    1.341,30	  268,20	 22,35
Maschietto Teresa	bidella		sì    1.073,05	  214,60	 17,85
De Lazzari Teresa	bidella		sì    1.073,05	  214,60	 17,85
Sgnaolin Rocco Cesira	bidella		sì    1.073,05	  214,60	 17,85
Diral Carolina		bidella		sì    1.073,05	  214,60	 17,85
Bergamo Maria		bidella		sì	831,40	  166,30	 13,85
D’Andrea Teresa		bidella		sì	692,85	  138,55	 11,55
Bortoluzzi Luigia	bidella		sì	498,85	   99,75	  8,30
Davanzo Luigi		stradino	sì    8.472,00   1320,00	110,00
(*) pari al 20% sulle prime 4.800 lire più il 10% sulla quota eccedente le 4.800 lire fino alle 8.400.

All’elenco dei dipendenti bisognava aggiungere il segretario comunale, il ragionier Frasson Vittorio, il cui assegno di guerra era pari a quello dei due applicati. La levatrice di Musile, Baron Carlotta, era in pensione dall’inizio dell’anno. Non c’erano soldi nelle casse del comune.

L’11 agosto 1942, anno XX dell’Era Fascista, l’Amministrazione Comunale [Delibere del Podestà nn. 50-53] stabiliva nuove imposte sulle vetture, valide a partire 1943:

a)	vettura privata a 4 ruote con 2 cavalli £. 60
b)	vettura privata a 4 ruote con 1 cavallo £. 50  
c)	vettura privata a 2 ruote con 1 cavallo £. 40 
nuove imposte sui domestici
a)	per una domestica £. 25
b)	per una seconda domestica £. 50
c)	per ogni domestica in più £. 50
d)	per un domestico £. 75
e)	per un secondo domestico £. 125
f)	per un domestico in più oltre i due primi £. 200;
l’imposta è ridotta a metà quando l’unica domestica presti 
servizio per alcune ore della giornata.
E infine nuove imposte sui pianoforti e sui bigliardi
pianoforti £. 50
Bigliardi uso privato £. 125
Bigliardi uso pubblico £. 250



Don Natale bofonchiò per le tasse che avrebbe dovuto pagare per il suo dondò [=landò] a quattro ruote con 1 cavallo e per suo seret a due ruote. Commentò la notizia con Berto Sforzin che era tornato a far qualche lavoro saltuario in canonica.
In agosto si tenne anche il censimento bestiame.
In settembre veniva diramato il calendario scolastico che riportava le feste care al Fascismo.


Calendario scolastico 1942-1943 		(V)= vacanza
1/10/1942 – XX Inaugurazione A.S. e Leva Fascista. 
10/10 lun. 	Scoperta America (V) 
20/10 merc. 	Marcia su Roma (V)
1/11 Dom. 	Ognissanti
4/11 merc. 	Anniversario Vittoria (V)
11/11 		genetliaco di S. M. il Re Imperatore
8/12 		Immacolata Concezione (V)
Lezioni sospese da dom. 20/12 al 15/2/1943 XXI
19/3 		S. Giuseppe (V)
23/3 		Fondazione Fasci
21/4 		Natale di Roma
dal 22/4 giovedì al 26/4 lunedì Vacanze Pasquali
9/5 Dom. 	Anniversario Fondazione Impero
24/5 lun. 	Anniversario dichiarazione guerra
dal 28/5 ven. al 31/5 lun. festa ginnica Nazionale della G.I.L.
3/6 giov. 	Ascensione (V)
6/6 Dom.	Festa Statuto
24/6 giov. 	Corpus Domini (V)
28/6 		ultimo giorno di lezione
Esami dall’1 al 15 luglio sezione estiva, dall’1 al 30 settembre sessione autunnale.

Aule: Centro 6, Croce 4, Fossetta 2, Salsi 1, Castaldia 3


Foto del 22 settembre 1942

Dalla porta della casa dei Rigato, in piazza, davanti alla chiesa, per un periodo la moglie di mio zio Nino, fratello di mia mamma, vendette latte. L’attività continuò alcuni anni. Chi le portava il latte? I Mariuzzo e i Vendraminetto avevano vacche. Anche noi avevamo una vacca a casa, essenzialmente per noi, e avevamo anche un muss; anch’io sono andato via col muss.
[Dai ricordi di Toni Zanin]

Il 22 ottobre ottantacinque bombardieri pesanti britannici ‘Lancaster’ colpivano duramente Genova: era l’inizio di una serie di devastanti bombardamenti sulle città italiane. Il giorno dopo cominciava in Africa la Seconda battaglia di El Alamein; il 6 novembre i resti della Divisione Folgore, in ritirata da El Alamein, si arrendevano agli inglesi dopo aver distrutto le proprie armi rese inutili dall’esaurimento delle munizioni. La guerra volgeva al peggio. Le condizioni degli italiani anche.
Il ‘demente Pavanetto Giacomo’ veniva portato per la seconda volta in manicomio quell’anno, questa volta accompagnato dal messo comunale Bellese Riccardo.

Dopo l’episodio dei furti, don Natale non si fidava più di lasciare la canonica incustodita, perciò faceva in modo che in casa rimanesse sempre qualcuno: «Va’, va’ a tenderghe ’a casa…» diceva a Berto [Sforzin], il servitore, quando questi faceva per venir via dalla stalla, o per andare a casa, o per seguirlo a messa. Qualche volta lo diceva anche al nipote Claudio. «Va’ casa, pìcoeo, va’ casa a tenderghe â casa…» Del resto più di qualcuno girava per la canonica, chi per dare una mano a fare qualche mestiere chi per altro. A Berto don Natale affidava i lavori generici: sistemare lo stabulo e la caneva, rigovernare il cavallo o il maiale, cavar l’erba attorno la canonica o sgranar le pannocchie del quartese.
Talvolta Berto, col seret del paroco dava uno strappo anche alle donne che dovevano andare in ospedale a partorire, e poteva accadere anche di notte.

Quand’era a lavorare in canonica, mio papà [Berto] ne vedeva di poveracci che venivano a chiedere un franco d’elemosina: anche solo una scodella di cibo. Don Natale allora mandava Berto a prendere un po’ di grano nel graner o dell’altro: «Daje qualcosa…» diceva, oppure cavava una moneta dalla tasca.
Ce n’erano tanti che venivano a battere al vetro della canonica, soprattutto il giovedì, giorno in cui i poveri del Ricovero di San Donà venivano mandati fuori a camminare; e loro capitavano nei paesi vicini a chiedere carità. Ogni giovedì dunque, giornata dei poveri, don Natale raccomandava al nipote di non allontanarsi: «Vincenzo, mettete co na scudeeta de centesimi… ». La Maria quel giorno preparava da mangiare qualcosa in più, per i poveri. Ma i poveri non venivano tutti da fuori; ce n’erano tanti anche di Croce. La Irma Pitanea, per esempio, era sempre dal prete a chiedere elemosina. Anche Giovanni Rigato, che pure faceva il gagà e andava via col cappello bianco e pareva che avesse un sacco di soldi perché faceva il mediatore – li spendeva per le donne, dicevano le malelingue – spesso permetteva che la moglie Isetta, sotto mezzogiorno, andasse a bussare alla finestra della canonica a battere il trasporto, dove aveva il focolare; là la Maria o la Giulia davano sempre alla donna qualcosa da mangiare.
Io avevo conosciuto Claudio Barsi, il nipote del piovan, che veniva spesso a casa nostra in cerca di mio papà. Ti ho già detto che una volta, la prima volta che lo vidi, sua madre, la Maria, ci mandò una torta avanzata dalla congrega dei preti della sera prima; e un’altra volta ci mandò una pignatta di pastasciutta coi piselli: buonissima. Ci prendevano proprio per poveri, perché mio papà aveva un lavoro saltuario.
Per arrotondare mio papà andava a pescare, aveva un debito con Cuppini che gli aveva comprato le reti; in cambio mio papà doveva portargli il pesce il venerdì. Lo andava a pescare dappertutto perché i canali erano dappertutto puliti; alle Millepertiche, alla macchina, dove lavorava Giovanni Agostinetto; e quando Giovanni alzava la chiusa e veniva su l’acqua del Piave, Giovanni diceva: «Guarda Berto, che stasera, apro» E così mio papà faceva di quelle pescate.
A chi vendeva il pesce che pescava? Oltre Cuppini, tra i pochi che avevano i soldi per comprare pesce vi era la Bepa Zanina, che aveva cinque campi di terra alle Case Bianche, e il cui figlio Livio lavorava fisso. Livio aveva sposato la Maria Calderan e ne aveva avuto due figli, la Giuseppina e Toni. La Beppa Zanina aveva anche un altro figlio, Jonio.
[dai ricordi della Dirce Sforzin]

Tutti combattevano la propria guerra contro le restrizioni di guerra; il 15 dicembre le maestre Teresa Dalla Bella, Collarin Alice, Sorelle Fassetta di Musile scrivevano al Segretario del fascio: “Pregmo Sig. Segretario. Tirandola coi denti la legna ci potrà bastare fino a lunedì. […] Sperpero non ce n’è stato, ma massima economia”. Le maestre erano sempre le prime a dare il buon esempio: chiamate a dare un’offerta “pro combattenti”, versarono 5 lire Gina Buratto (Musile), G. Bigaro, L. Fassetta, C. Picchetti, G. Caimi, Lidia Fagherazzi (Guseo), Tosca Saladini, Zora Degli Antoni; Rina Siega, Ebe Lorenzetti; Alice Treu, Resy Ratti, E. Marino.

1943

Il 4 gennaio il podestà pagò le solite 2000 lire al Segretario del Fascio quale contributo per il Patronato Scolastico per l’anno in corso. La nuova procaccia del Comune era Damo Efides (avrebbe resistito fino a novembre), che però non veniva a prendere la posta a Croce. Il vecchio falegname Baron Enrico veniva pagato ancora 60 lire per ogni cassa da morto fornita per i defunti miserabili.

Il 14 gennaio 1943, alla Conferenza di Casablanca, Roosevelt e Churchill decidevano l’apertura del fronte europeo contro Hitler a partire dall’Italia meridionale, il “ventre molle d’Europa”. Diverse erano le valutazioni e gli interessi in gioco tra Stati Uniti e Gran Bretagna, ma comune era la consapevolezza che l’invasione della Penisola avrebbe favorito la caduta del fascismo. Il 18 gennaio i sovietici annunciarono di aver rotto l’assedio di Leningrado, mentre a Varsavia gli ebrei si rivoltavano nel ghetto.
Lo stesso giorno il podestà di Fossalta inviava a quello di Musile il carico della spesa sostenuta dal suo Comune per il trattamento economico ai sanitari agli effetti della ripartizione della spesa per l’anno 1942:


Dr. Alessandro Da Re 
Stipendio e assegni lordi 1942		L.  18019,=
assegno temporaneo di guerra 		L.   1320,=
trattamento di famiglia 		L.   2106,35
supplenza dal 29/7 
al 9/8 1942 Dr Adilarsi 		L.    480,=
assegno per servizio Croce		L.   3000,=
Cassa di previdenza di parte Comunale	L.   1000,=
			        Totale Lire 25925,35 
Penzo Emilia levatrice 
Stipendio e assegni lordi anno 1942	L.   5955,85
assegno temporaneo di guerra 		L.   1055,25
trattamento di famiglia 
(coniugata con 6 figli) 		L.   3163,30
assegno per servizio Croce		L.   1000,=
Cassa di previdenza di parte Comunale	L.    495,=
			       Totale Lire  37594,75 
1/3 del carico da applicarsi al Comune di Musile. L. 12731,60.
[…]Tenuto conto del versamento della I quota di L. 6278 effettuata il 31 luglio 1942, codesto comune deve versare ulteriormente l’importo di L. 6453,60.

Il 23 gennaio i britannici occupavano la città di Tripoli e le forze italo-tedesche erano costrette a ripiegare in Tunisia. Il 26 in Russia le forze italiane impegnavano quelle sovietiche nella Battaglia della Nikolaiewka per evitare l’accerchiamento.
Il 2 febbraio finiva la Battaglia di Stalingrado con la resa della VI armata del Feldmaresciallo Paulus.
Il 5 febbraio Mussolini assumeva direttamente il ministero degli esteri e l’esonerato Ciano veniva nominato ambasciatore presso il Vaticano. L’11 febbraio Il generale Eisenhower veniva nominato comandante delle forze alleate in Europa Il 18 febbraio la Gestapo arrestava i membri della Rosa Bianca, che venivano giustiziati quattro giorni dopo.
Il 1° marzo in Italia veniva ridotta del 25% l’erogazione dell’energia elettrica e il 5 a Torino iniziava lo sciopero degli operai della Fiat Mirafiori: in pochi giorni centomila lavoratori incrociarono le braccia nella prima grande ribellione operaia che si sarebbe estesa presto in tutte le fabbriche del Nord; rappresentò il primo, vero e corale, episodio della Resistenza antifascista.

L’8 marzo una notizie triste attraversò il paese:

La repentina scomparsa di
SANTINA BERTON GRANZOTTO
Insegnante benemerita a riposo
Medaglia d’Oro
Modello esemplare di moglie, provetta educatrice di ben tre generazioni, tutta si dedicò a Dio, alla famiglia, alla scuola profondendo nel solco dei cuori seme fecondo con fecondi frutti. Dolce, suadente, generosa e modesta, donna eletta e caritatevole, fu da tutti amata e rispettata.
Lo sconsolato marito, schiantato come da fulmine, solo e chiuso nel suo dolore piange e prega.
Pregate per lei, e lei dal cielo pregherà per voi .

La Madonna nuova se ne sta nascosta

I parrocchiani si lamentavano perché sull’altare della Madonna del Rosario essi continuavano a vedere la madonna vecchia, quella seduta, che la Maria, nipote del paroco, aveva provveduto a rivestire i nuovi abiti. Un motivo c’era.

 
Ill.ma e Rev.ma  Curia Vescovile
per la Commissione d’arte sacra
				Treviso
L’anno scorso io sottoscritto mi sono rivolto alla Ditta Ferdinando Demetz Ortisei Gardenna [Val Gardena] per l’acquisto d’una statua in legno della Madonna del S. Rosario con bambino.
La statua non fu approvata da cotesta On. Commissione, per cui l’ho rimandata all’autore.
Ora prego Cotesta On. Commissione del favore di indicarmi una Ditta cui possa rivolgermi al medesimo scopo, senza essere ingannato sia pel lavoro, come pel prezzo.
Con stima ed ossequio.
Croce di Piave 15 Aprile 1943
(S. Donà – Venezia)

Dev.mo paroco
D.n Natale Simionato

Il Chimenton, irritato, aggiunse in calce:

Tutte le ditte sono rispettabili e non ingannano: bisogna però saper ordinare. Ora questa Commissione non può dare la sua approvazione se prima non esamina il bozzetto in legno, ovvero la fotografia di un bozzetto in plastica.
Se vuole, può scrivere anche alla Ditta Demetz – oppure, se crede, per suggerirle un nome, al Sig. Vittorio Moroder Scultore – Ortisei. O al Sig. Giacomo V. Moroder Scultore Ortisei 240 (Bolzano)

Spendere nuovi soldi... e quanti? Non era il caso, pensava don Natale.

Alle numerose occasioni di dolore si inframmezzavano ogni tanto quelle di festa: in casa del nonzolo il 29 aprile 1943 si festeggiava il matrimonio della figlia Assunta. Ma l’atmosfera generale era di fame e ristrettezze. In maggio 1943 anche l’acquisto di una macchina cucitrice per il razionamento consumi diventava un affare di Stato: il comune non poteva ascriverla tra i beni del Comune: “Poiché essa è stata rimborsata dalla Stato, essa è di proprietà dello Stato”, aveva spiegato un funzionario della prefettura. Solo che lo Stato non l’aveva ancora rimborsata. Erano più le carte che giravano che i soldi. La crisi era generale. Il 24 giugno, in un discorso ai gerarchi, reso pubblico solo alcuni giorni dopo, Mussolini dichiarava che un eventuale sbarco degli alleati sarebbe stato bloccato «su quella linea che i marinai chiamano del bagnasciuga». Intendeva dire “sulla battigia”. I puristi colsero l’occasione per mostrare che l’infallibile Duce era perlomeno sgrammaticato: per l’immagine del capo fu peggio che una battaglia perduta. Il cattivo presagio puntualmente si avverò in luglio con gli sbarchi delle truppe alleate in Sicilia.

L’Italia di Mussolini perdeva i primi pezzi e don Mario Paccagnan perdeva i primi pomodori. Una sera la Dirce, “essendo che i pomodori suoi, dovendo crescere all’ombra del ‘paeazz’, venivano maturi sempre più tardi di quelli del cappellano”, glieli andò a rubare. La mattina dopo andò a prendere acqua alla fontanina presso la statua del bersagliere, e mentre appoggiava il secchio alla vera della fontana, don Mario le andò incontro: «Quanta conserva hai mangiato stanotte?» le chiese. La Dirce divenne tutta rossa in viso, convinta di essere stata scoperta; ma don Mario l’aveva detto perché lei s’era messa il rossetto sulle labbra; fin da bambina la Dirce aveva avuto il gusto di mettersi il rossetto, e lo faceva spesso ma lei quella volta pensò che il cappellano si riferisse ai pomodori e divenne tutta rossa.

Il 4 giugno 1943 Sforzin Giulio [Berto] presentava la sua “Specifica lavori di pulizia ai locali medici di Croce e manutenzione degli stessi L. 60”, e firmava con mano tremante di chi non ha confidenza con la scrittura.
Della pulizia delle scuole di Croce (luglio ’43) le bidelle incaricate erano la Teresa Maschietto a Croce e la Regina De Lazzari alla Fossetta.

Il 13 luglio don Natale scisse sul registro dei morti: “Calderan Elisa fu Luigi di anni 69 ieri è morta alle 4 pomeridiane per emorragia cerebrale”. Viene qui registrata solo perché è una delle bisnonne dell’autore. Da quel giorno il marito Andrea Dariol non fu più lo stesso.

Nonostante Roma fosse stata dichiarata “città aperta” il 19 luglio gli Alleati bombardavano il quartiere di San Lorenzo e il papa usciva dal Vaticano e si portava sul luogo delle distruzioni. Il 21 Mussolini incontrava Hitler a Feltre, senza riuscire a ottenere nuovi aiuti per difendere la Sicilia. Con Vittorio Emanuele III, il Duce però si mostrava sicuro che i tedeschi avrebbero vinto grazie alle «armi segrete» che stavano preparando.

Cade il fascismo

Una settimana dopo Il 25 luglio 1943 il Gran Consiglio del Fascismo mise in minoranza Mussolini votando l’ordine del giorno Grandi e costringendolo alle dimissioni; contestualmente Mussolini veniva arrestato e il potere affidato al Maresciallo d’Italia Generale Pietro Badoglio. La radio trasmise la notizia al paese alle 22,45. Era l’epilogo della dittatura fascista in Italia. Il giorno dopo la Wermacht occupò l’intero Sud Tirolo mentre la notizia della caduta di Mussolini cominciò a circolare provocando dimostrazioni di gioia in molte parti d’Italia. Scoppiò la gioia anche in paese, una gioia timorosa…

A Croce si balla. Jonio Zanin aveva raccolto l’eredità di Attilio Guseo e si dava da fare per far divertire e ballare il paese. Davanti all’agenzia di Cuppini c’era una piattaforma, ovvero uno spiazzo quadrato cementato, con un cordolo tutto attorno, il posto dove in autunno si mettevano a seccare le foglie di tabacco o le balle di fieno. In primavera e in estate era libero e si ballava. Jonio Zanin ci capitava con il nipote Tonin preso per mano, di neanche quattro anni.

Il 27 luglio Badoglio dispose lo scioglimento del Partito Nazionale Fascista. Al quartier generale di Hitler si preparavano intanto i piani per l’occupazione militare dell’Italia, il disarmo delle sue truppe e la liberazione di Mussolini. Nuove truppe tedesche venivano fatte affluire in Italia.
A metà agosto gli Alleati, con un massiccio bombardamento, distruggevano Terni e il centro di Milano.
Il 17 la VII armata americana raggiungeva Messina, seguita dopo poche ore dall’VIII armata britannica, sancendo così la completa conquista della Sicilia. Nella Conferenza di Quebec (17-24 agosto) Roosevelt e Churchill decidevano l’invasione della penisola italiana (oltre che lo sbarco nelle Filippine e la costruzione della bomba atomica).
Caduto Mussolini, i fascisti si guardavano attorno: e adesso, che si fa? sembravano chiedersi l’un l’altro. I ricchi nascosero le ricchezze e gli uomini di potere si fecero da parte, almeno momentaneamente, pronti, a rientrare in scena una volta capiti gli sviluppi della situazione. Il 28 agosto il Cavalier Cuppini firmò la sua ultima delibera che trattava questioni di ordinaria amministrazione e si ritirò a governare i suoi interessi privati.
Il 3 settembre gli Alleati sbarcavano sul continente, mentre a Cassibile veniva firmato l’armistizio tra il Generale Castellano, inviato del Generale Badoglio, e il Comando Alleato: sarebbe passato alla storia come l’armistizio «corto»; quello «lungo» conteneva clausole che non furono subito rese note. Nei giorni successivi, mentre si definivano con precisione queste clausole più precise, che il governo italiano aveva interesse a mantenere segrete il più a lungo possibile onde parare le mosse della reazione tedesca, gli alleati le annunciarono a sorpresa: era l’8 settembre. Badoglio comunicò per radio alla nazione la cessazione delle ostilità. I generali italiani, senza ordini da giorni, furono presi alla sprovvista. L’esercito italiano, rimasto senza comandi, si disfece come burro. Nella percezione degli abitanti del paese la guerra finì quel giorno, ed esplose la gioia generale. La Franca Guseo, signorinetta di tredici anni, andò incontro al padre che tornava in bicicletta da lavoro. «Papà, papà, è finita la guerra». «No – le rispose il padre Antonio – adesso verrà il brutto» e il sorriso si spense sulla faccia della figlia.
Nei giorni successivi, mentre i soldati dell’esercito, senza comandi, cercavano con mezzi di fortuna di tornare al proprio paese , l’Italia si trovava in guerra - non dichiarata - con la Germania. E gli italiani avrebbe assaggiato il peggior gusto di quella che rimaneva da combattere. I membri della corte reale e gli esponenti del governo erano già scappati a Pescara, e da lì salpati alla volta di Brindisi. Gli Alleati sbarcavano a Salerno e Taranto. Veniva creato il Comitato di Liberazione Nazionale. In Comune a Musile al podestà subentrò un commissario prefettizio: Nicola Bizzaro. L’11 settembre il generale tedesco Kesselring, comandante delle forze di occupazione, dichiarava il territorio italiano sotto controllo tedesco «zona di guerra»; il giorno dopo Mussolini veniva liberato dalla prigionia sul Gran Sasso e trasferito con un aereo in Germania. Il 16 settembre le truppe del maresciallo inglese Montgomery e quelle del generale statunitense Clark si ricongiungevano a sud di Battipaglia. Il Reich tedesco si annetteva le province di Bolzano, Belluno e Trento, destinate a formare la regione del Voralpenland, e quelle di Udine, Gorizia, Trieste, Pola, Fiume e Lubiana che andranno a formare la l’Adriatisches Küsterland. Il 18 settembre Mussolini, parlando da Radio Monaco, annunciava la costituzione del Partito fascista repubblicano.

Cominciavano a ritornare in paese i crocesi che erano via soldati.

Leggi in proposito il racconto di Nane Moro che dalla guerra
inserito nelle Dodese storie in Crose.

Qualcuno invece non riesce a tornare.

[Dai ricordi di Romeo Ormenese]
... xe giorni che se fèa ’e bataglie co Tito e i partigiani sui, un casin, insoma, ma na parte de lori i iera vegnùi coi italiani, parché lori no i gavea gnente da darghe da magnar, inveze i nostri sì, e alora un giorno ’a division nostra, che i l’avéa ciapàda tuta quanta, i ne ga ciapà tuti: “Consegnate le armi!” In quel momento mi no jere pì dei guastatori, che te iera in artiglieria, iere in fanteria là.
E alora in artiglieria iera uno da Noventa de Piave, ma l’abita a Mestre, e lu iera in fureria, e sto qua l’ha dito: Bisogna star atenti, parché qua i porta via i Italiani, i li ciapa, i li porta via e i li copa... i Italiani... sto Tito.
Niente ciò... che un bel momento xe vegnù i Tedeschi, che i Tedeschi in 24 ore - i iera tosatèi de quindese ani che guidéa i cararmati - i ha ciapà tuta ’a divisione, e ora là l’é vegnù un treno, na note ven dormìo so na busa, e me son ritrovà butà sul treno cussì come ’e bestie, te véa da far un bisogno qua e là sul tavoeón, inpenìa i vagoni so on canton, che i gavesse bisogno; i asséa libero un canton, te gà da far a cacca, me capissitu, niente. E dopo, el giorno dopo, riva un treno che no so quanti vagoni el gavéa, carica su migliaia de persone, migliaia, tuta la divisone completa; e sen partìi. Sen partìi che sen nati par l’Austria, no in Austria, come se ciaméa...

In settembre si verificarono i primi episodi di resistenza e le prime stragi naziste in Italia. Il 23 settembre fu costituita la Repubblica di Salò. Il governo era così formato: Guido Buffarini-Guidi (ministero degli Interni), Antonino Tringali Casanuova (Giustizia), Domenico Pellegrini Giampietro (Finanze, Scambi e Valute), Maresciallo d’Italia Rodolfo Graziani (Difesa nazionale), ammiraglio Antonio Legnani (sottosegretario per la Marina), comandante Ernesto Botto (sottosegretario per l’Aeronautica), Silvio Gay (Economia corporativa), Edoardo Moroni (Agricoltura), Giuseppe Peverelli (Comunicazioni), Carlo Alberto Biggini (Educazione nazionale), Fernando Mezzasoma (Cultura popolare). Membro di diritto del governo fu nominato il segretario del Partito, Alessandro Pavolini. L’esercito, formato inizialmente da circa 180.000 uomini che non accettarono la capitolazione e che decisero di continuare a combattere accanto ai tedeschi, in seguito avrebbe raggiunto il numero di circa 800.000 uomini tra ufficiali e soldati.

Il 29 settembre il Commissario Prefettizio del Comune di Fossalta sollecitava il Comune di Musile all’emissione dei mandati di pagamento relativi al saldo della quota per il servizio Condotta Croce anno 1942 (erano rimaste da pagare L. 174,95) e della quota I semestre 1943 (L. 6667.30).

L’apprendista muratore Fregonese Egidio presentava la fattura dei vari lavori eseguiti nel palazzo comunale. Era datata “7/8/1943”, ma forse la data si riferiva al primo lavoro della lista, o forse l’8 è da intendersi per 8bre, una dimenticanza di Egidio: balzano infatti all’occhio i lavori di “dimulizione”, degli stemmi reali probabilmente, dopo la nascita della Repubblica di Salò.

4. Una serratura gabinetto completa a due ordini	L. 35
[…]
6. Tincitura parole uffici comune con calce e colori 	L. 45
7. Dimulizione stemma nel palazzo 			L. 25
8. Otturatura buchi con malta comune.			L. 15
9. Dimulizione stemma piedestallo piazzale
e otturatura buco con malta di cemento			L. 45
10. Dimulizione stemma scuole centro			L. 25
[…]
12 Dimulizione stemma scuole Croce			L. 25
[…]
15 Dimulizione stemma monumento scuola castaldia	L. 35
[…]
20 Dimulizione stemma ufficio postale

Diavolo e miracoli

Il 13 ottobre l’Italia di Brindisi dichiarò guerra alla Germania nazista e diventò cobelligerante a fianco degli Alleati. Il 16 ottobre il commissario Bizzaro pagava i lavori eseguiti per conto del Comune da Fregonese Amedeo muratore, da Fregonese Vittorio falegname e da Fregonese Egidio apprendista muratore. Lo stesso giorno dal ghetto di Roma furono deportati 1022 Ebrei. Il diavolo si era impossessato della storia italiana. Ovviamente il diavolo non dimenticava di portare avanti le piccole attività quotidiane nei piccoli paesi: a Croce la mamma di Guido Sarto da giorni “si sentiva” di partorire e non era capace di partorire, e in ospedale non voleva andare; allora mandarono a chiamare don Natale, che entrò nella stanza dove la donna era a letto e disse: «Aprite porte e ‘belconi’ [imposte] che qui c’è un diavolo…» e furono aperte le porte e le imposte e tutti uscirono e la donna finalmente partorì, nel senso che urlò e uscì l’acqua ed ella ebbe tutto il suo travaglio, ma nessuno vide niente. Si trattava di una gravidanza isterica; allora si diceva che la donna era piena di luna. Per coloro che erano tornati a casa, la vita si presentava quanto mai incerta. L’unica certezza erano i miracoli di don Natale.

Quando ero appena venuto a casa da militare, dopo l’8 settembre, me cugnada, ’a Donadea, mi raccontò che in casa erano nati i porcellini, che però non volevano mangiare; «varda che bei porzeeti, ma no i magna… » aveva detto alla suocera. La suocera le diede una gallina da portare al prete, per avere in cambio una benedizione. Me cugnada Donadea andò da don Natale e gli disse quello che le aveva detto di dire la suocera: «Mia suocera mi ha dato questa gallina perché a casa i porcellini non mangiano, ormai da diversi giorni.» «Se no i magna vol dir che non i gavarà fame. Va là, va là … te vedarà che quando che te va casa i magna» rispose el Paroco. Tornata a casa i porcellini mangiavano con tanta furia che se non stavi attento ’i te magnéa anca ti.
[Dai ricordi di Nane Moro]

Il 19 novembre Mussolini ricostituiva la Milizia fascista formata da 100.000 volontari e la X MAS formata da 4.000 incursori. La Repubblica di Salò il 1° dicembre assumeva il nome di Repubblica Sociale di Salò. Tutti gli ebrei dovevano essere trasferiti nei campi di concentramento.

In dicembre con l’uscita di scena della Damo Efides, il Comune aveva rimediato a fatica una nuova procaccia, Marin Margherita: ma quanto avrebbe resistito con turni di lavoro massacranti e paga irrisoria la nuova assunta? Il pittore Carlo Girardi (abitante in “via dietro caserma S. Donà di Piave”) presentava la sua fattura al Comune per le scritte realizzate nella sede del Fascio, all’interno dl palazzo comunale.

addì  9 – 12 – 1943
					Comune di Musile di Piave

Lavoro fatto nella sede del Fascio

Dato tinta a cola  a N° 3 uffici e un corridoio a tinte variate            £. 500.00
Dato due mani di coloritura a olio con stuccatura a una cassa porta, £. 120.00
Messo requadro alla cassa, e messo pure 
      un specchio di compensato a un armadio,                     £. 50.00
Dato mordente a due mani di vernice filating a un armadio,     £. 50.00
Fatto ischrizioni negli uffici con le seguenti motivazioni:
   Ia  La camicia nera è una tenuta di combattimento,
  IIa  Credere – obbedire – combattere 
 IIIa  Il gerarca deve avere in sé moltiplicate quelle virtù che egli esige dai gregari
 IVa  Voi siete l’aurora della vita voi siete soprattutto l’esercito di domani
  Va  Andare verso il popolo
 VIa  P.F.R. La patria non si nega la patria si conquista
Sillabe N° 247 a £. 2.50 al’una importa
	Ischrizioni 			£. 617,50
	Uffici				£. 500,00
	Cassa porta			£. 120,00
	Requadro ecc.		£.   50,00
	Armadio				£.   50,00
		Totale      	      £.  1337,50

La TODT

A partire dallo stesso giorno (9 dicembre 1943) la Todt prendeva in affitto la villa dell’avvocato Gastone Ascoli in centro a Musile (nel luglio ’44 risulterà ancora lì). L’Organizzazione Todt (OT), creata da Fritz Todt, ministro degli armamenti e degli approvvigionamenti, era una grande impresa di costruzioni che aveva operato dapprima nella Germania nazista e poi in tutti i paesi occupati dalla Wehrmacht arrivando ad impiegare il lavoro coatto di più di 1.500.000 uomini e ragazzi. Il principale ruolo dell’impresa, che operava in stretta sinergia con gli alti comandi militari, era la costruzione di strade, ponti e altre opere di comunicazione, vitali per le armate tedesche e per le linee di approvvigionamento, così come della costruzione di opere difensive: in Italia la Linea Gustav e la Linea Gotica sarebbero state alcuni significativi esempi delle opere realizzate dalla Todt. A fronte di un esiguo numero di ingegneri e tecnici specializzati, gran parte del “lavoro pesante” era realizzato da un’enorme massa di operai (più di 1.500.000 nel 1944), molti dei quali prigionieri di guerra. La presenza della TODT a Musile indicava che anche per gli abitanti del Comune era giunto il momento di lavorare per i Tedeschi.
Nel disastro militare, politico ed economico l’inflazione galoppava e l’11 dicembre il commissario Bizzaro deliberò l’aumento del 30% degli stipendi dei dipendenti comunali, ma qualche giorno dopo, il 24 dicembre 1943, Bizzaro fu sostituito dal nuovo commissario prefettizio: Luigi Fadalti, più gradito ai governanti di Salò. Sui registri delle deliberi comunali comparve l’inchiostro rosso.
Il commissario Fadalti provvide subito a mettere in conto al Comune i suoi viaggi a Venezia a partire dal 6 settembre 1943 (ancor prima dell’8 settembre dunque!). Tra le entrate del Comune (come per l’anno precedente) vi erano le 30 lire pagate da Dianese Angelo per lo sfalcio dell’erba lungo la sommità dell’argine San Marco dal casello di Croce fino al confine di Fossalta, le 100 lire pagate da Pivetta Angelo che teneva pulita la strada Fossetta fino all’imboccatura della Triestina e le 200 lire pagate da Fregonese Amedeo che s’occupava della Strada del ponte del bosco, dalla chiesa alla Triestina.

Fidanzamento della Dirce. Vincenzo “Claudio” Barsi, il nipote di don Natale, e la Dirce Sforzin si fidanzarono negli ultimi mesi del ’43, quando avevano 16 anni e mezzo lei e 18 lui. A dire il vero la Dirce all’inizio non ci pensava neanche a fidanzarsi con Claudio. Anzi, aveva confidato a don Mario di volersi fare suora; la vocazione, o l’idea, le era venuta sei anni prima quand’era stata parecchio male e aveva fatto sei mesi d’ospedale, e in ospedale aveva visto “tutte quelle suore che si occupavano amorevolmente dei malati e [la] portavano con loro in giro per l’ospedale a portare la comunione ai ricoverati” e lei se n’era fatta un’idea grande. Ma don Mario in un’occasione le aveva detto che avrebbe fatto meglio a occuparsi dei fratellini, visto che erano senza madre e che Maria, la sorella più vecchia della Dirce, di due anni, non s’occupava della famiglia perché era via a lavorare, presso il comando militare insediato a Villa Ca’ Zorzi a Noventa, e toccava alla Dirce stare con i fratellini più giovani, Luciano, Bruno, la Luciana e la Bruna.
Dal momento che glielo diceva don Mario, la Dirce non ebbe difficoltà a lasciarsi andare al sentimento per Claudio, che sin dal primo incontro gli era parso un ragazzo buono, caritatevole e altruista. Sei mesi dopo che si fu messa con lui venne a sapere che Claudio in verità si chiamava Vincenzo, anzi Vincenzo Natale, ed ebbe un attimo di titubanza; dubitò di lui; ma il ragazzo non aveva mentito perché tutto il paese lo conosceva per ‘Claudio’ e lo identificava anzi maliziosamente per il difetto fisico alla spalla: “el gobét”. «Cossa spositu, ti, na bea tosa cussi…» le dicevano le amiche e “lei le avrebbe prese a pugni perché Claudio era invece simpatico e gentile, e non usava le parolacce come gli altri ragazzi del paese: si vedeva che veniva dalla città!”

L’accomodamento con l’invasore fu generale e quasi necessario. Forse perché dal pulpito don Natale non prendeva netta posizione contro fascisti e invasori nazisti, don Natale dovette subire l’umiliazione una domenica mattina di trovare (era fine autunno? era già inverno?) distribuiti sul piazzale della chiesa alcuni volantini denigratori nei suoi confronti. Ne raccolse uno, lo lesse, lo portò con sé in sacrestia e dato che molte donne avevano raccolto e letto non poté non parlarne durante la messa. Non sappiamo cosa ci fosse scritto sul volantino, i ricordi dei paesani in proposito sono confusi, ma il tono e il senso, quelli ci sono giunti, deridevano l’atteggiamento del paroco; e anche il tono e il senso della risposta di don Natale dal pulpito ci è noto: «Risponderanno molto presto a Dio di quello che hanno fatto coloro che mi hanno fatto sì tanto male…».
Si diceva che tra i responsabili della bravata ci fosse Ernestino D’Andrea, il figlio di Giovanni, l’ex guardia che ora lavorava in Comune. Ernestino si era messo coi partigiani. A proposito di Comune: in quel 1943 si era tenuto un concorso per I applicato di segreteria vinto da (Ermene)Gildo Cattai.

Partigiani (parte I)

Ernestino D’Andrea era uno dei capi di quella che la questura indicava come la “cellula comunista” sandonatese, nonché il comandante delle tre squadre Gaf “gioventù antifascista” [in realtà Gap, gruppi di azione patriottica], che secondo la Gnr esistevano sul territorio. Fu coinvolto in quei giorni nell’organizzazione di alcuni attentati ben più pericolosi del lancio di volantini in piazza Croce, se mai l’aveva commesso lui: l’11 dicembre, con altri compagni, aveva fatto esplodere un ordigno presso la Casa del Fascio di San Donà e, sempre con quelli del suo gruppo, stava organizzando un altro attentato clamoroso: il 30 dicembre sarebbe esploso un altro ordigno su di un vagone di un treno sulla linea ferroviaria Ceggia-San Donà.
Anche Giuseppe Guerra (il figlio di Santo, che abitava nella baracca dietro le scuole elementari) era coi partigiani, ma lo si sarebbe scoperto solo a guerra finita…

1944

Al vescovo continuavano a giungere denigrazioni sul conto di don Natale e sul grado di “disordine” della parrocchia: don Natale non teneva alla larga i comunisti, anzi celebrava i loro matrimoni in chiesa e dava loro la comunione; e poi continuava a “far miracoli” alimentando le femminili superstizioni di un popolo che, in tali frangenti di guerra, meritava un maschio esempio. Di tali voci monsignor Chimenton era il convogliatore presso il vescovo. Per questo il 4 gennaio 1944 giunse in parrocchia monsignor Saretta, vicario foraniale, mandato dal vescovo in ispezione. Il “vescovo del Bassopiave” di tutto s’informò e su tutti i registri appose il suo visto. Che cosa si dissero l’anziano parroco e il venerato Saretta?

Quattro giorni dopo si sposava una delle figlie dell’ex podestà Cuppini e della contessa Morosina, la Ester Angelina, con il dottor Mario Domenico Candida di Molfetta. Uno dei testimoni era il Colonnello Riccardo Gioia che aveva appena voltato la boa dei sessant’anni e per un giorno poté mettere da parte le preoccupazioni della guerra. La sposa giunse sul piazzale con la carrozza di famiglia e tutti i bambini del paese erano lì ad ammirarla, così come andavano ad ammirare tutte le spose che giungevano felici alla chiesa nel giorno più bello della loro vita. In quei giorni la guerra sembrava lontana, ma stava per giungere in paese.

Mussolini, da Salò, nel tentativo di recuperare il consenso degli operai delle grandi città industriali del nord, proclamava la “socializzazione delle aziende”, mentre a Verona il Tribunale speciale della RSI condannava a morte i 18 membri del Gran Consiglio del Fascismo che cinque mesi prima avevano votato l’ordine del giorno contro il Duce. L’11 gennaio furono fucilati Ciano, De Bono, Gottardi, Marinelli, Pareschi, mentre gli altri tredici condannati si davano alla fuga.

Il 18 gennaio 1944 don Natale poté firmare l’atto di compravendita del “Palazzo”.

Lo stesso giorno la Repubblica Sociale Italiana ordinava il rastrellamento degli ebrei. Il 22 gennaio gli Alleati lanciavano l’assalto ad Anzio.

Ma di altri tredici - che non riuscirono darsi alla fuga - conviene ora parlare: furono arrestati in quei giorni 13 partigiani “sandonatesi”, tra i quali v’era Ernestino D’Andrea, il figlio di Giovanni del casello. Un documento della Questura di Venezia del 22 gennaio 1944, firmato dal capo della provincia Cagetti, riporta il motivo della cattura di sette di loro (Ernesto D’Andrea, Venceslao Nardean, Francesco Biancotto, Violante Momesso, Angelo Gressani, Giovanni Tronco, Giovanni Tamai): Arresto di elementi costituiti in cellula comunista e divisi in tre squadre di azione della gioventù antifascista in S. Donà di Piave di Piave responsabili anche di attentati terroristici ed atti di sabotaggio nonché in possesso di armi, munizioni ed esplosivi. In particolare erano accusati delle due esplosioni citate qualche pagina fa; inoltre furono trovati in possesso di altri. Degli altri (Attilio Basso, Stefano Bertazzolo, Giovanni Felisati, Enzo Gusso, Gustavo Levorin, Amedeo Peruch) le testimonianze che ci sono giunte dicono che furono arrestati per motivi analoghi. Furono interrogati, qualcuno picchiato, quindi portati nel carcere di S. Maria Maggiore a Venezia. Ernestino D’Andrea aveva trent’anni, essendo nato nel 1913. Faceva l’operaio in una fabbrica di Marghera. Iscritto al partito comunista da anni, era il capo della “cellula” comunista di S. Donà di Piave; era stato il primo organizzatore partigiano della zona, nonché comandante del primo Gruppo di Azione Patriottica (GAP). Aveva preso parte, come comandante, a parecchie, rischiose imprese ed era riuscito a sottrarre ai tedeschi una grande quantità di armi. Gli uomini sotto il suo comando avevano in lui una fiducia illimitata perché era sempre in prima linea in tutte le azioni di guerra. Quando fu arrestato dovette rispondere delle accuse che abbiamo su riportato.

PREFETTURA DI VENEZIA

Per disposizione del Ministero dell’Interno e fino a nuovo ordine, qualunque ciclista o Pedone sorpreso a circolare nel territorio della Provincia in possesso di armi da fuoco, senza regolare autorizzazione delle Autorità competenti, sarà immediatamente passato per le armi sul posto.

Venezia, 30 Gennaio 1944 XXII

IL CAPO DELLA PROVINCIA
CAGETTI

Dovunque era la fame. I poveracci si arrangiavano come potevano e i furti, che nonostante i proclami del Regime non erano mai diminuiti, continuavano, se possibile, più numerosi; in barba ai proclami di fucilazione immediata.

In gennaio figurano altri lavori eseguiti da Fregonese Amadeo per il Comune.

Accusato di non dire nulla contro i Tedeschi, di essere troppo tollerante con i Comunisti, don Natale continuava a soccorrere con le sue preghiere e le sue benedizioni la madre il cui figlio non stava bene, la contadina alla quale i puissatti [=donnole] mangiavano tuti i pitussi [=pulcini], la famiglia cui le formiche infestavano i bachi. Don Natale rassicurava e pregava, pregava e rassicurava; e qualche canale diretto con Dio doveva averlo se tanto spesso da Lassù veniva ascoltato.
In Curia accusavano il paroco di alimentare le superstizioni, ma coloro che venivano beneficati davano volentieri qualcosa in cambio, una gallina, un galletto, eh già, ci voleva un’offerta perché le benedizioni avessero effetto; e gallina dopo gallina erano caponere [=gabbie] che si riempivano, che poi il nonzolo Piero andava a rivendere a Fossalta.

Ma la storia dei furti in canonica tormentava la coscienza di don Natale. Le indagini erano proseguite e avevano come indiziati principali proprio loro, i pronipoti, e addirittura la nipote Maria; lo zio stentava a crederlo. Tentò di difenderli sino all’ultimo, dicendo che i soldi poi erano stati ritrovati, che li aveva nascosti lui stesso sotto una poltrona e non si ricordava più d’averli messi lì, ma per gli inquirenti era una bugia pietosa.

Il 10 febbraio il podestà pagò le usuali 2.000 lire al Segretario del Fascio quale contributo al Patronato Scolastico per l’anno in corso. Il 15 febbraio cominciava la Battaglia di Monte Cassino con la distruzione dell’Abbazia di Montecassino, erroneamente ritenuta base tedesca: accadeva lontano ma era un dramma mondiale. Il generale inglese che diede l’ordine di bombardarla era un acceso protestante antipapista.
Gli aerei volavano sempre più spesso sulle teste dei crocesi. Da marzo sono registrati i pagamenti (50 lire al dì) a Cibin Virginio, Davanzo Giosuè, Bulo Giuseppe e Visentin Augusto per il servizio di vigilanza ferroviaria. La retribuzione del servizio avveniva ogni quindici giorni. In giro per il Comune comparivano i manifesti voluti dal Comando Militare Germanico:

R I C O M P E N S A
Ogni italiano, che indicherà per primo al più vicino posto del Comando Germanico l’ esatta posizione di un Aeroplano Abbattuto nostro o nemico, otterrà un premio di Lire 300.– o più, in casi speciali.

Un senso quasi wagneriano di tragedia e morte investiva l’Italia tutta. Di chi era la colpa? Dei traditori, dei disfattiti, dei terroristi, del re. Il podestà Fadalti, recependo una direttiva del COMANDO DELLA SEZIONE DELLA GUARDIA R. [che sta per “Regia”] DI FINANZA DI SAN DONÀ, incaricava l’impiegato Baron di stilare il seguente invito:

6/6/1944 XXII°
OGGETTO: I N S E G N E 
Ai Sigg. Vazzoler Attilio, P(?) Carlo, Damo, Tonello, 
Minetto, Davanzo, Guseo
Prego provvedere subito a togliere stemmi dell’ex Casa regnante, 
qualora ciò non fosse stato fatto. 
A vostra cura dovete provvedere che sulla porta di accesso 
dell’esercizio vi sia 
la targa con la scritta: SALE E TABACCHI – Rivendita N° . . . . 

Vediamo citato el casuìn di Iseo (Eliseo) “Cosmo” (Guseo), il quale (in base alle testimonianze che ho raccolto) a quell’epoca doveva aver già lasciato la gestione del suo bar-casuìn alla figlia Fosca che aveva una mania igienista: prendeva i soldi coi guanti perché aveva paura delle malattie.

Il venerdì santo, 7 aprile, gli aerei alleati bombardarono Treviso. Il giorno dopo, sabato santo, diversi ragazzi di Croce (la Dirce in tandem col moroso e col cognato, Bepi Mutton e altra gente) vollero andare a vedere gli effetti dei bombardamenti, videro macerie fumanti, cadaveri e sangue; e poi gli apparecchi si levarono di nuovo in volo e allora la comitiva si diresse a San Trovaso, dov’era parroco don Igino Bernardi, l’ex cappellano di Croce, che li ricevette con grande allegria; la signora Rachele, grossa come lui, fece da mangiare per tutti. O forse motivo reale e scusa vanno invertiti: i ragazzi volevano andare a far visita a don Igino e, con l’occasione, andarono ad ammirare le distruzioni in centro a Treviso. La distruzione e la morte erano divenute spettacolo.

Nei primi quindici giorni di aprile i vigili addetti alla vigilanza ferroviaria erano diventati sette.

A Croce i tedeschi si facevano vedere di tanto in tanto. Spadroneggiava un ventiduenne testa calda di fascista, Arturo Antoniazzi, un ducetto locale, inquadrato nel Battaglione San Marco.

Il 22 aprile 1944, dopo l’Ave Maria, alle sette di sera la Rita Conte, una delle ragazze più belle del paese, simpatica, solare, diretta, sposava il quasi straniero Umberto Formisano di Torre Annunziata di Napoli, di vent’anni più vecchio di lei.
La storia dell’amore della Rita e del suo Umberto è narrata in “Bàciali” inserito nelle mie Dodese storie in Crose.

L’amministrazione del nord cercava di procedere con ordine, come se la guerra potesse ancora essere vinta dai Tedeschi. Il Commissario Prefettizio Fadalti a maggio 1944 veniva proclamato podestà.

La giustizia, sospinta da Treviso, aveva intanto fatto il suo corso. Per la questione dei furti in canonica, la nipote di don Natale, Scian Giulia, nubile, e il pronipote Vincenzo (Claudio) Barsi, d’anni 18, vennero tratti in carcere a S. Donà il 6 maggio 1944.

Il Chimenton, che non aveva perso un passaggio della vicenda, riversò immediatamente la notizia sul vescovo Mantiero, producendo in lui una notevole impressione:

						
						Treviso, I.VI.1944
CURIA VESCOVILE
   TREVISO

Reverendissimo Arciprete,
Da molto tempo e da diverse fonti mi giungono notizie poco consolanti sulle 
condizioni morali e spirituali di cotesta parrocchia, e si mi invita con certa 
insistenza a prendere provvedimenti. Le riuscirà facile comprendere quanto 
ciò mi rincresca non solo nei riguardi del bene delle anime, ma anche nei 
riflessi della sua persona verso la quale nutro sentimenti di rispetto e 
benevolenza.
  Della cosa nei particolari, che Ella ben conosce, Le ha parlato e non una volta 
il Vicario Foraneo Mons. Saretta di San Donà, il quale suo malgrado e con dolore, 
dovette riferirmi anche di recente, che dopo i fraterni ripetuti richiami 
e le doverose osservazioni, lo stato delle cose non è mutato.
  Qualche tempo fa, mandai espressamente da Lei mons. Chimenton, Delegato 
Vescovile; egli ebbe delle promesse che lo persuasero ad una benevola attesa; 
ma da quel giorno molto tempo è trascorso, e nessun esito pratico ebbe il 
suo intervento e le sue speranze. Intanto i lamenti continuano, non sempre 
equanimi e rispettosi neppure verso la autorità Ecclesiastica. 
  Caro Arciprete, Le ripeto che i migliori sentimenti mi animano verso la 
Sua sacra persona, ma non posso nasconderLe che cotesta incresciosa situazione 
mi preoccupa fortemente, ed Ella sa che i diritti ed il bene delle anime vanno 
al di sopra delle nostre povere persone. La prego quindi di dirmi nel Signore 
che cosa Ella pensa della situazione attuale e quali sieno in merito i Suoi 
propositi. Io considererò tutto con giustizia e benevolenza e sarò lieto 
se riuscirò ad accontentarLa.
 In attesa La benedico e mi professo Devoto nel Signore

			Firma illeggibile  [=Antonio Mantiero]

M.R.D. Natale Simionato
Arciprete di
Croce di Piave

Don Natale era chiamato a discolparsi, a far qualcosa contro il nipote. Il paroco avvertiva dai toni sinceramente accorati che trasparivano dalla lettera che il vescovo manteneva una sua indipendenza di giudizio dalle malignità chimentoniane; lo percepiva anche dal particolare, apparentemente insignificante, che la lettera era stata invita all’Arciprete di “Croce di Piave”, non di “Croce di Musile”, come si vezzava di scrivere sempre il Chimenton. Ma come negare che erano coinvolti i suoi nipoti?

[Dai ricordi della Dirce Sforzin]
Ricordo che in quell’occasione fu tratta in carcere per ricettazione anche la signora di Fossalta che aveva comprato la catenina da Claudio. Ma quella catenina non c’entrava niente con l’oro della Madonna. Era andata così: a Claudio avevano rubato la bicicletta, gliel’avevano rubata davanti alla casa di Mascherin [oggi la casa della Diana Teso], e posso anche dire chi era stato: era stato il figlio dei C. che abitava nella casetta che poi sarà di Toni P.
E Claudio, che voleva comprarsi una bicicletta nuova, per non andare a chiedere i soldi al prete andò a vendere la sua catenina di battesimo, che era una bella catenina grossa, a Fossalta. Ma nelle indagini successive i carabinieri credettero che la catenina di mio marito fosse una di quelle del tesoro della madonna. Invece il tesoro era stato trovato quasi subito da mio fratello Luciano e dalla Irma Pitanèa, dato che il prete non si ricordava più che l’aveva messo da un’altra parte.

In maggio/giugno il Comune nominò degli addetti al controllo uova (che cosa controllavano?) e i vigilanti ferroviari aumentarono ancora di numero. Gli occhi si erano moltiplicati. Tutti stavano attenti a tutti, non ci si fidava più di nessuno.

Il 5 giugno la guardia da poco assunta Farina Evaristo comminava una bella ammenda di 200 lire a un forestiero:


		Musile di Piave, li 5 giugno 1944 – XXII

UFFICIO DI POLIZIA URBANA
PROCESSO VERBALE DI ACCERTAMENTO A CARICO DI

CELLOTTO GIULIO di Natale e di Boraldo Florinda, nato a Riberno Preto (Brasile) il 5/1/1905, residente a Motta di Livenza, via Redigolle N° 482
L’anno millenovecentoquarantaquattro addì cinque del mese di Giugno, alle ore undici e trenta in Musile di Piave.
Io sottoscritto Farina Evaristo, guardia comunale del suddetto Comune,essendo nell’esercizio delle mie funzioni lungo la via triestina nelle vicinanze del ponte che separa Musile di Piave a S.Donà di Piave,ho incontrato il suddetto CELLOTTO il quale con della merce,tessuti, esercitava la vendita alle persone passanti.
Dopo la verifica della licenza in possesso del venditore, sono passaton alle visita della merce che non presentava nessuna cifra sulla cimossa. Anzi, in una di queste é impressa la parola “Esportazione”. Da aggiungere che nel mentre sopragiunsi sul luogo della vendita,lo stesso Celotto stava smeciando della stoffa a una certa SCALON GILDA da Fossalta di Piave,al prezzo di Lire 130 il metro.
La merce venne sequestrata e previa suggellazione tenuta a disposizione del Sig.Podestà del Comune di Musile di Piave.

LA GUARDIA COMUNALE
Farina Evaristo

Don Natale covava il suo dramma: gli era sfuggito di mano il controllo della parrocchia? No! Però in molti gli dicevano che s’era lasciato ingannare dai parenti… Giunto a settantotto anni, dopo quasi mezzo secolo ch’era a Croce, c’era il pericolo che il vescovo decidesse di sostituirlo? No, no! Come avrebbe potuto il vescovo? Don Natale spiegò in una lettera la situazione della canonica, e umilmente chiese di poter restare nella sua parrocchia, tra i suoi parrocchiani, fino alla fine.

Eccellenza Illustrissima e Reverendissima 
				Mons. Vescovo di
					Treviso
A riscontro Vostra rispettabilissima e dolorosa lettera in data I giugno 1944, riferisco che: riguardo ai fatti spiacentissimi avvenuti in canonica, io mi sono dimostrato rigorosissimo, tanto che mia nipote Scian Giulia nubile, e pronipote Barsi Claudio d’anni 18, sono in carcere a S. Donà dal giorno 6 Maggio p.p. in attesa del processo che sarà svolto a Venezia.
L’altro pronipote Barsi Luigi d’anni 17, fu da me inibito di coabitare in canonica fin da Dicembre 1943.
Quanto prima tutti avranno il mandato d’ufficio di recarsi in Germania o altrove, come ho chiesto all’autorità Civile.
Più di così non avrei potuto agire, a tutt’oggi, a punizione delle nipoti e pronipoti. Così spero di non avere da loro altre molestie.
È noto a Vostra Eccellenza che da parte mia ho cercato sempre per quanto ho potuto, coll’aiuto di Dio e beneplacito Vostro, di fare il mio dovere per la gloria di Dio e a bene delle anime.
Né a mio riguardo ho mai avuto dispiaceri né reclami da questi buoni parrocchiani nel mezzo secolo che mi trovo in mezzo a loro.
Pertanto desidero continuare nel mio sacro Ufficio e morire in questa parrocchia, come spero mi vorrà concedere Vostra Eccellenza.
Con devoti ossequi, Vi chiedo umilmente la Benedizione e Vi bacio la S. mano.

Croce di Piave 7 Giugno 1944

Devotissimo Umilissimo paroco
Don Natale Simionato

I lavoratori che Mussolini aveva promesso a Hitler venivano spesso reclutati tra i condannati a qualche lieve pena, i quali accettavano l’esilio con l’obbiettivo d’evitare il carcere. Don Natale, come abbiamo letto, si era dato da fare perché Claudio, anziché scontare la pena in carcere, venisse mandato a lavorare in Germania.

Il prete andò dal dottor Stocchino, il vecchio, e gli disse che Claudio era molto intelligente e studiato e poteva partire; e il dottore certificò che Claudio era in salute per partire. E così Claudio partì per la Germania. Quando la (zia) Maria seppe che Claudio era stato destinato alla Germania, si mise a urlare. C’era un frate in canonica quel giorno che consolava quella che poi sarebbe diventata mia suocera; lei urlava e il frate le diceva: «Vedrai che la cosa si risolve». «No, no, questa cosa lo zio non doveva farmela». Don Natale era in tinello che leggeva il breviario e non diceva nulla.
[dai ricordi della Dirce Sforzin]

La Giulia, trascorso un mese a Santa Maria Maggiore, senza che le fosse fatto il processo tornò a casa, in canonica, con la sorella e lo zio. Tra il paroco e le due nipoti i rapporti erano ormai più che freddi.

Gli Alleati, risalita tutta la penisola, bombardavano quotidianamente i ponti e le ferrovie del nord. Per ragioni di prudenza le autorità di Salò ordinarono di spostare tutte le sede istituzionali che si trovassero vicine a obbiettivi militari in luoghi più sicuri. Il municipio di Musile, che distava meno di 500 metri dal ponte della Vittoria sul Piave, il 10 giugno [delibera n.° 22] fu trasferito in Castaldia nell’edificio delle scuole.

Dopo avere tentato invano a fine giugno di effettuare dei lanci di armi e materiale a Zenson, finalmente l’8 luglio gli aerei alleati riuscivano a far piovere a Grisolera un carico di armi e munizioni per i partigiani. Si trattava di 43 imballaggi che furono raccolti e nascosti dai partigiani e, data la stretta sorveglianza e i rastrellamenti e le perquisizioni da parte delle brigate nere e della X MAS, dovettero essere più volte spostati di nascondiglio.

Lo stesso giorno il nuovo colonnello comandante del presidio l’Ortskommandantur di San Donà inviava al Commissario prefettizio di San Donà Gardini un ordine col quale gli annunciava che aveva preso il Comando di Piazza dei Comuni di San Donà, Musile e Noventa e di aver posto il suo ufficio al secondo piano del Municipio di San Donà.

Partigiani (parte II)

[Dai ricordi di Ugo Vianello]
Essendo noi due fratelli orfani, solo uno dei due doveva fare il militare. Mio fratello Lino [Natale > Natalino > Lino] disse di sì ma poi non si presentò in caserma. Quando si diplomò (nel giugno 1944) partì via partigiano. Fu scoperto per via che sapeva sempre le notizie del Pippo. Il Pippo era l’aereo inglese che volava sopra le nostre zone, mio fratello essendo partigiano era in contatto con… insomma, sapeva quando il Pippo doveva arrivare, e fu scoperto per quello; perciò dovette presentarsi non so dove insieme con la zia Maria (Bianca, Lina, Maria sono le tre zie sorelle di mia mamma che abitavano lontane da Croce), e poi li portarono a Venezia, insieme con i 13 martiri di Ca’ Giustinian, ma lui riuscì a scappare prima, invece mia zia fu portata in Germania e venne a casa alla fine della guerra. Poi mia zia andò a vivere a Stra.
Mi ricordo che lui ascoltava Radio Londra, proibita dai Tedeschi. L’ascoltavano di notte. Per il resto la radio in casa nostra era a disposizione di tutti. Ma più che altro dava musica.

Erano tanti i partigiani del Comune? Non lo so.

[Dai ricordi di Guido De Nobili]
Attilio Visentin si era dato alla macchia.
Un altro Visentin che stava coi partigiani era Augusto “Toni” che abitava in [via San Rocco III, l’attuale] via Fabio Filzi, un tipaccio un po’ fuori delle regole; i partigiani più sfegatati avevano atteggiamenti ai limiti della legalità, però andavano benissimo per le azioni in cui occorreva aver coraggio e rubare e sabotare. Come i carbonari e come i garibaldini (e come gli odierni paracadutisti della Folgore) erano talvolta degli esaltati, degli idealisti, capaci di cose che le persone normali non farebbero; ma per questo passavano da eroi.

Augusto era ricercato e il 10 luglio i soldati del battaglione San Marco della X MAS, per non averlo trovato in casa, incendiarono casa Visentin, che poi era una baracca di 10 metri per 5, e ovviamente andò a fuoco tutto ciò che c’era dentro, beni per un valore totale di 97.000 lire (come risulterà dalla richiesta danni avanzata dalla famiglia dopo la guerra); i fascisti incendiarono anche alcuni mobili della Azienda Agricola di famiglia, situata sempre in via San Rocco III, arrestarono i componenti della famiglia e deportarono un altro figlio in Germania. Augusto faceva parte della brigata partigiana che in futuro sarebbe stata denominata dei “13 Martiri di Ca’ Giustinian”.

Il 18 luglio caddero bombe a Musile, dalle parti del Paludello, senza danni. La mattina del 21 luglio intorno alle 10, un’altra decina di bombe fu sganciata sul territorio di Musile, quattro caddero nei pressi del centro di Musile e questa volta furono distrutte due case coloniche e morirono due donne, rimasero feriti un ragazzo e altre due donne.
Dal 21 luglio ai dipendenti comunali venivano pagate le “indennità offese belliche”.

I martiri di Ca’ Giustinian

Ca’ Giustinian era la sede dei comandi tedeschi e fascisti e dell’U.P.I., (Ufficio Politico Investigativo): lì si decidevano e si ordinavano i rastrellamenti contro i patrioti, si preparavano le azioni più terribili (stragi, eccidi…), lì arrivavano le spie e gli informatori della città e della provincia, lì si torturavano gli arrestati politici e i sospettati di antifascismo. Il 26 luglio alle 9 e 5 del mattino una violenta esplosione fece crollare i cinque piani della parte posteriore del palazzo, provocando numerose vittime. Erano stati i partigiani a mettere la bomba in un baule destinato al comando tedesco per la propaganda cinematografica, all’ultimo piano. Scattò la rappresaglia. Alle 22,30 del 27 luglio dal comando della G.N.R. (Guardia Nazionale Repubblicana) giunse al carcere di S. Maria Maggiore l’ordine di inviare a S. Zaccaria le tredici vittime designate. Si tratta di partigiani della zona di San Donà. Tra di loro vi era Ernestino D’Andrea, residente a Croce, ma alla macchia da qualche tempo. Ai tredici fu detto che sarebbero stati portati al tribunale; arrivati a San Zaccaria i tredici ebbero la conferma dei loro sospetti: ad attenderli non c’erano né tribunali, né giudici. Ernestino riuscì a scrivere un biglietto ai suoi cari nel quale diceva: “Saluti a tutti. Siate forti come lo sono io”.
Raccontò il Corriere Veneto: “Sono le ore 5 del 28 luglio. L’ora del supplizio è giunta. A 7 dei 13 vengono legati i polsi. Le vittime sono assicurate tutte da una fune e trasportate con un motoscafo sulle macerie di Ca’ Giustinian”. Divisi in due scaglioni – gli altri sei, anch’essi legati, erano stati fatti giungere sul posto a piedi, dalla parte di S. Moisè – furono immediatamente uccisi a raffiche di mitra. I loro corpi furono lasciati sul posto fino al giorno successivo quando la “guardia” ordinò la rimozione delle salme che furono trasportate su di una peota al cimitero, senza alcun rito religioso né onoranze funebri. “I loro corpi erano in una barca in attesa di sepoltura. Erano coperti con un telo. Volevano gettarli in una fossa, ma il Patriarca [Monsignor Piazza] ha detto che avevano diritto ognuno ad una sepoltura” [testimonianza della sorella di Venceslao Nardean, uno dei 13].
Perché proprio il gruppo dei 13 di San Donà fu scelto per la rappresaglia? U. Dinelli nel suo libro “Rosso sulla laguna” spiega che la scelta ricadde su elementi della provincia meno noti, e quindi meno importanti perché i fascisti temevano di scatenare le pesanti ritorsioni delle forze partigiane. La notizia comparve sul Gazzettino del giorno dopo. Scrive sempre Dinelli: “L’emozione per la rappresaglia è grandissima in città e a San Donà di Piave, non pochi dei colpi partigiani che si operarono in seguito avranno proprio lo scopo di vendicare le vittime di questo eccidio…”
Il 30 luglio, nel duomo di San Donà, così predicò monsignor Saretta: “Quest’oggi vi parlo col cuore trafitto dal più profondo dolore. Mio Dio! Abbi pietà dei tuoi figli. Tu che sei giusto conforta, solleva le nostre povere anime, che sono affrante sotto il peso della sciagura che ci ha colpito. Preghiamo per i nostri morti, preghiamo per le povere madri, per le spose che sono in lutto. Preghiamo per la nostra Patria così duramente provata. Preghiamo e piangiamo”. Non fece riferimenti espliciti ai tredici martiri.
La guerra, creduta finita un anno prima, era più presente che mai; e tanto più si avvicinava la liberazione da tedeschi e fascisti, che solo gli Alleati potevano portare, tanto più aumentavano i disagi. Molti avevano deciso di abbandonare il paese e molti lo fecero. La famiglia di Lino Lorenzon si trasferì a Monastier, dal suocero. I treni, dapprima bloccati a Fossalta, nelle settimane successive presero ad arrivare fino al passaggio a livello sull’Argine San Marco, dove, al bar di Ferrari, era stato messo in piedi un servizio taxi coi muli che provvedevano a trasportare uomini e mezzi lungo l’Argine San Marco fino a Musile e a San Donà. A ogni bombardamento era la paura. Chi era nei campi o nella case si buttava disteso lungo i fossi, considerati al sicuro dalle schegge. Il 5 agosto, in seguito a scontri con elementi delle brigate repubblicane e delle SS sulla Triestina – i partigiani tentarono di assalire e prendere a fucilate alcune auto dell’Esercito Tedesco e Italiane – Augusto Visentin fu ferito e arrestato con il compagno Matteo Corridore, di San Giovanni rotondo (Foggia); furono fucilati a San Donà quattro giorni dopo. Un colpo ancor peggiore la resistenza sandonatese lo ricevette il 14 agosto, quando fu arrestato a San Donà il geometra Attilio Rizzo, al qual faceva capo la missione “Argo”. Interrogato il 18, fu spedito a Mauthausen.

L’economia di guerra prevedeva che tutto dovesse essere sotto controllo: a Musile una decina di persone era impegnata nel censimento bestiame.

Il 21 agosto moriva, di due mesi e mezzo, Serafino, il bambino di Alberico Davanzo e dell’Arpalice.

Distrutto il ponte della ferrovia

Il 29 agosto intorno alle 11 del mattino tre squadriglie di caccia bombardieri, volando in pieno giorno e a bassa quota sul cielo di Croce, distrussero il ponte della ferrovia, interrompendo le linee ferroviarie e causando la morte di una persona. Vi fu uno sfollamento generale. Le nipoti del paroco sfollarono a Losson; non sarebbero più tornate in canonica. Sul Piave i ferri contorti del ponte distrutto disegnarono la figura d’un’architettura futurista. I treni da quel giorno furono costretti a fermare sull’argine S. Marco a Croce, passeggeri e bagagli dovevano trasbordare passando dal ponte stradale.

Il 18 settembre a Croce si installò il Comando germanico “Regger”. Pose la sua base in un’aula al piano terra delle scuola, la più vicina ai bagni. Dai documenti di pagamento risulta che alcuni ufficiali occuparono l’ultimo piano della casa di Giovanni Rigato, di fronte alla chiesa (per il fitto dei locali occupati fino al 31 ottobre a Giovanni verranno pagate £. 2.580).
Poiché i tedeschi vigilavano dappertutto, gli aerei alleati non riuscivano a far giungere a Zenson le armi per i partigiani, che perciò risolsero di trasportare lì quelle che erano riusciti a recuperare a Grisolera. Una sera di settembre un camion con il rimorchio partì da Zenson verso le dieci di sera. Giunto al passaggio a livello di Croce, gli autisti incontrarono dei Tedeschi che chiedevano un passaggio. Glielo diedero, ma non fino alla stazione di San Donà, come chiedevano loro, bensì solo fino al ponte. Il loro viaggio proseguì sulla destra del fiume, che avrebbero attraversato a Grisolera, essendo stato l’argine sinistro bombardato. A Grisolera caricarono le armi sul camion e sul rimorchio fino a metà, poi le ricoprirono di patate buttate alla rinfusa fino a riempirli; bevvero due bicchieri di vino, accettarono un’anguria in regalo e presero la via del ritorno; convinti di essere tranquilli, dovettero invece di nuovo provar paura al passaggio a livello a Croce: un capitano tedesco con numerosi soldati e con molti bagagli erano in attesa di qualche mezzo per farsi trasportare alla stazione ferroviaria di San Donà. Fossero state caricate le patate in sacchi, i tedeschi le avrebbero sicuramente scaricate, ma vedendole sparpagliate per il camion e per il rimorchio rinunciarono. «Noi dobbiamo andare perché le cartofen servono per arbait TODT» disse uno degli autisti. Non sapeva che due parole di tedesco. Regalò l’anguria al capitano, che rise e li lasciò andare dicendo a sua volta una frase piena di arbait.

[dai ricordi della Alma Granzotto]
Il 25 settembre don Natale accompagnò un gran numero di bambini alla cresima a San Donà, dal vescovo Mantiero. Quando mi cresimai a 12 anni, mio papà era a Milano a costruire un convento, e i frati gli dicevano «Quando hai finito, porti la famiglia a Milano che ti diamo quella villa…» Avevano una villa, i frati. E poi invece vennero i bombardamenti di Milano e lui venne a casa. Ma insomma, stavo dicendo che quand’era a Milano io dovevo cresimarmi e anche Ugo si doveva cresimare a San Donà, e io era l’ultima per età e mia madre disse alla Tosca: «Dato che tu cresimi Ugo, cresimiamo anche la Alma…» e così mi cresimai con loro.

Coi tedeschi in paese, i crocesi furono chiamati o costretti a lavorare per il “Regger”: 25 lire giornaliere era la paga.

Il 10 ottobre, tra le 10 e le 11,30, un terribile bombardamento distrusse l’ospedale di San Donà e le abitazioni vicine, il Rifugio San Vincenzo, la Centrale dei Telefoni di Stato, il teatro Verdi, con decine di vittime e centinaia di feriti. Alcuni dei degenti sfollati dall’ospedale vennero ospitati presso Villa Ancillotto, requisita allo scopo.

Dal 15 ottobre il Comando Tedesco “Regger” a Croce occupò anche il villino di “Memi” Granzotto, da poco rimasto vedovo. E dal 22 ottobre risultano affittati anche alcuni locali presso Giuseppe Granzotto [non torna il nome, deve trattarsi di “Memi”, Guglielmo] (fino a fine mese almeno, per una cifra di £. 600).
Non risulta da documenti ma viene tramandato dai ricordi che tedeschi erano presenti in diverse case: due dormivano in casa della maestra Tosca. Altri due si erano installati in casa di Lino Lorenzon.

[dai ricordi della Maria Teresa Lorenzon]
Un giorno che io e mio padre tornammo a casa nostra, la trovammo aperta, era rimasto solo un letto in casa perché gli altri mio papà li aveva portati a Monastier, e trovammo due tedeschi, c’era un ufficiale e un interprete, e l’interprete ci spiegò che non avevo nulla da temere che non mi avrebbero fatto niente. E si comportarono sempre benissimo con noi. Io là studiavo e la sera facevo da mangiare a mio papà. I tedeschi non si facevano mai vedere. Dormivano uno sul letto e uno per terra. Erano cattolici e mio padre li invitò al battesimo di mia sorella Luisa che era nata poco dopo che eravamo andati sfollati a Monastier, e loro vennero in bicicletta, e poi la sera se ne andarono via prima perché dovevano esser a casa entro una certa ora.

Aerei e bombardamenti. In quei primi mesi di bombardamenti il “Pippo”, il Piper bimotore da ricognizione alleato che faceva pì-po-pì-po-pì-po-pì-po-pì-po, era già figura nota; divenne familiare. Di notte era già obbligatorio l’oscuramento. Coloro che abitavano lungo la ferrovia, obbiettivo militare degli aerei alleati, erano già stati invitati a trasferirsi altrove, almeno per la notte; in molti andavano a dormire nelle “tiese” delle case dei parenti che abitavano a Ca’ Malipiero o più in là, verso Millepertiche. Ogni volta che udivano il “Pippo” i parrocchiani che non potevano andare altrove si rifugiavano nel campanile, considerato posto sicuro: gli Alleati mai avrebbero bombardato le chiese. Davanti alla porta del campanile gli uomini avevano costruito delle protezioni fatte di pali con dentro sacchi, in modo che le schegge non colpissero la porta. Anche la scuola, dov’era insediato il comando “Regger” fu considerato luogo pericoloso. E perciò molti non frequentarono più la scuola.

La contraerea tedesca colpì un aereo inglese che andò a schiantarsi dietro il campo da bocce dei Davanzo, vicino alla ferrovia. Il pilota si buttò col paracadute e cadde nei campi vicini; tutti corsero a vedere; ma prima di tutti giunsero i tedeschi che lo fecero prigioniero. Fu la Lisa Davanzo, la maestra, la figlia di Achille, che si fece avanti tra tutti e incurante dei tedeschi parlò al pilota, in italiano… ché non conosceva l’inglese, ma si fece capire, gli chiese se aveva famiglia e quello mostrò una foto di una moglie e di due bambini, e bastò l’immagine a convincere i soldati tedeschi a non passarlo per le armi, ché un padre di famiglia meritava un trattamento umano. Ma che coraggio, la Lisa!
“Chìe” (Achille) Davanzo si rese conto che la zona s’era fatta pericolosa: attaccò il carro al cavallo col quale faceva da taxi per tutto il paese, caricò sopra il carro tutta la sua roba e abbandonò la rivendita per andare a vivere col resto della famiglia nei sotterranei della chiesa di Millepertiche.

Nel frattempo, la lotta partigiana aveva subito duri colpi, si preparava un inverno difficile per tutti.

Anche don Natale rischiò per la seconda volta di finire davanti al plotone d’esecuzione, come quando aveva rivelato in chiesa la morte di Erminio Davanzo: questa volta per aver spaccato una bottiglia in testa a Berto Sforzin. Approfittando della fiducia accordatagli, Berto andava spesso nella caneva del paroco a “servirsi” personalmente del vino colà conservato per placare la sua sete inesauribile, e ultimamente s’era servito d’una bottiglia che don Natale aveva messo da parte. Il paroco, accortosi che il suo contenuto era andato calando, una sera mandò proprio Berto a prenderla; e Berto, dopo un istante d’imbarazzo, fece la pantomima di andarla a prendere e di tornare con la bottiglia vuota in mano e la faccia sorpresa. Era davvero stanco don Natale di essere ingannato da coloro che gli erano vicini: a suo volta fece finta di meravigliarsi e, fattasi consegnare la bottiglia vuota come per rendersene definitivamente conto, gliela ruppe testa. Berto dovette andare di corsa in ospedale per farsi dare qualche punto, il fatto giunse in orecchio alle autorità e nelle ore successive un tedesco piombò in canonica e minacciò di trarre il paroco in arresto: fu lo stesso Berto, dolorante ma pentito, a intervenire in difesa del parroco. Ma da quel giorno Berto non andò più a lavorare in canonica. Forse fu don Natale a non chiamarlo più.
Il dovere lo spingeva a percorrere le strade del paese col suo cavallo nero e il saraban, a portare ovunque quel sovrappiù di conforto necessario per sopravvivere alle difficili condizioni generali.
In canonica gli dava una mano il figlio di Berto, Giulio, che da piccolo s’era guadagnato il soprannome di “Trombetta”. Ma ora, con i tedeschi per il paese, don Natale non era tranquillo. Cominciò a spostare il catechismo a Ca’ Malipiero.

Fosse stata la minaccia di morte del tedesco, fossero gli aerei sopra la testa era difficile non pensare alla morte. Fu in quelle settimane che don Natale compose il suo testamento.

Testamento di don Natale (28 ottobre 1944)

“Lascio tutto alle famiglie conosciute più povere di Croce. Gli oggetti più voluminosi, come tino, botti, torchio, ruotabili, cavallo saranno venduti e il denaro ricavato sarà dispensato alle famiglie conosciute più povere. I mie libri di ministero saranno offerti a qualche chierico povero di teologia. […] Mi raccomando alle preghiere di tutti e specialmente delle persone da me beneficiate”.
Esecutore testamentario: don Mario Paccagnan.

La famiglia di Achille Davanzo non aveva quasi fatto a tempo a trasferirsi a Millepertiche che una nuova disgrazia venne a colpire la figlia Giuseppina che aveva avuto la malaugurata idea di “tocciare” col pane ciò che era rimasto di bruciacchiato dei funghi nella teglia di rame: cominciò a soffrire di terribili dolori alla pancia, sintomi di un avvelenamento. Si sarebbe dovuto portarla a Mestre ma c’era la paura dei bombardamenti lungo la strada e morì il 31 ottobre senza la possibilità di essere curata.

La scuola elementare in paese, pur tra mille difficoltà, funzionava; ma da quando i tedeschi ne avevano occupato un’aula al piano terra non fu più possibile tenere lì le lezioni: l’edificio era a rischio bombardamenti e la maestra Tosca Saladini preferì badare alla sua classe di quaranta bambini – così ricorda Toni Zanin che aveva da poco compiuto cinque anni – in casa sua.
Le maestre che l’anno prima giungevano in treno da Mestre, come la Rina Siega, la Ebe Lorenzetti, la Zora degli Antoni, adesso non giungevano più. In parte le sostituiva l’ex cappellano don Ferruccio Dussin, che veniva in bici da San Donà a tener scuola in canonica o in chiesa.
Da ottobre (e fino a febbraio ’45) i dipendenti comunali cominciarono a ricevere l’indennità di bombardamento.
Con ottobre aveva cessato di essere guardia Evaristo Farina; da novembre, con Bellese Riccardo, guardia era anche Ponchio Giuseppe.

In ottobre e novembre continuò il servizio vigilanza ferroviaria e coinvolse 28 persone che venivano pagate 700 lire ogni quindici giorni. Tutti i possessori di carri (o di braccia) del paese erano settimanalmente coinvolti nei trasporti per il “Regger”. In una delle liste dei cooptati compare per la prima volta nella storia paesana il nonno dell’autore, Dariol Luigi, da poco venuto ad abitare a Croce.

Si aspettava solo la fine della guerra. Ma intanto bisognava salvarsi dai fascisti e dai tedeschi, che incutevano sempre più terrore coi rastrellamenti.

Una notte in piena notte gli Sforzin si sentirono bussare alla porta della baracca: era il vigile Bepo Grandese [Ponchio], che aveva ottenuto il posto di vigile in quanto privo di un braccio a causa della guerra, “in realtà per aver preso in mano una spoletta”; Bepo Grandese aveva sposato una Sforzin, una prima cugina di Berto, quindi era parente di Berto. Eppure lo tradì.

«Chi è?» chiese Berto.
«Amici».
«Come amici? Non ho amici, io, a quest’ora qua».
Bepo Grandese disse allora: «Berto, son mi: Bepo! ci sono i tedeschi Sono venuti per portarti via, non avere pensieri».
«Non vengo no, io…» «Quanto prendi dal prete? »
«Un franco al giorno»
«Signor Sforzin, venga con noi» dissero altri.
«Mi son stat in Germania, però son vegnù caso maeà. No vegne mio[=mica], mi»
Bepo Grandese: «e allora portén via ’e tose» «Allora vegne mi» disse mio padre e si offrì di andare via coi tedeschi, al posto delle figlie.
Fu portato al raduno dove ci fu il rastrellamento, da Bortolotto. Poi a Venezia.
Allora io e mia sorella la mattina dopo andammo dal dottor Da Re, un sant’uomo (che aveva l’ambulatorio nel ‘paeazz’, al quale si accedeva dalla scala posteriore), non come il dottor Rizzola che se non gli davi la colombina [le 5 lire] non ti visitava neanche, e il dottor Da Re ci diede un certificato e noi tose poi andammo a Venezia con il certificato, in cui si diceva che mio papà stava male e non poteva andare a lavorare in Germania e allora lo lasciarono venire a casa.
[Dai ricordi della Dirce Sforzin]

Bombardato anche il ponte stradale

Il 22 novembre 1944 gli aerei Alleati abbatterono due campate del ponte stradale, dalla parte di Musile, e nessuno poté più venire in bici da San Donà a Croce. A Musile morì una bambina di 4 anni, la Adriana montagner, raggiunta da uno scoppio che colpì la sua abitazione, e rimase ferito il fratellino di 7 anni.
Per ovviare alla distruzione, fu messo in piedi un pass di barche, controllato da una pattuglia di camicie nere.

In novembre fu chiamata Clorinda Gaiatto a espletare il servizio di procaccia da Meolo a Musile (rimarrà in servizio fino a dicembre).

Dal 25 novembre, bisognoso di locali, il Comando Tedesco “Regger” occupò anche la casa della Stella Fregonese.
Oltre a Baron Enrico, anche Luigi e Gino Panto fornivano qualche cassa per i defunti miserabili.

La Dirce in Fossanova. Da quando il comando militare tedesco s’era installato nel villino della defunta maestra Berton era sempre più rischioso rimanere. Dopo la partenza del suo Claudio per la Germania, la Dirce, non aveva più un uomo su cui contare, non c’erano più adulti in casa Sforzin: uno zio, fratello della mamma, era andato via con la Milizia “per prendere i soldi” e aveva abbandonato i lavori della campagna, un altro, il più giovane, del 1907, era in Sardegna. Berto, prima di essere portato in Germania, aveva insistito che la Dirce e i fratellini andassero via dalla baracca, che andassero sfollati a Lazzaretto, in via Fossanova dove abitava la nonna, e alla fine le ragazze lo ascoltarono e partirono, portandosi dietro tutto quello che avevano. Sei mesi sarebbero rimasti via. E in quei sei mesi la Dirce si sarebbe divertita tanto che mai, che c’era una vecchia che ballava e faceva ballare tutti. Il padre portava loro la roba da mangiare ogni tanto.

Ma bastava avvicinarsi ai centri di Musile e San Donà per ascoltare notizie terribili. La sera del 10 dicembre la squadra del Curasì, comandante del presidio delle Brigate Nere a San Donà e sul quale correvano diverse notizie criminali, aveva prelevato dal carcere i due Bonfante, Scardellato e Balliana, e li aveva condotti alla sede delle SS, villa Amelia vicino alla stazione, dove si trovava detenuto il conte Badini, anch’egli arrestato per attività partigiana. A notte erano stati fatti uscire e istradati per Noventa e lungo la strada erano stati eliminati a tradimento. Solo uno si era miracolosamente salvato.

Bombardata la casa dei Fregonese

Il 17 dicembre gli Alleati bombardarono ancora la ferrovia di Croce, fu distrutta la casa dei Fregonese in via Bosco, i quali però, al rumore degli aerei, si erano già messi in salvo, fuggendo, come tutti nella zona, verso i campi di Castaldel [=Zanusso]. Bombardamenti c’erano stati anche a Fossalta e a Musile.
Fu un Natale terribile e le prediche di don Natale rifletterono come non mai considerazioni sulla caducità della vita e delle cose umane.
Il giorno di Santo Stefano fu avvistata una formazione di quadrimotori che sembrava tornare alla base dopo una missione. Uno degli apparecchi che la componeva, colpito da un colpo di artiglieria antiaerea, presumibilmente all’altezza di Noventa di Piave, andò a schiantarsi a Millepertiche. In molti videro gli otto uomini dell’equipaggio lanciarsi col paracadute.

[dai ricordi della Dirce Sforzin]
Mi ricordo di Ferruccio Venturato che era fuori di testa [si tirava sempre le orecchie, era ‘indietro’ completamente), la famiglia se lo teneva in casa, Quando cadde l’apparecchio vicino alle sue terre io e il mio fidanzato partimmo lungo la ferrovia in bicicletta per andare a vedere; c’era ancora l’apparecchio con i motori accesi e lui era andato a toccare, era curioso “varda che azzalotto” (acciaio) diceva, arrivarono gli adulti e lo mandarono via, ché l’aereo poteva scoppiare da un momento all’altro, ma lui non voleva allontanarsi. C’era un pilota inglese che si era buttato col paracadute. [dai ricordi della Dirce Sforzin]

Sotto l’apparecchio in fiamme in fiamme c’erano due membri dell’equipaggio. Giunsero sul posto alcuni uomini della Gnr di stanza a San Donà, alcuni delle SS italiane e altri della gendarmeria tedesca. Questi ultimi prelevarono tutto il materiale che trovarono a bordo: la radio, quattro mitragliere pesanti e relative munizioni, motorini elettrici e un battello pneumatico munito dei remi e dei generi di conforto. In cerca dei soldati buttatisi col paracadute, i tedeschi perlustrarono la zona, e così fecero nei giorni successivi.

[dai ricordi della Dirce Sforzin]
Ci fu un rastrellamento alla mattina presto mentre tutti gli uomini erano a messa delle sei; vennero i tedeschi in stalla, perché poco prima era caduto un apparecchio inglese nella Roja e i tedeschi pensavano che dentro l’apparecchio ci fosse una spia, e i tedeschi la cercavano e chiedevano informazioni; io avevo due grappoli d’uva in mano, ché avevamo appena cotto le fette di polenta, perché quello mangiavamo allora, e avemmo tutti una gran paura. I tedeschi cercavano questo inglese, avevano saputo che veniva a mangiare da noi, da mia nonna, ma andava a dormire dalla Lella Pavanetto, e allora andarono dalla Lella Pavanetto ma trovarono il letto vuoto, era scappato per i campi. Erano altri sette in realtà nell’apparecchio che si erano buttati col paracadute e poi erano scappati per i campi. E i tedeschi portarono via… sai chi? Bortolotto, del centro di Musile, che aveva sposato la Palmira Montagner, perché pensavano che lo avesse nascosto lui. Lo portarono in Germania.

- Uno degli inglesi è quello che fu nascosto dalla Lisa Davanzo? - chiedo.
Sì è possibile.

La Lisa lo tenne nascosto in una baracchetta e gli portava da mangiare di notte, rischiando ogni dì la fucilazione.

Mitragliato il treno

Il 28 dicembre fu mitragliato il treno proveniente da Venezia alla stazione ferroviaria di Croce, subendo danni rilevantissimi. Vi erano donne elegantone che si buttarono giù di corsa dal treno, dalla parte dei Lessi, e l’unico riparo fu uno spazio tra le frasche che veniva usato come cesso. Rinunciando ad ogni schifiltosità le raffinate passeggere si accoccolarono tra gli escrementi.

Sei risultano a Musile coloro che in dicembre furono retribuiti per la scavatura delle fosse antischegge: 40 lire per ogni metro cubo scavato: in un giorno se ne scavano 4, 4 e mezzo; per dieci giorni qualcuno guadagnava fino a 1776 lire.
Sul faldone del consuntivo 1944 relativo alle “Spese per la profilassi e cura malattie” qualche burlone aggiunse la parola “veneree”.

1945

Da gennaio il Comando Tedesco “Regger” di Croce di Piave occupò anche alcuni locali nella casa della Granzotto Elisetta.

[dai ricordi di Marcello Fornasier]
Tre tedeschi erano anche qua nella casa di Rigato; erano sette o otto in tutto qua in paese, si andava lì da loro e loro ci commissionavano lavori, ad esempio ci davano da fare camminamenti sulla cesura nostra in grava, da Cancellier, da Torresan; da Vendraminetto c’è ancora il basamento di una mitraglia; si scavava un passaggio e si andava su con pali e stroppe e così si poteva camminare sotto terra, nascosti algi aerei e grazie ai camminamenti si andava da una parte all’altra.

Il Comune si dotò di un nuovo procaccia: Marin Sergio.
Angelo Montagner e i due Mazzon, Nico e Pietro, erano impiegati nel servizio vigilanza stradale e avvistamento aerei. In seguito, altri nove saranno gli addetti all’avvistamento degli aerei: Bassetto Armando, Camin Dino, De Nobili Tullio, Fortunato Benito, Montagner Aldo, Moretto Silvio, Perissinotto Luigi, Silvestrini Giovanni. Il segretario comunale Frasson Vittorio aveva il compito di sorvegliare i vigil(ant)i. Il Comune pagava le spese di sorveglianza, i risarcimenti per le requisizioni, le prestazioni di lavoro di carattere militare. Occorreva anche vigilare contro i sabotaggi: In gennaio una quarantina di persone erano nel servizio vigilanza ferroviario-stradale e cavo telegrafonico; una trentina sarebbero stati in febbraio.

Più di sessanta erano coloro che a vario titolo eseguivano settimanalmente trasporti con carri e buoi per il “Regger” di Croce. Una quindicina coloro che lungo le varie strade (Argine San Marco, via Emilia…) scavavano fossi antischeggia e sistemavano le 850 tabelle con scritto “Fliegherdekungh” (“Fossa antischeggia”) che la Ditta Munari aveva fornito per £. 20.750. Una trentina (29) le persone che nel mese di gennaio lavorarono stabilmente a vario titolo per il “Regger” di Croce.
Il 22 gennaio prese il via a Valle Altanea la missione “Nelson”, con lo scopo di portare in salvo i piloti i cui aerei erano stati abbattuti. Faceva capo a un ingegnere milanese e a due radio trasmettitori, che si appoggiarono ai partigiani della brigata Piave.

I tedeschi a Croce avevano ufficialmente affittato stanze e lotti presso le abitazioni Fregonese Stella, Rigato Giovanni, Granzotto Gugliemo, Granzotto Francesco.

[dai ricordi di Marcello Fornasier]
Qua i tedeschi furono buoni, davano lavoro a tutti; lì c’era un balcone e fuori, alla foea [il mantice] c’erano Jonio Zanin, Ortensio mio fratello e Carlo Fedato, il fàvaro [il fabbro] che battevano battevano picchi, pale… e usavano la fola. «Ma vutu che mi vae a frugar a fòea pai tedeschi?! - si dissero gli operai - Cavén un ingranajo e ghe disén che la é rotta…» Quindi mostrarono il mantice al tedesco dicendogli: «Ventilator kaputt». «Ja…» convenne il tedesco. Provò a menarla ma non andava più nulla. Bisognò andar a prenderne una da Morassutti, una foéta nuova che fu messa al posto della fòea di Ortensio, messa da parte e risparmiata. E poi in un’altra occasione i tedeschi mandarono a prendere dei chiodi a Treviso con carretto e musso, ma qui ne arrivò sì e no un quarto della quantità ordinata, il resto il venditore aveva provveduto a imboscarli o venderli lungo la strada o nelle osterie dove s’era fermato. Il tedesco contò i pacchi di chiodi, ricontrollò la bolletta: «Io pensare se carretto fino a Jesolo chiodi niente più». Non erano cattivi i tedeschi, che per una cosa del genere avrebbero potuto fucilare il carrettiere. Di loro, solo due o tre erano militari di leva, giovani; gli altri erano anziani, arruolati a forza perché i tedeschi avevano bisogno di soldati.

A metà febbraio gli operai ingaggiati dai tedeschi e adibiti allo scavo delle fosse antischeggia lavorarono lungo la via Emilia, lungo l’Argine San Marco, all’Intestadura e al cimitero di Croce.

Alle tre e mezza del pomeriggio del 17 febbraio Croce fu bombardata, a Fossalta morirono sotto i bombardamenti Mario Coppo (del 1927) e Augusto Sforzin (del 1925), adibiti a lavori di fortificazione dal Comando Tedesco “Egger” di Chiesanuova; ci furono dei feriti. “Incursionata da bombardamento aereo” fu la casa di Domenico Cattai.

Il 22 febbraio il Commissario Fadalti risarcì i foraggi e la paglia che le truppe Germaniche requisirono a Carrer Renato, a Cattai Domenico, a De Lotto Ugo, all’Amministrazione Deon a mezzo di Deon Virginia, all’Amministrazione Gioia a mezzo di Bassetto Augusto, a Giusto Pietro, a Turchetto Lino, all’Amministrazone Gini a mezzo di De Lotto Ugo e all’Amministrazione De Sangro a mezzo di Gnes Angelo.

In quei giorni Amedeo Fregonese costruì quattro garitte per il servizio di avvistamento aereo lungo la strada Caposile-Manufatto. Il 1° marzo Amadeo Fregonese presentò al Comune la “fatura dei lavori eseguiti dietro ordine del Signor Comisario”, che, oltre alla “costruzione garette guardie stradali”, comprendeva il “legname ocorente per quadratura delle stesse” e le “cane per la foratura” (3.500 lire). Lo stesso giorno Amedeo presentò anche la “fatura” per la “tagliatura pioppe scuole fosetta, Castaldia, strada della pietra” e “per fachinagio del trasporto” (2.370 lire).

In marzo gli operai addetti a scavare le fosse antischegge erano tredici, impegnati lungo la Fossetta e lungo l’Argine San Marco: in totale scavarono 92 fosse, per un totale di 414 metri cubi di terra scavata. Ogni volta che occorreva puntellare una fossa il “Regger” requisiva legnami. E quando aveva bisogno di trasporti “requisiva” i carri e i proprietari. Quando qualche carro si rompeva il Comando tedesco lo faceva portare a riparare dai fratelli Lorenzon, Lino “Nino” e Giovanni “el Moro”, falegname e fabbro. Per tutti coloro che venivano “presi” a lavorare per i tedeschi la paga era di 25 lire al giorno. Al servizio allarme erano deputati Angelo De Nobili e Giovanni Mengo.

Primavera. I tedeschi in ritirata

[dai ricordi di Beniamino Montagner]
Una colonna di tedeschi scese dal treno sull’Argine San Marco e proseguì lungo l’Argine verso Musile. Erano stanchi, affaticati, forse si sentivano braccati. All’incrocio dell’argine con la strada che a sinistra portava dai Pavan e dall’altra dai Montagner, l’ufficiale tedesco vide tre o quattro ragazzi, tra cui me, che avevo diciotto anni, che tornavamo dal Piave dove avevamo fatto il bagno. «Du, komm, komm!» mi disse l’ufficiale con un tono che non ammetteva repliche. Io ero ancora in mudandete ma il tedesco mi ordinò ugualmente di seguirli; quando la colonna giunse da Roncaglia, l’ufficiale scese dall’argine e andò nella casa a requisire una carriola, una di quelle pesanti carriole di legno per i lavori nei campi; i soldati ci caricarono sopra i loro zaini e l’ufficiale mi diede ordine di cominciare a spingerla; la notizia che ero stato sequestrato era intanto arrivata all’orecchio di mia madre, che già temeva d’aver perduto il figlio; continuai a spingere la carriola fino alle albere, ossia all’incrocio del Bar Salmasi, poi il tedesco diede ordine a Gusto Davanzo, un altro dei sequestrati, di darmi il cambio, e Gusto la menò fino all’inizio della rampa, poi toccò a un altro ancora spingerla su per la rampa e poi fino all’imboccatura del pass di barche, che sostituiva il ponte distrutto. La camicia nera a capo di una pattuglia di quattro che controllava il funzionamento del pass di barche in quel momento era Miozzo da Jesolo. Noi giovanotti fummo costretti a seguire i Tedeschi fino alla stazione di San Donà. L’ufficiale tedesco mi fece capire che la mia sorte sarebbe stata di seguire i Tedeschi fino a Vienna, ma io, approfittando della confusione, scavalcai la siepe e capitai a casa dei Korcz, di Carlo Korcz di cui conoscevo la sorella che lavorava […] Io avevo freddo e lei mi diede una maglietta della O.N.B. con la quale, sempre a piedi tornai a casa. Avevo paura, perché non sapevi mai come reagivano i tedeschi. Tornai qualche giorno dopo a restituire la maglietta alla Korcz.

La vita della Dirce a Millepertiche procedeva tutto sommato allegra grazie alla nonna che faceva divertire tutti. Per sopravvivere di settimana in settimana la Dirce poteva contare, oltre che sulla propria, sulle tessere annonarie del padre e del fratello Luciano, che non le usavano perché lavoravano e quindi mangiavano sovente in canonica;, e con le tre tessere andava a prendere il pane una volta alla settimana e portava un sacco di pane là dalla nonna; lì sembravano essersi radunati tutti gli sfollati del comune, tutti che chiedevano pane per gli orfani.

[dai ricordi della Dirce Sforzin]
Ero stanca di stare lì. E sai cosa ho fatto io? Ho ciapà el caret de’a Bepa Zanina, ho caricà par sora el stramazz e chealtre quattro robe e sen dati a viva sul campanil de Crose, a l’ultimo piano, nella cella degli orologi, che era l’unico spazio rimasto libero.
Per un periodo anche mio padre venne a vivere sul campanile con noi.
Una sera capitò che un tedesco volesse uccidere mio padre perché veniva anche lui a dormire nel campanile, forse temevano che fosse una spia. Poi mia sorella che lavorava dai tedeschi a Ca’ Zorzi a Noventa intervenne, parlò al tedesco e allora lo lasciarono stare.

Arrivavano notizie dei massacri che i tedeschi avevano compiuto in più parti d’Italia, man mano che abbandonavano la penisola. Ormai erano braccati. La ritirata anche da Croce era imminente.
L’11 aprile il Commissario Fadalti pagò i risarcimenti per le requisizioni operate dalle truppe di passaggio delle Forze Armate Germaniche presso le proprietà di Amadio Ernesto, Antoniazzi Domenico, Barbin Angelo, Bassetto Augusto, Calderan Elisa, D’Andrea Giovanni, De Sangro Contessa Lidia a mezzo Gnes Angelo, da Favaretto Luigi, da Favotto Luigi, da Fonti Angelo, da Fregonese Stella, da Furlan Giuseppe, Gabrielli Giuseppe, Lorenzon Lino, Paccagnan Pastore, Vianello Tosca.

I tedeschi di Croce non lasciarono brutti ricordi. I due che si erano installati nella casa di Lino Lorenzon, al momento di fare armi e bagagli, salutarono cordialmente. «Mi dispiace non ho nulla da lasciarti – disse l’ufficiale alla quindicenne Maria Teresa - ho solo questo» e le lasciò una forbice e un fischietto. Erano brava gente, dice la Maria Teresa.

In un’azione compiuta nella notte tra il 19 e il 20 aprile i partigiani riuscirono ad asportare dal Municipio in Castaldia 3 macchine da scrivere, 1 addizionatrice, un ciclostile, 2 cucitrici. Il giorno successivo Amedeo Fregonese presentava “fatura” per la “costruzione di N° 1 tabella con iscrizioni coloritura per servizio stradale segnalazioni aparichi” e la “pulitura e iscrizioni di N° 3 tabele”, il “trasporto delle stesse”, la “copertura di N° 1 garete di cartone catramato” per la quale chiedeva la sola manodopera.

Il 20 si verificò uno degli episodi più controversi della storia locale: Arturo Antoniazzi, insieme con Montagner Luigi, Mariuzzo Bruno, Farinello Giuseppe, Celussi Esterino, Egidio Moino, si avventurarono nella zona di Meolo alla ricerca di viveri per il reparto di Meolo; lì Antoniazzi mandò il Montagner e il Farinello in una casa vicino a casa Vidotto, con l’ordine di tornare a mezzogiorno per il pranzo. A una certa ora (alle 14), non avendoli visti più tornare, gli altri andarono in cerca di loro e arrivati a casa Vidotto furono fatti prigionieri dai partigiani. Dentro casa videro Montagner e Farinello seduti al tavolo con altri patrioti. Il partigiano “Laura” interrogò il Moino, e poiché ne conosceva la sorella, lo lasciò andare. Erano partigiani di varie bande, tra cui quella del feroce ‘Falco’ – il boia della cartiera di Mignagola – e provvidero a impiccare i prigionieri, cui, ultimo sfregio, tagliarono gli attributi e glieli ficcaronoin bocca. Due giorni dopo, non vedendoli rientrare, altri quattro uomini delle Gnr si misero sulle loro tracce, ma giunti a Meolo, caddero in trappola e subirono identica sorte.

A guerra finita si moriva ancora.
28 aprile [volantino funebre]:

“sotto i colpi della barbaria nazista cadevano il Maresciallo Natale Michelangelo e Montagner Egidio di Fulgenzio, di anni 20, intrepidi e arditi combattenti, già distintisi in parecchie azioni di sabotaggio contro l’organizzazione militare nemica”.

La Liberazione

Il 29 aprile 1945 giunse anche per Croce la fatidica ‘Liberazione’. Una colonna di carri armati americani passò sulla Triestina, un tedesco uscì dai campi e li affrontò col fucile ma fu subito ucciso dagli americani e in seguito seppellito nel campo di fronte alla casa del Colonnello Gioia. I soldati d’oltreoceano, sani e belli come il sole, regalavano sorrisi e saluti a tutti coloro che accorrevano ad ammirarli e festeggiarli; distribuivano a piene mani cioccolate e chewingum ai bambini, e caffè e latte in scatola alle donne, e sigarette agli uomini, e mandavano baci alle ragazze del paese e la Rina Conte, una delle ragazze più belle ed estroverse del paese, li ricambiava tutti, scatenando la gelosia del marito.
I carri armati e le camionette poi entrarono per via Croce e giunsero in piazza e lì tutti si misero a ballare. I mezzi militari si piazzarono davanti alle scuole, nel Prà delle oche [verificare: la Franca Guseo dice che non entrarono]
Anche gli Sforzin scesero dal campanile per far festa e tutti si misero a suonare l’armonica e la fisarmonica e a ballare in piazza per la gioia, uomini con uomini e donne con donne, ma anche uomini con donne e donne con uomini, non sempre della stessa famiglia, tanto che don Ferruccio fece suonare a distesa le campane per impedire il ballo: tutto il giorno le fece suonare, perché la gente, trasportata dal ballo, non cadesse nelle tentazioni lascive di guardare e toccare.

I carri armati rimasero alcuni giorni sul Prà delle oche.

Per una trattazione completa dell’argomento vedi
CARLO DARIOL - Storia di Croce Vol. 2 - DON NADAL, EL PAROCO DE CROSE
Edizioni del Cubo, 2016