Reazioni dopo lo smembramento
Tre giorni dopo, appena ebbe in mano il decreto, don Natale pensò
di reagire con una lettera energicissima, immediatamente, anche se tra uno sbuffo e l’altro
il cuore gli si riempiva di dubbi: come poteva lui, umile paroco, permettersi di contestare
una decisione del suo vescovo? Era forse accaduto che la Curia, d’accordo con il Comune,
avesse agito in quel momento per fiaccare le resistenze dei crocesi i quali,
offesi per il trattamento ricevuto riguardo alla condotta medica,
già minacciavano di “voler andare con Fossalta”? Anzi, con San Donà!
E se Croce fosse andata con San Donà, chi poteva giurare che anche Musile,
così geloso della sua indipendenza, una volta ridotto a poco non avrebbe dovuto
seguirne la sorte? Troppe cose stavano accadendo in quelle settimane per non sospettare
che ci fosse dietro un disegno, un accordo tra uomini di Treviso e maggiorenti di Musile.
Non v’erano dubbi che il vescovo era stato malconsigliato e aveva avallato, senza volere,
senza sapere, senza immaginare, un sopruso, un’ingiustizia. Don Natale si consultò
con don Saretta che gli assicurò di non conoscere le intenzioni del vescovo. Purtroppo,
pensava don Natale, sua eccellenza Longhin era un sant’uomo e le faccende pratiche
le delegava ai suoi collaboratori, e tra quei collaboratori vi era monsignor Chimenton,
un astratto che agiva d’imperio, senza tener conto della storia, o almeno della
storia di Croce e delle sue < Case Bianche >. Poi don Natale si contraddiceva e
riconosceva che il monsignore non era un astratto dato che aveva diretto
la ricostruzione degli edifici sacri sulle zone del Piave; ma con Croce aveva agito
con malanimo, dando sfogo alla ripicca di non essere stato ascoltato sul luogo
della ricostruzione della chiesa. E mentre oscillava tra un giudizio e l’altro,
il paroco venne nella determinazione di spiegare per iscritto al suo vescovo
tutto quello che sicuramente il vescovo non sapeva e che avrebbe dovuto sapere,
per filo e per segno. L’avrebbe il sant’uomo mal giudicato? Pazienza: non lottò
forse Giobbe col Signore per avere giustizia? Perché di questo si trattava, di
giustizia, solo di giustizia, si ripeteva don Natale. Prese carta e penna e
scrisse tutto quello che gli sgorgava dal cuore:
Eccellenza Ill.ma e Rev.ma Mons. Andrea G. Longhin Vescovo
di Treviso.
Il mio dovere di sacerdote e di parroco di Croce di Piave mi impone Eccellenza
di farle presente quale impressione ha prodotto nel popolo il decreto da Lei emanato circa lo smembramento
della parrocchia di Croce.
Le enumererò a titolo di cronaca le diverse cose che si vanno dicendo.
Tutti ritengono il provvedimento non conforme ai desideri del popolo e quanto mai inopportuno il momento
scelto per l’emanazione del decreto stesso.
Tutti dicono che i suoi informatori sono stati dominati da pochi individui che sotto l’aspetto
religioso hanno nascosto un interesse prettamente politico cercando inconsciamente di recare
un danno alla religione e al clero di questa zona.
A proposito Le riferisco che alcuni proprietari si sono già da me presentati dicendomi
che giacché i loro voti sono stati tenuti in nessun conto, anche loro si ritengono liberi da
ogni obbligo, anche minimo, di riconoscenza verso la parrocchia di Croce, e tanto meno quindi
alla parrocchia di Musile, per cui se per il passato avevano corrisposto a me non il vero il quartese,
perché non riconosciuto, ma una generosa gratificazione annuale, oggi che il loro territorio
è stato aggregato ad altra parrocchia verso la quale non hanno alcun obbligo di riconoscenza,
si ritengono liberi di fare qualsiasi beneficenza nelle forme e agli enti che crederanno opportuno.
In verità, Eccellenza, a Lei è noto che in gran parte i territori, anche i meno produttivi della
zona del Basso Piave sono terreni di bonifica, terreni che, come Sua Eccellenza ben sa, non hanno obbligo
di quartesi; ma che pur tuttavia in generale hanno sempre offerto qualche cosa, mediante i buoni rapporti
intercedenti far parroco e proprietari. Ora in seguito alle condizioni economiche nelle quali versa questa zona,
tenuto conto della gravità delle imposte e della riluttanza osservatasi nel periodo postbellico,
nella generalità dei contadini di versare il quartese anche in quelle zone dov’è dovuto, se vedranno
che i proprietari cominciano a dar l’esempio di non corrispondere nessuna gratificazione nei
terreni di bonifica, questo esempio sarà seguito non solo da quei contadini che abitano in quelle zone,
ma anche da quelli che abitano dove il quartese è realmente dovuto.
È pur vero che noi sacerdoti dobbiamo condurre una vita di sacrificio, ma se le condizioni nostre finanziarie
non permetteranno quella vita di decoro confacente al nostro ministero, tanto meno potremo aiutare
gli istituti dove fummo educati.
Don Natale s’interruppe. Poteva suonare come un ricatto
ricordare al vescovo che, in caso di diminuzione delle entrate, uno dei primi a
rimetterci sarebbe stato proprio il seminario di Treviso. Era meglio passare
a questioni più tecniche.
Dai parrocchiani è stata rimarcata la poca conoscenza da parte delle persone
inviate dalla Curia per studiare i confini stessi.
Alludeva al Chimenton, sì, al Chimenton!
L’art. 3° del decreto dice
che < il territorio Sud dell’argine delle Piombise, già appartenente alla parrocchia
di Musile passa alla parrocchia di Croce di Piave > . Tutti i parrocchiani
sanno che questo territorio è sempre appartenuto alla parrocchia di Croce, per cui ho
sentito interrogarmi < Arciprete, chi è stato a redigere il decreto? Vogliono darci
a intendere di regalarci la nostra roba? Ci spiace che Monsignor Vescovo abbia messo
la firma a quel Decreto, fatto certamente non da lui, ma da persone che non hanno avuto
neppure la pazienza di studiare i vecchi confini delle due parrocchie, giacché, dica loro,
che non solo quel territorio ma anche il tratto fra la Fossa Zotta e le Piombise
è sempre appartenuto alla frazione di Croce.
Ricordo ancora a Sua Eccellenza, che la questione delle < case bianche > fu esaminata
già da sua Eccellenza Monsignor Apollonio di santa memoria, e che dietro maturo
esame fu dichiarato che ogni cosa rimanga in statu quo. Per conseguenza nella mia investitura ecclesiastica e civile, mi fu consegnata tutta intera la parrocchia di Croce senza condizioni, durante munere .
Inoltre facio osservare a V. Ecc. com’è già noto, che dal lato religioso la frazione come l’intera parrocchia, ebbero sempre, dai sacerdoti di Croce, fedele ed assidua assistenza, né mai fu fatto alcun lamento; e fra parroco e parrocchiani vi regnò sempre perfetta armonia nel lungo periodo di oltre trent’anni che io sono in mezzo a loro.
È vero che a me non spetta sindacare le disposizioni del superiore, ma confesso che non comprendo per quali motivi Vostra Eccellenza, è venuta alla determinazione di strappare dal mio cuore circa 1500 anime per aggregarle a Musile con immenso mio dolore, e dispiacere del paese di Croce.
Pertanto confuso e dolentissimo per la severa e intempestiva misura presa da Vostra Eccellenza per Croce, prego vivissimamente con tutto l’animo voler revocare il Decreto di smembramento, e di rimetterlo ad esame in tempi migliori.
Con profondo ossequio Le bacio la mano, implorando per me e parrocchiani la pastorale benedizione.
Croce di Piave 28 marzo 1924.
Umilmo e Devmo paroco
Dn Natale Simionato
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Avrebbe voluto una risposta immediata; ma si sa quali sono i tempi dei
corrieri: dovette aspettare qualche giorno e con l’andar dei giorni l’ansia cresceva. Forse
don Natale avrebbe fatto bene ad attendere la risposta del vescovo prima di incalzarlo
con un’altra missiva, ma già aveva altri argomenti da portare a proprio favore,
non ultimo le reazioni della popolazione delle Case Bianche al decreto di smembramento,
quasi unanimemente di protesta.
Eccellenza Ill.ma e Revma
Mons. Andrea G. Longhin Vescovo
Treviso.
Non mancanza di doveroso ossequio a V. Ecc. Rev.ma
quale mio veneratissimo Vescovo, ma l’interesse delle mia parrocchia e il bene delle anime a me affidate mi spinge a sottoporre alla vostra considerazione alcune osservazioni nel Decreto a me diretto in data 25 marzo 1924.
Innanzi tutto mi preme di far notare che il Decreto sopracitato ha grandemente eccitato la popolazione
di < case bianche ecc > la quale oltre che manifestare il suo rincrescimento e rammarico per le disposizioni
prese a loro riguardo uscirono in espressioni di indignazione, e manifestarono la volontà di opporvisi; sono atti di certo da non approvarsi ed io per parte mia non mancherò di indurre quella popolazione alla calma e al rispetto dovuto.
Però a me pare che non manchino a loro delle ragioni a commuoversi, ragioni che mi permetto
di sottoporre alla considerazione di Vostra Eccellenza Reverendissima
I° Il decreto dice che unicamente avendo di mira il bene delle popolazioni fu incorporato
il territorio di < casebianche e Scole S. Rocco > alla parrocchia di Musile.
Or bene quella popolazione attesta che il bene spirituale fu sempre loro con sollecitudine procurato
dalla parrocchia di Croce, specialmente in questi ultimi anni, per cui mai sentirono il bisogno di recarsi alla parrocchia di Musile.
Apunto perché la parrocchia di Croce sempre ha provveduto a quelle popolazioni anche allora
che si trovavano in condizioni disagiate, e possiamo dire penuriose, sentono un grande attaccamento quelle popolazioni alla loro parrocchia e perciò non sanno rassegnarsi al distacco dalla medesima; tanto più adesso che e per la Messa festiva e per l’istruzione ai loro bambini si sentono provveduti in modo soddisfacente. È appunto per questo che uscirono in queste espressioni: non ci adatteremo mai ad andare nella parrocchia di Musile.
Sarà bene che V. Ecc. conosca anche questo, vale a dire che mentre al parroco di Croce quella
popolazione ha soddisfatto il quartese quando trattasi di terreni nuovi, ha dichiarato di non sentirsi
disposta a soddisfarlo al paroco di Musile.
I proprietari mi dichiarano che non essendovi articolo di legge che li obblighi al quartese,
essi non si sentono obbligati al medesimo. A me lo soddisfarono per i buoni rapporti che sempre
tra noi intercedettero ; col parroco di Musile non si sentirebbero di più continuare.
Consideri Eccellenza che ora specialmente ho bisogno sommo del concorso dei proprietari e coloni
per l’ampliamento della chiesa e del campanile.
II° Per parte mia sottopongo alla Vostra Eccellenza un’altra osservazione. Il N° 3 dice: < il territorio a Sud
dell’argine delle Piombise già appartenente alla parrocchia di Musile, passa alla parrocchia di Croce di Piave >. Evidentemente con questa disposizione si vorrebbe dare alla parrocchia di Croce di Piave, un compenso pel territorio che le viene strappato. Ma in realtà non è così. Il territorio a Sud dell’argine delle Piombise appartenne sempre alla parrocchia di Croce di Piave, anzi alla medesima parrocchia di Croce appartiene tutto il territorio che comincia dalla Fossa Zotta fino al confine della Diocesi nostra.
Lo prova a) l’attestazione dei parrocchiani più vecchi, ancora esistenti. b) la cura spirituale che il parroco
di Croce ha esercitato in quel territorio verso le famiglie colà dimoranti. c) il fatto che colà esiste
un’appezzamento [sic] di terreno, chiamato – Palù perso – il quale secondo
la costante tradizione apparteneva alla chiesa di Croce, e si chiama perso perché sventuratamente andò smarrito il documento comprovante il diritto della chiesa di Croce sul medesimo.
Dalché risulta che per la parte che viene smembrata dalla parrocchia di Croce, parte considerevole,
perché inchiude e terre nuove e terre vecchie produttrici con una popolazione di circa 1500 anime,
non viene assegnato alla parrocchia di Croce il minimo compenso.
III°. Mi permetto di aggiungere un’altra osservazione.
Mi consta che il Comune di Musile da molto tempo si adopera per l’allargamento del territorio di Musile,
impressionato dal fatto che la frazione di Croce aveva un territorio più esteso ed una popolazione più numerosa.
Temo che questo desiderio del Municipio di Musile abbia influenzato ne’ promotori della proposta fatta
a Vostra Ecc. di smembrare la parrocchia di Croce, e che questo scopo recondito siasi voluto pagliare col bisogno spirituale delle popolazioni.
Queste, Eccellenza Reverendissima, in succinto le osservazioni che nell’interesse della parrocchia e
nell’interesse stesso della popolazione mi sono sentito il dovere di sottoporre alla Vostra considerazione.
La prego di attendere alle medesime, e riflettere specialmente alla esacerbazione della popolazione,
esacerbazione, la quale, posta l’attuazione del Decreto, potrebbe avere delle conseguenze dolorosissime
e per me e per altri.
Ascolti, Eccellenza Reverendissima, la preghiera di quelle popolazioni che è di rimanere unita alla parrocchia di Croce, appaghi questo loro desiderio, e questo servirà a riaffermarle sempre più in quella devozione verso la loro chiesa e in quella vita cristiana veramente, nella quale fin’ora sono sempre vissute.
Con profondo ossequio Le bacio il sacro anello e mi raffermo
Croce di Piave I° Aprile 1924
Umilis. e Devmo paroco
Dn Natale Simionato
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E chi poteva contraddire che anche la decisione di sopprimere la condotta di Croce
e mantenere l’unico medico a Musile non mirasse a diminuire Croce a favore di Musile?
Non s’era placata in paese la rivolta; il dottor Stocchino era stato invitato
a rimanere in servizio; ma solo per il tempo necessario ad accomodare burocraticamente
le cose. Quello stesso I° di aprile il medico, a nome del comitato dei rivoltosi,
invitò il sindaco, che aveva indetto per il giorno 3 una riunione con tutti
i proprietari di Croce, a partecipare anche alla riunione che gli stessi proprietari
avevano deciso di tener tra loro il giorno prima “alle ore 15 […] in località Fossetta
presso la casa di Montagner Giuseppe”; il sindaco Argentini, amante della litote
e timoroso della solitudine, gli fece sapere che “non riteneva inutile il proprio
intervento alla riunione”, ma gli raccomandava a sua volta di non mancare. Quel che
si dissero lo intuiremo tra breve.
3 aprile 1924: memorabile giornata per i destini di Croce
In Curia il vescovo stava dettando la risposta alla
prima lettera di proteste di don Natale:
3 Aprile I924
Rev.mo Sig. Parroco di
Croce di Piave
==============
Accuso ricevuta della preg. Sua in data 28 marzo u. s. In merito
alla medesima devo significarle che di un’eventuale revoca del
Decreto di smembramento non solo non è neppure il caso di parlare,
ma che desta meraviglia come mai possa essere ventilata. Il prov=
vedimento in oggetto fu maturamente da più persone, e non da oggi
soltanto, studiato e se qualche cosa si potesse dire in merito al
medesimo, sarebbe che esso è venuto troppo tardi. Quanto poi alle
ragioni da Lei addotte, quasi tutte di ordine prevalentemente economi=
co, esse sono tali che non possono essere tenute in troppo conto
da un Vescovo il quale in questo come in ogni altro provvedimento
ecclesiastico deve attendere prima di tutto e più che tutto il
maggior bene delle anime.
Ciò premesso La prego di far opera persuasiva presso che di ragio=
ne in quanto ve ne fosse bisogno perché il provvedimento in questio=
ne sia da tutti accettato ed eseguito come è dovere di ogni buon
cattolico. A Lei poi raccomando che concentri le sue cure di pasto=
re sulle pecorelle che ancora Le rimangono, e che per quanto ha re=
lazione con la questione economica non si stia soverchiamente preoc=
cupare, ché un onesto sostentamento come non Le è mancato in pas=
sato, così non Le mancherà neppure in avenire.
Benedicendola nel Signore, me Le professo
.+. Fr. Andrea Vescovo
In quella il vescovo ricevette la seconda lettera del paroco, e si irrigidì,
dettando al segretario il seguito da far scrivere
(V. retro)
E quindi sul retro:
P.S. All’ultimo momento ricevo la Sua dell’1 corr.= È un ibis redi=
bis. Non vorrei che la S. V. si mettesse per una falsa strada e
che anche senza accorgersene possa andare incontro a delle gravi
responsabilità.
|
Lo stesso giorno don Natale, che non aveva ancora ricevuto la lettera
sopra, consegnò alla Melia-postina una lettera per l’amministratore del
seminario vescovile, in cui minacciava di ritirare il proprio libretto di risparmi presso la Curia a
favore del seminario medesimo:
Ill.mo e Rev.mo Mons. Alessandro de Lucchi
Amministratore del Seminario Vescovile
Treviso
A v. Sig.a Rev.ma sarà noto che con decreto Vescovile in data 25 Marzo p.p. con effetto I° aprile corr., mi venne smembrata la parrocchia, cioè mi furono tolte le frazioni con una popolazione di circe 1500 anime, le quali furono aggregate alla parrocchia di Musile.
Tale smembramento fu fatto col pretesto del bene spirituale delle anime, che non esiste punto, perché quelle frazioni furono sempre e sono assistite con la miglior premura dal paroco e Coop. di Croce, né mai ebbero bisogno di Musile, come esse medesime dichiarano, anzi oggi minacciano di opporsi al decreto stesso.
L’inopportunità del Decreto è riconosciuta dallo stesso Vicario Foraneo Mons. Saretta, il quale non fu neppure interpellato in proposito dall’autorità ecclesiastica, e così è tenuto a giudizio di vari confratelli della Congregazione consci della situazione della causa.
Tutti dicono in paese che tale provvedimento è stato fatto a base di false informazioni dal lato spirituale e per i confini sbagliati delle due parrocchie, dati da alcuni principali di Musile, a scopo non punto di bene spirituale, ma a scopo prettamente politico; e perciò il Decreto di smembramento è oggetto della massima indignazione e rammarico di tutta la popolazione, la quale si prepara alla rivolta, per quanto io cerchi di sedarla. Tale smembramento per la sua considerevole vastità porta pure un gravissimo danno economico al paroco e alla chiesa di Croce, la quale è oggi in corso di ricostruzione.
Per cui, a dir breve, io sottoscritto, visto che il decreto non ha ragione di esistere, perché non corrispondente al fine unico per cui fu emanato che è il bene spirituale delle anime, ma che anzi è causa di gravissime discordie negli animi, visto che non si è tenuto conto de’ miei sacrifici in favore del Seminario, e che oggi mi trovo nell’impossibilità di far fronte ai bisogni gravissimi ed urgenti della chiesa, senza punto venir meno alla stima e venerazione del mio amatissimo Vescovo, il quale è stato assai male informato da’ suoi incaricati, sono venuto alla determinazione di ritirare immediatamente il Libretto de’ miei risparmi depositati presso V. S. Rev.ma, che prego del favore di farmelo recapitare raccomandato, vistato dalla Banca San Liberale.
Solo a condizione che Sua Ecc. Ill. ma e Rev. ma vorrà appagare il desiderio di questa buona popolazione colla revoca del Decreto di smembramento, io sarò disposto di riaffermare la mia disposizione a beneficio di cotesto Venerabile Seminario, anzi di continuare con nuove beneficenze per quanto mi sarà possibile.
Con profondo ossequio
Croce di Piave 3 Aprile 1924
Devmo paroco
Don Natale Simionato
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Era un giocare sporco, don Natale se ne rendeva conto.
Intanto in municipio...
Un’altra partita per i destini di Croce si stava giocando alle quattro di quello
stesso pomeriggio, in municipio, nella riunione del Consiglio comunale al quale parteciparono
1.Argentini Giuseppe, 2.Bizzaro Nicola, 3.Janna Cav. Dottor Vincenzo, 4.Casorzi Dr.Cav.Antonio, 5.Cuppini....
(non ricordando il nome di battesimo del “signor Concina”, il segretario
lasciò provvisoriamente lo spazio bianco, non volendo
mancare di delicatezza nei suoi confronti chiedendoglielo in quel momento)
5.Cuppini . . . . 6.Stocchino dottor Raimondo, 7.Draghi Carlo a nome della Cooperativa Lavoro
di Croce, 8.Raggiotto Prosdocimo, 9.Sattin Ferruccio, 10.Naressi Eugenio,
11.Montagner Pietro fu Luigi, 12.Guseo Eliseo, 13.Granzotto Guglielmo, 14.Perissinotto Luigi,
15. Montagner Giuseppe fu Giovanni, 16.Tonicello Giacomo, 17.Archiapati Angelo,
18.Finotto Marco, 19.Pavan Vittorio, 20.Longato Giuseppe,
21.Bassetto Augusto per l’amministrazione Gioia, 22.Zanin Antonio, 23.Montagner Primo,
24.Pasini Guglielmo, 25.Ferrari Silvio, 26. Pavan Domenico, 27.Lessi Giacomo,
28.Montagner Antonio fu Giovanni, 29.Sforzin Antonio fu Vincenzo, 30.Finotto Federico,
31.Pietro Bergamo, 32.Montagner Giuseppe fu Luigi, 33.Favotto Luigi,
34.Augusto Casagrande, 35.Montagner Giuseppe, 36.Cancellier Virgilio,
37.Ce(?)sato Camillo, 38.Scabbio Pietro, 39.Rusolen Luigi, 40.Luisetto Ireno,
41.Venturato Giovanni, 42.Furlanetto Eugenio, 43.Cooperativa Croce,
44.Rigato Giovanni, 45.Guseo Attilio, 46.D’Andrea Giovanni,
47.De Faveri Francesco, 48.Montagner Antonio, 49.Casagrande Luigi.
Il sindaco fece leggere al segretario Saladini la lunghissima relazione che egli aveva preparato.
“per far conoscere e per dichiarare nel modo più formale e categorico tutta la verità […] I° La domanda di supplicazione della condotta medica di Croce era stata prima di tutto richiesta dal Comune di Fossalta […], e consigliata dal prefetto per il grande vantaggio economico […] a condizione che la residenza del medico fosse stabilità in località Capodargine […]. Alla costituzione del Consorzio s’erano opposti i consiglieri di Croce […] [anche se] il provvedimento corrispondeva perfettamente alle vedute del Governo, il quale con Decreto 27 Maggio 1923 N° 1177 [aveva]voluto istradare i Comuni nella via della più rigorosa economia […]
2°. Non avendo poi il Comune di Fossalta accettato una delle principali condizioni volute dall’Amm. di Musile […], sopra proposta di uno dei consiglieri di Croce [era stata] proposta l’unificazione della condotta […] in via provvisoria per esperimento di prova, dissenzienti parte dei consiglieri di Croce, causando le dimissioni degli stessi fino dal 30 Dicembre pp. i quali nonostante i replicati uffici loro rivolti di rimanere in carica assicurando che il provvedimento avrebbe avuto carattere provvisorio e la condotta sarebbe stata ripristinata se le esigenze del servizio sanitario l’avesse imposto […] continuarono e continuano a mantenersi dimissionari con grave nocumento degli interessi della frazione che rappresentano, non senza aver fatto loro comprendere che ostile atteggiamento potrebbe di conseguenza provocare da parte delle Superiori Autorità la non voluta aggregazione della frazione di Crocee Fossalta, per cui per la strada che non vorrebbero andare potrebbero correre a precipizio.
3° Che il provvedimento dell’unificazione […] [era] stato imposta da regioni economiche, seguendo le direttive del Capo del Governo […]
4° Essendo stato deciso […] la cessazione col I° Marzo pv. della condotta medica di Croce […] la popolazione di Croce sempre agitata e fomentata nel 29 febbraio pp insinuò una dimostrazione ostile all’Amm. reclamando il mantenimento della condotta – e fu solo per i buoni uffici del referente e del Fiduciario Mandamentale della federazione Fascista di S. Donà, Sig. Comm. Bortolotto, quì chiamato nel momento della manifestazione, se non ebbero a verificarsi conseguenze dolorose, e venne evitato alla folla di recarsi a S. Donà presso quel Municipio per chiedere l’aggregazione della Frazione di Croce a San Donà, ciò che avrebbe dato spettacolo di poca serietà ed offesa alla autonomia del Comune. Non essendo stato in quel momento (come tuttora) approvate dalle competenti autorità le delibere Consigliari succitate […] venne assicurata la folla tumultuante che la soppressione della condotta non avrebbe avuto luogo col I° di marzo ma solo quando le delibere suddette venissero approvate […]
5° È da premettersi che il signor Dr. Stocchino Raimondo, prendendo atto della lettera municipale […], faceva apprezzamenti poco opportuni sul provvedimento adottato, rilevando che meglio sarebbe stato sopprimere in un primo tempo la sezione staccata dello Stato Civile […] convincendo sempre più l’Amm. che la popolazione era stata male informata ed agitata in senso contrario ad ogni buon e sano principio di economia amministrativa.
Successivamente il Dr Stocchino all’invito […] di continuare a prestare servizio nella condotta medica fino a nuovo ordine […] dichiarava di ritenersi assolutamente licenziato accettando l’incarico del servizio interino per pochi giorni […]
6° È notorio che l’agitazione della popolazione di Croce di Piave continua sempre più ad acuirsi, che essendo stato il referente invitato dal Sig. Bianchini Luigi Consigliere dimissionario di Croce ad assistere ad una riunione dei frazionisti nel giorno 28 Marzo corr., fu inutilmente fatto attendere dalle 15 alle 18 avendo poi avuto luogo dopo le ore 18 la riunione, nella quale sembra sia stato deciso di imporsi e ribellarsi contro ogni eventuale aggregazione della frazione al Comune di Fossalta di Piave, propendendo invece per S. Donà, allo scopo palese di indurre, secondo il criterio errato dei frazionisti di Croce, che anche la rimanenza di Musile seguirebbe ugual sorte
E quì gli è che non comprenda Egregi Signori che trattasi esclusivamente di pontiglio della popolazione male informata e di rappresaglia, deliberata per la soppressione della condotta medica; volendo così trascinare il Comune alla sua disgregazione e alla sua rovina. La popolazione di Croce essendo stata trascinata sopra una falsa via, è l’ora che questa conosca tutta l’intera verità ed il pericolo cui va ineluttabilmente incontro.
7° Sappiano i signori proprietari e la popolazione tutta che l’Amm. non permetterà mai che il Comune di Musile venga disgregato e che quantunque si senta risentita dalle inconsulte vertenze di Croce, non intende che il suo territorio venga aggregato a Fossalta e S. Donà e che impedirà con ogni tentativo al riguardo.
Sappia e conosca la popolazione di Croce ed il Comune intero che il Comune di Musile per la vastità e fertilità del suo territorio per la sua secolare costituzione, per la sua tradizione storica, per le sue risorse economiche, agricole ed industriali, non ha bisogno di ricorrere ad aggregazione o disgregazione”
Bevve un bicchier d’acqua il segretario, assetato dalla lettura.
“8° Sappiano e conoscano tutti gli abitanti che coll’aggiornamento del nuovo catasto, il Comune di Musile risorgerà economicamente forte ed indivisibile, quando si consideri che i 2/3 del suo territorio bonificato, che ora sfugge alle imposte tributarie, con grave danno degli attuali contribuenti, apporterà il suo estimo censuario ad una cifra superiore a quella di tutti i Comuni del Mandamento e Provincie.
Sappiano e conoscano i Signori Proprietari che l’azione da promuovere nel loro reciproco interesse, per la vitalità e per il benessere del Comune è appunto l’azione concorde nell’ottenere l’aggiornamento del catasto per una più giusta ed equa perequazione fra tutti i contribuenti e non le agitazioni meschine di partito e di persone, contrarie ad ogni principio di sana e seria amministrazione.
Questa, Signori, la pura verità di fatti […]”
Fu data quindi la parola agli intervenuti e “dopo
lunga e animata discussione nella quale presero viva parte
il Sig. Stocchino Dr. Raimondo” – il quale, piccato per come era stato citato,
dovette essere calmato dal “Cav. dot. Janna Vincenzo, Sindaco” –
il signor “Draghi, Dr. Cav. Casorzi ed altri”, rimase
affermato che l’Amministrazione aveva agito per il meglio e le ostili agitazioni
della popolazione di Croce non si sarebbero verificate se i consiglieri
dimissionari “avessero compreso a tempo i veri e giusti
intendimenti dell’Amministrazione” e se i signori proprietari
“avessero risposto all’invito rivolto loro […] della pacificazione
degli animi ed evitare nel modo più reciso e assoluto che il territorio della
frazione venga aggregato a Fossalta di Piave o a S. Donà di Piave, intendendo
di rimanere sempre uniti col centro di Musile, coi quali da secoli hanno sempre
condiviso le comuni gioie e dolori, che per la vastità del territorio del Comune,
per la sua fertilità, per la rendita censuaria ha sempre da solo fatto fronte
a tutte le calamità ed a tutti i bisogni dei pubblici servizi […], e che col nuovo
catasto eccetera eccetera eccetera”.
Prese allora la parola il signor Cuppini, che riuscì a convincere
l’adunanza ad approvare un ordine del giorno col quale i proprietari del territorio
della frazione di Croce, “ritenuto che grave danno ne deriverebbe
ai proprietari ed abitanti della frazione stessa se questa venisse distaccata
dal Comune; […] ritenuto che i sacrifici fin qui sostenuti per la ricostruzione del Comune
e sistemazione dei terreni e l’aumento di estimo andrebbero a vantaggio
di altri Comuni; ritenuto che il Comune di Musile per la vastità del suo territorio
di oltre Ettari 4300, per la fertilità e produzione del suo suolo abbia
rendite sufficienti […] e che se per secoli ha potuto mantenersi autonomo con le proprie
rendite censuarie colpite solo per 1/3 della sua estensione territoriale” tanto meglio
l’avrebbe fatto quando “anche gli altri 2/3 saranno assoggettati
al pagamento dei tributi diretti”; ritenuto che i contribuenti di Croce
dovessero pensare agli interessi generali del Comune e che dall’Amministrazione
tutto era stato fatto per il meglio e che seguendo le direttive del Governo si era
fatta opera di saggia e avveduta amministrazione; ritenendo che solo una collaborazione
reciproca di economia e pace tra contribuenti ed amministratori si sarebbe ottenuto
sempre più il benessere materiale e morale del Comune, DELIBERAVANO di incaricare
sindaco e giunta di vigilare sull’integrità territoriale del Comune, di disapprovare tutte le ostili agitazioni “qualunque fine [avessero] ritenendole un mezzo già sorpassato dai tempi”, di raccomandare a Giunta e sindaco di sollecitare presso le autorità competenti l’aggiornamento del nuovo catasto, di invitare i consiglieri di Croce a
“ritirare le loro dimissioni e collaborare colla loro assidua presenza e
colla loro intelligente opera al regolare funzionamento amministrativo del Comune”;
di nominare infine una
“Commissione composta di tre Membri della Frazione di Croce
e tre di Musile, cioè i signori Cuppini Renato, Draghi Carlo, Guseo Attilio, Montagner Antonio
di Ambrogio, Caberlotto Antonio e Berretta Giorgio, perché assieme al Sindaco
e Giunta [si recassero] presso l’Illustrissimo Prefetto della Provincia
per il sollecito conseguimento di quanto sopra”.
Cuppini aveva parlato con saggezza. Ora anche chi non lo conosceva
si sarebbe ricordato di lui.
Al momento di sciogliere l’adunanza il dottor Stocchino colse l’occasione per rivolgere
“un caldo appello agli intervenuti perché tutti [avessero]
a cooperare per far riuscire vittoriosa la Lista Nazionale nelle elezioni politiche
di Domenica 6 aprile corrente, perché votare per la Lista Nazionale significa
amare la Patria, voler grande temuta e rispettata l’Italia”.
L’appello del dottor Stocchino fu accolto con vivi applausi.
Elezioni politiche del 6 aprile 1924
In tutt’Italia ci si avviava alle elezioni in un clima teso.
Ai comuni i prefetti richiesero di disporre i pagliericci per i militari.
Toccò ai tre stradini il trasporto del materiale elettorale.
| Musile sezione 97 | Croce sezione 98 |
Presidente | De Castello Ing. Vittorino | Cattarin Umberto |
Vicepresidente | Wett Carlo | Casagrande Augusto |
Segretario | Montagner Europeo | Vianello Dino |
Scrutatori | Saladini Natale Baron Enrico Bozzo Antonio Montagner Antonio |
D’Andrea Giovanni Rigato Giovanni Granzotto Guglielmo Panizzo Ruggero |
Il 6 aprile 1924, in un clima di violenze e irregolarità, si svolsero
le elezioni politiche. In tutta Italia votarono 7.600.000 su 12 milioni aventi
diritto. Il “listone” di fascisti, alleati a liberali e cattolici, a livello
nazionale ottenne il 66,5% dei voti.
[E a Musile? E a Croce? Cercare i dati]
Don Natale intanto, ricevuta la lettera del vescovo, reagiva stizzosamente:
possibile che il vescovo non s’avvedesse di quanto fosse grave la decisione di smembrare
la parrocchia? Montava la tentazione di scrivergli ancora, ma era stato diffidato dall’insistere
sull’argomento. Forse poteva tornar più utile l’atto simbolico che compirono i fabbricieri l’8 aprile dimettendosi:
Eccellenza Ill ma e Rev ma
Mons. Andrea Giacinto Longhin
Vescovo Treviso
Gli umili sottoscritti Fabbricieri visto che il Decreto di smembramento della parrocchia di Croce di Piave in data 25 Marzo 1924 è biasimato da tutta la popolazione perché ritenuto inopportuno sotto ogni rapporto, anzi dannoso alla religione e alla pace del paese:
2° Considerato che il Bilancio di questa fabbriceria prima del suddetto Decreto era povero, però non disperato, e che dopo il Decreto le condizioni economiche della fabbriceria sono ridotte quasi a nulla, perché le viene a mancare il concorso della parte più produttiva del paese:
3° Visto pure che i bisogni della chiesa oggi sono gravissimi ed urgenti, per cui la fabbriceria non può in nessun modo provvedere al decoro del culto, notificano con dispiacere a V. Ecc. che si dimettono dal loro Ufficio
Con ossequio baciandole il sacro anello
Croce di Piave li 8 Aprile 1924 I fabbriceri
Moro Angelo
Bortoletto Giuseppe
Favotto Luigi
|
Anche a ragionare solo per geografia il nuovo confine era tracciato male: ammesso che le Case Bianche fossero effettivamente più vicine alla chiesa di Musile, come la si metteva con gli altri terreni e le altre abitazioni che erano più vicine alla chiesa di Croce e ora si ritrovavano sotto Musile? Il fatto che la questione della comodità venisse tenuta in conto per quelle e non per questi era la dimostrazione che la Curia s’era accodata col sindaco, col parroco di Musile, vai a sapere con chi, in un disegno politico teso a sminuire Croce a favore del capoluogo! Di sicuro, nella facilità con cui il provvedimento era stato approvato, c’entravano la stima e l’amicizia che il Chimenton e don Tisato nutrivano l’un per l’altro. In Curia si rimproverava a don Natale di aver fatto di tutto una questione puramente economica, e a Musile si ripeteva lo stesso concetto… come se una parrocchia potesse avere una vita, anche spirituale, senza il quartese.
Eppure cose analoghe chiese il sindaco Argentini in occasione della visita dell’onorevole Amedeo Sandrini
a Musile l’11 aprile: tra gli urgenti bisogni del Comune ribadì la necessità di costruire
delle nuove scuole (essendo le 12 esistenti alloggiate in baracche), ma ancor di più accentuò la impellente
necessità di avere finanziamenti e sovvenzioni suppletive, e di aggiornare il catasto che vedeva
ancora esenti dalle imposte dirette i 2/3 di terreno bonificati da oltre un ventennio.
Non chiedeva il sindaco che il Comune non avesse a venir smembrato e che venissero pagati
finalmente i danni di guerra? Le stesse cose chiedeva don Natale per la sua parrocchia.
Il sindaco, in più, chiedeva all’onorevole la retorica e inutile “croce di guerra alla bandiera del Comune”.

Il 28 aprile 1924 nella chiesa di Croce si sposavano Marcello Bassetto e la Irma Barbieri.
Registriamo questo evento perché i suoi svilluppi si intrecceranno con la vicenda di don Natale.
Con la mezzanotte del 30 aprile il dottor Stocchino, come già aveva preannunciato
al sindaco Argentini per voce e per lettera, cessò il servizio interino sanitario. Di fronte al fatto,
senza aspettare l’approvazione della Giunta Provinciale Amministrativa, il 3 maggio la Giunta
deliberò che l’esperimento dell’unificazione delle due condotte dovesse ritenersi iniziato già col I° di maggio,
così come il servizio affidato al dottor Rizzola.
Insediamento del nuovo Parlamento nazionale
Il 12 maggio, dopo la permanenza a Mosca e Vienna, Gramsci rientrava come deputato in Italia,
eletto in Veneto con 1856 preferenze. Dopo le dimissioni di don Sturzo, Alcide De Gasperi
era nominato segretario del Partito Popolare Italiano. Il 30 maggio, giorno dell’insediamento delle nuove Camere,
il segretario del Partito Socialista Giacomo Matteotti pronunciava il suo discorso di denuncia
dei brogli delle elezioni di aprile e delle diffuse illegalità nel paese. |
Durò tre settimane l’esperimento dell’unifica-zione delle condotte: “il giorno 17 corrente alle ore 21 si [riunirono] quì in Croce molti capi-famiglia”, che dopo ampia discussione nominarono “una Commissione […] coll’incarico di compilare un memoriale […]” per ottenere il ripristino della condotta. La Commissione, riunitasi cinque giorni dopo, prese atto che “il medico Sig. Rizzola disimpegna con lodevole zelo il proprio servizio, ma ciò nonostante e sempre indipendentemente dalla buona volontà e competenza indiscussa si può verificare il caso che non sempre esso possa portare a tutti gli ammalati e sopratutto a tempo debito la sua preziosa opera di sanitario. Le inerenti cause sono evidenti e comprensibili se si osserva la vastità e conformazione del territorio Comunale, l’aumentata popolazione e le crescenti esigenze di essa, non però confrontabili col passato, la mancanza di buone strade le quali nel periodo invernale diventano impraticabili […], mettendo la maggioranza delle famiglie nell’impossibilità di chiamare il medico con la rapidità voluta nei casi urgenti […]”;
l’orario di ambulatorio fissato alle 14 risultava “incomodo, anzi impossibile se si tiene conto della
stagione che andiamo incontro”, e non valeva la pena modificarlo perché “il vantaggio derivante da tale modifica
andrebbe certamente a discapito dell’altra Frazione dato che il medico è uno solo e non può certamente
essere contemporaneamente nell’uno e nell’altro ambulatorio”. La Commissione “reclama[va]
nuovamente codesta On. Amm. di voler far propria la proposta [di ripristino] iniziando le pratiche del caso”.
Capofila dei firmatari era Renato Cuppini, cui ormai tutti riconoscevano capacità di mediazione
e di portavoce; seguivano le firme di Guseo Attilio, (?), Tozzato A., Furlan Angelo, Furlanetto Eugenio,
Calderan Giuseppe, Panizzo Ruggero, Ferrari Silvio, Bergamo Ernesto.
Sotto l’elenco dei “Proprietari” firmavano Montagner Antonio, Granzotto Guglielmo, Favotto Luigi,
Fuser Francesco per la Contessa Prina, Archiapato Angelo, Finotto Marco, Rigato Giovanni, Montagner Primo,
Cancellier Virginio, Scabbio Pietro, Lessi Giacomo e i Coniugi Gioia.
Nella seduta del 31 maggio, visto il rapporto stilato dal dottore, che si dichiarava
compiaciuto per i giudizi lusinghieri degli abitanti della frazione ma al quale il servizio
riusciva effettivamente “molto pesante disagevole”, e pertanto esprimeva parere favorevole al ripristino
della condotta di Croce; ritenuto, sulla base di quanto esposto dalla Commissione dei capifamiglia,
che non aveva senso continuare un esperimento che avrebbe solo acuito il malcontento dei frazionisti di Croce,
la Giunta deliberò di ripristinare col I° di agosto la condotta medica di Croce e di bandire col I° di luglio
il concorso per la nomina del nuovo medico e di assumere per quel mese un medico interinale.
Il 7 giugno il Consiglio comunale approvò la succitata delibera di Giunta; e inoltre deliberò
di concorrere con L. 50 pel funzionamento dell’ufficio tecnico delle Corporazioni Sindacali Fasciste Federazione Provincia
di Venezia, elevando a L. 200 il concorso per l’anno 1925: “L’ufficio tecnico della federazione
ha per iscopo l’assistenza delle classi lavoratrici che fino ad oggi sono state abbandonate a se stesse
o curate solo per questioni di carattere economico o politico”. Quindi ratificò per acclamazione la decisione
della Giunta, presa in data 15 maggio, di conferire la cittadinanza onoraria a Benito Mussolini.
Il 10 giugno a Roma veniva rapito Matteotti.
Nel comune proseguiva la campagna antimalarica mediante ripetuti acquisti di chinino. Quanto
e più della malaria colpiva l’alcol. Non vi erano dati precisi sulla diffusione dell’alcolismo,
ma erano dovuti all’alcolismo i colpi di matto mostrati negli ultimi tempi dall’ex guardia
municipale Pavanetto Giacomo, per il quale fu deciso il trasporto a San Servolo. Reagiva l’ex guardia
ma di più reagiva l’Italia tutta al rapimento di Matteotti, Mussolini era in difficoltà.
La maestra Berton si dedicava personalmente al miglioramento delle due aule scolastiche, apponendo
utili tende alle sette finestre per riparare i ragazzi dal sole, e chiedendo il rimborso
al Comune: per “14 metri di tela a lire 8 il metro sono lire 112; per 7 ferri, 14 viti e 42 anelli
sono lire 12; infine di fettuccia e filo son lire 4; totale lire 128”.
Don Natale cercava di calmare i parrocchiani che non si rassegnavano al decreto
di smembramento assicurando che con i fabbricieri avrebbe tentato di fare tutto il possibile.
Il settantunenne De Faveri Eugenio, residente alle Cascinelle, padre del soldato Pietro morto
durante la guerra di Libia, chiedeva alla Procura Generale della Corte dei Conti di provvedere
alla sua situazione di indigenza dato che, con la morte del figlio soldato, egli aveva perso l’unica fonte
di sostegno, essendo gli altri due figli “divisi da lui, carichi di numerosa famiglia e versanti
anche loro in condizioni di miserabilità”, ed avendo egli subito “i danni in seguito all’invasione
nemica del 1917-1918 e nel 1922 soffrì di una malattia paralisi che lo rese completamente inabile al lavoro”.
Purtroppo “la campagna condotta a mezzadria dai suoi due figli (i quali sono divisi pure tra loro) [era] sita
in località paludosa e malarica e […] anch’essi campavano miseramente […].
Il 30 giugno il sindaco Argentini comunicava a Cuppini che le delibere relative al ripristino
della condotta di Croce erano state approvate dalla Giunta Provinciale Amministrativa
e si sentiva “in dovere di tributarle anche a nome della Rappresentanza Comunale i più vivi e sentiti
ringraziamenti per l’opera sua autorevole di pacificazione spiegata nella nota vertenza
con codesti frazionisti che valse ad evitare incresciose e dolorose conseguenze […]”.
Il 27 giugno le opposizioni del fascismo approvarono una mozione in cui si impegnavano
a non partecipare ai lavori del Parlamento fino a che un nuovo governo non avesse ristabilito
la legalità nel tentativo di isolare moralmente il fascismo: era la protesta dell’Aventino. La tensione
nel paese raggiunse l’acme quando il cadavere di Matteotti fu ritrovato sulla spiaggia di Ostia il 16 agosto.
Tre giorni prima, il 13 agosto, Giovanni Rigato, che s’era dato da fare per far vendere al Comune
sei baracche, aveva ricevuto 100 lire quale compenso per la sua mediazione.
Non si sa se tra le sei baracche ci fosse anche quella che don Natale aveva nella prebenda parrocchiale in grava,
che egli quell’anno affittò a Ferdinando “Nano” Fornasier. Così racconta il figlio Marcello:
Noi siamo originari di Chiarano, Motta. I nonni presero
in affitto una campagna a Zenson, alle dipendenze di Guarnieri, nelle “terre grosse”, che sono le terre
da Sant’Antonio in qua, terre pesanti, difficile da lavorare. I miei genitori, da Zenson, vennero
ad abitare nella casa che oggi è di Tèto Toresàn, lungo la via Bosco. Lì nacque Ortensio nel 1920 e nacqui
io, Marcello, nel 1923. Poi don Natale, che conosceva bene mio padre, che frequentava la chiesa
e cantava nel coro, gli propose di lavorare la terra della parrocchia in grava e così nel 1924
ci trasferimmo nelle cesura del prete in grava, dove c’era una baracca che il comune
gli aveva donato o che lui aveva comprato. Lì nella baracca sarebbero nati Alfonso nel 1926 e Arnaldo nel1937.
[dai ricordi di Marcello Fornasier]
Ricostruito il presbiterio e completate le navate, don Natale aveva fatto
accorciare la baracca chiesa perché potessero essere gettate le fondamenta del campanile. Qualche
parrocchiano, che già non aveva gradito la ricostruzione della chiesa “dov’era” e perciò
ce l’aveva a morte col paroco, trovò l’atto una sconcezza. Il 17 agosto arrivò in Curia a Treviso
una LETTERA ANONIMA piena d’incongruenze e contraddizioni: al paroco si imputava
la perdita delle fede da parte dei parrocchiani:
Monsignore,
Quattro cinque anni fà, quando Lei fu a Croce, vi fu un ubbriaco che mentre predicava,
gridò al di fuori: “Ci porti polenta e non ciance”. Lei inveì per questa cosa e disse queste precise
parole. “Mi disse il vostro parroco che avete perso la fede” Le ricordiamo bene! Monsignore è vero!
non abbiamo più fede! Ma il parroco disse a Lei che fu proprio lui a farci perdere la fede? In 30 anni
che è qui non fece altro che incattivarci e ammassare denaro.
Ora la sua sostanza amonta a un milione ! ... Ed
è nato poverissimo ! E rifiuta a un povero |
10 Kgmi di polenta se non ha il denaro alla mano... Non abbiamo più fede, è vero, ma disse a Lei il parroco che continua a farci perdere quella che abbiamo? Basta assistere qui a una funzione… la baracca Chiesa una stalla… mai lume alla notte come nelle altre chiese…
Avvevamo una bella baracca, ora la rovinò per non cedere provvisoriamente pocchi metri del suo brolo per il campanile… Era una Barracca magnifica per asilo, o gioventù, o adunanze quando (e quando?) saremo entrati in Chiesa… Asilo e gioventù, forse unica atta per rialzare Croce.
E tutto questo sempre senza parlare e chiedere a nessuno... |
La Chiesa piccolissima, come era e dove era, quindi sul confine... e fu proprio lui che la volle li. perché aveva già fatta la canonica…
E ci sono 8 o 9 Km dalla Chiesa!... Abbiamo riccorso... fatto firme... sempre in modo giusto e legale, nessuno mai ci ascoltò.
Monsignore, ora ci rivolgiamo a Lei. Siamo stanchi, cosi non può durare. Lei provederà? Speriamo.!
Altrimenti non so dove andremo a finire. Croce è buono, tropo buono, ma abbiamo è vero, perso la fede e chi ha perso la fede può arrivare agli estremi anche contro cose e persone che dovrebbero esser sacre.
Molti una volta buoni di Croce di Piave (e Musile)
Scusi Monsignore e compatisca questo grido angoscioso!
A Sua Ecc. Mons. Giacinto
Longhin Vescovo
Treviso |
(altra scrittura)
P.S. Abbiamo perduto la fede: sentii
sempre che la religione dei morti fu sacra per tutti gli uomini. Qui si scavò
le fondamenta e ossi di morto furono lasciati mesi e mesi in preda ai cani. Si chiese
al parroco cosa farne, rispose: “ Gettateli nel fosso” cioe disse mesi fà, Cio disse ora per le fonde
del campanile, La cosa è notoria._ Di chi la colpa se abbiamo perduto la fede? Vi era formato i circoli
di bravi giovanni dei due sessi de’ miliori del paese e perché con lui non va d’accordo
nessuno son sciolti. Come si fa? L’esempio trascina.
(altra scrittura ancora)
Quando un generale d’Esercito in testa dei suoi va nell’abbisso i stessi soldati vano nell’abbisso. L’esempio trascina.
Milliaia di noi aspettiamo provedimenti
(di nuovo la scrittura iniziale)
Croce di Piave 17 Agosto 1924
|
La signora Vendraminetto Regina proponeva al Comune di acquistare il proprio
fabbricato alla Fossetta, in uso alle scuole. Il 14 settembre il sindaco Argentini, in Giunta,
informò che
“la Signora Vendraminetto Regina vedova Bianchini […] à chiamato in giudizio
il Comune […] perché venga lasciato libero e sgombro da persone e cose e a libera disposizione
della richiedente Vendraminetto stessa il fabbricato sito in località Fossetta per il novembre pv.
ora in affitto del Comune per l’annuo canone di L. 600.= adibito ad uso scuole ed alloggio insegnanti.
Fatte le pratiche colla detta proprietaria Signora Vendraminetto è risultato che la medesima
intende di vendere il fabbricato suddetto con annesso terreno di mq. 737.14 perché costrettavi
dal bisogno, e sarebbe disposta di dare preferenza d’acquisto al Comune sempreché il pagamento
dello stabile venisse eseguito al più presto possibile.
Fa presente che se il detto fabbricato venisse venduto ad altri il Comune rimarrebbe
senza locali per le scuole di Fossetta – ne vi sarebbe la possibilità di trovare
altri locali – per cui la scuola dovrebbe rimanere chiusa con grave danno dei numerosi
alunni colà residenti – e dappoiché continua il Presidente, il Comune deve in modo assoluto
provvedere per il funzionamento dell’importante scuola nella popolata sezione della Fossetta
e per la quale è stato già stabilito di costruire apposito fabbricato scolastico – il Comune farebbe
ora ottimo affare – se acquistando ora il fabbricato e terreno annesso, continuasse ad adebire
i relativi locali ad uso scuola ed in via provvisoria – fino alla costruzione del nuovo fabbricato
che sorgerebbe sul terreno ove è ubicato la scuola provvisoria e su quello in parte
annesso di mq. 737.14 con relativo cortile per la ricreazione degli alunni.
Il prezzo d’acquisto, casa e terra sarebbe fissato in L. 19.500.=, che il Comune potrebbe
far fronte col ricavato della vendita baracche […]
LA GIUNTA COMUNALE
[…] Ritenuta la necessità della continuazione della Scuola Fossetta istituita da oltre vent’anni
e frequentata da circa 120 alunni.
Ritenuta che l’unica località adatta e centrale per gli alunni che frequentano la detta
scuola è quella ove è attualmente ubicato il fabbricato della Signora Vendraminetto, a suo tempo
appositamente costruito per tale uso ed affittato al Comune da circa 20 anni;
Ritenuto che se la Vendraminetto vendesse ad altri il detto fabbricato e annesso terreno di mq. 737 circa il Comune si troverebbe nella condizione d chiudere la scuola per mancanza assoluta di fabbricati […]
DELIBERA
di avviare la trattative...
Si procedette all’acquisto. Il Consiglio comunale avrebbe ratificato la decisione in dicembre.
Qualcun altro in paese si dedicava ad attività più utili delle denunce anonime:
il 27 settembre i “Frazionisti di Croce” presentarono al Comune una richiesta
perché finanziasse le 4.000 lire che la S.A.L.E. (Società Anonima Litoranea di Elettricità) chiedeva
per avviare l’impianto di elettrificazione del centro di Croce. Essi si impegnavano a restituirli
a rate.
Fondata un mese prima, il 6 ottobre a Roma inaugurava le trasmissioni. l’U.R.I. l’unione radiofonica italiana.
Che la scuola fosse importante era confermato dal fatto che in centro a Musile stava per essere
attivata per la prima volta, in via provvisoria, la IV classe elementare presso “el capanon” sul
terreno di Ferruccio Sattin.
E venivano restaurate le baracche-scuola di Croce.
L’8 ottobre Guglielmo “Memi” Granzotto,
il marito della maestra Berton, dettava alla moglie la richiesta di rimborso per i
Lavori eseguiti alle due baracche scolastiche di Croce
per conto del Municipio di Musile
Riparazione a 60 banchi £. 60
Riparazione ai soffitti, alle pareti, al pa_
vimento otturando fessure e buchi e riparazioni
alla porta d’entrata £. 40
Riparazione ai telai delle finestre uno dei
quali deve farsi nuovo, e vetri mancanti £. 50
Collocamento e riparazione delle stufe col_
l’aggiunta di due pezzi di tubo £. 35
_______
Totale £. 185
Coperchio Cesso dimensioni 4,70 x 1,70 £. 45
Il falegname £. 230
Specifica 18.11.924 allegata £. 40
£. 270
Croce di Musile, 8 ottobre 1924 Granzotto Guglielmo
|
e la nota del 18 novembre relativa a
“Due grandi catenacci e due serrature alle porte d’entrata
Un catenaccio ed una serratura alla porta del gabinetto £. 40”
Avendo dimenticato di riportare nella richiesta di rimborso il “Coperchio Cesso”, davanti al funzionario comunale
doveva correggere la nota con la propria scrittura incerta.
Prima pietra del campanile
Fatto spazio per il campanile alla destra della chiesa,
il 19 ottobre 1924, sotto l’occhio vigile e soddisfatto di don Natale,
don Saretta benedì la prima pietra del campanile.
Al centro del getto del pavimento della sala-funi (l’entrata)
venne inserita una cassettina con alcuni documenti a ricordo dell’inizio dell’opera
e di chi si accingeva a realizzarla.
Varie: elettrificazione, Bepi Bravo, tasse
Il 31 ottobre la Giunta approvò finalmente la richiesta dei frazionisti
di Croce di anticipare le 4.000 lire che la S.A.L.E. chiedeva per cominciare i lavori
di elettrificazione del centro del paese. La cifra sarebbe stata pagata in quattro rate
annuali.
Il vecchio portalettere comunale Camin Leonardo chiedeva un aumento di stipendio perché, delle 9,95 lire che guadagnava al giorno, doveva corrisponderne 3 a un supplente che lo coadiuvava per la distribuzione delle lettere nella vasta e popolata frazione di Croce.
Il 27 novembre: Giuseppe Longato (“Bepi Bravo”) pagava la tassa
per aprire il suo esercizio di vendita vino a Croce:
già vendeva brustolini e straccaganasse.
Tasse. La tassa più conosciuta e diffusa era il dazio che da anni si pagava a Rizzetto;
da anni vi era pure la tassa sulla bicicletta, il cui pagamento era comprovato
da una targhetta da applicare sulla bicicletta.
Richiesta di rettifica dei confini
I lavori per il campanile procedevano ma occorrevano soldi per arrivare in cima.
In Quaresima si sarebbe passati a raccogliere il quartese e, senza le Case Bianche
e gli altri territori scorporati dalla parrocchia, le rendite si profilavano
assai più magre, l’ingiustizia economica sarebbe diventata ingiustizia spirituale.
Molti di coloro che erano finiti sotto Musile continuavano a frequentare
la parrocchia di Croce e contavano che il decreto del vescovo venisse ripreso in esame;
in cuor loro speravano che don Natale riuscisse a farli ritornare “a casa”,
ma il paroco, dopo la reprimenda che aveva ricevuto dal vescovo,
non se la sentiva di tornare sull’argomento. “Almeno una richiesta di rettifica
secondo la logica dei fatti!” proponevano tutti. Don Natale fece osservare
che sull’argomento avrebbero potuto ritornare i fabbricieri
(per due di loro le dimissioni erano ovviamente rientrate), in fondo spettava
loro amministrare le risorse della parrocchia e reperire quelle necessarie
alla ricostruzione; potevano far figurare di aver agito autonomamente,
sulla spinta della volontà popolare; e meglio ancora se primo firmatario
della petizione fosse stato il cavalier Renato Cuppini,
personalità tra le più in vista del paese:
Croce di Piave 4 / 12 / 924
MEMORIALE per S.E. Ill.ma Rever. Vescovo di
T R E V I S O
_____________
Noi sottoscritti fabbricieri e parrocchiani di Croce di
Piave, riferendoci allo Decreto N° 69 in data 25 Marzo c.a. di
Cotesto R.mo Capitolo, ci onoriamo porgere all’Eccellenza Vostra
R.ma il presente memoriale con preghiera vivissima di voler be=
nignamente esaminare quanto in esso esposto.=
Primo di entrare in argomento riteniamo opportuno fare
una premessa che valga a mettere subito in chiaro i nostri inten=
dimenti i quali non vogliono essere assolutamente di censura, al=
le disposizioni emanate da Cotesto R.mo Capitolo, ma bensì in sem=
plice supplica.=
Ne consegue pertanto che l’unico movente nostro sia
quello di cooperare, se possibile, a togliere nel modo più paci=
fico, il malumore di molti parrocchiani i quali ritengono che il
Decreto sopracitato abbia colpito un pò troppo la parrocchia di
Croce e beneficata eccessivamente quella di Musile.=
Ora noi, sicuri d’interpretare il pensiero della mag=
gioranza dei parrocchiani di Croce, preghiamo l’Eccellenza Vostra
R.ma di volersi compiacere approvare la lieve rettifica di confi=
ne e ci onoriamo esporre quì appresso mediante carta topografica
e descrizione particolareggiata:
1°) = Partendo dall’argine del Piave si fa confine al Fosso che
divide le campagne di Cattai Antonio, Pollon mezzadro del
Cav/. Carretta che passano sotto Musile e i Fratelli Pa=
van proprietari, Montagner Pietro fittavolo di Rebustello
che rimangono sotto Croce.= Poi si passa la strada S.Marco
e si segue la linea retta il Fosso che divide il podere
di Follador = Bizzaro (scuole) che passano sotto Musile
e il podere di Naressi Eugenio che rimane sotto Croce.=
Quindi si prende a confine la stradella campestre fra
Trentin (vivai) Pavan Giovanni, Soldera che rimangono sot=
to Croce, e Bizzaro, Dalla Francesca, Vinale che passano
sotto Musile.=
2°) = Da Soldera Pietro si fa confine al Gorgazzo verso Sud fino
alla Morosina la quale in linea retta va fino allo scolo
del Consorzio detta mille pertiche, separando così i terri=
tori delle Case Bianche che passano sotto Musile e rimanen=
do sotto Croce, Perissinotto Giosuè, Montagner Antonio fit=
tavolo di Mariutto e Bincoletto Luigi colono di Gradenigo
Sacerdoti.=
3°) = Giunti allo scolo del Consorzio detto mille pertiche, riman=
gono inalterati i confini vecchi, cioè lo scolo a Sud, Fos=
sa Zotta, scolo di Pietra, Ruio o Roia (comprendenti an=
che il Palù perso, olim di proprietà della Chiesa parroc=
chiale di Croce).= fino al fiume Sile, e di seguito di al=
tri confini fino alla Fossetta e termine della Diocesi.=
Le considerazioni che noi sottoscritti facciamo per giu=
stificare la rettifica supplicata, sono le seguenti.=
1°) = Gli abitanti della parrocchia di Croce prima del Decreto era=
no circa 3200 mentre ora sono ridotti a soli 1600.=
2°) = La Parrocchia di Musile prima del Decreto contava circa 3000
abitanti, mentre ora ne conta circa 4600.=
Come vedesi la differenza di popolazione fra Croce e Mu=
sile è di circa 3000; Tale differenza è da noi e da tutti
ritenuta sproporzionata:
3°) = Colla lieve modifica da noi proposta la frazione di Croce
verrebbe a guadagnare non più 350 abitanti.=
4°) = Le distanze rispetto alle Chiese parrocchiali sono state in
buona parte eliminate colla nuova strada triestina, anzi
molte famiglie sono più vicine e trovano comodo di recarsi
alla loro vecchia chiesa che non a quella di Musile:
Se si considera poi in un prossimo avvenire si fabbrichi
una chiesa succursale nelle nuove bonifiche e precisamente
in prossimità dell’argine delle Piombise sulla strada delle
pertiche, ci si convincerà facilmente che la rettifica di
questione si rende utile, dato che la succursale predetta
farebbe centro di tutto il territorio basso di Croce.=
5°) = Che la popolazione di Croce, dato il suo numero esiguo,
dovrà fare rilevanti sacrifici finanziari per far fronte al=
le spese non indifferenti occorrenti per le migliorie da
farsi alla chiesa parrocchiale in costruzione.=
6°) = Che il territorio preso a Croce è del migliore e più popo=
lato.=
7°) = Che l’Art. 3° del Decreto sopracitato che passa alla par=
rochia di Croce il territorio a Sud dell’Argine delle Piom=
bise apparteneva già a Croce, perciò il compenso che l’Auto=
rità competente aveva evidentemente in animo di dare è ve=
nuto a mancare.=
Nella speranza che l’Eccellenza Vostra R.ma accolga
favorevolmente la nostra supplica, La ringraziamo anticipatamente
e le baciamo il sacro anello con profondo ossequio
Devotissimi servi
Renato Cuppini
Montagner Antonio
Perissinotto Luigi
Moro Angelo Fabriciere
Favotto Luigi Fabriciere
|
Gli ultimi quattro sottoscrittori della lettera precedente formarono il comitato che
due giorni dopo si recò a portare la lettera in Curia a Treviso. I quattro spiegarono
in maniera sentita la questione, il segretario del vescovo cercò di tranquillizzarli, inserì
la lettera e le mappe che avevano portato dentro un foglio protocollo e, sotto l’incalzare
e gli aggiustamenti del comitato, vi scrisse sopra:
A Sua Ecc. Mons. Vescovo
I parrocchiani di Croce insieme ai paroni presentano istanza a V. E. perché la linea divisoriale delle parrocchie di Croce e Musile, recentemente decretata dall’Ordinariato, venga riformata per una piccola parte e comprenda la Parrocchia di Croce quanto segue il fosso Pavan-Polon; il fosso Naressi - Follador; la strada campestre Soldera – Bizzaro, il canale Gorgazzo e la fossa Morosina; circa campi N. 400.
Presentano tipi [=piantine] e relazione
Pregano V. E. di determinare un ora per l’audizione della Commissione incaricata nella quale entra pure la Fabbriceria.
Vescovado, 6 / 12 / 24
Montagner Antonio
Moro Angelo Fabbriciere
Favotto Luigi Fabbriciere
Perissinotto Luigi
|
Niente più funzionario a Croce?
Il Consiglio Comunale, per ragioni di bilancio, decideva di far rientrare con l’anno nuovo
a Musile il funzionario che lavorava nel “palazzo” a Croce, sede distaccata dell’ufficio di Stato Civile,
dato che le pratiche da sbrigare colà erano poche e l’impiegato risultava sottoutilizzato.
Il 29 dicembre,
con voto unanime, il Consiglio Comunale di Musile deliberò di aderire alla Federazione Provinciale dei Comuni fascisti.
Il 31 dicembre la Società Anonima Cooperativa di Produzione e Lavoro (Muratori – Falegnami e Braccianti)
di Croce e Musile, guidata da Antonio Montagner, chiedeva all’Amministrazione comunale
il pagamento dei lavori eseguiti nella scuola della Fossetta
(imbianco a due mani, vetri, contorni per finestre, riparazioni pavimento)
e nella scuola di Croce a cominciare dal “trasporto della baracca uso scuola”
(dal terreno in affitto a Scantamburlo alla piazza),
per continuare con riposatura del coperto e posa in opera di 75 tegole,
rifacitura di 2 gradini d’ingresso, riparazione del ponte, imbianco a
due mani per aule 2, una serratura.
Non sappiamo se i lavori furono eseguenti durante la pausa natalizia
o ancora all’inizio dell’anno scolastico; in ogni caso, da gennaio 1925 le due baracche scuola
campeggiavano al centro del terreno comunale, il Prà delle oche.
Si chiudeva un anno difficile e politicamente instabile. Da Croce si osservava
ciò che accadeva a Roma: il 31 dicembre i comandanti di legione della MVSN incontravano Mussolini
per chiedergli di “mettere a tacere” le opposizioni; lo stesso giorno molti giornali di opposizione
al regime furono posti sotto sequestro.
1925
Con il famoso discorso del 3 gennaio 1925 alla Camera, dove
erano rientrati alcuni degli aventiniani, Mussolini dimostrava di aver reso saldo il proprio
potere. «Qui al cospetto di quest’assemblea ed al cospetto di tutto il popolo italiano... assumo,
io solo, la responsabilità politica, morale, storica di tutto quanto è avvenuto». Al tempo stesso
annunciò leggi “fascistissime”: era la dittatura.
La notizia della possibile chiusura dell’ufficio di Stato civile a Croce e
del trasferimento del funzionario che vi operava presso la sede comunale fece infuriare i crocesi,
che raccolsero numerose firme di protesta. Il 15 febbraio l’Amministrazione comunale,
accogliendo parzialmente le opposizioni degli abitanti di Croce, propose una soluzione
di compromesso: per ragioni di miglior organizzazione e risparmio non si poteva lasciare
nella sede di Croce un funzionario praticamente inattivo, ma non si poteva nemmeno
lasciare senza impiegati l’amputata frazione; perciò il Consiglio comunale decise
che l’impiegato in servizio a Croce sarebbe rimasto lì a lavorare solo le mattine,
e si sarebbe portato anche del lavoro (carte da sistemare, delibere da ricopiare) dalla sede
comunale, mentre il pomeriggio sarebbe rientrato in Sede. Ma era una smobilitazione destinata
a completarsi. Lo stesso giorno il Consiglio deliberò di avviare i lavori di ristrutturazione
del fabbricato comunale in Croce ad uso alloggio del medico condotto. Tra i due eventi vi era
un evidente rapporto di causa ed effetto.
Scuola serale
Ormai giunto alla fine della scuola serale, don Luigi Pasqualetto
chiedeva al sindaco il rimborso delle spese per la scuola serale.
 |
Trascriviamo:
Illustrissimo Signor Sindaco
Musile,
Vicina ormai la fine della
scuola serale, mi permetto inviarLe la nota
delle spese sostenute per la illuminazio=
ne, come da accordi presi direttamente con Lei.
Allego al conto i documenti giustificativi.
Per l’accensione e pulizia delle lampade e per
una sommaria pulizia della scuola ogni sera,
mi fu necessario un giovane aiutante. L’anno scor=
so l’ho retribuito io personalmente, con £. 100.
So che qualche comune, anche vicino, gratifica
l’Insegnante della scuola serale, che è un bene=
ficio per il Comune. Io nulla chiedo, né vo=
glio per me, solo sarei gratissimo se potesse
il Comune liberarmi di tale spesa.
Con profondo, rispettoso ossequio
Devotissimo
20 – 2 – 25
Don Luigi Pasqualetto
Cooperatore a Croce di Piave
|
[secondo foglio, sul retro del primo]
1° Per N° 3 lampade e accessori (vedi Ricev. N°1) £ 114.=
2° Per carburo Kg. 50 (vedi Ricev. N° 2) £. 77.50
3° Per messa in opera sostegni (vedi Ric. N°3) £ 25.=
4° Per strofinacci N°4 per asciugare e pulire
lampade e pulizie pers. poi (vedi Ric. N° 4) £. 24.30
5° Per candele fiammiferi e 2 Kg carb. (vedi Ric. N°5) £ 23.=
Totale £. 263.80
|
Di carburo, fiammiferi e candele steariche s’era rifornito, come tutti,
da Eliseo Guseo...
... mentre per “N. 5 porta centilene con N. 16 ganci” s’era rivolto
ad “Agostinetto Aurelio e Figli” a Musile.
Nuovo medico. Da marzo 1925 cominciò ad essere stipendiato quale nuovo medico di Croce,
subentrante al dottor Stocchino, il dottor cavalier Antonio Arduino,
un signore buono di origini genovesi, piccolo e rotondo come una botticella, sposato e con due figlie, l’Angelina e la Enviretta, un onesto professionista, profondamente e onestamente fascista. Non sappiamo dove alloggiò in quel primo periodo. Sappiamo che l’Antonia e la Irma Fregonese furono pagate per le pulizie nel palazzo.
Il 20 marzo il Comune diventava proprietario “di mq. 737.14 di terreno
ed annessa casa ad uso scuola Fossetta”, in seguito alla firma presso il notaio Frattin
dell contratto d’acquisto dai signori Bianchini Luigi e Marcello.
Il 21 aprile fu pubblicato il Manifesto degli intellettuali fascisti, ad opera
di Giovanni Gentile, che sottolineava il legame tra fascismo e cultura. Gli rispondeva 1° maggio Benedetto Croce
con quello degli intellettuali antifascisti, in cui si sottolineavano gli ideali di libertà, giustizia e verità.
Alloggio per il medico. Il 14 maggio la “Cooperativa Produzione e Lavoro” di Croce di Piave firmò
con il Comune il contratto per i lavori di sistemazione del fabbricato comunale ad uso alloggio del medico.
Il 30 maggio il Comune di Musile istituì ufficialmente la IV classe elementare,
ormai giunta alla fine del primo anno provvisorio di funzionamento. Era un segnale di progresso: la scuola
rientrava tra le priorità del Fascismo e la sua riforma era considerata la più fascista di tutte. Che cosa
si dovesse intendere per leggi fascistissime era ormai chiaro: il Governo, esautorando
progressivamente il Parlamento italiano delle sue funzioni a vantaggio del primo ministro e rendendo Mussolini
responsabile solo di fronte al Re, mirava al controllo di ogni forma di vita civile e rappresentativa,
e alla repressione del dissenso.
Accreditandosi, secondo lo storicismo gentiliano, quale evoluzione necessaria della storia patria, e di quella più recente
in particolare, nei mesi successivi il Fascismo ufficiale badò a tacitare gli squadristi
e gli ex combattenti coi quali era giunto al potere; fece propria la retorica della guerra
e si impossessò degli eroi della Prima Guerra Mondiale, rivendicando una continuità con la loro azione
che era tutta da dimostrare ma che tornava utile per affrontare le nuove battaglie: il 14 giugno Mussolini
annunciò la cosiddetta “battaglia del grano”, il cui obbiettivo era l’autosufficienza nella produzione.
Vita dei campi
Ripuliti i terreni dagli ordigni e dai residuati bellici, erano ripresi
i ritmi annuali del lavoro agreste. La guerra aveva segnato un punto a favore delle idee di progresso
e se i paroni meno illuminati erano poco interessati razionalizzazione delle colture di miglioramento
della produzione, talvolta erano i fittavoli a tentare delle migliorie; il regime alimentare continuava
ad essere diverso per i ricchi proprietari terrieri e per i più poveri che mangiavano quasi solo polenta. Se
i fittavoli o i mezzadri potevano integrare con quello che si ricavava dall’orto o dai campi, più in difficoltà erano i braccianti agricoli, gli operai a giornata che pativano una fame continua e cercavano di placarla come potevano…
Malattie
La pellagra, endemica prima della guerra, era quasi scomparsa: anche i poveri cercavano
di mettere sotto i denti qualche verdura. Ma rimaneva la malaria, soprattutto nelle zone di bonifica. Nel comune
di Musile la campagna antimalarica iniziata in marzo era pienamente attiva; dapprima erano state impiegate
quattro persone, due infermieri e due disinfestatori, poi i disinfestatori (Ernesto Dianese che si occupa
del reparto di Croce e Domenico Caselotto che si occupa di quello di Musile) furono “promossi” a infermieri. La
campagna sarebbe durata fino al 30 settembre.
[inserire parte del Bollettino dell’Istituto autonomo
+ Ricerca del chinino nelle urine. È curioso]
Erano forse dovuti alla malaria alcuni casi di alienati registrati nel periodo.
A proposito di medici e di fascisti: il dottor Raimondo Stochino, divenuto segretario del Fascio
di San Donà, nel maggio di quel 1925 si dava da fare col sindaco De Faveri e col maresciallo dei RR. CC. per
sedare un tafferuglio che una trentina di fascisti aveva fatto scoppiare nel Bar Centrale,
condotto dal signor Paolin.
Il Comune di Musile informava il C.O.S.C.G. di Udine dell’avvenuto riconoscimento di una salma
nel cimitero di Croce. Il signor Barroni Eugenio, cognato del caporale Ghezzi Giuseppe fu Angelo della
classe 1899 del Distretto Militare di Milano -Bombardiere-
morto il I novembre 1917 a Croce, era venuto a sapere da un collega d’armi del defunto cognato che la salma
di quest’ultimo era “sepolta nel cimitero Civile di Croce e precisamente nell’angolo a sinistra”.
L’impiegato comunale, mandato sul posto, aveva effettivamente verificato l’esistenza
della “salma di un militare sconosciuto con sopra la fossa una lapide
costruita conforme alle indicazioni fornite al Sign.Barroni succitato”.
Il Comune pregava pertando il C.O.S.C.G. “voler compiacersi disporre affinché sopra la lapide
in parola vi [fosse] posta una targa con le indicazione corrispondenti al militare suddetto”.
Il monumento a Tito Acerbo nel cimitero militare
Se prestiamo attenzione ai fascisti di San Donà è perché fu per iniziativa
della sezione combattenti di San Donà di Piave, presieduta dal comm. dott. Costante Bortolotto
(ora anche orgogliosamente fasc.), che il 15 giugno 1925 fu inaugurato il monumento a Tito Acerbo
nel cimitero militare di Croce intitolato all’eroe.
Sul lato del Palazzo Comunale che guardava il Prà delle oche era stata fatta apporre per l’occasione
una targa con scritto “Piazza Tito Acerbo”, mentre il cimitero era stato abbellito di corone d’alloro e di fiori; giunsero fino a Croce, portati con un autocarro, i bambini della scuola di Musile, mentre quelli della scuola di Croce erano già lì.
“Non aveva monumenti il cimitero” scrive il Chimenton nella sua storia di San Donà, dimenticando che altrove cita il monumento in pietra col tripode sopra innalzato due anni prima. Mentre accadeva che le salme di parecchi soldati venissero richieste dai loro familiari o dai loro paesi d’origine, la famiglia del capitano aveva voluto che la salma di Tito riposasse a Croce, nella terra intrisa del suo sangue. Perciò “il suo monumento, unico nel vasto cimitero, fu sistemato in un posto d’onore”: era stato eseguito in pietra del Grappa da artisti di Loreto Aprutino, paese natale dell’eroe.
Questa l’iscrizione: “Capitano dott. Tito Acerbo Medaglia d’oro –
del 152 Regg. Fanteria – brigata Sassari – nato in Loreto Aprutino il 4 marzo 1890 –
caduto qui sul Piave il 16 giugno 1918”.
Partecipò alla cerimonia l’onorevole barone Giacomo Acerbo,
fratello dell’estinto e autore della legge elettorale che aveva consentito
al fascismo di diventare dittatura. Celebrò la cerimonia Monsignor Saretta,
arciprete di San Donà il quale, “ascoltato con vivissima e reverente attenzione”,
pronunciò il seguente discorso:
«La solennità di certi luoghi e di certi momenti, imporrebbe il ritegno a qualsiasi voce.
Ma pensando al pianto di Cristo sulla tomba dell’amico Lazzaro, al pianto di Cristo
che consacrò tutte le lagrime che i cristiani versano sulle fosse dei loro cari,
io sento il dovere, come sacerdote e come cittadino italiano, di unire la mia parola
alla commemorazione dei nostri eroi. Qui fu decisa la vittoria che ci condusse poi
a Vittorio Veneto. Il mio pensiero vola a tutti coloro che immolandosi hanno risparmiato
nuovi lutti alla Patria: vola a te, Tito Acerbo, che con più fulgido valore sei qui caduto.
Anche il cuore e la mente del sacerdote in questi ricordi si esaltano: egli protrae dalla gioia della vita terrena alla gloria di tutta l'eternità, e invoca su tutti quegli eroi la benedizione, il trionfo, il sorriso, di Dio e la glorificazione eterna che non tramonterà mai. Permettetemi di dire, Eccellenza, che mi sembra che questo monumento dedicato al vostro eroico fratello raccolga intorno alla sua tomba tutte le memorie sante della guerra. Della gloria dei nostri eroi mai ci dimenticheremo, perchè se oggi siamo qui in vita, a loro lo dobbiamo, a loro, che hanno pagato col sangue la nostra pace, la prosperità della nostra Patria. Ricordiamo il verso del poeta: “A egregie cose il forte animo accendono l’urne dei forti...”. Non possiamo partire da questo luogo senza sentire il dovere di essere migliori. Oggi voi inaugurerete una nuova patriottica associazione, di lavoratori del pensiero: ben volentieri discenda la benedizione sopra il suo vessillo: nella mutua comprensione dei valori reciproci delle classi riposa la essenza civile e morale della Patria. Da questa tomba io raccolgo una voce,
un ammonimento: la voce ci insegna che la vita ha un valore immenso, e che coloro
che l’adoperano nobilmente sono, degni di essere ricordati:
l’ammonimento ci dice che per i grandi ideali bisogna lavorare, soffrire, combattere».
Si riconoscono, da sinistra a destra, il segretario comunale Natale Saladini
(coi baffi, in seconda fila), il generale della Brigata Sassari (in divisa),
il cappellano don Pasqualetto, don Natale che porta splendidamente i suoi 58 anni,
don Luigi Saretta. (Foto: Archivio G. Pavan)
Qualcuno suggerì che il Comune avrebbe potuto donare alla madre
dell’eroe il terreno nel cimitero parrocchiale dove sorgeva la tomba del figlio.
Il giorno dopo il Gazzettino riportò con dovizia di particolari la notizia
dell’inaugurazione del monumento.
Il 20 giugno la Camera italiana approvava la legge per l’espulsione dai pubblici uffici
di coloro che “non [dessero] garanzia di adempimento alle direttive governative”.
In parrocchia proseguivano i lavori di completamento della chiesa
e di costruzione del campanile. A metà della costruzione del campanile
ci fu un avvicendamento nei lavori: Primo Granzotto lasciò, sostituito da un’altra impresa.
Il I agosto 1925 furono pagate a Bianchini Luigi e Marcello le 19.500 lire
per l’acquisto di mq 737.14 di terreno e annessa casa ad uso scuola alla Fossetta.
Lo stesso giorno il sindaco presentò la nota delle spese da lui anticipate per conto
del Comune in occasione della cerimonia per lo scoprimento del Monumento
alla medaglia d’Oro Capitano Tito Acerbo nel Cimitero di Croce di Piave:
Pagate a Picchetti e Biscaro per somministrazione di una
targa di marmo di Carrara con la scritta (Piazza Tito Acerbo)
infissa nel Palazzo Comunale di Croce a ricordo dell’Eroe
(specifica allegata) L. 85
Pagate a Nisco Enrico per somministrazione di
una corona con bacche alloro con nastro tricolore
dicitura < a Tito Acerbo > L. 75 pagate
Pagate a Battistella Giuseppe per trasporto con
autocarro dei bambini delle scuole da Musile
a Croce e viceversa L. 150 pagate
Per Fiori e Corone a Sattin Ferruccio L. 275
Concorso al Comitato Pro Onoranze per pubblicazione
N° Unico Basso Piave L. 200
Totale L. 785
|
Quartese e questua
Il quartese era la frazione dei prodotti della terra che i contadini mettevano da parte
per il paroco al momento del raccolto, corrispondenti alla quarantesima parte della produzione,
una pannocchia ogni quaranta, un grappolo d’uva ogni quaranta. La questua era l’elemosina che
il paroco raccoglieva personalmente casa per casa, da solo o in compagnia del nonzolo. Dopo la perdita
della Case Bianche sia l’uno che l’altra s’erano di parecchio impoveriti, quindi anche la sua capacità
di aiutare chi era nel bisogno aveva subito delle restrizioni. Eppure don Natale conservava nel
cuore e nei modi il fondo di ottimismo e la tranquillità d’animo degli uomini di Dio, la sue fede
poteva più delle risorse che riusciva a distribuire perché egli dispensava fiducia nella provvidenza
di Dio. Certo, se il Comune si fosse sbrigato a liquidare i rimborsi per i danni di guerra sarebbe
stato meglio! Più volte don Natale aveva sollecitato gli amministratori a riguardo.
Il cappellano e Noemi. Con tutto quel che c’era da fare in parrocchia, a don Natale pareva
che il cappellano facesse troppa vita di società: quando aveva bisogno di lui, don Luigi era introvabile. Va bene
occuparsi della scuola serale, va bene occuparsi dei giovani e delle giovani della parrocchia, va bene
(ma anche no) avere un giro di frequentazioni e di amicizie, ma il cappellano, forse perché a Croce ormai
da quattro anni, s’era preso parecchie libertà e mostrato talvolta poco attento anche alle pur necessarie
convenienze. In particolare, fece sapere don Natale alla Curia, don Luigi aveva l’abitudine di intrattenere
“certe ragazze, due specialmente, nella baracca, perfino quattro ore di seguito, e
ciò per due volte alla settimana; il paese dice che ad una di queste, certa Noemi, avrebbe
pagato una bicicletta; il popolo mormora. Si chiama in camera qualche ragazzo
e lo trattiene fino alle undici e anche e mezzanotte. L’altra sera, alle undici andai
a dirgli di mandare via il ragazzo e non ci fu verso, ne successe quasi colluttazione...”
Monsignor Gallina chiese maggiori delucidazioni per condurre una pur minima indagine:
Treviso, li 16 Agosto 1925
CURIA VESCOVILE
- TREVISO - Carissimo Parroco
Avrei bisogno di sapere da te il nome e cognome ed età delle ragazze che più
spesso frequentano la baracca del cappellano e si trattengono con lui delle ore
(quante ore? Sale una alla volta o in compagnia?) come pure di quella alla quale
avrebbe pagata la bicicletta e quando.
Parimenti fa il favore di indicarci il nome dei giovani che si fermano nella sua
camera fino a tarda sera, con testimoni seri fededegni, che conoscano tali cose,
rilevando anche come abbiano potuto saperle.
In attesa ti saluto
Aff.mo
M.or Vitale Gallina
Vic. Generale
|
Non sappiamo come andò a finire la cosa.
Terminati i lavori di ristrutturazione del “Paeazz”.
In agosto la “Cooperativa Produzione e Lavoro di Croce di Piave” portò a termine
i lavori di ristrutturazione del ‘paeazz’ in conformità al progetto
dell’ingegner Aldo Guiotto, che prevedeva: a) la costruzione di un antiambulatorio
facente corpo con il fabbricato adibito ad uso casa d’abitazione del Medico; b) la costruzione
di una gradinata per acceder alla stanza da adibirsi al servizio di Stato civile. L’antiambulatorio
fu costruito “nello spazio delimitato dalla facciata di levante dell’ambulatorio
e da quella di mezzodì dello sporto [...] composto di un piano rialzato
con gradinata d’accesso protetta da due palladiane. [...] Per rendere indipendente
la stanza che resta[va] a disposizione del Comune dai rimanenti locali adibiti
ad uso abitazione del medico [fu] smontata la porta interna e otturato il foro...”
Società Anonima Cooperativa
– DI –
PRODUZIONE E LAVORO
(MURATORI – FALEGNAMI e BRACCIANTI)
= DI CROCE E MUSILE (Sede in Croce di Musile – Venezia) =
Croce, li 5 settembre 1925
Abbiamo il pregio di trasmettere fatture per i seguenti lavori eseguiti c. s. :
Rimesso a nuovo pavimento in mattonelle casa Impiegati in Croce,
come da contratto Sig. Ing. Aldo Guiotto L. 500.=
Costruzione strada di accesso casa Zanin ed escavo due fossi di confine L. 220.=
Riparazione Water – pompe e varie L. 210.=
(Lire novecentotrenta.) L. 930.=
p. Coop. Croce di Musile
IL PROCURATORE
rag. Baron Giovanni
|
Una seconda maestra
A inizio ottobre (bolletta datata il 16) Guglielmo “Memi” Granzotto effettuò
le consuete riparazioni alle due baracche scolastiche della maestra
e moglie Santina Berton e della maestra Tosca Saladini, per una spesa totale di 730 lire. Dal
che deduciamo che a Croce, accanto alla storica Santina, lavorava
ora la ventiseienne Tosca Saladini, figlia di maestra e del segretario comunale; la famiglia Saladini era originaria di Occhiobello, Ferrara.
Le famiglie Calderan Sante e Sanson
Allontanando lo sguardo dalla parrocchia si scorgevano le violenze fasciste
che il 3 ottobre sconvolgevano Firenze, il giorno seguente Mussolini ordinava
di far cessare le “rappresaglie” e il 5 il Gran Consiglio del Fascismo
decideva lo scioglimento delle squadre fasciste e proponeva di rafforzare il potere
dell’esecutivo: era la normalizzazione. Tre giorni dopo il Governo decideva di porre
a capo dei Comuni italiani la figura del podestà, di nomina prefettizia, in sostituzione del sindaco.
A Musile il 10 ottobre il sindaco Argentini stilava il resoconto di tutte
le spese che aveva potuto sostenere grazie al ricavato della vendita delle baracche,
vendita che aveva fruttato la notevole cifra di 40.500 lire:
si erano acquistati il terreno
e l’edificio delle scuole alla Fossetta, ridotto il debito con la vedova Bressanin Sicher
per l’acquisto del terreno necessario all’ampliamento del cimitero di Musile,
sistemato il fabbricato comunale a Croce, spostate alcune baracche, rimborsate
le spese di viaggio a Roma degli assessori in rappresentanza del Comune alle
varie commemorazioni, avviato il ripristino di una cabina telefonica in centro a Croce...
Indennizzo danni di guerra. Don Natale correva da un capo all’altro della parrocchia in cerca
dei soldi e delle “opere” necessarie per completare la ricostruzione di chiesa e campanile,
ma in Curia ci si lamentava che la chiesa non fosse ancora terminata. Il paroco, dal canto suo,
si lamentava di non aver ancora ricevuto la liquidazione dei danni di guerra al terreno
annesso alla casa canonica di Croce di Piave.
In quel 1925 il Commissariato per le riparazioni danni di guerra di Treviso
aveva versato nella Cassa Comunale le 651,10 lire dovute a don Natale e il paroco
aveva ripetutamente chiesto al Comune che il detto importo fosse a lui corrisposto
avendo egli speso “L. 840 per la sistemazione di detto terreno e per l’acquisto
ed impianto di viti, e piante fruttifere nel terreno stesso in sostituzione
di quelle distrutte dalla guerra”. Il Comune, in seguito ad accordi col paroco, era nel
frattempo venuto nella determinazione di corrispondergli solo 600 lire in considerazione
delle spese sostenute dal Comune stesso per l’espletamento delle pratiche per la concessione
dell’indennizzo. Finalmente il 14 ottobre “la Giunta comunale deliberò di corrispondere
al Molto Reverendo Parroco di Croce di Piave Don Natale Simionato L. 600.= a titolo d’indennizzo
danni di guerra per il riprestino terreno e piante annesse alla casa canonica di Croce
imputando la spesa all’Art, 62 Fondo impreviste”. Don Natale ringraziò il Cielo per la bella notizia;
non sapeva che avrebbe dovuto aspettare ancora mesi.
Il giorno dopo (15 ottobre) il Comune donò alla madre di Tito Acerbo
il terreno dove sorgeva la tomba del figlio, nel cimitero di Croce [delibera n.° 112]. Il Consiglio
deliberò anche di dar seguito “alla richiesta presentata il 1° agosto di costruire
un’adiacenza per garage o scuderia occorrente pel nuovo medico condotto di Croce,
dottor Arduino” [delibera n.° 114].
Ora, per rendere il paese completo di tutte le comodità, ci sarebbe voluto
il telefono, che a Musile l’Amministrazione aveva già fatto installare
da anni e che a Croce invece ancora mancava. Gli abitanti del paese sollecitarono i consiglieri compaesani a farsi promotori di una richiesta in tal senso.
A fine ottobre il sindaco Argentini partiva per la capitale, per partecipare
alle celebrazioni dell’anniversario della Marcia su Roma. Il 3 novembre il quotidiano
del Partito polare italiano, “Il popolo”, sequestrato più volte nei mesi precedenti,
chiudeva i battenti. Il 5 venivano avviate le attività dell’Istituto Luce, l’Unione cinematografica
educativa: suo scopo era la propaganda della cultura attraverso il cinema.
Causa al Comune per le baracche. Il 26 novembre la baronessa Maria Franceschini
in Manfredi fece causa al Comune (rappresentato dal sindaco) perché, nonostante le ripetute
richieste, ancora non aveva liberato il suo terreno di Croce dalle 5 baracche colà posizionate
alla fine della guerra. Eppure le baracche le aveva chieste la stessa baronessa per i suoi fittavoli. Il Comune
le aveva proposto di acquistarle a prezzo vantaggioso, in subordine era disposto
a pagare il fitto del terreno occupato dalle cinque baracche; alla baronessa interessava solo lo sgombero;
il Comune aveva tirato troppo per le lunghe e il contenzioso era finito in tribunale.
Il 27 novembre il Comune decideva di aderire alla “sottoscrizione al dollaro”
l’ennesima battaglia lanciata dal Duce che mirava ad estinguere il debito con gli Stati Uniti: 1$=25£. Il Comune
aderiva con 125 lire pari ad un dollaro per cinque annualità. Lo stesso giorno veniva introdotto in Italia
il saluto romano. La storia ritornava maestra di vita e il Comune, che storia
non aveva, chiese a un riconosciuto istituto araldico di Bologna di elaborare lo stemma di Musile di Piave
Una disgrazia venne a funestare l’atmosfera del paese: Pietro Furlan, che stava
andando in giro in bici per invitare gli amici tutt’attorno alla festa che intebdeva dare in occasione della
partenza per la naja, ebbe un incidente mortale a Ca’ Malipiero: “sto tosat el vea el vizio
de cora in bici coa a testa bassa” lungo la Triestina, quando da una delle strade che dai campi
si immettono sulla statale giungeva col cavallo Bepi Bravo, era buio e nebbia,
e colla stanga del caval infilzò secco il ragazzo; tutti coloro che nei dintorni
sentirono il rumore e le urla dello scontro uscirono dalle stalle per andare a vedere,
e videro lo spettacolo raccapricciante del ragazzo appeso in alto alla stanga del cavallo. Fu sepolto
lungo il muro di cinta del cimitero, dalla parte della strada.
Alla cara memoria di
FURLAN PIETRO
di anni 21
Colpito da accidentale sventura
cessava di vivere sull’istante
il 3 – 12 – 1925
I morti quell’anno, contando Pietro, furono 28, contro i 50 dell’anno prima e i 39 del 1923; anche
il numero di matrimoni risultò quasi dimezzato: 20 contro i 35 del 1924 e i 44 del 1923; i nati erano
stati 130 contro i 149 dell’anno prima e i 173 del 1923. I dati della diminuzione dovuta
allo smembramento delle Case Bianche erano evidenti.
Anche Attilio Costantini aveva ottenuto la licenza per la vendita vino al
minuto al Ponte del Bosco: il suo nome compare in coda alla lista di coloro che
il 19 dicembre pagarono per il rinnovo delle licenze esercizi pubblici:
1 Bettarello Pasqua £ 25
2 Bianchini Luigi Rapp. Cogo 50
3 Bortoletto Pietro Rapp. Turchetto 50
4 Celeghin Silvia Rapp. Padovan 50
5 Cadamuro Giuseppe 25
6 Camin Leonardo 25
7 Dalla Mora Giovanni Rappr. Navacchi 50
8 Franzin Maria 50
9 Girardi Angela 50
10 Guseo Attilio 50
11 Guseo Eliseo 50
12 Ferrari Silvio 50
13 Tozato Antonio 50
13 Massili Marcello 50
14 Salmasi Umberto 50
16 Vendraminetto Regina 50
17 Costantini Attilio 50
Totale £. 775
La tassa rinnovazione esercizi bevande alcoliche fu pagata da
1 Bianchini Luigi Rapp. da Cogo £ 100
2 Ferrari Silvio " 100
3 Guseo Eliseo " 100
4 Celeghin Giulia Rapp. Padovan 100
Totale 500
L’appaltatore del dazio era sempre Antonio Rizzetto.
A fine anno entrò in vigore la nuova legge sulla stampa: i giornali dovevano
avere un direttore riconosciuto dallo Stato, con responsabilità penali su quanto stampato. Per protesta,
molti giornali sospesero le pubblicazioni.
Il 30 dicembre 1925 il “Blasone italiano”, istituto araldico di Bologna,
comunicò al Comune l’idea (originalissima!) per lo stemma di Musile:
“Le tre frazioni principali di questo Comune sono Caposile,
Musile e Croce; la qual cosa ha dato l’idea di dividere lo stemma in tre parti.
1° Caposile per la sua esposizione al mare, per i molti canaletti, acque ecc.
è rappresentato ragionevolmente da una barca.
2° Musile dalla sua caratteristica
di ridente paesello al di là del Piave, fu tratta l’idea del paesaggio a largo orizzonte.
3° Croce è rappresentato da una Croce.
La corona muraria è quella che si addica
ad un comune Italico di questa importanza. Non vi sono leggende né fatti storici,
perché questa comunità si formò pian piano casa per casa, e la sua storia è quella
della regione”.
La cosa comica è che Musile lo adottò e accettò di vedersi come qualcosa “al di là del Piave”.
Il 31 dicembre la S.A.L.E. chiese al Comune di versare lire 1.000
quale prima rata di una somma di 4.000 lire per l’impianto elettrico del centro di Croce.
Le altre tre rate sarebbero state versate nei tre anni successivi.
Veniva rinnovata l’erezione della Confraternita del Carmine:
Croce di Piave
Confraternita della B. V. del Carmine
Decreto di erezione rinnovato dopo guerra
+
I. N. J
< Praepositis geralis Fratrum Excalceatorum Ordinis Beatissimae Mariae Virginis
de Monte Carmelo eiusdem sacri Montis Prior Dilecto nobis in Christo
R. D. Natali Simionato sacerdoti Diocesis Tarvisinae.
Salutem in domino, etc.
Datum Romae, e Aedibus nostris Generalis die 10 Ianuarii 1926
Fr. Gulielmus a S. Alberto
L. S. Praef. Generalis
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Niente telefono. Il 29 gennaio ’26 il Consiglio comunale rigettò la richiesta
la richiesta dei consiglieri di Croce di installare una cabina telefonica a Croce,
spesa prevista 5000 lire:
il consiglio unanime per alzata e seduta decide di soprassedere a ogni decisione
a riguardo fino a quando gli stessi consiglieri di Croce non faranno proposte
concrete pel collocamento del nuovo posto telefonico dopodiché resta autorizzato
il Sindaco ad esperire tutte le pratiche necessarie con la Società telefonica
per l’impianto suddetto sempreché la spesa per tale impianto venga sensibilmente ridotta,
ciò che potrà conseguirsi con l’adesione di alcuni abbonati al centralino di Croce.
[Delibera 132/12]
La chiesa quasi pronta
Don Natale si augurava d’entrarvi per la Quaresima.
Eccellenza Ill.ma e Revma Monsignor Andrea G.
Longhin Vescovo di
Treviso
Questa chiesa parrocchiale purtroppo è ancora in via di costru-
zione ad onta delle continue ed insistenti richieste fatte all’ufficio
tecnico di Treviso perché solleciti i lavori di sua competenza.
Mancano gli altari in marmo, perché l’Ufficio Tecnico avendo stan-
ziato per essi una somma troppo piccola, non ha trovato a tutt’oggi
l’artista che assuma il lavoro. Mancano il restauro del pavimento e
della facciata esterna della chiesa, l’imbiancatura ed altri accessori.
Però le condizioni attuali della chiesa mi sembrano sufficienti per
poter cominciare in essa le sacre funzioni, nonché la Missione in pre-
parazione alla Visita pastorale di Vostra Eccellenza Reverendissima.
Ho perciò chiesto all’Ufficio tecnico il permesso di entrare nella
nuova chiesa in quaresima; e il Capo – Ufficio mi diede il nulla osta,
e contemporaneamente ordinò che siano eseguiti i lavori più necessari
in occasione della Visita pastorale, in armonia a quelli di competenza
della fabbriceria.
Pertanto prego umilmente V. Ecc. Rev ma volersi compiacere
di incaricare il sottoscritto paroco, o qualche altro sacerdote,
a benedire in via privata la nuova chiesa.
Con profondo ossequio, ringraziandola e baciandoLe il sacro anello
mi segno
Croce di Piave 5 febbraio 1926
Dev. mo Umilis mo
paroco D.n Natale Simionato
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Il Chimenton, che aveva partecipato all’inaugurazione di tutte le
chiese ricostruite nei dintorni, non venne a inaugurare quella di Croce:
don Natale si arrangiò, si benedì la chiesa e se l’inaugurò, con grande concorso di popolo.
Era una chiesa ancora spoglia di altari e di affreschi. Ma era giunta al
coperto, com’era e dov’era. Anzi, un poco più lunga nel presbiterio e nelle navatelle.
Mentre don Natale inaugurava la sua chiesa, a San Donà si inaugurava
la Casa del Fascio e a Venezia moriva il Conte Volpi,
ideatore dell’industrializzazione di Porto Marghera e del Festival del cinema di Venezia.
Nella chiesa appena consacrata di Croce cominciavano
le Missioni al Popolo (24 febbraio 1926) predicate da Mons. Gheno da Grisolera
in preparazione della visita del vescovo. Sarebbero durate fino al 3 marzo,
giorno della terza visita pastorale di Longhin alla parrocchia.
Nel questionario ricevuto per l’occasione, don Natale rispose, tra le cose note,
che dopo lo smembramento del 1924 gli abitanti si erano ridotti a 1.700 in 160 famiglie,
e che in suo aiuto, ormai da cinque anni, vi era il cappellano don Luigi Pasqualetto.
Dalle deposizioni di cappellano e parroco emerse che “il Parroco ama la residenza
e lo studio; il cappellano è molto girovago”. Per quanto riguardava il popolo,
“qualcuno per scelta non adempie il precetto pasquale”. In molte famiglie si recitava il rosario,
specialmente a maggio e ottobre. Vizio dominante era la bestemmia. Il ballo pubblico
era sostenuto da qualche esercente – e qui il riferimento era alle iniziative di Attilio Guseo –
ma “viene represso dalle proteste del parroco e dal veto dei padri di famiglia”.
Si consigliava di “non emigrare se proprio non fosse necessario”. Una trentina di famiglie
era abbonata alla Vita del Popolo, ed era la prima volta che veniva indicato l’abbonamento
al settimanale nei documenti parrocchiali, benché esso venisse stampato da più di trent’anni.
“Nelle feste si celebrano due Messe, la prima all’aurora e la seconda alle 10”.
I Vesperi “si cantano in quaresima e nelle solennità; nelle feste ordinarie si
omettono per dar luogo al catechismo degli adulti”. Alle Quarant’ore “è numeroso il concorso
dei fedeli”. Si tenevano processioni straordinarie il 3 maggio festa del titolare,
il 16 luglio festa del Carmine e il 21 novembre festa della Salute. La Prima comunione
si conferiva dopo tre mesi di preparazione ai fanciulli appena arrivati all’uso di ragione;
la Cresima all’età di 6 - 8 anni dopo un mese di preparazione. I fanciulli frequentavano
il catechismo fino al secondo anno e mancavano al terzo. In proposito il cappellano riferì:
«Ho dovuto lasciare i ragazzi del catechismo al Parroco per non destare gelosie,
ma è un vero disastro”.
Don Natale disse ancora che due-tre volte l’anno si portava la Comunione agli infermi
e che non venivano più celebrati matrimoni solo religiosi. In parrocchia era sorta
la “Scuola del Santissimo Sacramento con 99 iscritti” e il “Sodalizio della Figlie di Maria”.
Inoltre vi era “la Lega dei Padri di famiglia con 38 aderenti, la Schola Cantorum con 30 elementi
diretta dal Parroco e il Circolo Giovanile Femminile”.
Visita pastorale del 3 marzo 1926
Il 3 marzo il vescovo arrivò, celebrò la messa, tenne il catechismo
e alla fine della visita rilasciò questa lettera:
“Dichiariamo di aver riscontrato un ottimo spirito cristiano, consolante frequenza
ai Sacramenti, sufficiente istruzione religiosa ai fanciulli; la chiesa in atto
di essere riparata totalmente dai gravissimi danni fatti nel 1917-18; l’archivio parrocchiale
salvato a cura del Parroco, al quale si raccomanda la Dottrina Cristiana
anche alla lontana frazione di Ca’ Malipiero, il collocamento di sacri bronzi
sul campanile per invitare i fedeli alla chiesa, mentre si lodano i loro sforzi diretti
a riportare la stessa chiesa all’antico suo decoro. Sia subito formato lo “status animarum”
[cioè l’anagrafe parrocchiale, che prima non esisteva]; si provveda
all’erezione del Battistero secondo la prescrizioni sinodali; sia istituita l’opera
del Pane di Sant’Antonio, anche per sostenere il Seminario diocesano;
la Fabbriceria tuteli i diritti sull’Oratorio pubblico di Ca’ Malipiero
e procuri alla lontana popolazione un luogo sacro come vera succursale;
sia disposta la Scuola della Dottrina Cristiana in modo da poter dare saggio
del suo profitto alla scadenza dei due mesi come formalmente prescritto oggi
dall’altare stesso al Parroco e al Cappellano. Preghiamo il Signore perché abbia
a colmare de’ suoi celesti favori e benedizioni il Pastore ed il gregge alle sue cure affidato”.
In chiesa. Nella chiesa ormai ripristinata non v’erano banchi, ma sedie;
gli uomini occupavano prevalentemente le due nuove navate laterali al presbiterio,
le donne la navata centrale e i bambini si sistemavano su due panchette in prima fila;
i bambini non pagavano per sedere sulle panche, mentre gli adulti pagavano un obolo
per avere una sedia; quelli della piazza, nelle occasioni in cui temevano di rimanere in piedi,
si portavano direttamente la sedia da casa. Nelle funzioni meno affollate i bambini
usavano senza pagare le sedie rimaste libere, ma se qualche adulto arrivato più tardi
ne avesse reclamata una e pagava l’obolo, il sagrestano Piero faceva alzare il bambino più a tiro
e consegnava la sedia recuperata al pagante.
Spalle all’altare don Natale recitava le formule della messa che venivano regolarmente
storpiate dalla popolazione e adattate alle parole note del linguaggio quotidiano:
“Pater noster qui es in coelis” diventava “Pater noster qui è sinceris”
dato che “sinceris” era più significante di “sincelis” per una popolazione
che a stento frequentava la terza elementare; e le messe infrasettimanali, meno frequentate,
erano un botta e risposta cantato tra parroco e nonzolo, l’unico che, a furia di ripetere
le formule, le avesse imparate a memoria. Non era un caso che il vescovo avesse raccomandato
di insistere col catechismo. Ma era la società tutta che aveva bisogno di istruzione.
Al Comune don Natale aveva fatto sapere che la canonica aveva bisogno
di riparazioni, e il Comune gli disse di rivolgersi al fabbro, Carlo Fedato:
Musile di Piave li 27 marzo 1926
All’On. Municipio di Musile di Piave
Specifica lavori eseguiti dal sottoscritto
nella Canonica di Croce
1° Costruzione e posa in opera N.° 12 ganci in ferro per chiusura
di sicurezza agli oscuri con occhi a bullone ed a gesso £. 75
2°Idem costruzione N 2 inferiate in ferro per finestrini cucine " 14
3° “ “ N 3 ganci per sicurezza porte e N 1 catenacci
a cartella pesanti per dette " 20
4° “ “ N 2 catenacci per portone cantina fornitura N 1
serratura per porta posta in opera " 15
5° “ riparazione a N 3 serrature con nuove chiavi " 8
6° “ Costruzione e posa in opera N 1 cancello in ferro ad
angolo con rete metallica all’ingresso del cortile " 150
7° Fornitura e posa in opera N 1 tubo in cemento diametro
cent. 30 per scolo acque all’ingresso cortile " 14
8° Riparazione pompa a zaino per disinfezioni, all’infermiere
comunale, cambio stantuffo in gomma dischi nuovi
saldature varie " 15
Bollo fattura
ammontare Lire 312
Il fabbro
Fedato Carlo
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Il 3 aprile entrò in vigore la Legge Rocco che prevedeva due sole
organizzazioni sindacali riconosciute dal governo, quella degli imprenditori e
quella dei lavoratori con dirigenti fascisti. Gli scioperi erano aboliti.
Ma per i poveri villici del paese erano tutte questioni lontanissime. Veniva istituita
anche l’Opera Nazionale Balilla per l’assistenza e l’educazione fisica e morale
della gioventù, una organizzazione parascolastica e paramilitare presieduta da uno dei
due sottosegretari al ministero dell’Educazione Nazionale, con il compito
di aiutare la scuola a formare “la coscienza ed il pensiero di coloro che saranno i fascisti
di domani”. Ad essa saranno demandati la gestione dei Patronati Scolastici,
delle scuole non classificate, delle colonie di vacanza e l’insegnamento dell’educazione fisica.
Bambini e bambine sarebbero diventati “Figli della lupa” dai 6 agli 8 anni, “Balilla”
e “Piccole italiane” dagli 8 ai 14, “Avanguardisti” e “Giovani italiane” sino ai 18:
l’Italia tutta era irreggimentata.
Il 10 aprile 1926 il Consiglio Comunale finalmente ratificò la delibera della Giunta
del 14 ottobre 1925 in ordine al pagamento dell’indennizzo dei danni di guerra
al parroco di Croce di Piave per la sistemazione del terreno annesso alla casa canonica.
Veniva stanziato un compenso straordinario ai medici per la lotta alla malaria,
e ancora Dianese e Caselotto erano gli “infermieri” impiegati.
Fiat lux. Il Comune si faceva bello con l’installazione dell’illuminazione elettrica
sulla facciata del Municipio: una fila di lampadine sul cornicione e una bella stella
al centro da attivare nelle ricorrenze delle feste nazionali; la prima volta fu il 21 aprile,
festa del natale di Roma.
Le bonifiche del Duce
Tra le imprese del fascismo è da segnalare l’avvio delle grandi bonifiche nelle terre basse
del Comune.
Di là della strada degli Interessati
era tutta palude prima della guerra, la bonifica
venne fatta nel ’26-’28. In palude si andava a far strame, cioè a raccogliere canne e paglia per le lettiere per le bestie. Della parte di Musile il proprietario era Caberlotto. Io lo vedevo arrivare con la 1100 una volta la settimana da Casale, veniva a controllare il lavoro dei contadini. l’unico del comune che aveva la macchina era il dottor Rizzola che aveva la Topolino 500. Lasciava la macchina sull’Argine San Marco e poi lo andavamo a prendere col carro o con la barca. I veterinari che venivano qua per le stalle erano Carletto e Davanzo, quest’ultimo fu veterinario comunale dal ’48.
[dai ricordi di Bruno Beraldo]
Vita terribile era quella degli scariolanti, impiegati nei lavori di arginatura nelle
terre basse della parrocchia, dove le bonifiche avevano attirato i lavoratori che non trovavano lavoro altrove.
Alloggiati, quasi ammassati, in ricoveri di fortuna, la vita degli scariolanti era misera, la fatica terribile,
il lavoro senza fine, dall’alba al tramonto, col pericolo sempre incombente della malaria. Ci sarebbe voluto
qualche anno perché case coloniche degne di tal nome venissero completate e potessero ospitare
famejone di coloni.
Il consorzio dell’acquedotto
Per dotare la zona dei minimi servizi essenziali “le amministrazioni comunali e consorziali
quindi non cessavano di mirare alla costruzione di un nuovo grande acquedotto, per tutta la bonifica,
con prelevamento dal sottosuolo ghiaioso delle «zone di sorgiva» dove l’acqua era notoriamente buona,
saliente, potabile, fresca, già utilizzata in centri importanti (come Venezia, Treviso, Conegliano) e
captabile, volendo, anche nella stessa zona alta del nostro comprensorio. Acqua che poteva arrivare
in bonifica a gravità e che, provenendo dal materasso ghiaioso alimentato direttamente dalle dispersioni
del Piave, aveva i caratteri delle perennità e della naturale potabilità”
[Luigi Fassetta, La bonifica del Basso Piave]
In quel 1926 il Comune di San Donà si pose a capo di un Consorzio costituito dai Comuni della Provincia
di Venezia compresi fra Sile e Livenza; e, unito ai Consorzi Riuniti di Bonifica, predispose appunto
un organico progetto esecutivo di opere per la captazione, adduzione e distribuzione delle acque occorrenti
al territorio sopra indicato.
Il 6 maggio il Comune di Musile acquistava un ritratto di S. E. Mussolini al quale veniva
poi messa una bella cornice di palissandro.
Nuovo campanile
Croce si esaltò maggiormente per il completamento del campanile. Le campane donate alla parrocchia
quale risarcimento danni di guerra e che tanto a lungo avevano stazionato sul piazzale, furono finalmente
issate e installate nella cella campanaria. All’interno della cella alla base, sul lato est, una lapide
con quattro righe ricorda l’avvenuta ricostruzione.
TURRIS PULCHRIOR
RURSUM CONSTRUCTA
NOVA SEDE ANNO 1926
VII POST BELLUM
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Campanile costruito
nuovamente e più bello
in nuova sede nell’anno 1926
settimo dopo la guerra
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Il campanile era magnifico, alto circa 30 metri, degno coronamento della chiesa. Don Natale
era soddisfatto, e contento doveva essere anche Piero Nonzolo che presto sarebbe tornato ‘campaner’ a tutti
gli effetti. Il mestiere non era stato il sogno della sua gioventù, ma garantiva pranzo e cena. La sua
retribuzione era ricavata dal quartese che egli stesso contribuiva a raccogliere quando accompagnava
il paroco in giro per il paese.
Una festa d’inaugurazione del campanile lascia supporre che le campane, fornite dal Ministero
quale risarcimento danni di guerra e rimaste a lungo sul piazzale della chiesa, fossero già state
installate, la granda, la mezzana e la piccoea con le rispettive note: LA, SI, DO#. Ed è facile immaginare
che il loro suono tornò ad accompagnare e scandire la vita del paese.
Vita da nonzolo. Tutte le mattine, con qualsiasi tempo, Piero si alzava alle cinque e andava a
suonare la granda per il Padre Nostro; poi la risuonava per il Mezzogiorno, poi fra le tre e le quattro del pomeriggio suonava il Credo, all’imbrunire l’Ave Maria e, quando calava la prima notte, l’Ora di notte. Al Credo del sabato e d’ogni giorno precedente una festa religiosa suonava le campane “in terzo”, ossia tutte e tre assieme, per annunciare allegramente la festa: due le suonava lui, per la terza si faceva aiutare da qualcuno. La domenica e le feste comandate suonava le campane mezz’ora prima della messa, di seguito si udiva la campanella, senza interruzioni, finché “’ndéa su ’a funzion”.
C’erano ovviamente delle variazioni durante l’anno: i primi tre giorni della Settimana Santa Piero segnalava l’inizio dell’adorazione delle Quaranta Ore con battiti lenti ogni mezz’ora; il Giovedì Santo suonava forte il Gloria per ricordare l’Ultima Cena, quindi legava le campane fino al Gloria del Sabato Santo, quando le faceva suonare a distesa.
Le campane suonavano nel giorno più bello delle vita d’ogni ragazza – sempre che non dovesse sposarsi prima dell’alba o dopo il tramonto in quanto già incinta – quando Piero suonava un terzo più allegro del solito, che i crocesi riconoscevano immediatamente.
E comparivano in occasione dell’evento più certo, eppur imprevedibile, della vita d’ognuno: la morte. Non appena
moriva uno dei parrocchiani, si avvertiva Piero della triste notizia e il nonzolo saliva nella cella
campanaria a suonar la campana “a martello”, con un suono lugubre e pietoso che induceva immediatamente
alla tristezza e alla meditazione. Il suono triste della campana a martello accompagnava poi il corteo
funebre il giorno del funerale, quando don Natale col “catafalco” e i fedeli tutt’attorno andavano
a prendere il defunto.
[disegno del carro funebre]
Il “catafalco”. La tradizione della parrocchia di andare a prendere i morti a casa esisteva da secoli. Un tempo
in parrocchia era la Confraternita di san Matteo, detta anche “dei Morti”, che s’occupava della bisogna, accompagnando
il corteo funebre con quattro “farali”; poi la tradizione s’era evoluta: il carro sul quale si caricava
la cassa del morto un poco alla volta era diventato un maestoso catafalco. Ne esisteva uno in parrocchia
anche prima della guerra chiamato “la bara”, e non sappiamo se quello che comparve dopo la guerra, in un anno
imprecisato, fosse lo stesso o, più probabile, un altro acquistato da don Natale, magari di seconda
mano: quello che i più anziani ricordano era un carro di legno con colonnine sui due lati lunghi che reggevano
una copertura, tutto dipinto di nero e mantenuto nero con la carbonella; sulle colonnine erano sistemate
dei portacandele; era ulteriormente impreziosito ai lati e sopra da drappi neri.
Croce andava fiera di esser l’unica parrocchia del circondario ad averne uno. Il “catafalco” veniva custodito
in una baracca all’angolo nord del brollo, chiusa su tre lati da un muretto alto un metro e tamponato di legno
nella parte superiore, baracca alla quale i bambini timorati di Dio non osavano avvicinarsi. Sfida di coraggio
tra i bambini era entrare nella baracca e toccare la bara, magari all’imbrunire. Il carro spaventava quand’era
parcheggiato, figurarsi quando don Natale ci attaccava il cavallo e lo conduceva in strada: allora il rumore
delle ruote sui sassi delle strade era quanto di più lugubre, solenne, triste e impressionante si potesse conoscere.
Le campane di Piero accompagnavano la messa funerale, e l’ultimo addio prima della sepoltura. Il medesimo suono
funebre si ripeteva la sera dei morti: fino alle dieci Piero rimaneva sul campanile e bisognava portargli
su da mangiare, focacce che la moglie preparava per lui e per il parroco.
Però quando si andavano a prendere dei bambini, il corteo funebre che accompagnava il feretro si vestiva
di bianco e Piero suonava la granda, quella della contentezza, perché si sa che i piccoli vanno
subito in Paradiso. La certezza che i bambini andavano diretti in Paradiso non contrastava
con la disposizione ecclesiastica che i bambini nati morti o morti prima di essere battezzati,
destinati al Limbo, dovessero essere sepolti in un fazzoletto di cimitero loro riservato. Un paradiso triste
era questo Limbo, che confermava una volta di più l’ineluttabilità delle disposizioni divine:
solo il battesimo faceva diventare figli di Dio.
Le funzioni religiose erano l’unica interruzione al lavoro in un vita che era
dunque “tuta cièsa e campi” secondo la definizione di Toni Sgnaolin. Tutti i giorni si lavorava
da prima dell’alba a dopo il tramonto, la domenica si andava a messa. A messa s’incontravano
gli amici e il resto della comunità; fuori di messa ci si conosceva e si apprendevano le novità,
dato che quasi nessuno comprava il giornale. Al pomeriggio si tornava in chiesa per il vespro,
e dopo il vespro si tornava a casa a lavorare i campi. Per poter assentarsi da messa o da vespro
quando il lavoro dei cambi incombeva bisognava chiedere il permesso a don Natale, che generalmente
l’accordava, sapendo quanto grama era la vita di molti parrocchiani, dai quali dipendeva oltretutto il suo sostentamento.
«Che vita, che vita che ven fat...» mi ripeté in più occasioni Toni Sgnaolin.
Vita da mezzadri e da affittuari
«Co 20-30 cavi de bestie, te si ligà co na cavezza… Mi ricordo quand’eravamo piccoli, la mattina presto,
il mio povero papà ci svegliava e ci portava in stalla, io, Narciso e Cesare, ché Guido era più grande
e già lavorava; noi tre ci menava là, ci metteva su di un banchetto e mentre lui mungeva le vacche
a noi c’insegnava le orazioni, e noi guardavamo fuori se le donne cucinavano la polenta. Avevamo sempre fame.
Se jera tuti poréti. No se véa gnente, gnente... ma gnente. La nostra gioventù è stata rovinata da tutto,
nessun divertimento. Mi, dee volte, me vergogne de ver passà ’a gioventù come che l’ho passada,
a vedere quello che c’è oggi in confronto a come l’ho passata io. Troppa differenza».
[dai ricordi di Toni Sgnaolin]
La vita da bocie non aveva nessun divertimento e a dieci anni avevo già cominciato ad andar
via coi vecchi, a tagliar erba. Prima dei dieci anni i bambini non andavano per i campi... ma si andava dietro
alle bestie, bisognava raccogliere la buazza e il pisarot dentro la cisterna. In genere si preferiva andar
dietro ai campi piuttosto che dietro alle bestie.
[dai ricordi di Ferdinando Bortoletto]
La vita era lavoro, e particolarmente faticoso
anche, perché la terra, lo ripetevano sempre i vecchi, era bassa, oltre che proprietà altrui: del cavalier Cuppini,
che amministrava le campagne della moglie, del “cognato” conte “Gino” che di campagne ne possedeva
quattro alle Case Bianche (e sempre più apprezzava le proprietà del vino), del colonnello Gioia che
possedeva le campagne attorno alla sua villa, della Congregazione di Carità di Monastier (“Asilo Mariutto”)
che possedeva la campagna di terra alla destra di via Croce tra la villa di Cuppini e la chiesa, dei Franceschini
e dei Bortolas le Cascinelle, di Caberlotto la terra delle Millepertiche…
Una “campagna” di terra era l’estensione di terra sufficiente a dar da vivere a una famiglia ù
non troppo numerosa. Qualche famiglia riusciva a strappare qualche contratto d’affitto, più vantaggioso del contratto
a parte, cioè a mezzadria. Ma buona parte degli abitanti del paese era costituita di famiglie di mezzadri
che si vedevano spesso pagati con la metà più scadente. Più in basso nella scala sociale erano i braccianti
che per mala sorte o incapacità non riuscivano a trovare chi desse loro una mezza campagna da condurre,
e gli operai che non potevano contare su di un lavoro sufficientemente stabile.
Una famiglia di coloni, ben retta dal patriarca, che riusciva ad ottenere una campagna in affitto o a mezzadria e sapeva destreggiarsi tra spese e ricavi, poteva vivere con la dignità diffusa dell’epoca. Per garantirsi la fiducia del paron e il rinnovo del contratto a San Martin la famiglia era obbligata, nel corso dell’anno, a fornire ai proprietari del fondo una certa quantità di provviste alimentari che dovevano essere disponibili al momento prefissato; altrimenti dovevano essere acquistate perché il padrone poteva “desgustarse”: “a Nadal ghe tochéa sie caponi, par Carneval quatro gaìne, par Pasqua zento vovi… Se ’levéa poeastri e cunìci, ma s’i vendéa par comprar un toc de saón, el zucaro, el sal”. Ed era necessario accumulare le provviste in previsione dei pasti da fornire a coloro che venivano ad aiutare in occasione delle opere della primavera e dell’estate.
La giornata lavorativa variava dall’inverno all’estate, ma durava comunque dall’alba al tramonto.
D’estate ci si alzava alle 4 di mattina, prima del sole, e si andava sui campi. Talvolta era un’ora di strada per arrivare ai campi in bonifica. I bambini cominciavamo a sei anni a dare una mano sui campi: a loro toccava il compito di tirar su le gambe del soturco. Si andava sul campo a stomaco vuoto. Alle 7 si faceva la prima colazione: arrivavano le donne sul campo con la cesta piena di polenta, si mangiava un po’ di formaggio, salame e sarde; a mezzogiorno si tornava a casa dove le donne avevano preparato la seconda polenta della giornata, si mangiava un po’ di musetto e fagioli; qualche volta, se necessario non interrompere troppo i lavori, si rimaneva sul campo a lavorare.
In estate, quando la giornata di lavoro era lunga, alle cinque si faceva il marendin con un po’ di polenta fredda e soppressa, talvolta anche pane, se le donne avevano avuto il tempo di prepararlo. La sera, se si lavorava distante, in bonifica, ci voleva anche un’ora per andare a casa.
La terza polenta della giornata era per la sera; insieme si mangiavano radici, fasioi, latte e vovi.
Per far funzionare tutto occorreva rispettare centomila regole alimentari: per esempio l’ossocol fino a Pasqua non veniva inisà, questa era cosa che sapevano tutti: nell’ordine bisognava consumare le cose che potevano andare a male per prime: i baldoni, le uganeghe la domenica; i salami, in primavera; poi la spalla verso maggio e il prosciutto dopo; dopo la battitura era tutto finito e rimaneva solo il lardo.
Le vigilie venivano rispettate. La carne si mangiava solo in occasione dei lavori in campagna, mietitura, battitura, vendemmia, quando serviva un poca di energia; e a Natale e a Pasqua. La domenica e nelle altre feste compariva in tavola la carne d’un poeastro o d’un cunicio, che doveva bastare per quindici, e bisognava saperlo dividere!
Le grandi opere dell’estate (per tradizione si cominciava a mietere il giorno dopo la ricorrenza di san Giovanni Battista, 24 giugno, e si doveva aver terminato la battitura e la carratura del grano per il giorno di sant’Anna, 26 luglio), in modo particolare la battitura, erano quelle che vedevano impegnate per circa un mese notevoli quantità di persone che, podere per podere, si aiutavano vicendevolmente in una scambio di “opere” che non prevedeva ricompensa alcuna ma solo la fornitura dei pasti per il periodo di tempo in cui i lavoranti stavano sul podere. Ciascuna famiglia doveva organizzarsi per soddisfare gli appetiti di coloro che aiutavano a mietere e a trebbiare “senza farse compatir” perché poi ne sarebbe stata adeguatamente ricambiata quando sarebbe toccato il proprio turno di aiutare nei poderi vicini.
La mietitura era una delle fatiche più pesanti per i contadini perché dall’alba al tramonto erano costretti a sudare sotto il sole di luglio. Per dissetarsi la bibita migliore era l’acqua fresca del pozzo con un po’ di aceto.
Se poi a San Martino s’era avanzato qualcosa ecco che si riusciva ad invitare gli amici e a far un po’ di festa.
Tutte le regole obbligavano non solo ad una accurata distribuzione delle risorse nell’arco dell’anno, ma anche un controllo capillare dei consumi quotidiani all’interno delle famiglie: per questo i boce venivano legnati persino quando andavano a rubare la polenta nel granaio.
In casa ci si ingegnava anche a far tutti gli altri mestieri: si era falegnami e muratori, calzolai e sarti.
Qualcuno aveva fatto il salto di qualità ed era diventato muratore o carpentiere, falegname o calzolaio in pianta stabile. Le professioni cominciavano a differenziarsi. Chi dopo la guerra avevano messo in piedi un “casuìn” – come Attilio ed Eliseo ‘Cosmo’ (Guseo) nel centro del paese, o la Regina Vendraminetto alla Fossetta o più recentemente Bepi Longato e Attilio Costantini – passava per benestante, avendo il retrobottega sempre pieno di cibarie.
Ma c’era chi non riusciva a dar da mangiare ai figli. Il 14 agosto di quel 1926 la
levatrice di Croce Vizzotto Sofia trasportò al brefotrofio di Venezia le gemelle Maria e Laura D’Andrea, di Pietro,
perché il padre non avrebbe saputo come mantenerle.
Nonostante la povertà le famiglie facevano molti figli perché «tra preti e siori tutti diséa
de far fiòi perché se t’à fiòi el paron te ciol, perché c’era bisogno di forza lavoro, altrimenti el paron
se scegliéa n’altra fameja» (Toni Sgnaolin). I figli erano dunque ricchezza e miseria, opportunità e spesa; ma
per i figli si spendeva il meno possibile; se ne mandava a scuola uno su quattro, preferibilmente un maschio,
per quanto l’istruzione fosse obbligatoria fino alla terza elementare. Le famiglie più povere non potevano
permettersi di mandarci neanche quello. L’ignoranza era diffusa e carica di superstizioni ma per fortuna
negli ultimi decenni erano aumentati coloro che sapevano leggere e qualcuno ultimamente
voleva insegnarla anche al prete.
Vestiti. Subito dopo la guerra passava per le case più distanti dal centro qualche sarto che giungeva
da distante, da Treviso; rimaneva nelle case dei contadini uno, due giorni, quel che serviva
e faceva gli abiti su misura. Poi cominciarono a stabilirsi i primi sarti in centro a Musile (Iseppi) e allora
si andava da lui. Nel suo negozio si sceglieva un rotolo o qualche metro di stoffa, oppure gliela si portava
dopo averla acquistata altrove, e con quella il sarto confezionava camicie o giacche uguali per tutti
quelli della famiglia. Due anni doveva durare un vestito, anche se magari si usciva di misura. Giacca, camicia e pantaloni era l’intero vestiario di ciascuno. Non di rado, chi si alzava prima, si sceglieva il pezzo più pregiato. Ai piedi gli zoccoli. Raramente i sandali. Solo i vecchi avevano diritto al tabarro. Il primo vestitino con le braghe corte toccava ai bambini al tempo della prima comunione, a 6-7 anni. Se avevano freddo tiravano su le calze fino alle cosce. Un secondo vestito toccava in occasione della cresima, due o tre anni dopo. Sotto il pantaloni si portavano le mutande, che venivano cucite in casa. La maggior parte delle famiglie aveva una macchina da cucire a manovella, e le donne sapevano usarla per far mutande. Solo per il vestito ci si rivolgeva al sarto. Le canottiere non esistevano.
Per tutte le necessità di casa gli acquisti erano provveduti dal padrone di casa: era lui che andava a San Donà
e portava a casa curàme, zhòcui, brochette …sotto gli zoccoli si piantavano un sacco di brochette per farli durare di più.
Divertimenti. No, non ce n’erano, a meno che non fosse un divertimento andare sulla
Triestina a guardar le macchine che passavano, si è no una ogni mezz’ora. Chi stava meno peggio e poteva permetterselo
andava a ziogar ae bae da Iseo [=Eliseo] che di fianco all’osteria aveva sistemato il campo di bocce; i più
piccoletti stavano attorno a far ’a guardia, cioè a guardare semplicemente.
Oppure si cantava.
Tilio Cosmo era uno che se ne intendeva di musica, tant’è vero che don Natale gli aveva affidato la direzione
della corale, e lui in pochi anni aveva insegnato al suo coro non solo i canti di chiesa ma ben trentacinque
cori d’opera. Una volta i coristi erano andati a cantare a Mestre, con la mula e la carretta del prete,
in sette od otto seduti con le gambe per di fuori. Al ritorno capitò che la gente fuori di un bar lungo la strada
cominciò a prenderli in giro e a urlare: «Ma dove ’ndéo...» I coristi, punti nell’orgoglio, bloccarono le carrette
e cominciano a cantare il “Rataplan” e il “Coro di campane”, loro cavalli di battaglia; attirata dai canti
giunse presso il bar un sacco di gente, che s’entusiasmò: chi portò un fiasco, chi ne portò un altro... fu festa,
e che festa! Attilio, amante quasi più della musica profana che della sacra, aveva una mezza intenzione
di mettere in piedi una balera in piazza, ma incontrava le resistenze di don Natale, che non perdeva
occasione di scagliarsi contro il ballo, divertimento peccaminoso perché consentiva una vicinanza promiscua,
sensuale, tra uomini e donne prima del matrimonio, e la sensualità che altro era se non induzione al peccato? A Fossalta
il ballo c’era e le ragazze di Croce ci andavano volentieri il sabato sera; poi dovevano badare
a rincasare prima di una certa ora, o in alternativa di non passare per la piazza ché don Natale
la domenica mattina – si alzava sempre prestissimo – le avrebbe potute vedere, e sicuramente avrebbe dato
loro delle lavate di capo che i genitori neanche riuscivano a immaginare.
Ma a parte questi episodi di svago, la sera si stava in casa.
Per tutto il mese di settembre il dottor Arduino si fece sostituire dal dottor Da Re. Tra i farmacisti
di cui si avvaleva il Comune, oltre ad Augustini e Amenta Remo, ora c’era anche L. Pilla, tutti di san Donà, ma i Crocesi
andavano a Fossalta.
Il 22 settembre 1926 Guglielmo Granzotto effettuò delle
La bella scrittura in fattura era ovviamente della moglie.
Il 16 ottobre 1926 il cottimista Antonio Zanin dichiarò di aver rifatti due pavimenti e il focolare
in cucina nella casa abitata dal dottor Arduino. La casa del medico era una delle poche che poteva permettersi
il pavimento. In molte della case dei coloni i pavimenti erano di terra battuta.
Il 5 novembre furono approvate le leggi fasciste per la sicurezza nazionale: furono sciolti tutti i partiti
e i movimenti di opposizione; soppressa la libertà di stampa, di sciopero, di associazione; istituito
un Tribunale speciale per la difesa dello Stato affiancato dall’Ovra, l’Organizzazione per la vigilanza
e la repressione dell’antifascismo; restaurata la pena di morte. L’8 novembre Antonio Gramsci fu arrestato
dalle autorità fasciste e il giorno dopo venivano espulsi dal parlamento tutti i deputati antifascisti.
Taddeo Granzotto, dei Granzotto murèri, riparava la chiesetta del cimitero.
Musile di Piave li 24=11=1926
Lavori eseguiti per conto del Comune per riparazioni
alla Chiesetta nel Cimitero Civile di Croce di Piave.
N.° 150 tegole nuove £. 60.00
N.° 4 piedi di calce a £. 7 al piede £. 28.00
Sabbia £. 5.00
N.° 38 ore di lavoro del muratore a £. 2.50 l’ora £. 95.00
N.° 14 ore di lavoro del manovale a £. 2.00 l’ora £. 28.00
Totale £. 216.00
Il muratore
Granzotto Taddeo
|
Una settimana dopo gliene sarebbero state liquidate 190.
Il 3 dicembre il nuovo simbolo dello Stato italiano diveniva il littorio. Nel giro di qualche
anno sarebbe comparso sugli stemmi in tutti i documenti dell’amministrazione comunale, provinciale e nazionale,
scolpito sulle facciate degli edifici pubblici. L’involontaria parodia della romanità
diventava legge.
Questi gli esercenti che l’11 dicembre 1926 avevano pagato la tassa
per rinnovare la licenza di vendita di vino al minuto.
1 Bettarello Pasqua £ 25
2 Bortolotto Pietro " 50
3 Celeghin Silvia " 50
4 Cadamuro Giuseppe " 25
5 Camin Leonardo " 25 [100 m dopo Salmasi, a sinistra]
6 Costantini Attilio " 50 [al ponte del Bosco]
7 Dalla Mora Giovanni " 50
8 Franzin Maria " 50 [al casello]
9 Girardi Angela " 50
10 Guseo Attilio " 50 [all’inizio di via Bosco]
11 Guseo Eliseo " 50 [di fronte al paeazz di Croce]
12 Ferrari Silvio " 50 [al passaggio a livello sull’Argine]
13 Massili Marcello " 25
14 Salmasi Umberto " 50 [all’incrocio Salmasi, appunto]
15 Tozato Antonio " 25 [a Ca’ Malipiero]
16 Vendraminetto Regina " 50 [alla Fossetta]
17 Longato Giuseppe " 25 [in Cae de fero]
£ 700
E questi gli esercenti che avevano pagato anche la
tassa rinnovazione servizi bevande alcooliche
Celeghin Silvia £ 100
Ferrari Silvio " 100
Guseo Eliseo " 100
Vendraminetto Regina " 100
£ 400
Alla parodia della romanità seguiva quella della cronologia cristiana. Una circolare
del 25 dicembre sancì l’obbligo, a partire dal 29 ottobre 1927, di aggiungere, in numero romano, l’anno dell’era fascista accanto a quello dell’era cristiana. L’era fascista era iniziata il giorno successivo alla marcia su Roma, il 28 ottobre 1922, evento paragonabile alla nascita del Cristo. Il primo anno dell’era fascista era dunque iniziato il 29 ottobre 1922 e terminato il 28 ottobre 1923; adesso si era nell’anno V E.F.. Mussolini era dunque il nuovo Messia.
Il 27 dicembre il Consorzio di Croce pagò 400 lire per fitto, illuminazione
e riscaldamento del locale
nel palazzo ad uso ufficio consorziale per l’anno 1926.
In quel 1926 don Natale aveva celebrato 19 matrimoni e battezzato 126 bambini.
Poco prima di Natale un piccolo incendio prodotto da una stufa causò dei danni alle baracche scolastiche. Della
riparazione si era occupato come sempre Guglielmo Granzotto che aveva cambiato 2 metri quadri di parete
di legno, aggiunto un metro di tubo alla stufa in modo da poterla tenere più discosta dalla parete, messo un riparo di previdenza alla stufa dell’altra baracca.
In quel 1926 si era costituito il “Consorzio di Bonifica di Caposile” e Croce era divenuto
uno dei due bacini del nuovo comprensorio.
1927: importanti decisioni di Comune e Governo
Il 12 febbraio il Comune deliberò di sistemare il centro di Croce attraverso la posa di tombini di scolo
e lo spianamento dello zona attorno al “Palazzo”.
Il 13 febbraio il Governo istituì la tassa sul celibato
per favorire matrimoni e nascite. Il 19 marzo Alcide De Gasperi veniva arrestato a Firenze con l’accusa
di espatrio clandestino. Il 25 il ministro della Pubblica Istruzione Pietro Fedele pronunciava alla Camera
un discorso sulla necessità di “fascistizzare la scuola che dovrà educare la gioventù a comprendere il clima
storico creato dal fascismo”.
Il 10 aprile, con Regio Decreto, il sindaco di Musile Giuseppe Argentini fu nominato Podestà: il primo cittadino
non avrebbe risposto più agli elettori, bensì al prefetto e quindi al Duce. Il consiglio comunale deliberò di
onorarlo adeguatamente nella giornata del suo insediamento, il 21 aprile, festa del Natale di Roma: gli fu conferita
la cittadinanza onoraria e donata una bella pergamena decorata. Tutto ciò nella cornice di una grande festa,
nella quale furono spese, tra le altre, 286 lire per il vermouth ai Balilla e agli avanguardisti: così
il Consiglio festeggiò la propria raggiunta insignificanza.
In quel mese di aprile fu effettuata la rilevazione statistica dei fabbricati esistenti in Comune.
Il 5 maggio il Governo decise di ridurre gli stipendi di tutti i dipendenti statali del 10 per cento.
Il 10 giugno, alla conclusione dell’anno scolastico, “Memi” Granzotto effettuò altri lavori di riparazione alle scuole di Croce e Cascinelle.
Il 2 luglio il neopodestà Argentini deliberò l’assegnazione dell’appalto alla ditta Zanin Antonio
per i lavori
di sistemazione del centro di Croce: costo 12.000 lire. Tali lavori prevedevano di portare la piazza
a livello del progetto prelevando il materiale mancante lungo il confine fra la proprietà Zanin e
la proprietà Contessa Rachele Sacerdoti; era previsto anche il tombamento della fossa lungo la strada
provinciale antistante all’area comunale, la costruzione di un cumulo in acciottolato e la costruzione di un tombino.
Il cippo “Tito Acerbo”
Il 23 luglio il podestà,
“ritenuto che a seguito voto espresso dagli abitanti della frazione di Croce di Piave è doveroso e patriottico
ricordare ai posteri con un segno MARMOREO il luogo ove cadde eroicamente il Capitano Tito Acerbo Medaglia d’Oro;
Attesochè il segno simbolico dirà al popolo come oggi, come domani e come sempre si da, e si darà valorizzazione a questi sacri luoghi per la realizzazione di ogni valore spirituale e morale, tesori che costituiscono la nostra grandezza e la gloria della Patria;
Considerato che con lieve spesa si viene a soddisfare al voto della popolazione e compiere atto altamente patriottico-in quantochè tanto la colonna in marmo quanto il materiale per la base del piedestallo del cippo è stato regalato dal Sig. Bressanin;
Attesoché il Comune deve sostenere la sola spesa per la incisione nella colonna di marmo di N°141 lettere in piombo, costruzione della base del cippo, spese e mano d’opera che preventivate dallo scalpellino Biscaro Augusto in L. 504.= esclusa il trasporto la fondamenta e la posa in opera che si prevvedono in altre L. 200.= circa;
[…]
Ritenuto che l’inaugurazione del Cippo suddetto verrà fatta in occasione dell’inaugurazione del Monumento ai Caduti in guerra della Frazione di Croce stabilita da quel Comitato per il giorno 25 settembre pv. e per il quale venne rivolta regolare istanza a S.ECC,. il Presidente del Consiglio dei Ministri per la necessaria autorizzazione;
Attesoché alla detta inaugurazione oltre alle Autorità Civile, Militare e Religiose interverrà S.ECC. PROF. GIACOMO ACERBO, fratello della Medaglia d’oro TITO ACERBO.=
[…]
D E L I B E R A
La costruzione e collocamento di un Cippo Marmoreo nel luogo ove eroicamente
cadde nel 16 GIUGNO 1918 il Capitano Tito Acerbo Medaglia D’Oro e precisamente nel piazzale
omonimo in Croce di Piave e sulla proprietà Comunale.
[...]
Già, erano tutti convinti che Giacomo Acerbo, fratello dell’eroe, avrebbe svolto
magnificamente la sua funzione di rappresentanza,
così come, da vicepresidente della Camera dei Deputati, svolgeva la sua funzione, anch’essa diventata
ormai di rappresentanza. “Gli abitanti della frazione” che avevano voluto il monumento erano in realtà
i pochi notabili che formavano il “Comitato Erezione monumento ai Caduti”, con a capo il marito
della contessa Morosina vedova Gradenigo, il signor Renato Cuppini, che tentava con queste iniziative
di rifulgere di luce propria. Cuppini faceva parte del Direttorio del Fascio di Musile...
FASCIO | SEGRETARIO POLITICO | SEGRETARIO AMMINISTRATIVO | MEMBRI DEL DIRETTORIO |
Musile di Piave | Ferruccio Sattin | Dott. Antonio Arduino | Renato Cuppini Silvio Treu Dott. cav Filippo Rizzola Ernesto Manzetto |
San Donà di Piave | Dott. Raimondo Stochino | Idillio Galletti | Dott. Costante Bortolotto Giuseppe Davanzo Dott. Giacomo Carletto Giuseppe Fornasari |
Fossalta di Piave | Alfonso Ferrari | Erminio Panciera | Antonio Filippetti Cav. Marco Pivetta Ing. Gugliemo Rossetto Agostino Silvestri |
Aggiungiamo che il dottor Costante Bortolotto e l’ingegner Rossetto erano anche podestà dei rispettivi comuni.
A metà luglio la colonna spezzata, simbolo della vita troncata dell’eroe, che avrebbe funto
da monumento era pronta. A dire il vero non fu collocata nell’esatta posizione dove morì l’eroico capitano,
al limitare del sagrato della chiesa, ma in posizione più scenografica all’incrocio di via Croce con la via del Bosco.
Era un’estate torrida. Non si sa se per colpa del caldo
o del duro lavoro, la levatrice di Croce stava male.
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29 – 7 – 1927
Certifico che la comare di Croce, Signora Vizzotto Sofia
affetta da oligoemia, gastr[entema?], esaurimento nervoso,
abbisogna di cure e riposo assoluto possibilmente
in una stanza sola, giorni trenta almeno
Dott. A. Arduino
|
Divise ai Balilla. Per onorar degnamente l’eroe mica si sarebbero potuti portare i ragazzetti vestiti cenciosamente,
con gli zoccoli ai piedi e stracci altrove, così come andavano vestiti di solito... Il 30 luglio il Comune di Musile
deliberò di fornire le divise ai Balilla e alle Piccole Italiane favorendone l’acquisto mediante rateizzazione;
solo agli indigenti le divise sarebbero state consegnate gratuitamente ma “verificandone nei mesi successivi
lo stato di manutenzione e di cura”. Il fez per i Balilla (8-14 anni) costava 5,05 lire mentre il fez
per gli Avanguardisti (14-18 anni) costava 5,75 lire.
Il 31 luglio la Congregazione di Carità di Monastier e Bizzaro Nicola chiedevano
al Comune il fitto arretrato per l’anno 1917 perché sui loro terreni erano stati collocati “i locali” (le baracche)
adibiti a scuola, rispettivamente a Croce e alle Scuole San Rocco.
Siccità e tempesta. L’eccezionale siccità aveva ridotto la produzione agricola. Come se non bastasse, martedì 16 agosto,
alle 8 di mattina, il cielo s’oscurò minacciosamente; all’approssimarsi dei nuvoloni don Natale uscì
sul sagrato della chiesa e levando le mani al cielo cominciò a urlare rivolto il Cielo: «No qua, No qua, Signor,
qua é tuta bona zente qua, niente tempesta qua...» La tempesta risparmiò il centro di Croce.
“Una violentissima ed eccezionale grandinata distrusse completamente in [quasi] tutto il territorio
comunale il promettente raccolto dell’uva, unica principale risorsa di questi proprietari mezzadri
ed affittuali. Le viti rimasero completamente spoglie e rimarranno improduttive anche per l’anno venturo;
il granoturco e fagiuoli in gran parte distrutti, fortemente danneggiati i gelsi, frutteti, vivai.
Si calcola un danno complessivo di oltre tre milioni.
Gli agricoltori, che solo ora cominciavano a veder risorgere le loro campagne già completamente distrutte dalle operazioni belliche e dall’invasione nemica, vedono così d’un tratto annientato tutto il loro lavoro, sacrificio, frustrate tutte le loro speranze in un miglior avvenire.
Ci consta che il nostro Podestà cav. Argentini, profondamente compreso della dolorosa situazione, ha telefonato a S. E. il Prefetto per immediati provvedimenti assistenziali a e per la sospensione ed esonero temporaneo di tutte le imposte, e invierà speciali petizioni alle competenti autorità di tutti i danneggiati, perchè il Governo nazionale venga almeno in parte a sollevare questa laboriosa popolazione dalle immane sciagura che l’ha colpita.
[dal Gazzettino del giorno dopo]
Il nubifragio aveva completamente distrutto il raccolto dell’uva; per molti fittavoli fu una disgrazia. Tra coloro
che si trovarono in difficoltà, addirittura in condizioni miserabili, ci fu Luigi Sgnaolin, non più in grado
di far fronte alle spese per la cura in sanatorio del figlio tubercolotico. Aveva sempre pagato a mezzo
dell’Agente Gnes che poi provvedeva a rimborsare il Comune delle spese anticipate al sanatorio: ora non poteva
più dare nulla all’agente. Il Comune questa volta decise di intervenire a favore dello Sgnaolin con 1500 lire.
Ancora ordigni di guerraIl 16 settembre Antonio De Zotti, 15 anni da poco compiuti, nel campo dove stava lavorando trovò, “frammisto a terreno”
un ordigno bellico che cominciò a maneggiare, finché gli esplose in mano e lui rimase per sempre inabile al lavoro.
La strada delle Cascinelle diventa comunale. Dopo una serie di delibere e relativi visti
prefettizi (ormai tutto doveva essere vistato dal prefetto), il 17 settembre 1927 il podestà deliberò
di accettare la cessione gratis al Comune da parte dei proprietari Franceschini Maria fu Giacomo maritata
al barone Manfredi, Franceschini Lidia fu Giacomo maritata al conte De Sangro, Bortolas Giovanni fu Francesco
e Bortolas Antonio di Giovanni della sommità arginale della strada delle Cascinelle; di procedere alla stipula
di contratto per la cessione al Comune delle porzioni di terreno adiacenti alla strada onde poter procedere
alla sua sistemazione e alla iscrizione della strada vicinale delle Cascinelle fra le strade obbligatorie
del Comune; di chiedere l’autorizzazione all’eccellente signor prefetto che l’esecuzione dei lavori seguisse
a licitazione privata fra le Ditte Cooperativa e Produzione Lavoro “Vittoria” di Montagner Antonio di Giuseppe.
Il 22 settembre Zanin Antonio presentò la dichiarazione dei lavori eseguiti alle scuole di Croce e della Fossetta.
Non sappiamo se quel lavoro fu posteriore o contemporaneo ai lavori della piazza; comunque, secondo appalto,
fu ridotto e regolato il fossato che divideva la strada dal Prà delle oche; i tombini e le condotte fognarie
poste in opera avrebbero garantito il mantenimento all’asciutto dello spiazzo.
2 ottobre 1927: inaugurazione dei monumenti
Il piedestallo in cemento granito del monumento a Tito Acerbo era stato
battuto a bocciarda dal mastro petraio Augusto Biscaro che aveva anche inciso e piombato N. 141 lettere in una colonna di pietra viva
a £ 2,30 luna. Il Biscaro aveva anche scolpito i quattro pilastrini in pietra viva
che delimitavano il quadrato di rispetto del monumento ai Caduti.
La festa di inaugurazione dell’uno e dell’altro monumento “con grande
concorso di popolo e di autorità” non si tenne
domenica 25 settembre come previsto ma la domenica successiva, 2 ottobre, per poter conciliare
gli impegni delle Autorità.
Per l’occasione il Cimitero Militare era stato adeguatamente ripulito e riempito di fiori e di corone, e una ripassata era stata data alla tomba dell’eroe nel cimitero civile. La contessa Rachele Gioia aveva fatto trasportare dal suo colono Pietro Perissinotto delle carrettate di ghiaia.
Articolo del Gazzettino del giorno 8 ottobre 1927
“Musile, che durante l’ultimo anno della guerra fu teatro di una lotta tanto sanguinosa ed accanita fra i difensori del Piave e le schiere nemiche che invano tentavano di riversarsi al di là del fiume sacro, ha reso domenica scorsa l’omaggio più riverente ai suoi ottantacinque figli caduti per la patria, inaugurando solennemente il bel monumento eretto alla memoria. E nella stessa mattinata si è svolto pure lo scoprimento di un altro ricordo marmoreo, dedicato alla medaglia d’oro Tito Acerbo, gloriosamente caduto in quei luoghi il 16 giugno e la cui salma riposa nel cimitero di Croce di Musile che in uno dei suoi recinti accoglie le salme di centinaia e centinaia di combattenti. Ad ambedue le cerimonie assisteva S.E. l’on. Giacomo Acerbo, vicepresidente della Camera, valoroso ex combattente e fratello del glorioso eroe a cui si tributavano onoranze insieme ai caduti di Musile.
LE AUTORITÀ CONVENUTE
Il comune che vanta con fierezza di aver dato alla causa della Patria il tre per cento della sua popolazione, domenica mattina si è tutto imbandierato, partecipando alla cerimonia con l’entusiasmo vibrante di tutto il popolo rurale, laborioso e forte che coltiva le feconde terre del Basso Piave, dove ora il lavoro ferve sotto la più intensa e leale disciplina. Le autorità provinciali sono intervenute numerose, portando con la loro presenza il consenso ed il plauso all’opera del patriottico Comitato Pro Monumento di Musile che con la lunga e paziente opera dei suoi componenti raccolse i fondi necessari perché il voto degli abitanti di Musile si compisse.
S. E. l’on. Acerbo è arrivato a Musile da Mestre nel mattino in automobile, e con lo stesso mezzo sono giunti il comm. Avv. Giuseppe Toffano, vicesegretario della federazione provinciale fascista, il rappresentante del Prefetto di Venezia cav. Magrini, il magg. Roselli pel comando della Piazza Marittima, il magg. Generale Francesco Corso, attuale comandante della gloriosa brigata Sassari (151° e 152° fanteria) cui apparteneva il capitano Tito Acerbo, il colonnello Musinu,comandante del 152° fanteria, venuti anch’essi a rendere omaggio alla memoria dei prodi compagni caduti in gran numero su queste zolle, il comm. Costante Bortolotto podestà di San Donà di Piave. A riceverli erano il podestà di Musile cav. Giuseppe Argentin, il segretario del fascio locale Sattin, con il direttorio al completo, i componenti del Comitato Pro Monumento sig. Renato Cuppini con la consorte, Vianello, Lessi, Guseo, Montagner, colonnello Gioia, contessa Sacerdoti, signore Berton e Saladin; …”
«Saladini, maestra Saladini, non Saladin», avrebbero commentato i lettori del paese al refuso giornalistico
“…; il Podestà di Grisolera dr. Stocchino, don Natale Simionato, parroco di Croce di Musile, …”
E qui don Natale avrebbe lanciato una doppia smorfia, d’orgoglio
e di stizza: «di Croce di Piave!, non di Croce di Musile...»
“il podestà di Cavazuccherina Cardini,
sig. Fornasieri, D’Avanzo, cav. Pitteri pretore di San Donà e notissime altre personalità
della regione. Era presente anche la madre di Giannino Ancillotto!”
«Me cojoni!» avrebbero esclamato alla lettura del medesimo articolo i socialisti
del paese seduti al bar di Attilio “Cosmo” che mostrava l’articolo in cui si parlava anche di lui e della
corale.
(foto archivio Fregonese: il fante ancora velato.
Sulla sinistra le due baracche scuola, in lontananza Casa Lezze seminascosta dalla canonica;
la chiesa restaurata e davanti ancora la baracca chiesa, scorciata
per far posto al capanile, da poco inaugurato;
sulla destra la casa del nonzolo Piero Granzotto)
LA BENEDIZIONE AL MONUMENTO
L’on. Acerbo appena giunto nel paese si è recato a far visita alla tomba del fratello nel cimitero, e quindi si è recato con le altre autorità nella Piazza Tito Acerbo in cui sorge ancora coperto dalla tela, la mole del monumento ai caduti, opera dello scultore Vasco Viaro di Mogliano Veneto. Attorno al monumento, disposti in quadrato, stavano reparti della Milizia volontaria e le schiere della avanguardia, comandate dal sig. Pellizzon; le rappresentanze foltissime dei Mutilati ed Invalidi di guerra e delle altre associazioni patriottiche con le loro bandiere, insieme ai gagliardetti e alle rappresentanze dei fasci della zona, si serravano pure intorno al monumento che il parroco di Croce don Natale Simionato, fra la religiosa aspettazione, si apprestava a benedire.
Il sacerdote, prima di compiere il sacro ufficio, ha letto un vibrante e patriottico discorso, in cui ha esaltato il sentimento di devozione alla patria, di pietà religiosa per i prodi caduti, sentimenti che hanno ispirato l’opera così tenacemente voluta dal popolo di Musile che ne trarrà i più nobili incitamenti per l’avvenire del paese, sorretto dalla stessa fede che animava quei valorosi allorché caddero contenendo il passo al nemico.
Dopo le sue parole, vivamente applaudite, don Natale Simionato ha proceduto alla benedizione del Monumento, e quando egli ebbe pronunciate le ultime formule del rito, la tela che ricopriva il monumento, a cui facevano guardia d’onore due mutilati, Remigio Pivetta e Virginio Cancellier, è caduto scoprendo la bella opera dello scultore Viaro, mentre la banda di Fossalta intonava la marcia reale e i reparti della Milizia presentavano le armi.
(foto archivio Fregonese: il fante appena svelato.
A sinistra la casa dei Granzotto, la casa dei Guseo dietro il fante,
a destra la rivendita di Eliseo Guseo)
Il monumento rappresenta un fante proprio nel
combattimento contro il nemico; sulle facce del piedistallo sono scolpiti i nomi
degli 85 caduti di Musile. La statua, in bronzo, è stata fusa dalla fonderia Possamai di Solighetto, ed è opera riuscitissima per la bellezza del movimento e la serietà dell’atteggiamento. Essa è stata ammiratissima da tutti i presenti.
Il podestà di Musile, cav. Argentin, ha preso quindi la parola per pronunciare un breve discorso. Dicendosi fiero prendere in consegna il Monumento, sorto per la volontà di tutti gli abitanti di Musile e l’opera fervida di un Comitato fattivo a cui ha tributato un caloroso ringraziamento, egli ha detto il monumento eterna in sé il sacrificio dei migliori figli del paese e rappresenterà un monito costante per tutti, affinché tutti siano sempre degni del sacrificio di quei prodi. Ha rivolto quindi un ringraziamento alle autorità e in special modo all’on. Acerbo e al comm. Toffano, pel loro intervento, inviando alla madre del primo un saluto commosso.
Il suo breve ed efficace discorso è stato vivamente applaudito, e quindi l’avv. Toffano, oratore ufficiale della cerimonia ha preso la parola.
Chiudendo il suo eloquente discorso, più volte interrotto dagli applausi, l’oratore si è rivolto specialmente ai giovani con un monito e un incitamento. Ricordino, egli ha detto, che il fiore della nostra gente cadde perché la patria vivesse, e che solo dopo aver superato la prova sublime della guerra, la Nazione oggi spera e vive nel mondo.
L’INAUGURAZIONE DEL CIPPO
Il vibrante discorso del comm. Toffano è stato acclamatissimo e l’oratore ha ricevuto alla fine vive congratulazioni dall’on. Acerbo e dalle altre autorità. La Società Corale del paese, diretta dal maestro Guseo ha eseguito quindi il coro “Gloria ai caduti” che è stato caldamente applaudito. Al suono degli inni, le autorità si sono recate poco discosto, nella località in cui sorge il cippo commemorativo della medaglia d’oro Tito Acerbo, presso la chiesa di Croce. La colonna è stata eretta proprio sul punto in cui durante l’offensiva austriaca del giugno 1918, l’eroico ufficiale cadde combattendo. Intorno ad essa sono disposte le autorità e le rappresentanze; e impartita la benedizione dal parroco don Simionato, la colonna è stata scoperta. Essa reca la seguente dicitura: Qui – il 16 giugno – 1918 – eroicamente cadeva – alla testa dei suoi valorosi – il capitano Tito Acerbo – medaglia d’oro – Il Comune di Musile di Piave – pose.
IL COMANDANTE DELLA SASSARI
Tra la viva attenzione, ha preso la parola il gen. Francesco Corso, comandante della brigata “Sassari”, cui apparteneva il capitano Acerbo. “A nome dei compagni d’arme e in congedo – ha detto – io porgo vive grazie per il pegno di gratitudine offerto a chi si immolò perché la soglia delle case italiane non fosse più insozzata dal piede nemico. Questi ricordi, ha proseguito, ci saranno di sprone a prodigare tutte le forze e le opere per la nostra patria, e noi della brigata Sassari verremo qui a ritemprare le nostre energie e le nostre forze”.
Il breve discorso del generale è stato caldamente applaudito. Quindi ha preso la parola il podestà cav. Argentin, dicendo che dinanzi al ricordo elevato al prode soldato caduto a Musile, si elevi solenne la promessa di rispetto alle leggi, alla disciplina, ai doveri del cittadino.
Il comm. Toffano ha quindi preso la parola; leggo egli ha detto, la motivazione con cui venne conferita la medaglia d’oro alla memoria del capitano Tito Acerbo, perché si scolpisca nel vostro cuore: “Valoroso fra i valorosi di una gloriosa brigata, animatore impareggiabile, fulgido esempio di bravura, di abnegazione e di fede incrollabile, eccezionalmente dotato di capacità e di slancio sempre e dovunque eroicamente condusse il suo reparto nelle più sanguinose azioni sul Carso, sugli altipiani e sul Piave. Quivi, nella turbinosa battaglia, benché ferito, alla testa dei suoi reparti proseguiva nel violento attacco contro preponderanti forze avversarie, impegnato in accanitissime mischi, minacciato di accerchiamento, con impeto travolgente riusciva ad aprirsi un varco liberandosi dalla stretta nemica e trascinando seco i prigionieri. Poco dopo, colpito a morte da proiettile nemico, incitava ancora i dipendenti a persistere nella lotta e spirava sul campo inneggiando alla Patria – Croce di Piave – 16 giugno 1918.
Questa motivazione è una superba pagina di storia e di gloria, e il comm. Toffano, nella figura del purissimo eroe caduto, ha esaltato il valore ed il sacrificio di tutti i soldati d’Italia.
IL RINGRAZIAMENTO DELL’ ON. ACERBO
S. E. Giacomo Acerbo ha ringraziato con nobili parole. “Con la più viva emozione, ha detto, ho partecipato a questa solenne cerimonia con cui la vostra cittadinanza ha voluto onorare, insieme ai propri caduti, il mio eroico fratello qui caduto coi reparti della brigata Sassari per contrastare al nemico l’avanzata sulla via di Venezia. Anche a nome di mia madre ringrazio vivamente il Podestà, tutte le autorità civili e militari, in modo particolare il valoroso comandante della “Sassari”, di quella brigata che ha simboleggiato tutto il valore della nostra stirpe; ringrazio l’oratore che ha così nobilmente espressi i sentimenti che hanno ispirato quell’omaggio; ringrazio la cittadinanza tutta, che dimostra d’essere ben degna di custodire le memorie del passato e di attendere le giornate del radioso avvenire. Sono orgoglioso che le spoglie di mio fratello siano custodite in mezzo a voi. Sia pace a lui, pace e gloria a tutti coloro che combatterono e caddero per il compimento della nostra unità. Io, milite modesto della guerra, milite fedele e antico delle nuove battaglie, non considero questa cerimonia come una soddisfazione per l’onore reso al mio eroico congiunto, non ne sarei degno erede. Sono queste cerimonie propiziatrici, in cui tutto il popolo italiano, cosciente di sé e della sua nazione, si appresta ad attendere il domani e le sue immancabili battaglie sotto la guida di colui che ne interpreta la volontà concorde e l’anima fiera.”.
Le parole dell’on. Acerbo hanno ispirato i più fervidi consensi. La cerimonia, in cui i bambini delle scuole hanno eseguito anche l’inno del Balilla, è quindi terminata.
Il Comune di Musile ha spedito, nell’occasione, telegrammi a Donna Marianna Acerbo ed al Prefetto di Pescara.
Dopo l’inaugurazione il sig. Renato Cuppini e la consorte contessa Concini hanno nella
loro casa offerto una signorile ed intima colazione all’on. Acerbo ed alle principali
autorità.”
«...Concina, non Concini!» avrebbero corretto tutti a voce.
Giacomo Acerbo fece sapere a don Natale che la madre intendeva donare
alla chiesa di Croce i soldi per la costruzione di un altare. a ricordo del
figlio. «Ben, ben…» commentò il paroco. «Podaràe essar el primo a destra...»
Lo stesso 2 ottobre il vicario generale della diocesi, Monsignor Gallina,
scrisse al paroco una lettera in cui gli annunciava l’arrivo a Croce di un
nuovo cooperatore e con la quale lo invitava a trattarlo con carità e rispetto,
lettera alla quale, due giorni dopo, don Natale così rispose:
Ill. mo e Rev. mo Mons. V. Gallina
Vicario Generale
La v. pregiata lettera del 2 Ottobre corrente mi è di sommo
conforto, perché spero e desidero che il nuovo Cooperatore mi sarà
di aiuto efficace a conseguire il mio unico ideale per il quale vivo e
lavoro, cioè la salute di queste anime, che sono in Gesù Cristo quanto
me stesso.
Nella mia Canonica egli sarà sempre trattato con particolare carità
e rispetto, come ho sempre fatto coi sacerdoti e religiosi, i quali spon-
taneamente senza mo invito si offrono di venire a prestare l’opera
loro, fra cui anche di quelli che non conobbero la mia Canonica, perché
dicono che un’ospitalità uguale a quella di Croce non la trovano in
nessun altro luogo. Anzi fino al 1929 sono già coperte le quaresime e
le solennità principali dell’anno.
Inoltre tutti i miei parrocchiani ripetono che un trattamento cordiale,
generoso come in Canonica del nostro paroco, non c’è uguale nelle altre
canoniche.
La ragione è questa che qui si tratta col cuore in mano senza aristo-
crazie e senza doppiezze.
In questa settimana il M. R. D. Virginio Quaggiotto, del quale ho già
avuto visita molto gradita, trovasi agli esercizi spirituali al Pensionato
Gesuiti Padova: e la settimana ventura verrò umilmente a presentarmi
a V. S. Reverendissima.
Con profondo ossequio e riconoscenza mi segno
Croce di Piave 4 Ottobre 1927
Dev.mo Obb.mo paroco
Dn Natale Simionato
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La levatrice di Croce presta giuramento
Prendiamo spunto dal ritrovato atto di giuramento (negli archivi comunali)
della levatrice di Croce Sofia Vizzotto in Mascherin per raccontare qualcosa di lei.
Era nata a Chiarano il 13 febbraio 1884, da Giuseppe e Fortunata Epaminonda.
Sempre a Chiarano il 20 ottobre 1910 aveva sposato Gioacchino Mascherin, figlio di Giacomo
e di Anganello Anna; gli sposi erano andati a vivere nel paese del marito, Piavon.
A Piavon erano nate le prime tre figlie: Antonietta (il 30 agosto 1912),
Clorinda (il 16 giugno 1914) e Maria (il 12 aprile 1918).
Avendo saputo di un posto libero a Croce si era presentata in Municipio ed era stata
nominata Levatrice provvisoria di Croce (delibera di Giunta del 1 ottobre 1920) con obbligo di risiedere in paese;
si era quindi trasferita a Croce, non sappiamo se già allora nella casa in via Croce
che in seguito sarebbe diventata della Diana Teso; qui erano nate Bruna (il I marzo 1921) e
Dorina (il 22 aprile 1922); nel frattempo aveva vinto il concorso ed era stata
nominata levatrice titolare del II Reparto (delibera di Consiglio del 27 marzo 1922).
Nei primi anni aveva accompagnato
il dottor Raimondo Stochino. Quando la II condotta era stata soppressa
era rimasta comunque Levatrice del reparto di Croce; quindi, ripristinata la II condotta,
aveva accompagnato il nuovo medico, dottor Arduino.
Il 29 gennaio 1924 era nato il sesto figlio, il tanto agognato maschio, Bruno.
Il 12 ottobre 1927,
REGNANDO S. M. VITTORIO EMANUELE III /
PER GRAZIA DI DIO E VOLONTÀ DELLA NAZIONE / RE DITALIA,
[...] avanti al Podestà (Giuseppe Argentini) assistito dai Signori Montagner Europeo e Baron Giovanni testimoni idonei
pronunciò il suo
ATTO DI GIURAMENTO:
giuro che sarò fedele al Re ed ai suoi Reali successori; che osserverò lealmente lo Statuto e
le altre leggi dello Stato; che adempierò a tutti gli obblighi del mio ufficio
con diligenza e con zelo per il pubblico bene e nell’interesse dell’Amministrazione, serbando scrupolosamente
il segreto di ufficio e conformando la mia condotta, anche privata, alla dignità dell’impiego.
Giuro che non appartengo e prometto che non apparterrò ad associazioni o partiti la cui attività non si concili coi
doveri di ufficio.
Giuro di adempiere a tutti i miei doveri al solo scopo del bene inseparabile
del Re e della Patria.
A Musile la V elementare. Il Comune aveva da qualche giorno avviato in via sperimentale
la quinta elementare, sempre a Musile e sempre nel “capanon”, affidandola alla
maestra Colomba Buratto; ma da Croce non vi andava quasi nessuno. Negli stessi giorni
il podestà concesse al dottor Arduino di potersi assentare dallo studio per
poter frequentare un corso di puericultura a Genova: sarebbe stato assente
dal 10 ottobre al 9 novembre e il dottor Rizzola ne avrebbe garantito la supplenza. Erano
usuali (ad esempio in occasione delle ferie) queste supplenze “a scavalco”: per quanto
aggravassero il lavoro di un dottore, il Comune risparmiava parecchio rispetto
a chiamare un dottore da fuori. Dal 9 novembre al 10 dicembre Arduino ricambiò la
sostituzione a Rizzola.
In novembre un decreto legge potenziò la diffusione della radio:
in gennaio sarebbe nato l’E.I.A.R. in sostituzione dell’URI.
A San Martino venivano rinnovati i contratti e i traslochi. Innocente Ambrosin doveva
lasciare la sua casa in Gonfo e al suo posto si trasferiva una delle colonne degli Sgnaolin
che abbandonava la grande casa colonica di fronte alla canonica.
Sono nato nella casa dietro la chiesa [cioè quella di fronte alla canonica vecchia,
all’inizio di via Contee], dove abitavano gli Sgnaolin, siamo venuti qua del 1927, qui
abitava Ambrosin che non andava d’accordo con Aurelio Agostinet che stava pure qua e faceva “el carrer”, costruiva carri. (Poi suo figlio sarebbe andato a lavorare alla macchinetta, la macchina idrovora.)
Gli Ambrosin avevano la casa sul canton (del Gonfo), la in fonto darente Bergamo; gli Ambrosin dopo la guerra si fecero la casa lì, “Sant’Antonio” la chiamarono, e lì andarono a vivere due fratelli, Federico e Basilio, e Innocente lo misero qui; Innocente andò avanti un periodo di tempo, ma poi i ragazzi buttarono malamente e Innocente fu mandato mandarono via e chiesero a noi di venire qua, la nostra colonna di Sgnaolin, quattro fratelli e cinque sorelle.
[dai ricordi di Toni Sgnaolin]
La contessa Rachele si dava da fare per la sistemazione del cimitero:
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Croce di Musile
14 – XI – 27
Anno V
Ill.mo Signor Podestà _
facendo seguito al
suo gentile scritto
del 24 – IX – 27 a me
diretto, mi prego
rimetterLe parcella
di spese relativa
al trasporto di ghiaia
e di sabbia nel
cimitero Comunale
di Croce. L’importo |
 |
è da corrispondere
al Signor Perissinotto
Pietro. Da parte mia
ho provveduto mano
a mano al con-
trollo della spesa,
che raggiunge le
totale lire 884.15
Ringraziamenti an-
ticipati, e distinti
saluti a Lei e
gentile Signor Saladini
Obbl.ma Rachele Gioia |
Non sapeva la Rachele che tanto abbellimento si sarebbe rilevato presto utile per la “cugina” Marta.
Il 3 dicembre Giovanni D’Andrea di Innocente ottenne provvisoriamente il posto di guardia Municipale [delibera n.° 55] in attesa del concorso che gliel’avrebbe assegnato definitivamente.
La pala dell’altar maggiore
Il pittore prof. Gino Borsato,
cui era stato affidato il compito di portare a termine la pala dell’altar maggiore
sul tema del “Ritrovamento della Croce”, aveva finito.
Ill.mo e Rev. mo Mons. Vitale Gallina
Vicario Generale
Treviso
Il Commissariato T. L. di Treviso ha approvato e già consegnato
a questa fabbriceria la Pala del titolare < Invenzione di Santa Croce >
di questa parrocchia, iniziata dal Prof. Antonio Beni, ed ultimata
dal Prof. Gino Borsato di San Antonino di Treviso.
Ora prima di collocare detta Pala al suo posto sull’altare maggiore,
alla venerazione dei fedeli, prego. V. S. Ill.ma e Rev.ma della grazia
di autorizzare il paroco a benedirla.
Con profondo ossequio ringraziando mi segno
Croce di Piave 5 dicembre 1927
Dev.mo paroco
Dn Natale Simionato
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Occorre spiegare che il compito di realizzare la pala era stato affidato in precedenza
all’illustre professor Antonio Beni, membro dei commissariati per la ricostruzione
(Opera di Soccorso) e Commissione Diocesana per l’Arte Sacra trevigiana. Il rinomato
pittore aveva già delineato la bozza della pala ma s’era poi verificato “un increscioso
incidente” che aveva indotto il Beni a lasciare il lavoro iniziato; egli stesso dichiarò
che non aveva nulla in contrario che il lavoro fosse completato dal fidato allievo Gino Borsato.
In che cosa consistesse l’increscioso incidente possiamo solo ipotizzare: l’Opera
di Soccorso aveva ritirato il promesso finanziamento di 10.000 lire allorché la Fabbriceria
di Croce aveva rigettato il troppo dispendioso progetto del Possamai (vedi più sotto
la “serena” relazione del Chimenton).
Morte in manicomio. Il 5 dicembre, alle 10,15 antimeridiane, moriva nel manicomio
di Verona la contessa Marta Gradenigo, dell’età di 61 anni, figlia del fu Paolo
e fu Mattei Giuseppina. Il signor Luigi Amedeo Sacerdoti presentò domanda
perché la salma fosse tumulata nel cimitero di Croce. Nulla ostando, pagata la tassa,
visti gli articoli [...], il 7 dicembre il Prefetto di Verona ne autorizzò il trasporto
sotto l’osservanza delle prescrizioni vigenti in materia. Furono un tal
avvocato Alfredo Cursi e il cugino della defunta, il conte Girolamo Gradenigo
del fu Leonardo (il conte “Gino”), a riconoscere il feretro. La cassa, regolarmente
bollata, fu affidata al signor Amedeo Sacerdoti.
(Clicca QUI per gli alberi genealogici dei Gradenigo)
Il 12 dicembre per il rinnovo delle licenze vendita vino al minuto pagarono:
1 Bortoletto Pietro £. 50
2 Cadamuro Giuseppe “ 50
3 Camin Leonardo “ 50
4 Celeghin Silvia “ 50
5 Costantini Attilio “ 50
6 Dalla Mora Giovanni “ 50
7 Ferrari Silvio “ 50
8 Girardi Angela “ 50
9 Guseo Attilio “ 50
10 Guseo Eliseo “ 50
11 Longato Giuseppe “ 50
12 Salmasi Umberto “ 50
13 Tozato Antonio “ 50
14 Vendraminetto Regina “ 50
15 Zaffalon Napoleone “ 50
Statistiche 1927. Rizzetto Antonio, che continuava ad ottenere
l’appalto per la riscossione dei dazi, pagò quell’anno al Comune lire 50.000. La popolazione
del Comune era salita a 6.665 persone, mentre i battezzati della parrocchia di Croce
continuavano a scendere: in quel 1927 furono 119. Una ventina erano i capifamiglia
poveri sussidiati dal Comune.
Il 21 dicembre con decreto governativo Mussolini istituzionalizzava la “Quota 90”
che prevedeva la rivalutazione della lira. In attesa che gli effetti si facessero sentire
sui redditi fissi, il podestà Argentini deliberava che per l’anno successivo lo stipendio
del portalettere Leonardo Camin, da anni fermo a 60 lire al mese, aumentasse di £. 360 per
il servizio di ritiro della posta una volta al giorno a Croce.
Il 31 dicembre il Comune versò un contributo di lire 1.000 a don Giovanni Tisato
per l’asilo infantile. A Giuseppe Granzotto, per accensione stufa ufficio delegazione
di stato civile per gli anni 26 e 27, furono pagate lire 60.
1928
Il 3 gennaio nelle ricette del dottor Arduino continuavano a comparire
diverse prescrizioni a base di china, segno che la malaria non era stata debellata. Talvolta
comparivano prescrizioni di olio di ricino, considerato un ottimo purgante, come ben sapevano
tutti coloro che aveva osato mettersi contro i fascisti ed erano stati costretti
a berlo con bozza e impiria, dovendo poi scappare a casa per il conseguente,
umiliante, irrefrenabile attacco diarroide.
Il 2 febbraio fu registrato il pagamento da parte di Facchin Luigia della tassa per
l’apertura vendita vino al minuto [dove?]
Il 4 febbraio il Comune contrasse il mutuo di lire 1.550.000 per far fronte alla
costruzione dei fabbricati scolastici. L’ingegner Silvio Nardini ebbe l’incarico
di progettare i fabbricati comunali. Il 7 febbraio il Gran Consiglio del Fascismo
diventava organo dello Stato. Ormai non si poteva che essere fascisti.
Il 20 febbraio don Natale celebrava il matrimonio di Francesco Granzotto
di Primo, nato il 26 marzo 1905, muratore, con Guseo Elisa di Attilio,
nata il 10 luglio 1905.
Il 29 febbraio moriva Armando Diaz, “il generale della vittoria”.
Ai primi di marzo Bepi Bravo fece domanda per ottenere anche la licenza tabacchi.
Il 16 marzo 1928
veniva presentata al Parlamento la legge sulla riforma elettorale: il Gran Consiglio
avrebbe designato 400 candidati su indicazione delle Confederazioni dei lavoratori
e dei datori di lavoro, in un’unica lista che avrebbe avuto il “sì” o il “no” degli elettori.
Per essere elettori bisognava avere 21 anni, o 18 se si era sposati e con figli.
Nella chiesa di Croce la pala del Borsato all’altar maggiore faceva la sua bella figura.
Riportiamo qui sotto integralmente la relazione di Chimenton sugli arredi della
chiesa di Croce e il giudizio che diede sulla pala del Borsato, oltre che sulla ricostruzione
della chiesa “com’era e dov’era”. Apparirebbe quasi comico il reiterato risentimento
nei confronti di don Natale, che traspare in più punti, se non risultasse fastidiosa
la sicumera dei giudizi e la retorica fascista che imbeve le descrizioni “patriottiche” di
un ecclesiastico. Si noti infine l’ostinazione con cui Croce di Piave è
chiamata “Croce di Musile”
CROCE DI MUSILE
Nella chiesa di Croce di Musile, che la guerra ha, in gran parte, demolito (1), non esistevano opere
artistiche. Pochissime le notizie storiche sulla chiesa stessa, specialmente nei secoli XV e XVI, quando gli edifici
sacri furono travolti nelle acque del Piave; nella relazione sulla visita pastorale del 1568 (2) non si parla nè di pale,
nè di statue; si accenna unicamente ad un tabernacolo di legno lavorato ad intaglio tabernaculum ligneum, pulchrum,
et decenter ornatum. Nessun cenno di opere artistiche neppure nelle visite così particolareggiate del 1579 e
del 1588 (3): in queste, anzi, non si parla neppure del tabernacolo intarsiato, che probabilmente scomparve,
con la demolizione della chiesa, nel 1572.
Unicamente nella relazione del 1778 si accenna ai cinque altari che adornavano la chiesuola campestre; ma è
una relazione fredda in ciò che riguarda le opere pittoriche: nessuna di quelle frasi che tramandano l’entusiasmo
del cronista dinanzi ad opere di valore: « L’altare maggiore è tutto di marmo, con simile tabernacolo; ed è dipinta nella pala sant’Elena, madre di Costantino il grande, in atto di tener con la ma:no la santa croce, della cui scoperta ella ha il merito; l’altare del Rosario, in marmo, ma in luogo della pala, vi ha un simulacro di stucco, che è co’ suoi abiti, e rappresenta la B. V. col suo bambino: a dritta v’è un san Domenico, a sinistra santa Rosa, tutti e due di legno; altare di sant’Antonio di Padova, di marmo, e tiene nella mezza via un simulacro di legno colorito che rappresenta il santo: a piè di questo altare vi è in un quadretto, dipinto alla greca, la Madonna col suo pargoletto; altare di san Bovo, con la pala vecchia, dov’è in alto il Padre Eterno, e sotto a lui, a mano dritta, san Bovo, e a Sinistra san Paolo e santa Veneranda, e in mezzo san Rocco: a piè di essa si leggono le parole che seguono: sollicitudo, diligentia devotioque populi sub regimine Agustini de Cremasco altare hoc erexxerunt: questo altare è di legno dorato, con simil custodia; altare di san Vincenzo, tutto in marmo con simil custodia: nella pala è dipinto san Vincenzo Ferreri con san Matteo ap. e due bovi, per voto» (4).
Nulla di importante; fra le opere sacre elencate in questa relazione, la migliore doveva essere il piccolo
quadro bizantino, sistemato sull’altare dedicato a sant’Antonio.
– Anteriormente alla guerra gli altari erano stati provvisti di pale. Ma queste scomparvero: non furono asportate dal nemico, ma andarono distrutte perchè rimasero abbandonate; oppure furono asportate, non si sa dove, dai nostri soldati fin dai primi giorni dopo Caporetto. Durante la battaglia di giugno, quando il nemico, nei primi momenti di trionfo, occupò le campagne di Croce; e quando il cap. Tito Acerbo, sacrificando eroicamente la sua vita, riuscì ad infondere un nuovo ardimento nei suoi soldati e spingerli alla vittoria, la distruzione dell’interno della chiesa era compiuta. Dolorosa constatazione di u:no scempio inutile, o di un abbandono che non riusciamo a giustificare: quelle opere si potevano, si dovevano salvare; se non erano artistiche, rappresentavano un patrimonio ed erano care al popolo.
In una relazione del 1919 (5) si parla in poche righe di questa rovina: «Andarono perdute: 1.- la pala dipinta ad olio su tela, rappresentante l’invenzione della santa croce con sant’Elena regina, san Macario vescovo e l’infermo guarito al tocco della Croce; 2. -la pala di san Vincenzo Ferreri con san Matteo evangelista; 3. -la pala della B. Vergine del Carmine, con san Bovo e santa Veneranda; 4. - la pala di san Pietro apostolo, san Giovanni Battista e santAntonio di Padova» (6).
– La guerra divampò nel territorio di Croce di Musile durante le giornate del solstizio. Sulle campagne di Croce,
attorno al cimitero, presso la chiesa, la battaglia si svolse accanita; i nostri arditi con grave sacrificio di sangue
respinsero il nemico, che si teneva abbarbicato in quelle posizioni come ad una prima tappa, nella sua marcia follemente sognata verso Treviso e Venezia.
Dopo la battaglia del giugno, quando ancora ferveva la lotta nel Basso Piave, le campagne di Croce apparvero seminate
di cadaveri, intrise .di sangue, trasformate in una serie prolungata di trincee e di ricoveri improvvisati in quei
giorni dai soldati dei due eserciti combattenti: quel terreno, ceduto nei primi momenti dell’assalto nemico, fu riconquistato palmo a palmo (7).
– Gli edifici sacri furono ricostruiti, a spese del Commissariato per le TT. LL., su progetto dell’ing. Leonardo
Trevisiol; sono riusciti più eleganti di quelli che la guerra ha rovinato. Ma l’ubicazione fu sbagliata; non per colpa
del commissariato, che si mostrò sempre accondiscendente al desiderio dell’autorità ecclesiastica superiore, ma per colpa
di altri. Il vecchio errore, che si lamentava prima della guerra, della sistemazione cioè degli edifici sacri in
un punto estremo della parrocchia e non in una posizione centrale, si volle ripetere, a tutti i costi, con danno
degli interessi spirituali. La chiesa di Croce di Musile non si doveva rifabbricare in quella posizione: al falso
sentimentalismo e alla ridicola comodità di pochi interessati si dovevano anteporre il buon senso e il vero bene della
collettività (8)
– Alla nuova pala, rappresentante il titolare della chiesa di Croce di Piave, provvide, a proprie spese,
il Commissariato per le terre liberate. L’incarico per lo studio del progetto e per la definitiva esecuzione
era stato affidato, in un primo momento al prof. cav. Antonio Beni; un increscioso incidente impedì che questo
artista, che sa imprimere nelle sue opere uno spirito religioso veramente sentito, potesse mantener fède
all’impegno: per consenso dello stesso prof. Beni, l’opera fu affidata ad uno dei più giovani artisti trivigiani,
il prof. Gino Borsato.
– Gino Borsato si inspirò,
ma non si volle vincolato al progetto del maestro,
e seppe creare un’opera del tutto originale: se la nuova pala contiene, imperfezioni,
giustificabili in chi, avendo pure ultimato i suoi studi, muove i primi passi
nell’arte cristiana, Gino Borsato mostra robustezza nell’insieme del quadro
e nelle singole figure, e tale conoscenza tecnica e anatomica da rappresentare
una vera promessa.
Le proporzioni dell’Opera nuova sono quelle di una pala d’altare: metri 1.20 per m. 1.85 (9). E’ una pala;
non un quadro che abbellisce le pareti di un presbiterio o di una sala di ricevimento: la grandiosità della scena,
quale risulta dalla tradizione, dovette subire delle restrizioni, ma l’artista seppe cogliere il fatto storico
nelle sue linee fondamentali, e su quella tela volle campeggiasse la figura maschia e mite ad un tempo di S. Elena
che sostiene la croce di Cristo, ritrovata, dopo tre secoli, sul Calvario; e ai piedi della santa, le figure
che illustrano il personaggio principale e che ricordano il miracolo che confermò e che rese più gloriosa l’invenzione
della croce.
La figura dominante è la figura di sant’Elena. L’aspetto signorile, il comportamento riservato e franco rivelano
la donna energica e superiore, che la nuova fede in Cristo, di recente abbracciata, e le conquiste sostenute
a vantaggio della chiesa e dei fratelli del vangelo, resero più bella. Ritta in piedi nel suo contegno maestoso,
nel suo paludamento di sovrana, cinta la fronte della corona imperiale, l’aureola della santità che circonda
la testa, sant’Elena, studiata figura aristocratica, con la mano sinistra sostiene la croce di Cristo, simbolo di una grande sconfitta e di una più gloriosa vittoria; la mano destra poggia sopra il petto, sul cuore, donde provenne l’entusiasmo che la spinse all’impresa e al quale si inspirò per congiungersi con quel Dio, di cui nella stessa grandezza imperiale aveva sposata la causa e zelato il trionfo. Ma la fronte serena, illuminata da un fascio di luce che proviene dall’alto; gli occhi fissi sulla croce, rivelano una passione che non ha limiti, e assicurano che, più che le conquiste del figlio Costantino, per sant’Elena fu preziosa la nuova conquista che la immortalò nei secoli.
L’artista concepì la figura in un atteggiamento austero. Non un sorriso di compiacenza che sfiori le labbra, nè un senso di meraviglia che diminuisca la gravità della scena: la santa contempla la Croce con il suo occhio purissimo e medita: sembra che in una visione prismatica si moltiplichi dinanzi alla sua mente la lunga storia della passione e della morte del suo Dio, e nel medesimo tempo tutte le glorie di chi dalla croce aveva trionfato sui suoi nemici e li aveva conquistati al vangelo. E’ un poema di ricordo e di speranza; che passa per la mente e per il cuore di quella donna, che appare rapita in un’estasi non mai giustificata in antecedenza. Come la fronte della santa, così tutta la sua persona resta illuminata da quel fascio di luce; in quel fascio di luce si aggirano gli angeli: motivo di buon effetto che spinge alla preghiera e più ancora alla meditazione.
Più studiata la parte inferiore di quella pala. Si divide in due gruppi.
A sinistra di chi guarda il quadro, un gruppo di tre persone; fra queste risalta la figura del vescovo Macario, il santo vescovo che propose la prova straordinaria per constatare quale fra le tre croci, ritrovate sul Calvario, fosse la croce di Cristo: un’ammalata doveva essere messa a contatto con quella croce che doveva riuscire taumaturga. E’ una bella figura di vescovo: le mani congiunte, la fronte china verso la croce e verso la corona di spine che sta ai piedi della santa, rivestito di ricchi indumenti pontificali, è immerso nella preghiera. La fronte serena di quel vecchio sacerdote, che si mostra convinto dell’intervento divino, è studiata; il pensiero che pervade la figura è evidente: da Dio solo si deve aspettare la conferma del prezioso tesoro. - E dietro a questa bella figura di vescovo orante, due altre figure: quella di un vecchio sacerdote, un ministro alla dipendenza di Macario, che osserva con un senso di ammirazione il contegno del suo vescovo, e si mostra animato dai suoi stessi sentimenti; e la figura tipica, caratteristica, di un uomo robusto, di un forte lavoratore, che toglie il suo sguardo dall’insieme per osservare un po’ lontano, verso il popolo che deve aver accompagnato quella nobile comitiva. Delle tre figure del gruppo, quest’ultima è la migliore, la più bella, la più riuscita: .è il tipo del lavoratore cristiano che prova compiacenza della sua opera; e gode, nella tranquillità del suo animo, la migliore ricompensa di una vita di fatiche e di sofferenze.
A destra di chi guarda il quadro, un altro gruppo: la scena del miracolo; gruppo da quattro figure, studiate al naturale, e che devono ricordare persone care e note all’artista. Campeggia in questo gruppo la figura dell’ammalata: sostenuta dalla madre, ma adagiata perchè impotente a reggersi, l’ammalata, che mostra impresso sul volto stanco e sofferente una lunga serie di dolori, tiene stesa la mano destra e tocca leggermente la croce che sant'Elena le porge, sollevata, dinanzi. E’ la figura di chi si .sente mancare la vita, ma nel medesimo tempo, sostenuta dalla fede, mostra di confidare in un prodigio e di sperare nella guarigione. La madre che del suo corpo fa sostegno alla figlia, e che poggia la sua mano destra sulla spalla di quest'ultima, quasi per fare una carezza alla sua creatura e spingerla alla confidenza, guarda essa pure alla croce, in atto di attendere il prodigio. E dietro alla madre prega una fanciulla, una sorella dell’inferma, con le mani congiunte e sollevate sul petto, e gli occhi socchiusi e raccolti: la preghiera e la meditazione non hanno più bisogno di contemplare la croce, già veduta in antecedenza, e che si ritiene sorgente di grazie. E infine più addietro, un po’ ricoperta dalla figura di sant’Elena e dalla figura della fanciulla orante, un uomo sta osservando la scena, preso dalla speranza e dalla meraviglia. L’insieme .del gruppo è migliore del precedente; crediamo di non errare affermando che è la parte più interessante di tutta la tela: le figure sono perfette; le linee anatomiche, studiate in tutti i particolari e sfumature; le tinte, ricavate dal vero.
Sullo sfondo, il panorama della Palestina: una campagna brulla, un’immensa distesa, e infine le colline sormontate da poche casupole, le montagne del Libano, e, presso la scena, qualche pianta di pino.
Questa la nuova pala del Borsato; piacque alla commissione che la collaudò con il massimo voto; piacque per la tavolozza semplicissima, per i colori naturali e robusti che escludono tutti gli apparati chimici, soggetti a deterioramenti; per il senso cristiano a cui si ispirano le figure.
Noi che non abbiamo la pretesa di essere artisti - come abbiamo più volte dichiarato - riconosciamo delle imperfezioni nella nuova opera che il giovanissimo artista presenta al pubblico: una prospettiva che poco risente dei paesi orientali; un attaccamento troppo spiccato al ritrattismo; talvolta anche un senso di trascuratezza, specialmente nelle figure principali, e che si sarebbe dovuto evitare: la figura di sant’Elena, per esempio, non è la miglior riuscita in quel quadro. Ma si sente la vita in quell’insieme; si gustano la precisione, la sicurezza della linea, la robustezza dei colori. Sono pregi che colpiscono chi ammira la nuova opera che abbellisce oggi la chiesa di Croce di Musile. Gino Borsato è giovane, è intelligente, è appassionato dell’arte pittorica; è uno dei più diligenti scolari del Prof. Ettore Tito, il maestro venerato della scuola veneziana, e il continuatore del colorito e della tecnica dei nostri grandi artisti veneri. Ed è una promessa, Gino Borsato: al plauso della commissione collaudatrice volentieri aggiungiamo il nostro modestissimo: al giovane artista, speranza .dell’arte cristiana, l’augurio di uno splendido avvenire (10)
(1) Cfr. A. G. Longhin, Le chiese della mia diocesi martoriate, tip. Istituto Veneto di Arti Grafiche, Venezia, 1919, pag. 48. '
(2) Archivio di Curia, Visitationum, 1568, pag. 504.
(3) Archivio di Curia, Visitationnm, 1579-1588, pagg. 156-157.
(4) Archivio di Curia, Visite pastorali, 1778, fasc. 22: Negrisia e Trebaseleghe, pagg. 2-5.
In questa relazione si riportano le iscrizioni storiche che stavano ai fianchi dell’altare di S. Antonio e dell’altare di S. Bovo. - Nella cappella dedicata a sant’Antonio: D. O. M. Plave miinante veteris ecclesiae ruinam - haec constructa fuit - Pietro Caovilla plebano - qui eam benedixit - et in ea primus sacrificavit - anno 1727 - die 26 octobris.
Nella Cappella dedicata a san Bovo: D. O. M. - et Cruci Sanctissime inventae – hoc sacravit Augustu.s Archiep. Zacco Epus Tarvisinus - anno 1731 - cuius memoria annualis - celebrabitur tertia dominica octobris.
(5) Arch. di Curia, busta di Croce di Musile, relazione sommaria sui danni di guerra, dettata dal Parroco don Natale Simionato.
(6) Il :prof. Moschetti, nella sua opera più volte citata, a proposito di Croce di Musile si esprime semplicemente in questi termini: «La sola facciata della chiesa parrocchiale adorna delle nicchie, e, nel fastigio, di statue settecentesche, rimase incolume. Il corpo fu devastato dai bombardamenti. Nulla mi consta di opere d’arte in essa esistenti.»
(7) Cfr. nostre monografie, E ruinis pulchriores, intorno alle chiese di Musile, Losson di Meolo, Fossalta di Piave, e, in modo, speciale S. Donà di Piave.
(8) Un nuovo progetto dell’arch. Possamai era stato approvato con plauso, perchè in esso «la commissione dell’Opera di Soccorso vide corrispondenza tra il progetto nuovo e gli elementi costitutivi della vecchia chiesa» - Ma il progetto non si potè attuare: apparve troppo dispendioso, e la fabbriceria non volle affrontare un onere finanziario per il completamento di un edificio che avrebbe fatto onore ad una popolazione. Si costruì la chiesa sul vecchio tipo. La nuova chiesa subì qualche ampliamento; il campanile fu ridotto di proporzioni: troppo leggero perché le campane possano suonare a festa. Giustamente l’Opera di Soccorso, che vide rifiutato un progetto gia discusso ed approvato, sospese la concessione del concorso finanziario, già decretato, di lire 10.000 (cfr. L’Opera di Soccorso ecc., Op. Cit. pag. 52 e pag. 119).
(9) Sono le proporzioni massime; le dimensioni più particolareggiate sono le seguenti: altezza della santa, m. 1.30; altezza della croce, m. 1.65; bozzetto, a .sinistra di chi guarda il quadro, m. 0.50 per m. 0.85; bozzetto, a destra, m. 0.58 per m. 0.82.
(l0) Cfr. Resto del Carlino, 28 dicembre 1927; e Illustrazione della Marca trivigiana, dicembre 1928.
Incurante dei giudizi del Chimenton, don Natale continuava ad
abbellire la sua chiesa. La Fabbriceria, per far fronte alle spese per il culto, suggerì
a don Natale di vender gli oggetti d’oro donati dai fedeli alla Beata Vergine. Non sapendo
come fare, don Natale chiese consiglio al vicario generale.
Ill.mo e Rev.mo Mons. V. Gallina
Vicario Generale – Treviso
Questa fabbriceria possiede, sotto la custodia del paroco,
vari oggetti d’oro consistenti in anelli ed orecchini offerti dai devoti
alla B. V.
Ora la fabbriceria mi propone d’alienarli per impiegare il ricavato
nell’acquisto di qualche oggetto necessario al Culto.
Pertanto pregherei V. S. Reverendissima voler compiacersi di
avvertirmi quando potrei trovarla a Fossalta di Piave per farle vedere
detti oggetti e intenderci sul da farsi.
Con distinti ossequi ringraziando mi segno
Croce di Piave 20 Marzo 1928
Devmo paroco
Dn Natale Simionato
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Così gli rispose il vicario generale
Treviso 31 Marzo 1928
Carissimo Don Natale
Per ottenere il permesso di vendere gli oggetti d’oro, di cui la tua del 20
Marzo, occorre che tu faccia quanto segue:
1) Dichiarare se gli oggetti sono stati offerti in una epoca prossima o
remota e se l’offerta fu accompagnata con esplicita e nota dichiarazione
che si conservino.
2) Fare un po’ di descrizione degli oggetti da vendere.
3) Farli stimare da persona competente.
4) Esporre in quale cosa necessaria verrebbe impiegato il denaro.
Saluti cordiali e bune feste
Aff.mo
M.or Vitale Gallina Vic. Gen.
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Il giorno prima, Angelo Guseo, soldato della classe 1908, figlio di Attilio e
di De Faveri Antonia, rivolgeva domanda al Comandante del Distretto Militare per
ottenere l’autorizzazione per essere ammesso nel corpo automobilisti in Libia. Ma doveva
riceverne una delusione perché la quota stabilita dal ministro per le Colonie era gia completa.
Il 16 aprile veniva approvata la nuova legge elettorale presentata il 16 marzo.
“Sovversivi” e “comunisti”, segnalati nel casellario giudiziale, venivano
costantemente tenuti sotto controllo e con una certa regolarità prelevati e messi in carcere
precauzionalmente onde evitare spiacevoli manifestazioni in occasione dell’arrivo di
personalità, o tafferugli in occasione della festa del I° maggio...
Regolarizzate nella M.V.S.N., le squadre di baldi giovanotti di diciotto-vent’anni senza lavoro
si davano da fare “per l’ordine”. Per un qualche motivo, diciassette di loro “prestarono servizio
durante la notte del 1° maggio 1928”: forse per prevenire qualche gazzarra socialista, o qualche
scherzo che potesse rivelarsi insultante (“el majo” alle fanciulle, una rosa per le amate,
del fieno per le... vacche) e perciò ebbero “diritto d’una ricompensa” di 12 lire ciascuno.
Tutte le comunicazioni ufficiali avvenivano tramite cartoline postali e
sulle medesime trovavano pubblicità vari articoli:
PREFERITE LE SIGARETTE
EJA – SAVOIA – EVA
LE MIGLIORI E LE PIÙ CONVENIENTI
Il 15 maggio la ditta Fava Alessandro cambiò la bocca d’acqua al pozzo artesiano
di Ca’ Malipiero. Del “18 maggio 1928 VI” è una fattura del falegname Baron Enrico che aveva
eseguito lavori di riparazione nelle scuole delle Cascinelle, alla Fossetta, a Croce e altrove. Della
loro imbiancatura si era poi occupato Antonio Zanin.
Due chioschi orinatoi
Il 31 maggio 1928 il podestà,
“ritenuto che questo Comune è sprovvisto di orinatoi sia nel Capoluogo che nella Frazione di Croce, e che da tempo è continuamente reclamato dalla popolazione il collocamento dei detti orinatoi – per ragioni di decenza, pulizia ed igiene;
ritenuto che a seguito delle pratiche esperite colla Ditta Umberto RENZI di Torino – la medesima è disposta a fornire al Comune due Chioschi-orinatoi tipo “Como” fig. 123 bis, a due posti in pietra artificiale completi di orinatoi fig. 100 – pel prezzo stabilito di L. 2000.= ciascuno;
[…] ;
ritenuto che per le spese d’imballo e trasporto e trasporto in lire 950.= e posa in opera L. 1300.= […] verrà provveduto direttamente dal Comune […]
DELIBERA
di chiedere l’autorizzazione a S. ECC. IL PREFETTO che la fornitura dei due chioschi-orinatoi, tipo “Como” segue mediante trattativa privata colla Ditta Renzi […]”
Littori sugli edifici pubblici. “Con Regio Decreto n. 1430 del 14 giugno 1928
le Provincie [sic] e i comuni sono autorizzati a innalzare su i loro edifici e sulle opere
da loro eseguite il Fascio Littorio nonché a fregiarne i sigilli e gli atti ufficiali”.
Figli, figli, figli. Il 19 giugno 1928 anno VI il segretario federale della Provincia di Venezia del P.N.F. chiedeva al comune di Musile l’elenco dei capifamiglia che avessero almeno sette figli e, tra di essi, quelli che avessero almeno 10 figli per realizzare un volume da donare al Duce con l’elenco dei primi e con le foto dei secondi insieme alle loro “famiglie numerose che stanno a provare la sanità fisica e morale di nostra gente”. Era anche la fotografia degli effetti delle politiche demografiche del regime.
In giugno si concludeva a Musile il primo anno di V elementare tenuta
dalla “maestra signorina Buratto Colomba”. In luglio il podestà la ringraziò
con il compenso straordinario di lire 400, “per l’opera sua volenterosa e attiva prestata
durante l’anno scolastico 27/28”. Erano segnali di un progresso che incontrava il plauso di tutti.
A cavazuccheria veniva attivata la prima colonia solare.
Don Natale proibisce il ballo...
Attilio Guseo, amante della musica e sempre pieno di iniziative, tentò di mettere
in piedi una balera in piazza. Don Natale, obbedendo a ordini superiori, prima gli chiese di sospendere
l’iniziativa, poi, al rifiuto degli organizzatori di obbedire, proibì la festa religiosa del Carmine, nonostante le insistenze dei fabbricieri che arrivarono a minacciare le proprie dimissioni se non veniva accettato il ballo.
Il 7 luglio 1928 Facchin Luigia versò la tassa per l’apertura vendita vino e
liquori [dove?].
L’11 luglio 1928 la ditta Fava Alessandro sistemava il pozzo artesiano di Croce
applicando un nuovo pezzo di tubo. Lo stesso giorno al Comune arrivò da pagare una fattura lasciata
indietro per una radiografia (L. 70 da saldare) a Maria Marcassa, che era stata ricoverata all’Ospedale
del Mare – Ospizio Marino Veneto – Educatorio Rachitici “Regina Margherita” al LIDO VENEZIA. Così
funzionavano i pagamenti ospedalieri: i vari ospedali di San Donà, Mestre, Lido di Venezia, e via via
più lontani, inviavano al Comune le richieste dei pagamenti delle spese dei dozzinanti, spese che poi
il Comune tentava di recuperar presso i dozzinanti o le loro famiglie, sempre che quelli o queste
avessero la possibilità di pagare o almeno di contribuire. I dozzinanti avevano tale nome perché
il conteggio delle spese veniva effettuato ogni due settimane, corrispondenti a dodici giorni lavorativi.
Troppo veloci sulle strade. Dovevano già essersi verificati degli inconvenienti
lungo le strade del Comune a causa dei pur pochi veicoli a motore se il 12 luglio 1928 comparvero
le prime 4 tabelle di legno sulle strade comunali con scritto “AUTO-MOTO ADAGIO”. E se possiamo
immaginare che d’inverno le strade dissestate fangose e piene di pozzanghere inducessero naturalmente
alla moderazione della velocità, possiamo anche immaginare il polverone sollevato d’estate dalle
ruote dei bolidi sdrucciolanti sulle strade di sassi e polvere. Per questo si passava regolarmente
con l’autobotte a innaffiare le strade.
Il 14 luglio 1928 il podestà deliberava l’istituzione di una rivendita
di privativa (generi alimentari e altro) in località Bonifica-Lanzoni, e precisamente nella casa di abitazione del signor Furlanetto Angelo fu Eugenio. “Tali rivendita di generi vari è assai utile nella località di 500 abitanti, dove sono impegnati contadini e braccianti nei lavori della bonifica, anche considerando che la più prossima è la rivendita N.° 9 distante oltre 3 chilometri”.
La pubblicità su cartelloni s’era diffusa al punto che il 18 luglio 1928
il podestà deliberò il regolamento per le affissioni comunali:
per 1 foglio 70x100 (e frazioni di foglio saranno computate come foglio intero) si pagheranno lire: |
1 giorno | 3 giorni | 7 giorni | 10 giorni | 1 mese | 3 mesi | 6 mesi | 1 anno |
0,40 | 0,55 | 1 | 1,15 | 2 | 5,25 | 7,50 | 12 |
Affissioni per pubblici spettacoli gioveranno di una riduzione del 50%
|
Per la pubblicità fatta con luce si pagheranno lire: |
per 1 mese | per 3 mesi | per 6 mesi | per 1 anno |
2 | 5 | 7 | 10 |
... e suoi effetti
Il cappellano don Virginio Quaggiotto così descrisse al vescovo gli effetti della decisone di don Natale di proibire la festa del Carmine perché gli organizzatori s’erano ostinati a voler portare il ballo.
Reverendissimo Monsignore,
L’effetto della proibizione della festa religiosa del Carmine è stato molto salutare: ha prodotto infatti una viva reazione nella popolazione del paese la quale ha quasi disertato il ballo cosiché non sono state coperte neppure le spese della piattaforma e del permesso. Nel lunedì, conforme all’ordine ricevuto, tutte le funzioni furono sospese. Il reverendo Padre Scarpa della Vigna approvò completamente e poté constatare “de visu” gli effetti della sospensione. Infatti si presentò una Commissione in Canonica per pregare il Parroco di ritirare la sospensione, minacciando perfino di telegrafarLe. Il Parroco rispose che sarebbe stato inutile poiché si trattava di ordine Superiore. Volevano poi che nel giorno della festa si cominciasse il triduo per la pioggia: l’intenzione era evidente. Il Parroco si rifiutò. Allora i Fabbriceri, sotto la spinta della reazione popolare, presentarono le dimissioni. Il Parroco resistette, allegando il motivo che le ragioni non erano giuste, e che essi non potevano ingerirsi nelle funzioni parrocchiali. Non volevano impedire il ballo? a lui non restava che eseguire l’ordine superiore: sospendere la solennità della festa! Gli dissero (ed è perfettamente vero!!) che nella prima domenica di Agosto a Fossalta ci sono i festeggiamenti per ricavare fondi “pro campanile” e che nel programma v’è non solo una pesca, ma anche il ballo; che non si poteva dire che i preti ne fossero estranei poiché il “Comitato pro festeggiamenti” e il “Comitato pro pesca” lavorano pro Campanile. Se i preti non hanno messo condizioni (si capisce che non siamo a Montebelluna!) vuol dire che preferiscono la festa fatta col ballo, piuttosto che il campanile rimanga da costruire. Che sia vero? Il Parroco rispose che i soldi del ballo non andranno mai “pro campanile”, anche nel caso che la festa “pro campanile” non venga sospesa per l’inclusione del ballo, e che egli ha eseguito un ordine ricevuto, e non può sapere quello che fanno gli altri e neppure può intromettersene. Gli tirarono fuori che a Ceggia si ballò “pro Asilo”, come risulta da relazione del Gazzettino. Ma ciò non può essere che una falsità. Nel ballo di Croce è venuta a suonare la musica di Fossalta, quella musica che suona pure nel ballo di Fossalta e poi va a suonare, almeno con alcuni strumenti, anche in Chiesa! Che confusione di idee! Io non ci capisco troppo in questa diversità di condotta del clero rispetto a un divertimento che è tutto pagano. Capisco invece perché quasi tutti i matrimoni siano “irregolari” moralmente. Almeno nei nostri paesi non c’è solennità esterna, come per es. il suono delle campane, in tali matrimoni: qui mi ha detto il nonzolo che si suona più volentieri! A Fossalta tanto il Parroco che il Cappellano disapprovano la condotta del parroco di Croce. Si capisce che sono molto allenati a sentire suonare da ballo! La lettera Circolare dei Vescovi, la Circolare del Bollettino di dicembre e il suo ordine mi pare che scusino da qualsiasi giustificazione. Tanto per la cronaca della festa.
Qualche settimana fa ho ricevuto una testimonianza che mi parve importante circa il povero Luigi, l’ho raccolta e gliela spedisco in ritardo per dimenticanza. Se Ella pensa diversamente può cestinarla. Dall’ultima lettera non mi sono più interessato della questione, ma invece ho pregato il Signore per il povero Confratello che certo ora farà del bene.
Chiedendole la sua benedizione
Le bacia il Sacro Anello
devotissimo in Christo Sac. Virginio Quaggiotto
Croce 18 luglio 928
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Il 26 luglio la scuola italiana adottò il testo unico; tra gli scopi quello
dichiarato di “perfezionare la fascistizzazione in tutte le scuole non solo nei programmi,
ma anche negli uomini”.
Il 10 agosto arrivarono alla stazione di San Donà i due chioschi-orinatoi provenienti
da Torino dalla Ditta U. Renzi. Ne effettuò lo svincolo la guardia D’Andrea, mentre Pietro Carlo
li trasportò a Musile.
Il 18 agosto 1928 Anno VI° Agostinetto Angelo forniva al Comune un ritratto a pastello
del Duce con relativa cornice per £. 250.
Il 13 settembre moriva Italo Svevo in un incidente automobilistico a Motta di Livenza
Quell’anno don Natale acquistò per la somma di lire 1.000 dal Comune di Musile la
baracca di legno che già aveva collocato da qualche anno nella ‘cesura’ della prebenda parrocchiale
di Croce.
I fratelli Lorenzon, “Nino” e “el Moro” (mio padre e mio zio),
comprarono il rettangolo di terra a fianco di quello dei Zanin, confinante con il terreno
comunale. A dividere a metà il rettangolo vi era una lunga baracca lì dal dopoguerra: vi abitavano
quattro famiglie, (Simonetto, Guerra, Leonardi... e la quarta non me la ricordo). La baracca era divisa in quattro unità,
ognuna aveva la sua porta, c’erano cucina camera e cameretta per ogni famiglia. Avevano tanti bambini.
E le famiglie delle baracche avevano impiantato un vigneto e l’orto e vivevano di quello. Poiché non era sufficiente andavano a lavorare presso le famiglie di contadini.
Ma non avevano soldi. Perciò non pagarono mai affitto della terra a mio papà e a mio zio. Mio papà affitto non ne volle mai da nessuno che erano più poveri di noi. «Cosa vuoi che gli chieda affitto, semmai gliene porto, con tutti i bambini che hanno…»
[dai ricordi di Maria Teresa Lorenzon]
Una dote per una fanciulla povera
Ill.mo Sig.r Podestà
di
Musile
Pavanetto Caterina fu Francesco vedova di guerra di Traghetta
Angelo, con figli N.° 2: Vittoria d’anni 24 e Virginia d’anni 18, ricoverata
in baracca, senza terreno, località Piombise, chiede un po’ di dote per la
figlia Vittoria d’anni 24 prossima a contrarre matrimonio con Ragno Luigi
di Francesco d’anni 25 villino [Don Natale intende villico], nulla tenente,
residente a Chiesanuova.
Inoltre la vedova Pavanetto domanda indumenti personali e un po’
di biancheria per la figlia minore d’anni 18, trovandosi sprovvista del
necessario.
Ora m’interessa sapere da V. S. Ill.ma se la vedova Pavanetto
Caterina è in possesso del libretto pensione di guerra, e se le figlie
sono iscritte nell’elenco orfani di guerra presso il Patronato Comm.
Garrioni, Venezia.
Ciò a me non consta: perciò mi rivolgo a V. S. Ill.ma perché favorisca
offrirmi le informazioni necessarie, onda [sic] possa dare evasione,
o meno, alla richiesta della ved. Pavanetto.
Ossequi
Croce di Piave 27 Sett. 928 Dev.mo
D.n Natale Simionato
Delegato orfani di guerra
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I campi continuavano a restituire i morti della guerra: ai primi di ottobre fu trovata un’altra salma di militare in località Bellesine, presso Casa Rubin. Il podestà diede mandato che venisse portata nel cimitero di Croce.
Il 10 ottobre 1928 fu deliberato l’aumento di un decimo dello stipendio per
i dipendenti comunali: Montagner Europeo, l’impiegato di Ia che guadagnava 7.000 lire,
l’anno successivo ne avrebbe guadagnati 7.700. I dipendenti comunali erano 18: oltre
a Rupeo, c’erano 2 impiegati di IIa (Vianello e Baron), 1 cursore (Pellizzon),
3 stradini (Piasentin, D’Andrea, Davanzo), 1 navalestro (Augusto Ferrari), 4 bidelle,
2 seppellitori (Pavan Luigi e Granzotto Giuseppe), 2 medici (Rizzola e Arduino) e 2 levatrici
(Dalla Mora Baron Carlotta e Vizzotto Sofia).
Quest’ultima (non abbiamo motivo per pensare che non andò così) il 10 o il 18 ottobre
aiutò la signora Arduino a far nascere i due gemelli, Ettore e Mario. Ovviamente al medico
fu pagata l’indennità caro viveri per i neonati.
Col visto prefettizio del 15 ottobre 1928 divenne finalmente esecutivo il contratto,
firmato il 25 settembre, tra il Comune e la ditta Zanin Antonio per l’installazione
dei due chioschi-orinatoi. Prima fu sistemato l’orinatoio di Musile (per una spesa di L. 530),
poi toccò a quello di Croce e venne deciso di sistemarlo vicino alla chiesa, all’angolo del “brollo”, alle spalle del ricovero per il catafalco.
Il 26 ottobre il Ministero delle Finanze rispose alla lettera di Giuseppe De Zotti di Antonio, infortunatosi maneggiando una bomba, che “il Ministero concede[va] la pensione per danni di guerra al cittadino infortunato la cui invalidità [fosse] dovuta ad un fatto di guerra che ne [fosse] stata la causa diretta, immediata e violenta;” ma che trattandosi il suo “di infortunio provocato dalla stessa vittima, la quale era in grado di valutare il pericolo cui si esponeva scaricando l’ordigno esplosivo” la richiesta di pensione era da considerarsi infondata di diritto.
Il 20 novembre don Natale presentò al Comune la denuncia del beneficio
e della prebenda della parrocchia:
Croce di Piave (Musile)
Denuncia Beneficio parrocchiale
N. Mappali 496 are 35 di cui metà terreno occupato da cortile
e 518 e fondo canonica di proprietà del Comune
di Musile e susofruttuario il paroco di Croce
pro tempore.
L’altra metà terreno occupato da poche
viti e orto
______________________________________________
Denuncia Prebenda parrocchiale in riva destra
del Piave, e strada S. Marco
N.i M.i 589 arat. a v. totale Ett. 1.72, meno are 40 circa
677 pascolo espropriate dal Genio Civile per
600 arativo rinforzo dell’argine del Piave, riman =
gono attualmente Ett. 1.32, occupato
da tre filari viti, pochi gelsi e arat.
compresi fossi e cadini.
Il terreno è sabbioso e va soggetto
all’innondazione dello scolo della
Marezzana.
Col ricavato il parroco provvede
appena l’olio necessario per la
chiesa parrocchiale.__
Croce di Piave 20 Novembre 1928
Denunciante
D.n Natale Simionato paroco
pro tempore
fu Vincenzo
|
Il dottor cavalier Arduino, presidente della Sezione di Musile dell’Associazione
Nazionale Combattenti, si dava gran daffare per animare le cerimonie del regime: per l’inaugurazione
della locale sezione Combattenti e per la consegna delle medaglie delle campagne prevista
per domenica 25 novembre, invitò tutti i possidenti e notabili del Comune alla cerimonia,
con raccomandazione di non mancare; coi “saluti fascisti” inviò loro il programma della
mattinata: alle 9 riunione di tutti i combattenti, delle autorità e del popolo sulla piazza
del Municipio, alle 10 la funzione religiosa, alle 10 ¾ l’inaugurazione della Sezione combattenti
sulla riva del Piave e a mezzogiorno rancio nella grava del Piave. La Sezione combattenti
ovviamente non aveva un “Direttivo” ma un “Direttorio”.
Il 27 novembre 1928 Antonio Zanin presentava il conto del lavoro
per l’installazione dei due orinatoi all’ingegner Guiotto, curatore del progetto,
il quale correggeva al ribasso [in neretto] le cifre del muratore e ratificava
l’avvenuta esecuzione del lavoro.
Il Montaio è ovviamente il montaggio. Aiutarono Antonio Zanin nei lavori
Fregonese Amedeo muratore, Paludetto Alfredo manovale, Zanin Francesco manovale.
Soldi per costruire le scuole. Nel dicembre dello stesso anno il Ministero dell’Educazione Nazionale concedeva
al Comune un mutuo di lire 706.400 da ammortizzare in 50 annualità per provvedere
alla costruzione dei seguenti fabbricati scolastici:
1 Croce di Piave per l’importo di 217.600 lire
2 Caposile per l’importo di 173.900 lire
3 Salsi per l’importo di lire 173.900
4 Paludello per l’importo di 60.000 lire
5 Fossetta per l’importo di 81.000 lire
Statistiche. Alla fine del 1928 la popolazione del Comune era salita
a 6.843 persone, con un incremento annuo di 178 unità. I battezzati di Croce erano ancora
calati: 112. Una trentina erano stati i poveri che avevano ricevuto sussidi di 25-30 lire ogni tre mesi.
In seguito al concorso comunale, cui avevano partecipato una decina di aspiranti, Musile aveva
una nuova guardia: toh, Giovanni D’Andrea.
Il Comune pagò all’E.I.A.R il fisso di abbonamento di 250 lire, e deliberò l’acquisto
di 12 ritratti di S. M. il Re e del Duce per le aule del nuovo fabbricato scolastico a Musile.
Introiti da affitti a Croce: oltre alle 1.800 lire pagate dal dottor Arduino quale fitto
per il fabbricato Comunale (ma il Comune gliene pagava altrettante per le spese dei lavori
sul fabbricato anticipate dal dottore), il Comune incassava 100 lire dalla Congregazione
di Carità quale fitto per un “locale ad uso ufficio della congregazione” e 400 dal Consorzio
per un “locale uso ufficio consorziale”.
Per una trattazione completa dell’argomento vedi
CARLO DARIOL - Storia di Croce Vol. 2 - DON NADAL, EL PAROCO DE CROSE
Edizioni del Cubo, 2016