HISTORIA de CROSE
dal 1919 al 1924



Desolazione e macerie

Quando, a fine gennaio 1919, don Natale tornò in paese coi primi reduci vide confermato ciò che i parenti della contessa, i conti Gradenigo di Zelarino, gli avevano anticipato; anzi era tutto peggio: il paese era una randa di buche e crateri, distrutte erano quasi tutte le case che il suo sguardo abbracciava in lontananza; il ponte di accesso al cimitero era mezzo pericolante e il cancello divelto; colpita era la canonica e sventrata la chiesa; il campanile era stato abbattuto sulla facciata della chiesa le statue di sant’Elena e di san Macario erano un colabrodo; la croce della statua della Fede, sulla cuspide, era distrutta.

Abbassò lo sguardo: irriconoscibile era il ‘brolo’; ce ne sarebbe voluto di tempo e lavoro per riportarlo alla situazione anteguerra. Don Natale oltrepassò i resti del muretto che divideva il sagrato della chiesa dalla strada e guardò attraverso la porta della facciata, e vide il cielo: l’abside non c’era più, completamente distrutta, e con essa era andata certamente distrutta la pala d’altare dell’Invenzione della Croce, unica opera d’un minimo pregio. Tutto nella chiesa era andato distrutto sotto le macerie, quadri e statue erano andati perduti.


Uno degli altari laterali
(Foto dell’archivio Ackerman)

Si voltò verso la controfacciata, rimasta in piedi, sperando di recuperare il baldacchino e l’organo; ma il baldacchino era crollato e con esso era andato rovinato l’organo, il prestigioso Callìdo, costruito dall’omonima famiglia organaria, famosa fin dal Settecento..

Nei giorni successivi don Natale andò a recuperare i registri parrocchiali, i preziosissimi registri della parrocchia di Croce di Piave i cui resoconti risalivano al 1679; e su quello dei matrimoni scrisse la seguente

Nota: da Novembre 1917 a Gennaio 1919 la parrocchia fu profuga e dispersa in varie città d’Italia, specialmente in Sicilia, per ordine di sgombero dell’Autorità militare italiana nella guerra italo-austro-ungarica. Il parroco Don Natale Simionato fu profugo un anno e due mesi circa a S. Lazzaro di Parma, quindi ritornò in parrocchia con i suoi parrocchiani.

Cos’era accaduto in quei quattordici mesi? C’era un monte di notizie da recuperare.

Mentre i primi profughi che rientravano sistemavano da sé campi e baracche, don Natale considerava il modo per avviare i lavori di ricostruzione della chiesa e della canonica, i quali richiedevano sovvenzioni economiche straordinarie. Gli fu più facile far riparare dal Genio Militare e rimettere in funzione la chiesetta di Ca’ Malipiero, alle cui spese per i lavori di restauro contribuì coi risparmi personali. Sul Registro scrisse con soddisfazione:

Il 9 novembre 1917 fu invasa la parrocchia e il sottoscritto parroco trasportò con sé […?…] e quanta più parte delle sacre suppellettili e tutto l’Archivio, depositando ogni capo a Zelarino. Nella chiesa di Musestre celebrò il 10 mattina la S. Messa con le lagrime e confermò le S.P. [=Sacre Patenti] che aveva portato con sé.
Il 20 aprile 1919, tornato in mezzo a rovine e rovine con pochissimi profughi
[celebrò?] la S. Messa in S. M. del Rosario a Ca’ Malipiero, oratorio che [servì?] per 15 giorni da chiesa parrocchiale.


Arrivano le baracche

Nelle settimane successive, lungo le strade sommariamente ripristinate, vennero installate le baracche fatte arrivare dal Commissariato per la ricostruzione: alla destra dei ruderi della chiesa fu collocata la baracca-chiesa, e vicino ad essa, sempre nel fondo della parrocchia, la baracca-scuola; vicino alla canonica mezza distrutta fu collocata la baracca-canonica; un po’ dovunque per il paese furono installate le baracche per i fedeli, un numero imprecisato in centro, una quarantina tra la ferrovia e la fine di via Casera.
Baraccata era ormai anche l’anima del paese, ma non si poteva, non si doveva disperare: con l’aiuto di Dio, come già migliaia di volte era accaduto nella storia, gli uomini avrebbero ricostruito la loro vita, la chiesa e le case. Il commissario prefettizio, il sandonatese dottor Vincenzo Janna, cercava come poteva di provvedere alle infinite necessità, ma più che chiedere aiuto al Ministero per le Terre Liberate non poteva. Tra lui e il segretario comunale, Natale Saladini, era tutto uno scuotere la testa: la popolazione aveva un bel chiedere a destra e a manca, la situazione non permetteva di concedere nulla. I due medici condotti del Comune, il dottor Raimondo Stocchino a Musile e il dottor Eugenio Varisco, medico di Fossalta convenzionato col Comune di Musile per servire la frazione di Croce, cercavano come potevano di combattere malaria e denutrizione.
Ulteriore lascito della guerra era uno strascico terribile di povertà e malattie.
I soldati austriaci prigionieri di guerra venivano impiegati per i lavori urgenti, per lo più presso il centro di Musile. I campi, rimasti incolti per un anno e pieni di residuati bellici, erano da ripulire e risistemare e lo sforzo per ripristinare le coltivazioni richiese la collaborazione dei bambini. Toni Sgnaolin, che avrebbe voluto tornare a scuola dalla maestra Berton, poiché aveva capito che «a rimanere ignoranti si passa per sciocchi e si deve sempre chinare la testa davanti ai ‘siori’ che di tutto sanno farsi ragione», si sentì rispondere dal padre che aveva bisogno di tutti i figli sui campi: «Dove vutu ’ndar, fiol mio, varda... che é tutt da tirar su»; così Toni, e molti ragazzetti come lui, oltre all’anno di scuola appena trascorso, persero per sempre l’occasione di studiare. Diversi proprietari ebbero la faccia tosta di chiedere l’affitto dei campi anche per l’anno in corso che pure, tra lavori di sminamento e di ristabilimento, era da considerarsi perduto.

Residuati bellici

La Compagnia del Reggimento del Genio prestò la propria opera anche e soprattutto per bonificare i terreni dai residuati bellici. I soldati alloggiarono in camere di fortuna presso le case, ad esempio di Alessandro Lovisetto e Nicolò Montagner. A fine aprile don Natale ricevette dalla XXIX Direzione di zona del 3° Ufficio staccato lavori, 2° Sezione, un comunicato da rendere noto a tutti, che provvide a leggere in chiesa, e che molto probabilmente il paroco lesse nella chiesetta di Ca’ Malipiero]:

Allo scopo di prevenire disgrazie dovuto allo scoppio fortuito di proiettili sparsi per la campagna e allo scopo altresì di rendere più facile e più sollecito il lavoro della squadra addetta alla distruzione di detti proiettili [pregasi vivamente di voler interessare] interesso la popolazione a segnalare l’esistenza di detti proiettili col piantare nelle immediate vicinanze di essi, senza però rimuoverli né comunque toccarli, una bacchetta lunga circa un metro con all’estremità libera un pezzo qualunque di carta che serva ad agevolare la squadra stessa a rintracciarli.
Tale espediente si rende tanto più utile in questa stagione poiché le erbe col loro crescere nasconderanno alla vista i proiettili stessi.

Riprese la trafila dei matrimoni, sospesi per la guerra: primo matrimonio dopo la guerra, celebrato da don Natale il 29 aprile 1919, fu quello tra Giuseppe Perissinotto e Rosa Sgnaolin.

Increscioso incidente con il vescovo

Il vescovo Longhin, nel suo giro tra le disastrate parrocchie della diocesi, per incoraggiare i fedeli a riprendersi dopo le prove della guerra e a ricostruire le 47 chiese rovinate, venne a Croce il 3 maggio, festa della “Esaltazione della Croce”.
Consacrò la baracca-chiesa e celebrò la messa: c’era gente anche fuori, tanto era piena; e mentre durante la predica il vescovo richiamava la necessità della sopportazione e della speranza, e invitava tutti alla rappacificazione degli animi e al risveglio della vita cristiana, qualcuno fuori, che poi fu fatto passare per ubriaco, urlò: «Ci porti polenta e non ciance». Il vescovo rimase dapprima interdetto, poi replicò con energia, quasi protestò: «Mi disse il vostro parroco che avete perso la fede», e tornò a ribadire con forza la necessità di confidare in Dio «Se ci si abbandona alla disperazione, a Satana, tutto è perduto».
Poi amministrò la cresima e cantò i vesperi.

Seppellimento dei soldati morti

I soldati morti a bizzeffe e dovunque nei terribili giorni della Battaglia del Solstizio erano stati seppelliti provvisoriamente un po’ ovunque, oltre che nel cimitero del paese e presso la chiesa. Tutti questi cadaveri furono riesumati e seppelliti dai militari della 42a Sezione Disinfezione nel nuovo Cimitero Militare, ricavato da subito a fianco di quello civile e recintato presto in muratura, con un proprio ingresso su via Croce.
Uno dei testimoni della storia da me intervistati, Marcello Fornasier, dice che vi si accedeva invece da quello civile scendendo tre gradini.
Sul registro dei morti don Natale scrisse:

Sul cimitero dei Militari furono
raccolti nel maggio quasi 2 mila morti,
soldati di tutti gli eserciti.
Don Natale Simionato paroco

Sepolti in fosse comuni o in tomba propria, su undici file di sei trinceroni ciascuna, i morti risultarono in totale più di 1600. Le autorità militari decisero di dedicare il cimitero a Tito Acerbo, capitano del 152° reggimento Fanteria, Brigata Sassari, che proprio a Croce, a cinquanta metri dalla chiesa, nel fosso che divideva il sagrato dalla strada, era caduto il 16 giugno 1918 ed era perciò stato decorato con medaglia d’oro. Anche se lui era stato sepolto in quello civile.

Tito Acerbo

Nato a Loreto Aprutino, in provincia di Teramo, il 4 marzo 1890, discendeva da una delle più antiche e cospicue famiglie abruzzesi. Ultimati gli studi classici nel liceo di Fermo, si era laureato in scienze sociali nel Regio Istituto Superiore di Firenze. Richiamato alle armi nell’agosto 1914, all’inizio della guerra europea, quando l’Italia dichiarò aperte le sue ostilità contro l’Austria fu inviato in zona d’operazione, quale sottotenente della Brigata Sassari: con questa Brigata gloriosa consumò le sue energie, affrontò la morte. Giudicato uno degli eroi più fulgidi della nostra guerra, partecipò sempre, al comando di reparti della gloriosa Brigata, a tutte le più celebri azioni della nostra epopea. «Al combattimento delle Frasche, e dei Razzi, sul Carso, l’ottobre del 1915, comandò una sezione di mitragliatrici; nel giugno 1917, con un plotone di fucilieri, prese parte alla battaglia sanguinosa dell’Ortigara. Fu arditissimo nella campagna di Bainsizza, dove si meritò la medaglia d’argento con la seguente motivazione: «Comandante di una compagnia, con la parola e con l’esempio trascinava i suoi dipendenti alla conquista di una importante posizione, giungendovi fra i primi e facendo numerosi prigionieri. - Altipiano Bainsizza, 15 settembre 1917».
Ancora più ardito nell’azione per la conquista del Col di Rosso, dove comandò una compagnia d’assalto, e dove meritò la seconda medaglia d’argento con la seguente motivazione: «Alla testa della sua compagnia, accorreva prontamente sulla linea del fuoco, respingendo un contrattacco e catturando molti prigionieri. Col del Rosso, 28 gennaio 1918».
Durante la grande battaglia del Piave, nel giugno 1918, comandava un battaglione, nella sua qualità di capitano. Fu coinvolto in quell’onda avvolgente con cui il nemico tentò di sfondare le nostre linee alla conquista di Venezia e di Treviso. Resistette con tutte le sue forze all’irruzione violenta del nemico. Cadde eroicamente la mattina del 16 giugno alla testa del suo battaglione, e la salma rimase sette lunghi giorni sul territorio occupato dal nemico: quando gli Austriaci furono ricacciati oltre il Piave, la salma del capitano Tito Acerbo, pietosamente raccolta dai suoi arditi, fu seppellita nel cimitero di Croce di Piave, presso cui il prode era caduto. Alla sua memoria fu decretata la medaglia d’oro al valor militare: «Valoroso fra i valorosi di una gloriosa Brigata, animatore impareggiabile, fulgido esempio di bravura, di abnegazione e di fede incrollabile, eccezionalmente dotato di capacità e di slancio, sempre e dovunque, eroicamente condusse il suo reparto nelle più sanguinose azioni, sul Carso, sugli Altipiani e sul Piave. Quivi nella turbinosa battaglia, benché ferito, alla testa dei suoi reparti proseguiva nel violento attacco, contro preponderanti forze avversarie. Impegnato in accanitissima mischia, minacciato di accerchiamento, con impeto travolgente riusciva ad aprirsi un varco, liberandosi dalla stretta nemica e trascinando seco numerosi prigionieri. Poco dopo, colpito a morte da proiettile nemico, incitava ancora i dipendenti a persistere nella lotta, e spirava sul campo inneggiando alla Patria. Croce di Piave, 16 giugno 1918».

Sulla sua tomba provvisoria, nel cimitero civile, fu posta la seguente iscrizione:

IL CAPITANO TITO ACERBO DEL 152 FANTERIA
CADUTO IL 16 GIUGNO 1918
COMBATTENDO CON VOI, SOLDATI,
QUI
IN FACCIA ALLO STRANIERO
CHE ARMATO ACCAMPASI SUL NOSTRO SUOLO
ACCANTO A VOI GIACE
PER ALIMENTARE IN VOI LA FEDE
PER ADDITARE A VOI
I SACRI CONFINI DELLA PATRIA PAX .

Fin dall’inizio nel cimitero militare di Croce fu sistemato un mausoleo di guerra preparato dai superstiti in onore dei compagni caduti: una grande croce di pietra munita della semplice iscrizione: « Caduti - per la Patria - giugno 1918»: questa croce, noi crediamo, fu sistemata dalle centurie dei lavoratori che sulle retrovie, ma così vicine al fuoco nemico, preparavano i mezzi di lotta e di resistenza ai compagni più arditi e più baldanzosi. (Chimenton, Storia di San Donà, 1926)

La vita riprende

Da agosto sul registro dei matrimoni tornò a firmare come testimone Piero “nonzolo”. Nella registrazione dei matrimoni ora don Natale segnava anche quanti anni lo sposo era stato via militare: chi 6, chi 4, chi addirittura 8; un’intera generazione s’era perduta sotto le armi e ne sarebbe rimasta segnata per sempre. C’era solo da sperare che per i nuovi nati l’avvenire fosse migliore.
E i nati ripresero numerosi, come dopo ogni tragedia nella storia.
Attilio Guseo, nella sua baracca, aveva ripristinato l’organetto di tragica memoria e la sera qualche volta cantava e ricreava l’atmosfera allegra di prima della guerra. Intenzione di Attilio era di costruire una nuova casa dove tutto sarebbe stato di nuovo possibile.

C’era bisogno di una nuova levatrice a Croce e in settembre venne provvisoriamente nominata la signora Sofia Vizzotto, “levatrice patentata”, residente a Piavon di Treviso. Nata a Chiarano di Treviso s’era sposata nel 1910 con Gioacchino Mascherin, di Piavon; da lui aveva avuto tre figlie; avrebbe dovuto trasferirsi a Croce per poter assumere servizio dal 1° di ottobre, e collaborare col medico, il dottor Eugenio Varisco di Fossalta. Era già stata riparata la casa che la famiglia avrebbe abitato per decenni sul lato destro di via Croce, ovvero la casa recentemente abitata dalla Diana Teso? Non sappiamo, ma è più probabile che la famiglia Mascherin vivesse provvisoriamente in una baracca lì vicino. Ce n’era di lavoro da fare: oltre a far nascere i bambini, c’erano le medicine da distribuire alla popolazione, tutta “ricoverata in baracche mal costruite e prive di aria e di capacità”, della quale il numero di malarici, tifoidi e dissenterici era pari ai due terzi.

Nella chiesa-baracca, paesani senzadio si permettevano di sfidare il prete:

Don Natale era in sacrestia che si stava vestendo, e io ero là zaghetto o per cantare. Entrarono Giovanni Pitana e suo fratello e Amadeo Fregonese, gente che era fuori legge e che non avrebbe dovuto permettersi di entrare in sacrestia, e don Natale li cacciò.
Durante la messa loro entrarono lo stesso, forse per sfidare il prete. Don Natale se ne accorse e non disse nulla ma io temetti che mandasse loro una maledizione.
[Dai ricordi di Toni Sgnaolin]

Il catechismo era ripreso. Il 25 settembre don Natale portò 60 bambini a cresimare a San Donà. Il 1° di ottobre prese servizio la levatrice provvisoria e lo stesso giorno riprese anche la scuola: il Comune con grande sforzo economico aveva acquistato 300 banchi per le 8 aule-baracche del Comune (due a Musile Centro, due a Croce, una alla Fossetta, una a…) e quindi 8 cattedre, 24 sedie, 8 lavagne di ardesia, 8 armadi, 8 carte geografiche d’Italia (4 dell’Europa e 4 della provincia di Venezia), 8 ritratti di re Vittorio Emanuele e 8 della regina Elena, 8 crocefissi. Le due baracche-scuola a Croce erano state sistemate tra la casa (già riparata?) della nuova levatrice e la casa di Pietro Scantamburlo, che a sua volta era servita da scuola prima della guerra. L’incarico di bidella a Croce fu affidato alla Giuseppina Finotto.

(disegno della pianta del paese con le scuole)

Il 5 ottobre si compiva la maledizione che qualcuno in passato aveva scagliato contro la terribile famiglia dei Gradenigo per i suoi delitti in Venezia: quel giorno morì infatti il conte Pietro Gradenigo, appena trentottenne, lasciando su questa terra vedova inconsolabile la contessa Morosina de Concina con le due figlie Laura e Paola. La notizia, correndo di bocca in bocca, toccò il cuore dei paesani, perché le disgrazie capitavano anche ai ricchi.

Il 19 ottobre fu emanato il Decreto Governativo che istituiva l’assicurazione obbligatoria contro la disoccupazione; ma dato il cattivo funzionamento del servizio postale in tutta Italia, del quale non aveva grandi colpe il procaccia locale Leonardo Camin, quasi tutti i comuni ne erano mal informati e perciò il decreto non risultava applicato; ancor peggio informati erano i datori di lavoro. Disoccupati e poveri erano tanti. In compenso c’era chi di lavoro ne aveva troppo: il 27 ottobre il Commissario Prefettizio deliberava di assegnare “100 lire a ciascuna delle levatrici Baron Carlotta e Vizzotto Sofia quale compenso accessorio per tutta la durata della lotta contro la malaria, spese di trasporto e consegna del chinino a domicilio”.
Qualche giorno dopo, il 5 novembre, avvenne lo scambio di consegne tra il commissario prefettizio Janna e il subentrante commissario Cavalier Ornano, con passaggio degli atti contabili e delle pezze giustificative. Belle gatte da pelare passavano dall’uno all’altro.

I crocesi erano alle prese col problema della ricostruenda chiesa. Come avrebbe dovuto essere la nuova? La risposta era facile: uguale a quella atterrata, nello stile neoclassico del 1731; volevano in molti, e soprattutto non aveva dubbi don Natale, che la chiesa venisse ricostruita “dov’era e com’era”, perché niente come le cose buone che risorgono uguali danno la sensazione che il male è passeggero. Tornò invece a circolare la voce che già era girata prima della guerra, ossia che la chiesa di Croce era troppo decentrata verso l’estremità nord della parrocchia, troppo vicino a Fossalta rispetto ai confini di pertinenza. In Curia a Treviso e in Municipio a Musile si aveva in mente di farla ricostruire al Ministero delle Terre Liberate in posizione più centrale, verso il Ponte del Bosco. Colui che dal vescovo di Treviso era stato incaricato di occuparsi della ricostruzione degli edifici sacri distrutti dalla guerra, l’altezzoso monsignor dottor Costante Chimenton, nella sua mente aveva già mosso come una pedina di dama la futura chiesa di Croce al centro dello scacchiere parrocchiale e dentro di sé l’aveva già immaginata più bella, fedele al suo motto “E ruinis pulchriores”, anzi immaginò un bel “damone” nello stile neogotico che a lui piaceva tanto. Era già pronto il progetto dell’Architetto Possamai, un onorevole, approvato con plauso dagli amministratori del Comune e dalla Commissione Arte Sacra. Con la chiesa di Croce più a ovest anche la parrocchia di Musile dell’amico don Tisato avrebbe potuto allargarsi nella medesima direzione, a spese di quella di Croce, pensava il Chimenton.
«Ma più centrale dove! che da quelle parti non ci sono strade...» sbottò don Natale, quando il monsignor dottore lo consigliò di cominciare a pensare a una nuova sede. La pianta della parrocchia era in ogni caso così oblunga che non di una chiesa centrale lontana da entrambe le estremità ci sarebbe stato bisogno ma semmai di una nuova succursale più a sud, dove le terre novali sarebbero andate ancora aumentando d’estensione appena fossero riprese le bonifiche.

Entrambi alle prese con immensi problemi, amministrativi e spirituali il commissario prefettizio, spirituali e amministrativi don Natale, le strade del parroco e del commissario s’incrociavano spesso. Il parroco fece presente al commissario che la cella mortuaria del cimitero di Croce era fortemente lesionata e che non vi si potevano lasciare decorosamente i cadaveri. Il commissario promise di interessarsi quanto prima: il 15 novembre deliberò la ricostruzione della cella mortuaria nel cimitero di Musile, interamente distrutta, e la riparazione di quella nel cimitero di Croce, fortemente danneggiata. Poiché per mancanza di mezzi e di direzione tecnica il Comune non poteva provvedere ai lavori succitati, “si rivolgeva istanza al Commissariato Governativo del Ministero per le Terre Liberate in Treviso perché provvedesse con la maggior sollecitudine possibile”.

Prime elezioni politiche a suffragio universale maschile

Il giorno dopo, 16 novembre 1919, si tenevano le prime elezioni politiche a suffragio davvero universale maschile e col sistema proporzionale, nelle quali i partiti per la prima volta agirono pienamente come attori politici; votarono in quasi 5.800.000 su poco più di 10 milioni aventi diritto; il Partito socialista ottenne circa un terzo dei voti, il Partito popolare un quinto dei voti, raggiungendo il maggior consenso in Veneto e in Lombardia, ossia nelle ragioni nelle quali il movimento cattolico aveva costruito nella seconda metà dell’Ottocento la sua rete organizzativa.

Si rimettono in piedi le attività...

A Croce, tra tanto fermento di speranze, si rimettevano in piedi le vecchie attività e i vecchi esercizi commerciali e ne nascevano di nuovi. Si rimisero in sesto i Calderan col loro forno lungo la via del Bosco:

“Qualche soldo girava; dei due figli di Basilio, Santo, mio padre, partiva col carro e tornava ubriaco, a lui bastava che la sera la terrina fosse piena de fasioli; Bepi era più furbo, si intestava a lui i soldi; mio padre Santo non gli stava neanche dietro, era convinto che ci fossero solo debiti da pagare; Bepi glielo lasciava credere e riuscì in realtà a mettere da parte un gruzzoletto e poi partì per l’America, per l’Argentina. Tutti allora partivano con le tasche vuote a causa dell’estrema povertà, e lui invece partì col suo gruzzoletto messo da parte, tanto che in America impiantò una fabbrica”.
[Dai ricordi di Silvio Calderan]

In piazza Croce Eliseo “Cosmo” Guseo rimise in piedi il suo casuìn-osteria, per la quale riuscì a ottenere anche la licenza dei superalcolici; non sappiamo se l’avesse ottenuta già prima della guerra, ipotizziamo di sì. «Dietro la loro casa i Guseo lavoravano tre campi di terra, di proprietà dei frati di Mirano» ricorda Silvio Calderan. Un’altra osteria fu messa in piedi dal cugino di Eliseo, Attilio “Cosmo”, un poco più in là, quasi di fronte alla chiesa, all’inizio della via del Bosco. Alla Fossetta “Nini Magno” (Domenico Montagner) impiantò una bottiglieria. Dopo le sbarre del cimitero “Bepi Bravo” Longato, con la pensione percepita in quanto mutilato di guerra (aveva perso una mano) impiantò un negozietto (comprò anche la casetta dietro, nella quale sistemò il padre e i fratelli) e cominciò a vendere brustolini, bagigi, nose, straccaganasse e a vendere anche vino. In seguito, in quanto mutilato di guerra, avrebbe ottenuto anche la licenza dei tabacchi, che prima era stata concessa all’osteria della stazione, “da Cogo”.

... e la chiesa?

Don Natale andava spesso nel negozio di Bepi Bravo a chiedergli qualcosa per sé e per la canonica, ricorda Giovanni Moro, e Bepi gli suggeriva: «Piovan, lu el va sempre a ficarse là a Ca’maipiero... Se l’ha pazienza mi compre do campi so ’a campagna de Mariuzzo [di fronte al villaggio fatto costruire da Ildebrando Lava alla fine del secolo, alla fine di via Croce, ndA] e ’a ciesa la femo là». «Ma cossa ditu... no... no te capisse gnente, ti, la césa la xe nata là e là la resta» rispondeva il paroco, che anzi sollecitò i capifamiglia del paese a riunirsi e firmare una petizione per far ricostruire la chiesa dov’era. Firmarono anche gli illetterati con una croce.

Diocesi di Treviso
Parrocchia di S. Croce di Piave

Voti di padri di famiglia che domandano la ricostruzione della Chiesa parrocchiale nel punto stesso in cui fu distrutta dalla guerra.
Croce di Piave 21 Novembre 1919.


Montagner Pietro fu Luigi
Ambrosin Basilio d. fu Pietro
Bertocco Giovanni fu Pietro
Capiotto Fioravante fu Luigi
Sgnaolin Luigi
Sgnaolin Luigi
Furlanetto Gioacchino
Ambrosin Giuseppe
Ambrosin Inocente
Ambrosin Federico
Cadamuro Angelo
Turchetto G. Batista
Mariuzzo Primo
Mariuzzo Francesco
Mariuzzo Sante

(seconda pagina)
Sperandio … (?)…
Sperandio Angelo
Turchetto Giovanni
… (?)… Eugenio
Favretto Alessandro
Cadamuro Giovanni
Venturato Luigi
Furlanetto Eugenio X ill.
Gabrielli Antonio
Scomparin Giacomo
Gresta Giovanni
Barbin Giovani
Ormenese Pietro
Beraldo Angelo X ill.
Barzan Angelo
Montagner Antonio
Fregonese Antonio
Piovesan Giuseppe Mazzuia Luigi
… (?)… Giacomo
Paressi Eugenio

(terza pagina)
Montagner Antonio
Finotto Marco
Guseo Eliseo per sé e famiglia
Finotto Francesco
Luisetto Franco
De Faveri Ernesto per se e famiglia
Salviato Amedeo
Montagner Giuseppe
Guseo Giovanni per se e famiglia
Fregonese Pietro familiari
Finotto Giovanni e familia
D’Andrea Eugenio
D’Andrea Francesco
D’Andrea Pietro
Bergamo Oreste
Barbieri Ernesto e famiglia
Sperandio Giulio per se e famiglia
Follador Antonio e tutta la famiglia
Follador Francesco e tutta la famiglia
Folador Giuseppe e famiglia
Scabbio Pietro
Bergamo Giuseppe
Antoniazzi Domenico
Bergamo Francesco
Dianese Silvio
Momesso Luigi
Granzotto Giuseppe

Insomma, era un plebiscito. Quasi tutto il paese aveva firmato che voleva la chiesa dov’era. La settimana dopo don Natale inviò alla commissione d’arte sacra i risultati della discussione.

  On. Commissione Vescovile 
           d’arte sacra	
					 Treviso
        
       Invio a V. O. S. i voti della parrocchia per la ricostruzione 
della chiesa parrocchiale.
  Da essi risulta che la volontà quasi unanime dei padri di famiglia 
è che la Chiesa parrocchiale venga ricostruita nel punto stesso 
in cui fu distrutta dalla guerra.
           Ragioni principali.
I°. Perché mancano le strade di comunicazione col centro della 
    parrocchia.
II°. Il consorzio idraulico di Croce da vari anni parla di nuove 
     bonifiche da farsi in parrocchia. Per conseguenza la parrocchia 
     prenderà maggior estensione. Allora sarà necessaria ed 
     opportuna una chiesa succursale verso il nuovo centro, come 
     quella esistente in frazione Ca’-Malipiero.
III°. La perizia della chiesa e della torre distrutta, fatta 
     dall’Ing. Schirati risale a £. 244 mila, a prezzo ante bellum._ 
     Il trasporto della chiesa, a giudizio di periti, richiede un 
     aumento di circa centomila lire a prezzo ante bellum. Con questo 
     aumento in altra epoca si potrà fare la chiesa succursale verso 
     il centro.
     Croce di Piave 30 novembre 1919
                                	Dev.mo Paroco
					D.n Natale Simionato

Tutto risultava semplice a don Natale che guardava al futuro. Eppure in Curia non piacque la posizione del paroco che certamente doveva aver condizionato la votazione dei paesani. Monsignor Chimenton era irritato: se la chiesa fosse “risorta” così decentrata come intendeva don Natale servire le frazioni più lontane della parrocchia? Tornò a circolare la voce che quelli delle Case Bianche erano più comodi a frequentar la chiesa Musile.
«Ancora! Lo dise quei del Comun, no quei dee Case Bianche...» fu il commento di don Natale.

L’anno si chiudeva con un altro morto di guerra: il 27 dicembre, durante le operazioni di bonifica, moriva a Croce in seguito allo scoppio di un petardo il caporale Salvatore Gattuso di Mariano e di Raccuglia Grazia, nato l’11.2.1898 a Marsala e residente in Castel Vetrano, appartenente al 1° Reggimento Fanteria.

Complesso d’inferiorità

La frazione di Musile, che dava il nome al Comune, pareva soffriva da sempre di un inguaribile complesso d’inferiorità nei confronti della frazione, più ampia e più popolosa, come è stato detto; non si sapeva nemmeno cosa significasse “musil” , non era nemmeno un nome, ma solo un termine per indicare gli argini (i “musili”) di una zona paludosa.
Ma, come si è detto nel volume I di questa storia, nel 1818, in seguito al ritorno degli Austriaci dopo la definitiva caduta di Napoleone, Musile era diventata Comune al posto di Croce: riorganizzando le terre di Lombardia e Veneto nel Regno Lombardo-Veneto, gli Imperiali mantennero i Distretti creati da Napoleone, ma all’interno di essi, nominarono Comune il paese di Musile e non Croce di Piave.
Dopo l’unità italiana i possidenti di Croce avevano dimostrato maggiore intraprendenza dei musilotti e s’erano organizzati in un Consorzio privato, dando il via ad una vasta serie di bonifiche tra cui spiccava quella fertilissima delle Case Bianche; bonifiche nemmeno confrontabili con le ridotte bonifiche avviate, molto tempo dopo, da qualche ricco e privato musilotto. E l’invidia del Comune nei confronti dei numeri della frazione era aumentata. Alla fine del secolo il centro di Musile s’era un poco ingrandito grazie alla sua vicinanza con San Donà e l’Amministrazione aveva cercato di strappare i nuovi fertili territori delle Case Bianche alla parrocchia di Croce di Piave per assegnarli a quella di Musile, accampando ragioni pseudoreligiose, ma non vi era riuscita e i motivi di attrito erano aumentati. Poi la guerra aveva distrutto tutto, la potentea e ricca famiglia Sicher si era ritrovata con i terreni devastati e da ribonificare, e le finanze dissanguate; la generosità nei confronti del Comune era stata mal ripagata e nessuno aveva più il bcco di un quattrino per ripagare antiche promesse. Ora che si doveva provvedere alla ricostruzione il Comune di Musile pensava solo alla frazione di Musile, come confermavano nove delibere comunali su dieci.
L’8 gennaio 1920 la Giunta Comunale deliberò la “richiesta di un mutuo di 700.000 lire al Commissariato Governativo di Treviso, da ammortizzare in 35 annualità senza interessi, per costruire il municipio, la casa del medico e relative adiacenze, la casa del segretario e relative adiacenze, e la casa degli insegnanti secondo progetto dell’ingegner Silvio Nardini presentato il 31 ottobre p.p., elevando la stima di 594.915 lire a 700.000 lire in relazione all’aumento dei prezzi e della mano d’opera”. A Croce si protestò perché non altrettanto era stato pensato per la frazione. Non avendo una lira in cassa il Comune, anche per far ricostruire una passerella sul canale Mincio alle Case Bianche andata distrutta durante la guerra, una passerella che era esistita per trent’anni e che gli abitanti della zona andavano reclamando come indispensabile alla loro vita, il commissario prefettizio Janna era costretto ad invocare l’intervento del commissario governativo di Treviso [delibera del 14 gennaio 1920]. Lo stesso giorno deliberò la delega al commissario governativo per le Terre Liberate del progetto per la ricostruzione delle due case canoniche di Croce di Piave e di Musile Centro, dell’asilo di Musile e delle celle mortuarie nei due cimiteri. Insomma, se chiedeva per Croce, sempre altrettanto e più chiedeva per il Centro. “La necessità dell’opera s’impone oltre che per provvedere il Comune dei reclamati pubblici esercizi, anche per combattere la disoccupazione” fu la motivazione.

Indennità e obblighi del medico condotto

Lo stesso giorno [14 gennaio 1920] venne redatto il capitolato medico in base al quale fissare i parametri della retribuzione del medico: “tenendo conto che per la condotta di parte della frazione di Croce disimpegnata dal medico Varisco dottor Eugenio di Fossalta di Piave prima del ripiegamento del nostro esercito a lui veniva corrisposto l’assegno annuo di lire 1000, tenendo conto del caro viveri”, venne fissata l’indennità dell’unica condotta medica del Comune “in lire 8.500, più 3.000 lire per l’indennità di cavalcatura con l’obbligo della tenuta di due cavalli per il disimpegno del servizio”. Venne anche stilata una tabella dei “Doveri del medico e limiti del servizio” con tutta una serie di disposizioni: “nella prescrizione di medicinali ai poveri che ne ricevono la somministrazione gratuita il medico condotto eviterà l’impiego di medicamenti costosi, di specialità e di sostanze di caro prezzo”. Tuttavia, se in via eccezionale il medico si fosse visto costretto a prescriverle, egli avrebbe dovuto preventivamente chiedere l’autorizzazione all’autorità competente. “Il medico avrà cura di diffondere tra i poveri affidati alle sue cure le norme elementari di igiene curando di combattere usi e costumi dannosi alla salute pubblica e individuale.”

A San Donà gli aderenti al Partito fascista avevano cominciato a riunirsi negli uffici dell’Unione Agraria. Gli incontri, inizialmente segreti, erano presieduti da Costante Bortolotto, presidente dell’Unione Agraria.
Il nuovo commissario prefettizio Ornano continuava a pensare al centro di Musile: il 5 febbraio deliberava la costruzione della canonica di Musile e delle relative adiacenze, di un macello pubblico per l’abbattimento dei bovini a 700 metri dal centro lungo la Marezzana, appena imboccato l’argine, e la costruzione di una pubblica latrina nella piazza comunale del centro. Tre settimane dopo, il 28 febbraio, veniva aperto il concorso per il posto di medico comunale secondo il capitolato stilato in precedenza.
E per Croce? Si voleva provvedere per Croce?
Si riunirono in canonica diversi capifamiglia e la maestra Berton ricopiò in bella grafia la lettera abbozzata sul momento.

Croce di Musile, 25 marzo 1920

All’Ill.mo Sig. Prefetto di Venezia per
l’Eg.io Sig.r Commissario Prefettizio
di Musile

I sottoscritti, capi delle famiglie di quella parte di Croce di Piave, che da molti anni si trovano sotto la cura assidua e sapiente dell’Eg.io Dottor Eugenio Varisco, pregano caldamente la S. V. Ill.ma a voler lasciare loro come medico curante il suddetto Sig.r Dottore, che ha saputo meritare tutto l’affetto e la stima possibile. I sottoscritti fanno osservare che il Sig.r Varisco dista solamente un quarto d’ora da Croce, e che gli abitanti hanno abbastanza il disagio di avere la farmacia lontana quattro chilometri, senza che abbiano ad avere altrettanto lontano il medico curante.
Nella certezza di essere esauditi anticipano vive grazie

Don Natale Simionato Paroco
Prosdocimo Raggiotto
Angelo Gnes agente Co[ntessa] Di Sangro Franceschini
Santina Berton
Rubinato Francesco
Granzotto Primo
Bianchini Luigi
Guseo Attilio
Dianese Silvio
Scantamburlo Pietro
Scabbio Pietro
Montagner Antonio
Bardella Giuseppe
Cadamuro Angelo
Granzotto Pietro
Rizzetto Francesco
Pavanetto Giuseppe
Furlan Giuseppe
Rossi Ernesto
Salgarella Giovani
Ormenese Vincenzo
Moro Emiglio
Beraldo Tomaso
Montagner Giuseppe fu Luigi
+ Gabrielli Antonio
+ Monto… Antonio
Salvatori Agostino
+ Cornacchia Eugenio
Cadamuro Giovanni
+ Ormenese Luigi
Beraldo Pietro
+ Salgarella Giovanni
+Dalla Pozza Biagio
Ormenese Federico
+ Salvel Francesco
D’Andrea Luigi
Cappelletto Valentino
Panizzo Umberto
Granzotto Giuseppe
Molin Carlo Giuseppe
Favotto Luigi
Barbin Pietro
Venturato Giosuè
Furlan Angelo
Barbin Angelo
Finotto Giovanni
Fuser Francesco
Sperandio Giobatta
Montagner Luigi

Nel periodo marzo-aprile furono 71 i poveri (soli o con famiglia) sussidiati finanziariamente dal Comune con cifre di 20, 25 o 30 lire ciascuno. Poveri erano anche quelli che riuscivano a non considerarsi tali.

Noi Di Legui andavamo a lavorare a Millepertiche, lungo “la strada del Cristo”, che è la strada che mena a Caposile dove oggi c’è l’Essiccatotio, poco prima dell’Agraria, ed era chiamata così perché alla fine della strada c’era un crocifisso. La strada del Cristo divideva Croce da Musile. I terreni di qua, a est della strada, erano sotto Musile, ed erano stati tirati a terra coltivabile ancora prima della guerra; quelli di là, a ovest, sotto Croce, erano ancora da bonificare, lì era tutto paeù, era acqua. Là i tosatioi andavano a rane ma non c’era olio per friggerle, perciò si cucinavano sul fuoco, el fumo dea poenta féa fadiga rivar ai travi che ’a poenta jera magnaa.
Dopo la guerra la gente da Musile, il prete in particolare, portava i filoni del pane alle famiglie più povere. Di là della strada invece, sotto Croce, don Natale veniva quando poteva.
[dai ricordi di Vittorio Di Legui]

Il 19 aprile il vescovo Longhin tornò a Croce per verificare lo stato di avanzamento dei lavori della chiesa. Dovevano ancora cominciare. Ma fu forse effetto di quella visita e dell’incontro con le autorità comunali che il 22 aprile, sulla base del progetto presentato dall’ingegner Silvio Nardini, venne approvata la costruzione di due fabbricati a uso canonica, uno in centro a Musile, l’altro a Croce di Piave.
Il 12 maggio il commissario prefettizio, a seguito di regolare concorso per il posto di medico condotto cui avevano partecipato Rizzola Filippo, Folchietto Antonio, Silvestri Amleto e Lattanzio Vito, secondo quanto stabilito dalla commissione giudicatrice, nominò vincitore il Rizzola. Gli sarebbe stato assegnato uno stipendio annuo di 9000 lire (già aumentati rispetto alla data dell’indizione del concorso), più 3500 lire di indennità di cavalcatura e altre 700 in qualità di ufficiale giudiziario, più altri rimborsi accessori; avrebbe risieduto in Musile. Lo stesso giorno l’Amministrazione deliberò l’acquisto di dieci macchine da scrivere Remington (costo £. 1.350).
Dieci giorni dopo vennero deliberati lavori di espurgo dei canali, ovviamente da assegnare al Ministero delle Terre Liberate. Col 31 di maggio cessava definitivamente il servizio del dottor Antonio Dozzi e il giorno dopo prendeva servizio Rizzola.
In un Comune che cercava di tornare alla normalità, in giugno il commissario prefettizio chiese alle Poste e Telegrafi l’istituzione di un ufficio poste e telegrafi nel Comune di Musile “per non gravare tutti su San Donà, su cui gravano in pratica 20.000 persone. Molti dei sacchi rimangono spesso inevasi e fuori alle intemperie”. Il portalettere del Comune, da più di vent’anni, era Leonardo Camin.

Il I° luglio venne costituito il Consorzio dei Comuni del Basso Piave per provvedere alla ricostruzione e all’esercizio di un acquedotto. Aderirono i Comuni di Ponte di Piave, Salgareda, Noventa di Piave, Fossalta di Piave, Meolo, Musile, Torre di Mosto, Grisolera, Cavazuccherina e Burano per la frazione di Cavallino. Si sarebbero utilizzate le sorgenti del Cempio in comune di Ormelle.

Musile diventa... “di Piave”

Anche Musile, da una ventina di giorni, precisamente dal 10 giugno 1920, era diventato “di Piave” per Regio Decreto, ma stentava ancora a comparire naturalmente sui documenti ufficiali in compagnia del flumenimico, a differenza di Croce che era sempre stato “di Piave”. Soprattutto dopo la guerra essere “di Piave” era diventato segno di distinzione e d’eroismo; e Musile, che non lo era mai stato, aveva chiesto al Governo Italiano di poterlo diventare; ora che gli era stato concesso, poteva uguagliare, almeno in questo, la frazione; ma che ridicolo era “musile... di Piave”, un ossimoro, come se bastasse un’arginatura a fermare il più pazzo dei fiumi. Croce, “di Piave” fin nei documenti più antichi, si portava la specificazione addosso con tutta naturalezza e guardava dall’alto in basso “el musil”, nome comune di cosa con la “m” minuscola; del resto non era colpa di Croce se Musile in passato aveva ceduto il suo antico nome proprio (“San Donato”), così diceva la tradizione, per due capponi. Conoscendo i musilotti, c’era da giurare che in futuro avrebbero cominciato a chiamare la frazione solamente “Croce”. Anzi, peggio: “Croce di Musile”.
E pareggiato il “di Piave”, c’era da giurar che i musilotti sarebbero tornati alla carica per prendersi le Case Bianche e livellare i numeri di superficie e abitanti, chissà con quale scusa questa volta, magari con quella che tutto era da risistemare e i confini da ridisegnare per via della confusione seguita alla guerra.
Voci in proposito erano tornate a girare in Comune, ma i musilotti avrebbero dovuto inventare ragioni pretestuose per appropriarsi delle Case Bianche, perché don Natale non mai le avrebbe cedute senza lottare. E perché avrebbe dovuto farlo? Lui, e prima di lui don Sebastiano Busnardo, quella zona l’avevano sempre servita con cura e nessuno dei suoi abitanti aveva mai avuto da ridire.
Ma le voci di una modifica dei confini s’infittivano e gli amministratori comunali parevano volersi mettere di mezzo. Chi aveva il coraggio di dire che gli abitanti delle Case Bianche non erano sufficientemente serviti e che erano troppo distanti dalla chiesa di Croce? Don Natale fece costruire colà una baracca che fungesse da Oratorio.

“Una parrocchia tanto grande e tanto lunga ha bisogno della presenza di un cappellano”, gli scrisse il provicario vescovile Gallina. Don Natale rispose che quando avrebbe avuto il modo di ospitarlo convenientemente l’avrebbe accolto favorevolmente, ma per il momento riusciva a far senza. Anche prima della guerra, dal 1907 al 1914, s’era arrangiato senza cappellani; gli erano stati sufficienti i padri francescani di Venezia che venivano a dir messa alle festività all’oratorio delle Scuole San Rocco o a Ca’ Malipiero. E adesso gli era sufficiente il padre del convento di San Michele che veniva a dir messa tutte le feste.

Illustrissimo e Reverendissimo Don V. Gallina
	Pro Vicario vescovile
				Treviso

	Alla proposta di V. S. Reverendissima per un Cappellano 
a Croce, devo rispondere che nella mia baracca non posso 
assolutamente riceverlo perché essa è poca anche per me, 
e mi mancano gli oggetti più necessari.
  Che non ho servitù, avendo mia sorella sola, ed anche 
sofferente, per cui io stesso devo ordinariamente provvedermi 
del necessario per la vita, e governarmi il cavallo necessario 
pel pubblico servizio.
   Perciò sarebbe necessario che il Cappellano vivesse da sé 
in un’altra baracca, almeno fino a quando potrò ritornare nella 
mia canonica.
 A tal fine potrei, dietro lettera di Sua Ecc.  Mons. Vescovo, 
pregare il Commissario Prefettizio di Musile a mettere in libertà 
la baracca uso scuola costruita sul fianco della chiesa parr.le, 
perché fosse adibita ad uso abitazione del Cappellano, e che 
per la scuola fosse provveduta un’altra baracca.
   Alla eventuale venuta del Cappellano dovrò licenziare il R. Padre 
di San Michele che viene tutte le feste a celebrare a Croce.
         ___________________

  Avverto inoltre che la baracca uso oratorio di m. 5 x 25 da me 
richiesta per l’istruzione religiosa ai fanciulli e per qualche messa 
è quasi ultimata in frazione Case bianche.
 Quei buoni popolani la vedono sorgere con sommo piacere, 
perché destinata in modo speciale all’istruzione dei loro figli.
Fra pochi giorni essa sarà inaugurata con la celebrazione della 
S. Messa. Perciò credo che l’autorizzazione a benedire detta 
baracca, sia sufficiente quella ricevuta a viva voce da V. R. S.


   Con profondo ossequio
Croce di Piave li 22 Luglio 1920
				Devomo Paroco
                             Don Natale Simionato

La replica di monsignor Gallina fu onesta e quasi confidenziale:

Carissimo Don Natale
27 – 7 – 1920

Tu certo riconosci quanto sia necessario un cappellano sulla tua vasta parrocchia specialmente nelle presenti condizioni e quindi devi anche convincerti che è necessario superare ogni difficoltà per averlo.
Se tu non credi opportuno di dargli stanza in una delle due o tre baracche, che hai potuto ottenere per tuo conto e riesci a procurarne un’altra esclusivamente pel cappellano, i Superiori nulla hanno in contrario e se per ottenere l’intento possono giovare lo faranno ben volentieri. Quello che importa si è che venga e venga presto, anche perché i parrocchiani l’hanno richiesto più volte e tu faresti brutta figura per qualunque ritardo. Anzi sarà bene che tu faccia capire che sei disposto di giovarlo meglio che ti sarà possibile in tutto ciò che gli occorrerà.
Nella tua lettera hai scritto:
= Mi mancano gli oggetti necessari… non ho servitù… io stesso devo ordinariamente provvedermi del necessario alla vita e governarmi il cavallo necessario pel pubblico servizio =
Conosci bene quanti e quali siano i disagi e pene tra quali dovete esercitare il ministero voi poveri sacerdoti delle parrocchie distrutte ed io ti prego che tu non abbia da aumentarli né per te né per il cappellano, adopera tutti i mezzi che hai o puoi perché nulla manchi di quello che è necessario e conveniente per lavorare più intensamente al bene delle anime per riservare tutte le forze per l’opera dello zelo sacerdotale. Tu ben comprendi che ciò appunto è necessario perché la cura pastorale riesca piacente a Dio e ai parrocchiani e veramente efficace per salvare la fede delle nostre desolate e insidiate popolazioni.
Ti saluto con tutto l’affetto e mi protesto

Aff mo
Monsignor Vitale Gallina
Provic. Generale

Al reverendissimo Signore
Don Natale Simionato
Parroco
Croce di Piave

Come risulta da un documento destinato al procaccia, il 4 settembre gli abitanti di Musile erano 1225, quelli delle Case Bianche 945, quelli di San Rocco 402, quelli di Croce di Piave 1827, quelli della Fossetta 1248. Questo indica che la comunità di Croce era disseminata tra quattro agglomerati, distanti tra loro e mal serviti; don Natale avrebbe fatto bene a tener presente l’utilità di un cappellano per servire le esigenze spirituali (e materiali) di una popolazione tanto sparpagliata.
Nel periodo agosto-settembre si ridussero a 37 i poveri che ricevettero un sussidio dal Comune di 10, 15 o 20 lire. Di più erano quelli che bussavano alle porte della baracca di don Natale.
A seguito del pressante invito del provicario, don Natale non poté più opporsi ad accogliere a ottobre, coll’inizio del nuovo anno liturgico, il nuovo cappellano, don Giuseppe Casonato. Fece preparare una baracca anche per lui, della quale riservò a sé una stanza per sistemare i raccolti del quartese.

Elezioni comunali

Come ultimo atto della sua permanenza a Musile, il commissario Ornano organizzò le prime elezioni amministrative del dopoguerra, che si tennero il 16 ottobre. Due furono i seggi, uno a Musile e uno a Croce. Con carretto e cavallo, Innocente D’Andrea, lo stradino comunale, trasportò a Croce la “baracca uso elezioni”, con tavoli, cabine e urne, e ricevette un compenso di 102 lire. Toccò al falegname Luigi Baron, colui che forniva al comune le casse da morto per gli indigenti, 75 lire all’una le grandi, allestire la sala elettorale, la quale dovette assomigliare a una grande cassa da morto se per quel lavoro ricevette sempre 75 lire. Presidente del seggio di Croce fu nominato Romano Vianello che giungeva da Pellestrina, vicepresidente Ferdinando Zambarda, proveniente da Cona Veneta, vicino a Padova, segretario Dino Vianello (parente del presidente?), scrutatori due Granzotto, Giuseppe (‘el cavabuse’) e Guglielmo (l’artista, il marito della maestra Berton), e due Pietro, Scabbio e Montagner. Per il vitto ai componenti il seggio, per 2 giornate, per 13 persone, compresi quattro militi in servizio di pubblica sicurezza, l’oste Guseo Attilio si fece rimborsare dal Comune 400 lire. Aveva fornito minestra, manzo, formaggio, pane, vino e caffè. Diamo un contentino a quelli di Musile riportando l’intera tabella:

Elezioni amministrative
16 ottobre 1920

Musile sezione 1Croce sezione 2
Presidente Montagner Antonio Vianello Romano
Vicepresidente Pasini Giovanni Zambarda Ferdinando
Segretario Saladini Natale Vianello Dino
Scrutatori Montagner Europeo
Baron Enrico
Mazzon Antonio
Padovan Angelo
Granzotto Giuseppe
Granzotto Guglielmo
Pietro Scabbio
Pietro Montagner
Oste che rifornì di cibarie il seggio Bortoletto, che si fece rimborsare 260 lire per la fornitura del vitto. Guseo Attilio, che si fece rimborsare 400 lire.

Il sindaco che risultò eletto da quella tornata elettorale fu Mario Zaramella. Questi gli assessori di Giunta: Furlanetto Luigi, Baron Enrico, Guseo Attilio, Panizzo Ruggero, De Nobili Vittorio, Montagner Antonio.
Dipendenti comunali erano il medico condotto Filippo Rizzola, le due levatrici Sofia Vizzotto a Croce e Carlotta Baron a Musile, Giuseppe Granzotto “cavabuse” cioè seppellitore, Giacomo Pavanetto guardia e cursore, Teresa Giabardo infermiera; poi c’erano i tre stradini, tra cui il già citato Innocente D’Andrea di Croce. Gli uffici comunali risultavano illuminati elettricamente e la S.A.L.E. (Società Adriatica Litoranea di Elettricità) si faceva pagare per questo 7 lire al mese.
La giunta deliberò di assegnare 65 lire a Guglielmo Granzotto per la riparazione baracche ad uso scuole. L’artista guadagnava di più come falegname. In Comune si parlava della necessità di tre nuove scuole (baracche): a Caposile, al Paludello, alle Cascinelle.

L’1 gennaio 1921, per risanare le esauste finanze del Comune, onde far fronte alle spese necessarie per funzionare, il neosindaco Zaramella deliberò di imporre nuove tasse alla popolazione: 40 lire sulle vetture pubbliche, 120 sulle vetture di lusso come i landò, 20 sulle vetture a molle; 10 lire a chi aveva una domestica e di altre 20 a chi ne aveva una seconda, 30 lire per un domestico, 50 per un secondo domestico. Era da provvedimenti come questi che si capiva che Zaramella era socialista, perché voleva far pagare le tasse a chi aveva i soldi.
Nei registri delle delibere comunali, tra i vari pagamenti è registrato quello di 150 lire a D’Andrea Innocente per “vuotatura fogne Scuole di Croce di Piave”. [NOTA: Si tratta delle baracche-scuola, ovviamente].

Quando, in quel gennaio 1921, il provicario Gallina chiese a don Natale come fosse stato sistemato il cappellano, quali compiti e quali redditi gli fossero stati assegnati, e se la dottrina ai fanciulli venisse ora impartita convenientemente, don Natale rispose:

Illmo e Revmo Mons. Pro Vicario

I° Il Reverendo Cappellano Don Giuseppe Casonato è collocato 
		           (nella baracca ha due stanze) 
   convenientemente in baracca  V   con letto proprio;  però tuttora 
   di notte ritorna a S. Donà in famiglia perché non ha persona che 
   gli tenga compagnia alla notte. Convive col Paroco dal 3 ottobre 
   1920.
2°. Egli adempie con lode l’ufficio di cappellano in cura d’anime. 
    Più bina nelle feste, come il Parroco (Ci sono quattro Messe 
    festive due in parrocchia e due negli oratori)
3°. In autunno ha fatto la questua della parrocchia equivalente a
    circa Lire 50. In avvenire ha pure la questua in uva, frumento, 
    legna ecc. 
     Per l’assistenza nell’ufficiature pro Quibus percepisce Lire 2, 
    le quali sono circa quattro settimanali.
	Nelle ufficiature private Lire 2 o 3 per l’assistenza. Inoltre 
     ha gli incerti dei morticini. Tasse governative non ne paga.
                    			 	- - -
    Per quanto alle condizioni della mensa col paroco, io sottoscritto 
   mi rimetto al giudizio di V. S. Rev.ma. 
   Faccio osservare che il parroco attualmente percepisce 
   generalmente semplici offerte spontanee, ma non quartese. 
   Il Parroco deve provvedere per se, e sostenere spese per tasse, 
   servitù, cavallo, poveri, chiesa e a quanto è inerente allo stato 
   parrocchiale.
   
   Faccio osservare che causa la binazione del Parroco e del 
   Cappellano, rimane poco tempo per le confessioni; ed è 
   impossibile ne’ giorni festivi tenere la Dottrina ai piccoli nelle 
    frazioni.
  Soltanto in parrocchia è possibile tenere la Dottrina ai piccoli 
   dopo le funzioni della sera. Perciò è indispensabile provvedere 
   d’un altro sacerdote per le feste per ragione delle confessioni 
   e della Dottrina Cristiana, e così in caso di malattia d’uno dei 
   sacerdoti.

   Pertanto domando a V. S. R.ma che siano definiti i doveri e 
   diritti del paroco in modo che possa provvedere a tutti i bisogni 
   della parrocchia.

 Con ossequio
   Croce di Piave
   13 Gen. 921		Devotissimo Paroco
			Don Natale Simionato

Fischiarono le orecchie al cappellano.

Nuovo ponte della ferrovia

E fischiarono anche al resto della popolazione perché in quei giorni presero a circolare veloci i primi treni sulla ferrovia: era stato ultimato il ponte in ferro sul Piave ad opera dei Cantieri Riuniti Adriatici di Trieste in sostituzione di quello provvisorio di legno messo in piedi subito dopo la guerra con il materiale di altri ponti costruiti dall’esercito austriaco nelle terre invase.

Ma, com’era prevedibile, il nuovo ponte, a un solo binario, si rivelò subito insufficiente per il fortissimo transito della linea Venezia-Trieste; lo Stato, del resto, aveva già decretato la sua sostituzione con un nuovo ponte in ferro a doppio binario.

L’amore dei ricchi

Si ricostruivano i ponti e si ricostruivano anche le famiglie, più facilmente quelle dei ricchi: alcuni mesi prima lo sguardo della Contessa Morosina de Concina, vedova Gradenigo, incrociò quello dello staffiere Renato Cuppini, trentacinque anni, che le porgeva la mano per aiutarla a scendere di carrozza; e poiché era un bell’uomo la nobildonna se ne innamorò. Questa è la leggenda. La realtà è che in capo a pochi mesi i due erano sposati e la carriera del Cuppini, grazie ai soldi della moglie, appariva spianata. I due progettarono la loro villa nei pressi dell’Agenzia.

... e la chiesa?

Alla fine di gennaio la ricostruzione della chiesa doveva ancora essere avviata e nuove perplessità venivano create dalla notizia che il Governo era in procinto di costruire una strada che collegasse Venezia alla “redenta” Trieste: il tracciato nel Comune di Musile avrebbe diviso circa a metà il territorio di Croce, passando attraverso una della campagne dei Gradenigo. La nuova strada che risultava dal prolungamento della ‘strada matta’ fino a Musile, passando per il Ponte del Bosco avrebbe reso questo e quella posizioni plausibili per la costruzione della nuova chiesa, essendo più centrali rispetto alla vecchia locazione e maggiormente gradite alla Curia. In paese la discussione si animò: meglio la chiesa “dov’era e com’era”, come diceva la maggioranza, o “altrove... e più grande”, come sosteneva il partito chimentoniano? Don Natale invitò tutti i capifamiglia a esprimere il loro parere, e il risultato della discussione fu che la quasi totalità di loro votò per la ricostruzione della chiesa “dov’era... con qualche ampliamento”.


                        Dov’era
       Li 23 febbraio 1921
    Voti dei capi – famiglia di Croce di Piave 
     per la ricostruzione della Chiesa parrocchiale
            dov’era

  Scabbio Pietro	
  Barzan Angelo	
  Finotto Luigi	
  Piovesan Giuseppe
  Vazzoler Giovanni
  Fuser Pietro	    
  Bergamo Luigi	      
  Bertocco Giuseppe     
  Grandin Luigi	      
  Finotto Eugenio	     
  Bergamo Corrado	      
  Finotto Federico      
  Finotto Francesco      
  Bardella Giovanni   
  Montagner Nicolò       
  Granzotto Guglielmo     
  Menegaldo Giuseppe    
... ? ...
Montagner ...
Moro Giuseppe
Ormenese Giuseppe
Croce . . . .
Rigato Angelo
Rubbinato Dionisio
Conte Ebano
Conte Antonio
Mazzuia Giovanni
Turchetto Giovanni X
Chinellato Ermenegildo
Mariuzzo ...[Primo?]
Montagner ...[Primo?]
Agostinetto Aurelio
Abrosin Giuseppe X
Anbrosin Vincenzo
Momesso Luigi
Cadamuro Angelo
Dianese Silvio
Fedato Carlo
Bardella Giuseppe
Fregonese Amedeo
Borgato Girolamo

  Dezzotti Antonio
  Montagner Giuseppe
  Moro Angelo
  Rigato Giovanni
  Cellotto Cesare
  Bergamo Ernesto
  Montagner Giuseppe
  De Faveri Silvio
  Finotto Giovanni
  Luisetto Alessandro
  Guseo Eliseo
  Scatamburlo Pietro X
  Dezotti Angelo X
  Pivetta Giuseppe X
  Zanin Angelo
  Guseo Attilio
  Mazzuia Giovanni
  Granzotto Primo
  Zorzetto Euhenio
  Rusalen Antonio X
  Mazzuia Luigio
  Damo Antonio
  Finotto Marco
  Barbieri Vittorio
  Mascarin Gioachino
  Pivetta Valentino X
  Rossetto Giovanni
Bortoletto Giuseppe
Bars Giuseppe

Nota I. Molti del partito pel ponte 
del bosco o della strada matta, 
si sono astenuti dal voto.

Nota II. Per il trasporto della 
chiesa parrocchiale in altro punto, 
cioè o al Ponte del Bosco, o a capo 
della strada matta sulla nuova strada 
provinciale, i voti furono pochi, 
per cui prevalse la votazione a quasi 
unanimità per la ricostruzione della 
chiesa parrocchiale dov’era prima 
della guerra.

23 febbraio 921
             		 firmato
        	Dn Natale Simionato
             		Parroco

Presa la decisione, si trattava ora di comunicarla al Commissariato per le riparazioni dei danni di guerra, al quale la Fabbriceria, a corto di denaro, era costretta a cedere le prerogative della ricostruzione. La matassa burocratica si andava però ingarbugliando perché la decisione degli abitanti del paese contrastava con le decisioni della Curia e la volontà del Comune.

Alle Case Bianche la baracca comoda e artistica faceva la sua funzione:

Don Natale veniva a dire messa e dottrina, veniva col cavallo e il biroccio a quattro ruote, c’erano due chierichetti durante la messa, uno per parte. La baracca-chiesa aveva la sacrestia, dove lui si vestiva o dove teneva il vino per la messa. Dentro la chiesa c’era un quadro con un santo che quand’era la sua festa si faceva la cuccagna. Mi pare di ricordare che il santo fosse san Bovo. Santo e Augusto Bassetto ci insegnavano la dottrina.
[dai ricordi di Ferdinando Bortoletto]

Don Giuseppe Casonato, il cappellano, era irritato col paroco perché gli lasciava poca o punta autonomia organizzativa. Per ordine di don Natale egli si dedicò alla conduzione del coro cui il paroco teneva molto (Toni Sgnaolin ricorda che fu proprio don Giuseppe ad invitarlo, appena tredicenne, a farne parte), ma per il resto aveva il vizio di fare da sé, seguendo più le istruzioni ricevute in Curia che i desideri del paroco; le occasioni di attrito si moltiplicarono, il paroco si ritrovò a controllare e biasimare il cappellano e quello a sentirsi controllato e giudicato senza requie, e a reagire impropriamente, a protestare; finché alcuni suoi atti di nervosismo sconfinarono nell’arroganza e indussero don Natale a lamentarsi di lui col vescovo:

Ecc. Illma e Revma Mons. Vescovo
                                                       		di
                                                          	Treviso
    
Con sommo mio dispiacere devo riferire a V Ecc. che qui il R. D. 
Giuseppe Casonato dimostra con me un carattere insopportabile 
perché intende essere dispotico della mia Canonica, e in parte 
anche della Chiesa, per cui si può dir di lui «qui non est mecum 
contra me est»
   E specialmente si dimostra arrogante da circa quindici giorni, 
dopo cioè che ha ricevuto quattro lettere anonime diffamanti, per 
riguardo alle figlie di Maria. Dopo delle quali se la prese con 
Tizia, con Caia, con Sempronia, e perfino con mia sorella, la quale 
ha tutte le negative per intromettersi ne’ fatti altrui, soprattutto 
quando trattasi di affari di coscienza.
Io l’ho trattato sempre col massimo riguardo e benemerenza ma 
inutilmente.
    Perciò prego V. Ecc. Ill  ma e Rev  ma, se crede opportuno, di 
provvedere subito, per evitare discordie in paese.
  Con profondo ossequio, baciandoLe la mano, mi segno

Croce di Piave 3 Marzo 1921
                             Devmo Obbmo Paroco
                            Dn Natale Simionato

Dal giorno dopo don Casonato prese a far vita a sé e a pranzare per conto suo. Rispose il vescovo a don Natale:

Treviso 6 – 3 – 1921
Carissimo Parroco

La sua lettera [interpuntato: non] è abbastanza chiara. So che a Don Giuseppe fu assegnata una baracca per conto suo, come è giusto. So da una lettera del Vicario Foraneo che Vostra Signoria, che aveva, non so perché, attribuita a sé anche la baracca di Don Giuseppe, convenne col Vicario di restituirla. Ora, se Don Giuseppe ha la sua baracca non capisco come faccia il dispotico nella Canonica.
Quanto all’arroganza del cappellano stesso lo richiamerò al dovere. Delle lettere anonime non si tiene conto e con le figlie di Maria si tratta come si conviene lasciando poi che i malvagi pensino come vogliano. Già siamo sempre esposti ai loro tiri.
Il provvedimento immediato non lo trovo opportuno. Lei non può stare e non permetto che stia senza cappellano. D’altra parte non è facile, caro il mio Parroco, trovare sacerdoti che facciano volentieri il sacrificio che fa Don Giuseppe. Se ha dei difetti, ha pure delle buone qualità. Cerchi di farlo lavorare, che per questo fu mandato a Croce, dove il lavoro di ricostruzione materiale e morale non manca.
E a proposito di ricostruzione materiale io devo lamentarmi che dopo due lunghi anni dall’Armistizio Croce di Piave non abbia fatto neppure un passo a pro della costruenda chiesa. Si lavora da per tutto; Sandonà è al coperto, Musile a buon punto, Fossalta lo stesso, Noventa ha fatto prodigi, Croce invece è ancora alla misera baracca, non si è visto mai niente che indichi un proposito, una buona volontà di incominciare da senno i lavori, si direbbe che si sta bene così.
Caro Arciprete, di questa freddezza e trascuratezza io non posso che lamentarmi e fargliene carico; bisogna muoversi e fare; bisogna fare presto, perché l’avvenire è sempre incerto. Più si tarda più le cose andranno in peggio. Anche qui possiamo applicare il noto volgare adagio: sero venientibus ossa. Coraggio dunque, si metta un po’ di lena, e se non si sente di affrontare le noie fastidiose e laboriose delle pratiche necessarie, si faccia sostituire; non c’è via di mezzo. Io voglio ed esigo che anche Croce si metta in linea con gli altri confratelli sia per la Chiesa che per la Canonica.
Nella speranza di avere in proposito una parola di assicurazione, che in due anni non ebbi mai la benedico e mi segno

Devotissimo
Fr. Andrea Vescovo

P.S. E gli esercizi spirituali al popolo quando si faranno? Si ricordi che entro l’anno devono essere fatti per 10 giorni con due missionari ed esigo di sapere in precedenza, prima che siano invitati, il loro nome.

Era la conferma che la presenza del cappellano in parrocchia era voluta in Curia, che avrebbe gradito un parroco più pronto all’obbedienza; in più punti della lettera infatti emergevano i cattivi consigli di Chimenton al suo vescovo. In realtà don Natale stava lavorando parecchio per ricostruire la chiesa, e proprio la questione del “dove” aveva rallentato le decisioni. Un mese prima, quando don Natale aveva convocato i capifamiglia perché la decisione fosse presa col concorso di tutti, si era giunti alla determinazione di ricostruirla “dov’era”. E il giorno che da Treviso il vescovo gli rivolgeva le sue lamentele sul ritardo dell’inizio dei lavori della chiesa, don Natale coi fabbricieri stava scrivendo al Commissariato per la riparazione dei danni di guerra:

     Comune di Musile
Parrocchia di Croce di Piave
                Prov. Venezia
Onorevole Commissariato per le riparazioni dei danni di 
guerra nelle Regioni Venete e finitime:
                                          Treviso

I Fabbriceri della Chiesa parrocchiale di Croce di Piave, Comune di Musile, radunati col Reverendo Parroco in seduta straordinaria.
Visto il Regio Decreto del I° Settembre 1920 ed il regolamento per il risarcimento danni di guerra agli Enti Pubblici locali e alle fabbricerie parrocchiali.
Viste le disposizioni relative al suddetto regolamento emanate dal Ministero T. L., e le norme date da cotesto On. Commissariato per la denuncia e le riparazioni danni di guerra delle fabbricerie.
Considerato la necessità di un ampliamento della Chiesa parrocchiale per ragione dell’aumento ognor crescente della popolazione, e che per conseguenza si farebbe uno spreco inutile di lavoro e di denaro a ricostruire la chiesa com’era perché insufficiente, riservandosi di inoltrare in seguito istanza per la ricostruzione del Campanile

propongono

di affidare la ricostruzione della Chiesa parrocchiale all’On. Commissariato per i risarcimenti danni di guerra Treviso, sopra il progetto d’ampliamento redatto dall’On. architetto Giovanni Possamai di Venezia, approvato già dall’Opera di soccorso per le Chiese rovinate dalla guerra di Venezia.
I fabbricieri rinunciano per ora alla costruzione delle due sacrestie laterali, rimanendo integro il progetto stesso.
Fanno presente però che qualora l’ammontare della spesa necessaria per la ricostruzione della Chiesa nell’identica forma preesistente superi quello necessario per l’attuazione del progetto Possamai (escluse le due sacrestie come sopra) i fabbriceri si riservano di destinare il civanzo per la ricostruzione del Campanile; e così

dichiarano

di accettare in conto risarcimento danni di guerra i lavori che verranno eseguiti, rinunciando con ciò all’esecuzione diretta della Chiesa perché sprovvisti di mezzi.

Croce di Piave 6 Marzo 1921

Il Parroco 
Dn Natale Simionato	                             I fabbriceri
                                         Moro Angelo
                                       Bortoletto Giuseppe

        Visto si dichiara che le firme soprascritte 
                sono autentiche, e che il terzo fabbriciere 
                Montagner Eugenio fu Giovanni è morto 
                profugo a S. Flavia di Palermo 
                l’8 Giugno 1918.
                            Musile 8 Marzo 1921

                           Il Sindaco
                          M. Zaramella

Arrivò la lettera del vescovo e don Natale si rassegnò a spiegare i motivi dei ritardi della ricostruzione della chiesa:


            Ecc. Ill.ma e Rev.ma Mons. Vescovo
			                    di 
                                                 Treviso

Mentre ricevo col massimo rispetto e venerazione la Vostra lettera del 6 Marzo così come ogni altro avviso di Vostra Eccellenza notifico: I° che questa chiesa parrocchiale sarebbe già al suo termine se trattavasi di ricostruirla dove e com’era, attese le lettere in mio favore che giaciono presso il Regio Commissariato di Treviso rilasciate dal Ministro Raineri per cura dell’On. Girolamo Marcello ex deputato. Ma il ritardo ha avuto luogo in causa della questione sorta sulla locazione della chiesa, questione sostenuta da tre partiti diversi: uno dei quali chiedeva la ricostruzione della chiesa dov’era, un altro in località , un terzo all’angolo della strada matta. Tale questione si fece più intensa da Gennaio p. p. quando il Governo tracciò una nuova strada provinciale attraverso la parrocchia e precisamente tangente i due punti del e strada matta.
A sciogliere tale questione il 23 febbraio p. p. ho invitato tutti i capifamiglia a dare il loro voto, e il risultato della votazione fu che la maggioranza dei capi–famiglia votarono per la ricostruzione della chiesa dov’era con ampliamento. Sciolta così la questione, in pochi giorni ho portato tutti i documenti necessari da presentarsi al Commissariato di Treviso, col progetto d’ampliamento già preparato dall’On. Architetto Giovanni Possamai in maggio 1920, e già approvato dall’Opera di Soccorso di Venezia in data 18 Maggio 1920, e li 7 Marzo corrente io stesso ho consegnato tutto l’incartamento al Commissariato di Treviso.
Ora non mi resta che attendere le disposizioni dal Commissariato stesso, e sollecitarlo ad iniziare i lavori.
La casa Canonica doveva naturalmente subire la sorte della chiesa, ma anche per questa sono già inoltrate tutte le pratiche per la ricostruzione dov’era.
II° Però questi buoni parrocchiani frattanto non soffrirono per nulla dal lato spirituale perché come Vostra Eccellenza sa bene, ho una baracca molto comoda ed artistica; inoltre ho provveduto i banchi, mobili, Via Crucis, arredi sacri ecc. dal governo stesso. In frazione ho messo una grande baracca uso chiesa con campaniletto, dove si celebra la messa festiva ecc. Così in frazione Camalipiero è ultimato, parte a mie spese, l’Oratorio e fin da febbraio 1919 vi si celebra la Messa ecc.
Nel corso di questi due anni non mancarono Reverendi. Padri e Sacerdoti per tridui, confessioni ecc. in mio aiuto.
Attualmente ho il Quaresimalista che fa molto bene.
Così il desiderio anzi l’ordine di Vostra Eccellenza per un corso di spirituali esercizi da tenersi entro l’anno, verrà senz’altro effettuato, come già io stesso mi espressi presso cotesta Reverendissima Curia.
Riguardo al Reverendo Cappellano Don Giuseppe Casonato lodo il suo ruolo: però fin da principio (ottobre 1920) egli poteva fermarsi in baracca a Croce, dove aveva tre stanze a sua disposizione anche per la notte; me ne avevo riservato una quarta perché mi era necessaria, indispensabile per raccogliere le offerte in grano di mia proprietà e della fabbriceria. Non appena però ho potuto consegnare al governo il grano, ho lasciato a disposizione del Cappellano anche la quarta stanza.
Però ho fatto istanza al Ministero per un’altra piccola baracca per me e servitù, e mi sarà data fra giorni.
Osservo poi che il Reverendo Cappellano dal momento che entrò in baracca propria, si fece serio con me e specialmente con mia sorella, asserendo di aver portato troppa pazienza fino ora, mentre io e mia sorella abbiamo coscienza di averlo trattato co’ migliori riguardi ed attenzioni, come abbiamo fatto sempre cogli ospiti, specialmente co’ Reverendi Padri e Sacerdoti, dai quali non abbiamo avuto mai lamenti, anzi troppa gratitudine.
Osservo inoltre che fin dai primi giorni di Marzo in cui entrò in baracca propria, all’insaputa del parroco si aperse un nuovo passaggio che dalla baracca metta sulla strada provinciale, di dietro la Canonica accanto al brollo. Tale passaggio pubblico non è punto necessario, anzi dannoso a me perché espone il brollo alla pubblica invasione, anzi lo trasforma in una piazza specie per i fanciulli. Io quindi ho protestato tale passaggio, ma inutilmente; anzi il Reverendo Cappellano mi rispose alla presenza dei fanciulli intenti al lavoro del passaggio, ch’egli è autorizzato di aprire quel passaggio dai superiori, e che se quindi io chiudo il nuovo passaggio, egli lo riapre. I ragazzi a tali espressioni rimasero scandalizzati, sospesero il lavoro e se ne andarono.
La sera stessa poi il Cappellano mi disse che è autorizzato da superiori di fare in parrocchia tutto quello che gli aggrada, senza punto interpellare il Paroco, e che io avrò la veste di paroco a Croce finche egli sarà cappellano, e non più.
Tali espressioni mi recarono profondo dolore nell’animo, pensando quasi di aver cessato di essere parroco, senza neppure aver ricevuto un cenno di preavviso dai miei Superiori!
Io quindi non posso tollerare tanta arroganza d’un Cappellano venuto ieri in parrocchia, e richiedo la sospensione immediata del nuovo passaggio preteso dal Cappellano.
Con profondo ossequio e riconoscenza, baciando la mano a Vostra Eccellenza Illustrissima e Reverendissima, mi segno
Croce di Piave 11 Marzo 1921

Devotissimo e Umilissimo Paroco
Don Natale Simionato.



Istituzione di una nuova condotta medica per Croce

Dopo otto mesi di funzionamento dell’unica condotta medica del dottor Filippo Rizzola i frazionisti di Croce, Fossetta, Cascinelle e Bellesine cominciarono a lamentarsi: il dottor Rizzola, bravo, sul quale non c’erano appunti da fare, non era tuttavia nella possibilità di seguire un Comune e una popolazione così sparpagliata; Croce aveva bisogno di un medico tutto suo e non si capiva perché ne fosse stata privata, dato che a Croce “ha sempre esistito” una condotta disimpegnata dal medico di Fossalta. In effetti per trent’anni la sola porzione di Croce aveva sempre avuto modo di servirsi di un proprio medico e di una propria levatrice per il servizio ostetrico, seppur in consorzio con Fossalta. I consiglieri comunali del paese avevano insistito per l’istituzione di una nuova condotta medica a Croce. La Giunta socialista, mostrando di voler accogliere le loro proteste, propose al Consiglio comunale l’istituzione della reclamata condotta a Croce di Piave. Si prese una carta e si disegnarono i confini delle due condotte, che non coincidevano con quelli delle parrocchie: i confini della condotta di Croce avrebbero compreso i territori della palude Conte Donà Delle Rose con confine alle Piombise fino al Sile, percorrendo la strada delle Millepertiche per le famiglie a sinistra della Fossa Millepertiche fino alla casa Salviato. Sarebbe rimasta esclusa la casa delle famiglie Rizzetto Luigi e compresa invece la casa delle famiglie di Bincoletto Luigi, Menegaldo, Sforzin, De Faveri, Biondo, Salvadore, Montagner Giuseppe fu Nicolò, Lessi Giacomo e Finotto Giuseppe e famiglia alla destra dell’Argine San Marco fino alla linea del Ponte Ferroviario. Estensione di questa condotta era di circa 21 chilometri quadrati con abitanti 2400 circa.


pianta della condotta medica: i confini (in rosso) non coincidono con quelli della parrocchia (in giallo)

Con le delibere consiliari del 17 marzo e del 7 aprile in seconda lettura e delibera d’urgenza della Giunta del 27 maggio fu istituita la II condotta medica, quella di Croce. Un poco sorprende la facilità con cui fu presa una decisione tanto importante ed onerosa. Stavano per arrivare le elezioni.

Il 15 aprile la Giunta Comunale deliberò la costruzione di un macello pubblico secondo il progetto presentato dall’ingegner Vittorino De Castello, sull’appezzamento triangolare di 200 metri quadrati confinante con la Chiavica Scolo Marezzana e l’argine della strada provinciale, di proprietà del cavalier Enrico Passi, col quale erano già in corso le pratiche per l’esproprio del terreno.

Delle 700.000 lire ottenute dal Comune per la costruzione degli edifici Comunali ne erano state “civanzate” 180.000: la cifra fu destinata alla costruzione di 10 pozzi artesiani in vari punti del territorio comunale [delibera n.° 27 del 6 maggio 1921]. Nella stessa riunione si discusse della nuova condotta medica di Croce di Piave e dello stipendio da assegnarsi al medico di Croce: il sindaco Zaramella ritenne giusto che lo stipendio del medico della condotta di Croce di Piave fosse uguale a quello del medico della condotta del Centro, fissato in 7500 lire annue [delibera n.° 28].

Elezioni politiche

Il 15 e 16 maggio 1921 si tennero le elezioni politiche. Toccò a Carlo Sgnaolin trasportare tavoli e cabine da Musile alla sezione elettorale di Croce, la numero 95, e per questo ricevette un compenso di 60 lire.

Elezioni politiche
15-16 maggio 1921

Musile sezione 94Croce sezione 95
PresidenteJanna Cav. VincenzoCasagrande Angelo
VicepresidenteArgentini GiuseppeInghini cav. Giovanni
SegretarioSaladini NataleVianello Dino
ScrutatoriBaron Enrico
Vinale Giuseppe
Montagner Europeo
Raggiotto Prosdocimo
Rigato Giovanni
Momesso Luigi

Questa volta i quattro militi in servizio di pubblica sicurezza alla sezione 95 di Croce si fecero rifornire di cibarie da Eliseo Cosmo, che le mise in conto al Comune e ne fu rimborsato alcune settimane dopo.
A livello nazionale votarono in 6.700.000 su 11 milioni e mezzo di aventi diritto. Ai socialisti andò un quarto dei voti, ai popolari un quinto, ai blocchi nazionali poco meno. A livello locale...

RISULTATI DELLE ELEZIONI POLITICHE

La convivenza tra don Natale e don Giuseppe Casonato proseguiva sempre più difficile al punto che in Curia presero atto della necessità di trasferire il cappellano. Alla ricerca di un successore che potesse convivere serenamente con don Natale, il provicario Generale Gallina (lettera del 6 luglio 1921) propose al paroco il sacerdote Giovanni Gattoli, il quale doveva godere di miglior fama del precedente se don Natale si affrettò a rispondere in questi termini:

Illustrissimo e Reverendissimo Mons. Vitale Gallina
              			Pro Vicario Generale
                                         			Treviso

         Appena oggi 14 luglio 1921 sono in possesso della lettera 
di V. S. Rev ma in data 6 luglio 1921, proveniente dalla R. Posta 
di S. Donà di Piave!
        Sempre ossequiente agli ordini de’ Superiori  accolgo ben 
volentieri a mio Cooperatore   l’ottimo Sac. Giovanni Gattoli.
    Se egli convivrà in Canonica col Paroco   propongo ch’egli 
contribuisca per la mensa lire una al giorno.
    Se invece vorrà provvedersi di casa propria, il parroco gli 
  passerà lire una al giorno.
    Quanto ai proventi del Cappellano sono stati già da me specifi-
   cati a Cotesta reverendissima Curia.
     Inoltre interrogherò questa fabbriceria se può contribuire al 
   R. Cappellano di qualche sovvenzione per la messa 
   in binazione.
   Con profondo ossequio e gratitudine mi segno

   Croce di Piave 14 Luglio 1921
                    Devmo Umilissimo 
                    Dn Natale Simionato Paroco.

Ma l’“ottimo Sac. Giovanni Gattoli” non giunse mai a Croce. L’eco degli avvenimenti della politica nazionale, degli scioperi nelle fabbriche e dei disordini nazionali, giungeva attutita a Croce; qualcosa di più giungeva delle spedizioni delle squadre fasciste e degli scazzottamenti che si verificavano la sera in piazza Musile, fuori dell’osteria di Bortoletto.

Acquisto terreno per edifici comunali

In paese gli argomenti d’interesse maggiore era la ricostruzione della chiesa, la nuova condotta medica e la possibilità di avere una sede staccata del Comune. La nuova amministrazione sembrava più attenta alla frazione: il 21 luglio 1921 il Consiglio comunale deliberò “di acquistare 6080 mq. di terreno pel prezzo convenuto di L. 3 al mq. facente parte dei mappali N.° 541 e 582 del Comune censuario di Croce di Piave (Musile) di proprietà della Congregazione di Carità di Venezia da servire per area di un costruendo fabbricato Comunale per Uffici Delegazione Stato Civile, Scuole e Case Impiegati”. Il 5 agosto il sindaco, in esecuzione della delibera, chiedeva al prefetto l’autorizzazione a procedere all’acquisto per conto del Comune (dello stretto rettangolo di terra lungo la via Croce fino all’angolo con la via del Bosco).


Il terreno acquistato

Il cappellano preferisce vivere in baracca

I lavori per la ricostruzione della canonica erano proceduti molto più in fretta di quelli della chiesa e don Natale poté tornare ad abitarla nel corso dell’estate. Pur essendovi anche spazio per il cappellano, don Giuseppe preferì continuare a vivere nella sua baracca. Don Natale lo invitò più volte a trasferirsi in canonica, di modo che potessero tenersi compagnia nei tempi morti e scambiare una parola, un’impressione, e affinché i parrocchiani non avessero più a mormorare sui loro contrasti. Don Giuseppe rispose che lui stava bene in baracca! Qual era il vero motivo per cui don Giuseppe era stata mandato a Croce, si chiedeva don Natale: per creare separazioni e sostenere il partito minoritario che voleva la chiesa altrove? La questione della collocazione della chiesa era urgente: aveva senso spendere dei soldi per la canonica, già pochi ne aveva, si chiedeva don Natale, se poi la chiesa sarebbe stata costruita lontana da lì? Ed era vero quello che aveva minacciato il cappellano, ovvero che don Natale era destinato ad essere trasferito? Con la miglior diplomazia di cui era capace, fece presenti tutte queste cose al provicario generale:

Ill.mo e Rev.mo Mons. Pro Vicario Generale Vescovile
                                         		Treviso

    La rispettabile vostra lettera in data 6 Luglio 1921 è rimasta 
lettera morta, cioè senza effetto, poiché mi consta che il R. D. 
Giovanni Gattoli ch’era destinato a Cooperatore di Croce, passò 
invece a Montebelluna!
    Ora nell’attuale Cappellano io noto in ogni cosa e fin da 
principio uno spirito separatista dal paroco; e dico in generale 
per non discendere in particolare. Né ho mai un po’ di compagnia 
o conforto.
     Questo fatto troppo anormale, reca a me dispiacere, desta 
ammirazione nel paese e non è certo di edificazione.
Fra giorni la casa canonica è pronta per l’abitazione. La baracca 
del Cappellano dista tre metri dalla porta della canonica.
Quindi la permanenza del Cappellano in una baracca, mentre il 
paroco entra in una bella canonica, farebbe pessima impressione 
tanto più ch’egli si rifiuta di coabitarvi.
   Altre case d’abitazione ad uso del cappellano qui non esistono.
   Perciò è necessario che V. S. Revma provveda o per uno 
   o per l’altro. 
  È necessario che V. S. Revma decida subito il caso, 
   anche a mia norma:
 I° perché io sono sprovvisto di tutto, e quindi non posso né sono 
    disposto di acquistare gli oggetti più necessari per l’abita-
    zione in canonica, se prima non sono certo della mia posizione.
 II° perché nello stato attuale di cose, non mi è possibile prendere 
     quei provvedimenti che mi sembrano più opportuni per il bene 
     generale del paese. 
      Con profondo ossequio. 

     Croce di Piave 23 Agosto 1921
					        Devmo
					Dn Natale Simionato.

La Curia capì che era giunto il momento di trasferire don Casonato.

spese (e risparmi) comunali

Nel settembre 1921, don Natale, attraverso i fabbricieri, sollecitò il sindaco Zaramella affinché il Comune provvedesse alla riparazione dei danni al cimitero di Croce: il ponte di accesso sopra il fosso che divideva il cimitero dalla strada era mezzo pericolante, il cancello del locale d’entrata al camposanto era divelto, gli intonaci delle pareti della cella mortuaria erano caduti e il soffitto era completamente scrostato e in parte diroccato; numerosi erano infine i danni all’oratorio di san Giuseppe, considerato oratorio pubblico.

La Giunta il 23 settembre, per “risparmio di spesa”, deliberò di bandire un unico concorso per medico e ostetrica. Il medico nominato per il servizio della condotta suddetta avrebbe avuto uno stipendio annuo di 6000 lire, un’indennità di cavalcatura di 2500 lire, un’indennità per la cura della malaria di lire 800 e un rimborso spese per l’ambulatorio di lire 1000; mentre la levatrice avrebbe avuto uno stipendio di 2500 lire; entrambi avrebbero avuto l’obbligo di residenza a Croce; provvisoriamente sarebbero stato sistemato in adatta baracca poi, per l’alloggio definitivo dei due sanitari (medico e ostetrica), nel caso si fossero incontrate difficoltà a trovare locali in muratura, il Comune avrebbe provveduto alla costruzione di un’abitazione adatta dietro corrispettivo affitto da parte del medico da convenirsi [delibera n.° 11]. Ovviamente sarebbero stati mantenuti fermi i diritti acquisiti del dottor Rizzola. Con la delibera successiva [n.° 12] la Giunta decideva il pagamento del fitto per la scuola della Fossetta alla signora Vendraminetto Regina la quale chiedeva, date le aumentate spese, di alzare da 350 a 650 lire la quota d’affitto dei locali ad uso scuole e abitazione insegnante.

Il sindaco aveva promesso, s’era impegnato, aveva assicurato... ma quando le richieste di don Natale furono portate in Giunta, il 1° ottobre 1921 [delibera N.° 55] lo stesso sindaco fu costretto a far deliberare che “non avendo questo comune i mezzi necessari e trovandosi nell’impossibilità di provvedere direttamente all’esecuzione dei lavori succitati” era necessario chiedere al Commissariato per le riparazioni danni di guerra che venisse provveduto d’urgenza.

Per fortuna il Comune trovò i soldi per installare le tre nuove baracche-scuola di cui s’era parlato nei mesi precedenti: ora anche alle Cascinelle vi era un’aula.

Con don Casonato la questione non era finita: il 4 ottobre 1921 don Natale ricevette una lettera dal provicario generale della diocesi, l’amico monsignor Gallina, che gli riferiva le lamentele dell’ex cooperatore, il quale dichiarava di essere in credito con don Natale di parecchio denaro. Don Natale puntualizzò la questione economica rimasta in sospeso con don Casonato:

Ill. mo e Rev. mo Mons. Gallina Pro Vicario Generale
									
       A riscontro vostra lettera 4 ottobre 1921, premetto che 
quest’anno, come ho già riferito altra volta, il parroco non perce-
pisce il suo quartese come negli anni normali, ma libere oblazioni 
perché le campagne sono rovinate dalla guerra e per conseguenza 
rendono poco e perché le famiglie si trovano in condizioni misere 
e non possono corrispondere come vorrebbero al paroco, né questi 
ha l’animo di esigere.
    Inoltre noto che il Capp. D. Giuseppe Casonato nel corso di 
quest’anno, à ricorso ripetutamente per ragioni economiche a 
tutti i tribunali, cioè a cotesta Rev maa Curia, al Vic. Foraneo, ai 
fabbriceri e forse anche in Municipio, provocando criminazioni 
verso il paroco, com’ebbe ad accennarmi V. S. Rev ma, mentre 
con me a tutt’oggi, vigilia della sua partenza, il D. Casonato 
non ebbe a volgermi nec verbum quidem!
   Ora per invito di V. S. Rev ma fò presente che 
D. Casonato ha partecipato alla mia mensa per cinque mesi, cioè 
dal 4 Ottobre 1920 al 3 Marzo 1921: per questi cinque mesi 
richiedo una lira al giorno pel vitto offertogli.
    Poi dal 4 Marzo 1921 a tutt’oggi 6 ottobre 1921 volle fare 
casa da sé: e per questi sette mesi offro a D. Casonato lire una 
al giorno, dai quali ditratti i primi cinque mesi che visse in canonica, 
rimangono a liquidare due mesi pei quali offro lire una al giorno 
cioè lire 60 a completa liquidazione, che però per finire giungerò 
fino a lire cento, e sono ad esuberanza.
Con ossequio e riconoscenza

Croce di Piave 6 Ottobre 1921

				        Devmo
					Dn Natale Simionato.

Poco dopo arrivò il nuovo cappellano, don Luigi Pasqualetto. Don Natale sperò che con lui le cose andassero meglio.

Bando di gara per medico e ostetrica

Il 15 ottobre fu affisso il manifesto del bando di concorso congiunto per medico e ostetrica della II condotta medica:

[…] La condotta ha un’estensione di Km.2 21 circa con abitanti 2400 circa, tutta in pianura vicino al capoluogo di Musile e di S. Donà fornita di buone strade in prossimità alla Stazione ferroviaria di Fossalta di Piave in territorio della stessa Condotta. Tanto il Medico che la Levatrice hanno l’obbligo della residenza in Croce di Piave provvisoriamente alloggiati in baracche distinte. […]
QUALITA’ DELL’IMPIEGOSTIPENDIOINDENNITA’ CAVALCATURAINDENNITA’ MALARIAINDENNITA’ AMBULATORIOANNOTAZIONI
MEDICO CHIRURGO - OSTETRICO

7500

2500

800

1000

[...] Obbligo al Medico di provvedere direttamente alle spese occorrenti per il riscaldamento ambulatorio, pulizia, illuminazione locali, ed oggetti di cancelleria.
LEVATRICE

2500

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La levatrice godrà di un assegno annuo di lire 300 per luso della bicicletta [...]
Gli assegni, per la cura dei soli poveri, vengono pagati in dodicesimi posticipati [...]

Il Milite Ignoto

A fine mese arrivò, e passò, il treno che trasportava da Aquileia a Venezia e poi a Roma la salma del Milite Ignoto, ossia la bara scelta ad Aquileia, tra undici di altrettanti ignoti, da una madre che aveva perduto il figlio in guerra, bara destinata a rappresentare tutti i caduti senza tomba e ad essere collocata nell’Altare della Patria, al Vittoriano.

Il viaggio simbolico avveniva sulla stessa ferrovia su cui i soldati si erano diretti al fronte; ora una salma che stava per tutte le altre faceva ritorno dai campi di battaglia; “nella salma oscura”, ebbe modo di affermare il generale Diaz dinnanzi al Senato, “ogni madre avrà l’illusione purissima che sia quello il corpo del proprio figlio”. Non a caso, riportava il Corriere della sera del 27 ottobre 1921, “ai due lati del carro, in carattere rosso sangue su fondo bianco, è riportato il verso dantesco: L’ombra sua torna ch’era dipartita”.
Fu sottolineato il consenso unanime (che in realtà così unanime non fu) riservato spontaneamente dalla popolazione alla salma del Milite Ignoto: si parlò della “concordia nel sacrificio” che il milite Ignoto sapeva produrre (onorevole Fradeletto) e del “carattere plebiscitario”, capace di indurre “un’onda di sacro patriottismo in tutto il paese” (Pietro De Vecchis, vicepresidente del comitato per le onoranze del Milite Ignoto). Rendere omaggio al più umile dei soldati, al soldato qualsiasi, sacrificatosi per la patria (e non necessariamente in azioni eroiche: l’importante era che avesse compiuto il suo docere), inchinarsi al suo passaggio e dedicargli le massime onorificenze, rendergli omaggio più che a chiunque altro (generali e sovrani compresi) per collocarlo quindi in bella vista nell’Altare della Patria ebbe il significato e il potere di introiettarne la presenza potenzialmente eversiva, creando consenso intorno a ciò che sino a quel momento - la guerra e i morti - aveva costituito motivo di asprissime e insanabili divisioni. Non a caso, il conferimento della medaglia d’oro al valor militare ebbe come motivazione che egli “cadde combattendo senz’altro premio sperare che la vittoria e la grandezza della Patria”.
Nella commemorazione del Milite Ignoto, che supererà per dimensioni e partecipazione tutte le cerimonie di quegli anni, le Tre Venezie svolsero un ruolo particolare, dato che la salma che deve essere condotta a Roma non poteva che essere recuperata dai campi di battaglia.



La salma fu riposta in una cassa in legno di quercia squadrata a colpi d’ascia e priva di ogni decorazione, opera di Pietro Aschieri.
La carrozza ferroviaria/feretro, in forma di altare sormontato da un arco di pietra carsica, su cui viaggiò la bara contenete il Milite Ignoto, posata su un affusto di cannone, era invece opera di Guido Cirilli (così come opera di Cirilli è il monumento, dedicato ai dieci militi ignoti scartati da Maria Bergamas, ubicato nel cimitero di Aquileia). La tettoia, retta da otto colonnine onde rendere la bara visibile da ogni direzione nella parte interiore rappresentava un cielo stellato; in alto si trovavano invece delle “ardenti faci simboliche delle fede e del sacrificio” che, con la loro luce “misteriosa” “offr[iva]no mistica visione”.
A seguirlo sulle pagine dei quotidiani d’epoca, il viaggio della salma del Milite Ignoto da Aquileia a Roma ebbe le sembianze di una valanga che continuava a crescere quanto più precipitava, assumendo dimensioni affatto inaspettate. Toccate le stazioni di Santa Maria la Longa, Risano, Pasiano Schiavonesco, Codroipo, Casarsa, Pordenone, Fontanafredda, Sacile, il 30 novembre il treno che trasportava il Milite Ignoto entrò in Veneto, sostando a Conegliano, costeggiando il Piave al Ponte della Priula, sostando quindi a Treviso e soprattutto a Venezia, dove il convoglio si arrestò l’intera notte...

Aspetta un attimo: il treno percorse la Trieste-Venezia passando per Conegliano-Treviso... quindi non passò per Portogruaro-San Donà-Croce-Fossalta... a Croce dove il nemico aveva sfondato il Piave per più di 4 chilometri, massima penetrazione, dove è stato irriducibilmente fermato...
Ancora una volta la grande storia lambiva il paese lasciandolo in disparte...
In tutti i paesi la cerimonia venne officiata allo stesso modo: ogni comunità si raccolse attorno a se stessa, onorò i propri caduti in guerra mentre un catafalco faceva le veci della bara del Milite Ignoto... Non sappiamo immaginare se don Natale diede disposizioni simili: ci è più facile immaginare che qualcuno del paese andò a Treviso a veder passare il glorioso treno.

... e la chiesa?

I lavori per la ricostruzione della chiesa non partivano. Il progetto del Possamai si era rivelato troppo dispendioso; perciò si optò per seguire il progetto dell’ingegnere Leonardo Trevisiol che prevedeva il semplice restauro della chiesa (che, ricordiamo, risaliva al 1731 ) ma col presbiterio più allungato, per affiancarvi in seguito le due sacrestie, o navate che chiamar si volessero.
Finalmente, con queste indicazioni, a spese del Commissariato per le Terre Liberate, poté incominciare la ricostruzione della chiesa.

Non avendo rispoto nessuno al bando di concorso, l’amministrazione comunale il 16 novembre 1921 fece mettere l’annuncio sul Gazzettino per il concorso a medico e levatrice di Croce.

Il territorio comunale era attraversato da cani randagi e idrofobi. Numerosi erano i casi di morsi a persone che poi dovettero subire il trattamento antirabbico, e alcuni essere mandati a Padova. Fu deliberato lo sterminio dei cani; la dura incombenza fu affidata ai tre stradini, ma poi fu necessario assumere per la bisogna altre due persone; centocinquanta furono i cani uccisi.

Incidente sulla ferrovia

Poco prima di Natale, il 21 dicembre 1921, uno scontro fra treni all’imboccatura del nuovo ponte in ferro a binario unico, venne a turbare la vita del paese. Era una giornata di nebbia, non si vedeva da una parte all’altra del ponte, i conducenti dei treni non videro i segnali e fu la catastrofe. Il rumore dello scontro attirò l’attenzione degli abitanti del paese. Coloro che accorsero per primi sul luogo della tragedia videro scene che ricordarono le distruzioni della guerra da poco conclusa; si ritrovarono a camminare tra corpi imploranti aiuto, bagagli sparsi, qualche oggetto di valore, qualche taccuino col denaro, più utile ai vivi che ai morti. “Il treno s’era ribaltato dalla parte di Musile” dice Vittorio Di Legui che andò a vedere il disastro. Nel groviglio di assi infranti avevano perso la vita anche dei pezzi grossi che poi vennero identificati come il dottor Ciro Scarlini, ispettore delle Ferrovie dello Stato, e il dottor Giuseppe Dorini, sottosegretario dello Stato Libero di Fiume; moltissimi erano i feriti.
Da quella volta girò in paese la notizia che coloro che abitavano vicino alla ferrovia si erano arricchiti in seguito all’incidente. Girò perfino la voce del ritrovamento di un sacco di denaro e della sua misteriosa sparizione. Voci, appetiti, nulla di nuovo. Quali erano le famiglie che occupavano le attuali case Pavan e Carraro? Vicino al passaggio a livello erano casa Montagner e casa Janna. I Cancellier sarebbero arrivati successivamente, a “San Martin” del 1923.
Vi abitavano già i Lessi? È confermato dalle testimonianze degli eredi che con il velluto dei sedili del treno, di ottima qualità, furono confezionate resistenti sachéte per gli scolari.
Come sempre succede in casi simili, la tragedia servì ad accelerare l’inizio dei lavori per la costruzione del nuovo ponte a doppio binario.

Provvedimenti per le scuole: il 21 dicembre 1921 a Salviato Antonio furono pagate 125 lire per un passo di legna destinata al riscaldamento della scuola delle Cassinelle. A Carlo Sgnaolin furono pagate 80 lire per lavori di interramento di una baracca ad uso scuola a Croce di Piave. A fine anno, “con decisione approvata per alzata e seduta”, vennero assegnate 650 lire alla Regina Vendraminetto per il fitto dei locali uso scuola e abitazione maestre alla Fossetta e pagate 32 lire a Ernesto Dianese per il trasporto di 4 carretti di legna dalla sede municipale alle scuole di Croce.

All’inizio del 1922 don Natale pensò di proporre come nuovi fabbricieri della parrocchia di Croce per il quinquennio 1922-1926 Luigi Favretto, Primo Montagner fu Luigi e Luigi Sforzin, nomi che erano proposti e desiderati dalla maggioranza dei parrocchiani. La Giunta Comunale approvò tali nomi e li propose all’ufficio [.?.] di Oderzo.
Deliberò anche [delibera n.° 6] la liquidazione a Fava Alessandro di San Donà per la costruzione di 2 pozzi artesiani, uno al Lazzaretto, profondo 74,80 metri e uno a Croce, all’incrocio della strada Fossetta con la Strada Matta, profondo metri 74,20. Ora le donne della strada matta avevano un pozzo cui attingere l’acqua per cucinare e lavar la verdura, mentre per lavar la roba continuava ad andar bene quella dei fossi.
Per l’acquisto in Croce di Piave dell’area del costruendo fabbricato comunale, delle scuole e case impiegati fu necessario richiedere [delibera n.° 8] un prestito cambiario di 20.000 lire presso la Banca M.P. di San Donà. Croce era riuscita a ottenere (almeno in programma) i suoi servizi: a breve avrebbe funzionato l’ufficio staccato di Stato Civile mentre già era stata istituita la seconda condotta Medico-Chirurgica-Ostetrica. L’Amministrazione Comunale aveva disegnato quest’ultima non secondo i confini delle parrocchie bensì secondo criteri presentati come più equi, non potendo costringere il titolare della prima condotta Rizzola a vedersi titolare della più ridotta delle due. Ma la disgiunzione dei servizi medici e religiosi provocò proteste. Il sindaco inviò una lettera alla Curia in cui invitava il vescovo, per la comodità dei cittadini ovviamente, a far corrispondere i confini delle parrocchie con quelli civili:

COMUNE
DI
MUSILE DI PIAVE





OGGETTO

DELIMITAZIONE DEL
TERRITORIO DELLE
DUE PARROCCHIE
MUSILE E CROCE
DI PIAVE. =





Alla Spettabile
CURIA VESCOVILE
T R E V I S O

Musile, li 4 Gennaio 1922

In forza delle delibere di Giunta e Consiglio 10,17 Marzo, 7 Aprile 1921 approvate dall’Onor. Giunta Provinciale Amministrativa in seduta 15 Settembre 1921 N° 17313 il territorio di questo Comune è stato suddiviso in due frazioni per il servizio di Stato Civile e per le condotte Medico – Chirurgiche – Ostetriche come segue e cioè: I° = Frazione Musile coi seguenti confini – territorio paludi del Sile fino alla sinistra Fossa Mille Pertiche; casa famiglia Rizzetto Luigi, Rossetton Angelo, Baldo, Crosera, Camin Antonio, Salmaso, Diral Antonio, Montagner Pietro, Pavan Vittorio, Pavan Domenico e Cella; Centro Musile, Paludello, Case Bianche, Caposile e Salsi fino a Torre di Caligo (con circa 2930 abitanti e con una estensione di Km2 29) – II° = Frazione Croce di Piave coi seguenti confini: territorio paludi Co. Donà delle Rose, con confine alle Piombise fino al Sile, percorrendo la strada Mille Pertiche per le famiglie a sinistra della Fossa Mille Pertiche fino alla casa Salviato. Sarebbe esclusa la Casa Famiglia Rizzetto Luigi e compresa invece le case famiglie Bincoletto Luigi, Menegaldo Sforzin, De Faveri, Biondo Salvatore, Montagner Giuseppe fu Nicolò, Lessi Giacomo e Finotto Giuseppe e le famiglie alla destra dell’Argine S. Marco, fino alla linea Ponte Ferroviario (estensione circa 21 Km2. con abitanti 2490 civili.

Avendo la popolazione reclamato a quest’Ufficio di avere pure in comune oltre i servizi succitati anche le due Parrocchie di Musile e Croce di Piave e ciò allo scopo di maggior comodità per le cure d’anime e per i servizi di Stola bianca e Stola nera – lo scrivente osa rivolgere viva preghiera a codesta spett/Curia perché vengano le due Parrocchie di Musile e Croce delimitate nei succitati confini.

In attesa di un cenno di assicurazione in proposito me Le professo con ossequio –

IL SINDACO
M Zaramella

Il 13 gennaio si riunì la commissione per valutare i titoli delle ostetriche che si erano iscritte al concorso: essa era composta dal dottor cavalier Luigi Cirielli consigliere di Prefettura, membro governativo, dal dottor Giuseppe De Faveri, ufficiale sanitario del comune di San Donà, dal dottor Filippo Rizzola medico condotto del Comune di Musile, dal sindaco Zaramella Mario e dall’assessore comunale Guseo Attilio. Oltre alla Vizzotto Sofia, in servizio provvisorio, altre dieci erano le partecipanti: da Padova, dalle Marche, dall’Emilia Romagna, dalla Toscana... E qualcuna con tanto di raccomandazione del proprio sindaco.

Qualche giorno dopo giunse dal prefetto della provincia Sorge l’autorizzazione ad acquistare il terreno in centro a Croce “da servire per area del costruendo fabbricato Comunale per uffici Delegazione Stato Civile, scuole e Case Impiegati”; il prefetto faceva però obbligo al notaio rogante l’istrumento di compravendita di compiere una previa ispezione al locale Ufficio delle Ipoteche a riguardo delle iscrizioni e trascrizioni a carico dei possessori del terreno di cui trattasi da un trentennio retro.

Continuavano a manifestarsi casi d’idrofobia canina e di morsi a persone poi costrette alle cure antirabbiche. Un’ordinanza costrinse i padroni a mettere una museruola rigida ai cani e a tenerli al guinzaglio: i cani abbandonati sarebbero stati accalappiati e uccisi.

Ma la notizia più importante di quel gennaio 1922 fu la morte, il 22, di Benedetto XV, il papa che aveva denunciato l’inutile strage. Don Natale nutrì sincero cordoglio per la morte di papa Benedetto e sincere furono le parole di dolore e compianto che egli pronunciò nelle accorate prediche dei giorni successivi.

L’Amministrazione comunale deliberava di affidare la manutenzione delle strade del Comune alla Deputazione Provinciale: il Comune si impegnava a rimborsare alla Provincia le spese ove il Governo non assumesse a carico dello stato i lavori di manutenzione. L’8 febbraio venivano rimborsate a Guglielmo Pelizzon e a Dino Zaramella le spese sostenute per la numerazione di case e baracche in occasione del censimento dal quale era emerso che le famiglie del Comune erano 695 e 5615 gli abitanti. Nella lista dei poveri del Comune, 58 risiedevano di Croce: si trattava di contadini, braccianti, casalinghe, in gran parte residenti alla Fossetta o in frazione Scuole San Rocco. Solo 5 o 6 alle Case Bianche, 8 in centro a Croce.

Nuovo papa e nuovo governo

Il 6 febbraio Achille Ratti, arcivescovo di Milano, veniva eletto papa col nome di Pio XI. Dopo la lunga crisi seguita alle dimissioni di Bonomi, il 26 si formava il governo di Luigi Facta, che nasceva debole in un periodo di disordini. Il 21 marzo la Camera condannava le violenze dei fascisti ma qualche giorno dopo 20.000 camicie nere si radunavano a Milano.

Vizzotto Sofia levatrice di Croce

Al concorso per il posto di levatrice “si resero aspiranti N° 9 concorrenti”; la Commissione giudicatrice dell’esame dei titoli delle concorrente ne ammise cinque e il 13 gennaio designò “quale prima classificata” Vizzotto Sofia, “la quale fin dal I° Ottobre 1919 presta servizio interinale nella condotta posta a concorso con piena soddisfazione della popolazione”. Il 25 marzo il Consiglio comunale le conferì la nomina e il 13 aprile ella era assunta in pianta stabile.

Foto di Vizzotto Sofia tratta dalla sua cartella personale, Archivio Comunale

Il 24 aprile 1922 fu stipulato il contratto d’acquisto del terreno di Croce dalla Congregazione di Carità di Venezia (N.° 14260 Repertorio notarile). Quanto alla modifica dei confini delle parrocchie, la Curia per il momento non rispose alle richieste del sindaco Zaramella. La prevista decurtazione, imponente ed improvvisa, del beneficio del parroco di Croce, in epoca di ricostruzioni post-belliche, richiedeva un accurato esame della situazione.

Avanzata del fascismo

Il I maggio a Bologna e Rovigo fu proclamato un grande sciopero socialista per la festa del lavoro e i fascisti organizzarono in risposta grandi adunate, il 12 a Ferrara scioperarono 40.000 operai fascisti guidati da Italo Balbo, il 26 una grande adunata fascista a Bologna impetrò la destituzione del prefetto Cesare Mori, che aveva schierato la polizia contro le squadre fasciste. Non c’entra col fascismo ma con la storia, il 2 giugno un decreto del Sant’Uffizio limitava l’attività pastorale di Padre Pio. Il 13 squadre fasciste distruggevano le sedi del PSI e del PPI a Cremona.
Il 2 luglio, quarta domenica dopo Pentecoste, a richiesta dell’Autorità militare, alla messa delle nove e mezza don Natale fece una ufficiatura solenne pro militibus, nella quale lesse brevi parole di circostanza. Dopo la messa formò uno splendido corteo con l’intervento delle autorità militari (un capitano, due tenenti, graduati vari, militari decorati) e comunali (sindaco Zaramella), e tutto il popolo dietro, e si recò al cimitero militare per dare la benedizione alla salme. Tutti s’accorsero ch’era giunto il tempo di dare una sistemata alla croce di pietra eretta dai superstiti in onore dei caduti, forse sistemata dalle centurie dei lavoratori sulle retrovie e munita della semplice iscrizione: “Caduti – per la Patria – giugno 1918”, ormai rovinata. Fu in quell’occasione che le autorità s’accorsero e decisero che era giunto il momento di fare la ricognizione dei defunti? Alla fine della commemorazione le autorità militari salutarono con calore il parroco, lo ringraziarono della splendida cerimonia e dissero di aspettarsi da lui un’altra solenne ufficiatura per il 4 novembre, anniversario della Vittoria.
Per la sistemazione del cimitero e l’erezione di un nuovo monumento si formò un Comitato promotore.
Il 17 luglio Tolentino, nelle Marche, fu occupata da squadre fasciste, il 19 cadde il governo Facta. Lo stesso giorno don Natale fu chiamato a controfirmare una relazione stesa dalla Curia sullo stato economico della sua prebenda.

Parrocchia di Croce di Piave
olim Gastaldia di Croce

Relazione a norma del Decreto Vescovile
21 Giugno 1921 (cfr. Bollettino Eccles. Diocesano pag. 123)

In questo giorno 19 luglio 1922 comparve in Curia Vescovile, in seguito ad invito personale, il M. R. Parroco Dn Natale Simionato il quale diede sullo stato religioso, morale ed economico della sua parrocchia prebenda una relazione che qui sotto si riporta per appunti e che viene sottoscritta dal medesimo e dall’officiale curiale incaricato da Sua Ecc. Mons. Vescovo a riceverla.

La parrocchia di Santa Croce ricordasi nei libri curiali dal 1330 con le filiali di Noventa, e si sa che appartenne il territorio stesso alla Contea, o Gastaldia, creata da Carlo V (Bonifacio) di detto nome, e che, al tempo di Ezzelino, se non nella totalità, in gran parte era bene del Patriarcato aquilejense, come la Pieve di Monastier, quella di Medulo e porzioni di quella di Noventa, alla quale Croce e Fossalta, con Campolongo, sono considerate soggette.
Le conseguenze belliche del secolo XIV, che hanno inselvatichito Medade, Alzano, Medulo, Marteglia, non lontane (=odierno Losson di Meolo) fecero egualmente esulare dal territorio di Croce la popolazione anche per le alluvioni del Piave, frequenti e disastrose.
Nel 1560 il Senato Veneto, che venne a porre efficaci rimedi alle ville di S. Donà al di là (Gastaldia di San Donato) e S. Donà di qua (Musile) concedendole a Nobili Famiglie in perpetuo coll’esercizio dei propri diritti e l’osservanza dei relativi oneri, provvide perché Croce fosse dalla famiglia veneta Foscari e dai suoi successori ridonata alla produzione agricola, imponendole la osservanza dell’onere “quartesii er quartesandi” a favore del sacerdote “vi fundatoriis antiquioris” investito di questo cespite, residente in Croce e con l’onore della presentazione dell’investendo al Vescovo nelle vacanze, sub titolo di Giuspatrono (cfr. atti relativi) .
Il quartese ed il diritto di quartesare per questo fu costituito “dote beneficiaria” e lo è nella assoluta totalità: perché tale il Senato Veneto lo difese con le leggi emanate il 9 luglio 1436, ai Pregadi, e le successive, del 21 dicembre 1554, 1 agosto 1555, 7 ottobre 1634 e 28 febbraio 1768, che ebbero effetto fino al 1796, mercè le quali, fino dal 1694 il cespite iscritto nel relativo Catasto come entrata del beneficiato, lo fu pure segnato come entità Fossetta a tassa pel fisco veneto.
La legge eversiva delle decime del 1802 fu attutita da quella del 13 giugno 1803 del medesimo governo francese in Italia, alla quale, dopo il Novembre 1813, il governo Lombardo Veneto à fatte seguire le Circolari 10 agosto 1816, 9 gennaio 1819, il dispaccio 29 luglio 1850, ed altre disposizioni locali, che furono tenute presenti dal Governo Italiano fino alla pubblicazione della sua nota legge 14 luglio 1887 per l’abolizione della Decima sacramentale, e la conversione della Domenicale in un canone in denaro, francabile.
La fondiaria della Contea, o Gastaldia, di S. Croce paga il quartese domenicale all’investito del beneficio non perché esercita la cura, ma perché il quartese gli è proprio, come la fruizione del frutto dei pochi campi, che denunziava nel 1805 (Campi 2.2) e della casa parocchiale, fatta demolire dal magistrato delle acque l’anno 1792 (ora fornitagli dal Municipio): per questo non i fedeli, ma i proprietari, o lavoratori, anche se abitano altrove, e se fossero di culto diverso, debbono il rateo all’investito del beneficio di Croce delle consuetudinarie qualità e nella misura pure definita per lungo corso di anni e nota all’Autorità Civile (cat. …)
Durante le vacanze l’Economato dei Benefici vacanti apprende a mano regia il quartese, e lo appalta, facendolo poi figurare nella gestione amministrativa perché all’investito sia coniato il peso delle tasse dell’importo relativo.
Il territorio delle parrocchie, dopo la venuta dei Francesi e dei Tedeschi, ha subito variazioni amministrative, come ha cambiato le sue sorti agricole. È certo che il quartese domenicale comprende quello che le leggi venete hanno visto e previsto.
Dopo caduta la Repubblica Veneta (1797) si sa che il governo italico, valendosi delle denunzie imposte per il riconoscimento dei quartesi domenicali con le denunzie degli investiti e dei debitori, tassò sì fortemente gli investiti, da doversene fare appello al Ministro pel Culto col mezzo del Vescovo (lettera 28 Marzo 1811, in atti Decime-Curia) e fu da quest’autorità riportato il fatto dei Catasti Veneti del 1694 e seguenti.
Da parte dei debitori può affermarsi, che in exitu di leggi Catastali rivelate da Editti del genere emessi: l’anno 1805, perché ogni percipiente decime, censi, redditi li denunziasse (art. 4 e 10); l’anno 1808, sulla denunzia delle decime (art. 9 e 10) e l’anno 1811, sulla tassazione dei quartesi a vantaggio dei censiti colpiti dalla prediale (art. 1,4,6 e 7) hanno da parte sua ammesso non solo, ma confermato a denunziati allora i propri presi onde diminuire in proporzione il proprio gravame. La Curia, che custodisce fra i propri atti i modelli legali delle denunzie fatte nel luglio 1805 dai beneficiati, conserva quella pure inviatale dal fu parroco Bottamella di Croce, il quale aveva sottoposto al tassamento per quartese: «Frumento st. 24, Legumi st. 1.1; sorgoturco st. 74; sorgorosso st. 16; avena st. 2; vino botti 4; livello £ 24; per canapa £ 27; » In complesso un annuo reddito (dicevasi l’anno 1862) di Fiorini 1090.00 pari ad un capitale 100 per 5 di Fiorini 20900.00 (Atto Curiale in busta Quartese, per evadere le Delegature di Venezia 5 aprile 26 maggio e 30 luglio 1862, N 3744/382, 5643/520 e 7134/703. Si viene a conoscere nel 1862 col mezzo del vicario foraneo inquirente per l’Amministrazione dei Beni Vescovili e quindi per la stessa Delegazione Provinciale di Venezia, che a Croce il beneficio: «costituito di soli quartesi, doveva fare annuali contestazioni per violazione della quantità e qualità dei generi da pagarsi; e che il defraudo deploravasi da parte dei così detti signori, i quali facevano eseguire il lavoro direttamente e toglievano 1/3 del diritto del parroco; essi costituivano i 2/3 della fondiaria soggetta alla decima » (Atti decime).
A Sandonà qualche proprietario (Trezza) appartenente a questa classe voleva ridurre l’onere ad un quoto annuo anche nel 1884, e quindi affrancarlo con evidente defraudo; anche certo Arzentin, proprietario di Noventa, pretendeva sospendere il pagamento di canone quartese perché si riteneva esente (circa 1856) e nella parrocchia di Monastier olim “San Pietro de Pyro ”che fu, come Croce, jus civile del Patriarcato Aquilejense, i Nerini a lungo dibaterrono in tribunale l’asserzione, che non eravi onere, ma ne furono con sentenze persuasi.
Il Parroco ritiene che anche il Consorzio Idraulico di Croce di Piave in Musile sorto per lo scolo delle acque e la migliorazione dell’Agricoltura sia in grado di dichiarare se sulla proprietà fondiaria calcolata la cointeressenza del beneficio parrocchiale agli effetti censuari e se nelle compravendite, ed atti relativi ad ipoteca, si tenga presente tale deprezzamento del terreno per il preso del quartese dovuto al beneficio di Croce.
La ditta Beatrice Bianchini di Rosa, amministrata dal Comm. Costante Gris di Zerman, nel 1809 sollevò questione sull’onere […?…], e si convinse, che i così detti novali ne andavano esenti: di qui l’appello del Parroco alla Curia; oggetto di un carteggio che ancora non è definito, al quale presero parte Magistrato C° Agnoletto e l’Avv. Jacopo Bombardella. Pare che il diritto antico favorisca il parroco, chiamandosi “novali” terreni forse sodi in altro tempo. Per compravendita, nel 1821, gli è successo Alceste Mioni, ricco banchiere padovano, che possiede anche l’Oratorio di Ca’ Malipiero. Sarebbe desiderio del parroco fare studiare la questione e, nel caso domandargli il pagamento.

Il 26 luglio ci furono 9 vittime a Ravenna negli scontri tra fascisti e manifestanti, il 31 uno sciopero dell’Alleanza del lavoro chiese la formazione di un governo di sinistra contro le violenze fasciste e Mussolini lanciò l’ultimatum al governo che avrebbe ristabilito l’ordine “con ogni mezzo” se le autorità non avessero preso provvedimenti, il giorno dopo si formò un nuovo governo Facta, che si prefisse di ristabilire l’ “imperio della legge”, il 3 agosto squadre fasciste occuparono Palazzo Marino a Milano, sede del Comune, e devastarono la sede dell’ “Avanti”; episodi analoghi si verificarono a Livorno, dove l’amministrazione fu costretta a dimettersi, e a Parma; alla fine degli incidenti dieci furono i morti e molti i feriti.





Nuovo monumento ai caduti

In settembre, nel cimitero militare di Croce, su uno dei fianchi della piramide tronca di roccia che costituiva il nuovo monumento, sormontato da un tripode di bronzo, fu collocata la targa voluta dal Comitato promotore per le onoranze dei caduti in difesa di Venezia.

In base alla ricognizione precisa dei sepolti eseguita il giorno 8 settembre le salme risultarono 1605:
839 di italiani,
761 di austriaci,
5 di sconosciuti;
tutte di soldati caduti durante la battaglia del Solstizio.


Tre giorni dopo, 11 settembre, fu fatta anche la ricognizione delle salme dei soldati sepolti nel cimitero civile, che erano due, quella del capitano Tito Acerbo e quella del sottotenente Giovanni Locatelli.
Il registro dei morti del cimitero militare fu affidato a don Natale.

Cimitero Militare
di
Croce di Piave
Musile

Capitano Acerbo

Musile sul Piave 8 Settembre 1922

Il Cappellano Militare
Don Luigi Gilardi

Il paroco diede un’occhiata al frontespizio, quindi aprì la prima pagina e scorse sommariamente.

Elenco nominativo
dei Militari Italiani e Austriaci sepolti nel
Cimitero Militare
di
Croce di Piave

Fila Prima
È parallella
[sic] al muro di cinta prospiciente la strada per Croce. Ogni fila è composta di sei trinceroni. Il numero progressivo dell’elenco è pure il N.° di tomba (cfr. schizzo planimetria) che sulle targhette opposte alle croci è a sinistra, in alto. La numerazione ha inizio da destra a sinistra, cioè le file e trinceroni incominciano sempre dal lato del cimitero Civile.

N.° progressivo
e di tomba
Numero di targhettaCasato e NomeRepartodata di morte

Trincerone 1°

1 D82878Cinque Italiani morti in guerra
2 D82875Dieci Italiani morti in guerra
3 83896Dieci Italiani morti in guerra
4 82876Dieci Italiani morti in guerra

Trincerone 2°

5Dieci Italiani morti in guerra
6Nove “
7Dieci “
8Uno “

Trincerone 3°

9Dieci Italiani morti in guerra
10Dieci “
11Dieci “

Trincerone 4°

12Formighi Zeffiro soldato 226 Fanteria10–12–17
13Romano Lodovico soldato 226 Fanteria11–12–17
14Tafrate Domenico “ id10–12–17
15Masi Luigi “ id id
16Bariola Vittorio soldato 225 Fanteria id
17Lunghi Enrico soldato 226 Fanteria id
18Guglielmi Leandro “ id id
19Inale Raffaele “ id id
20Gelosia Federico “ id id
21Puleo Antonino “ id 14–12–17
22Lacchei Enrico “ id id
23Barbantini Carlo “ id id
24Lodani Pietro “ id id
25Fanno Angelo soldato 202 Fanteria
26Antonietti Paolo soldato 202 Fanteria

Trincerone 5°

27 D 79357N.° 10 Austriaci morti in guerra
28 76667N.° 10 “
29 79358N.° 10 “
30 79521N.° 10 “
31 79416N.° 10 “

Trincerone 6°

32 76276N.° 11 Italiani morti in guerra
33 78998N.° 11 “
34 78982N.° 6 “

Fila seconda…

Il registro proseguiva uguale a se stesso fino alla Fila undicesima.
Durante la cerimonia d’inaugurazione della targa, lo sguardo di don Natale si perse lungo le fughe delle file formate dalle 528 croci – in legno – imbiancate – meschinissine – tutte provviste di targa di zinco: definitive per i morti austriaci, destinate ad essere sostituite quelle degli italiani con più appariscenti croci ferrosmaltate. La guerra era una brutta bestia; «… àseni…» pronunciò a bassa voce il paroco, rivolgendo idealmente l’insulto a tutti coloro che avevano voluto quella terribile guerra. Risalì quindi i tre gradini che lo rimenavano al cimitero parrocchiale e passò tra le tombe più recenti per benedire i morti che avevano lasciato di recente questa vita terrena e dire una Requiem Aeternam ai suoi genitori. Il cimitero parrocchiale era stato costruito più o meno l’anno della sua nascita: le date di morte sulle tombe dei crocesi là seppelliti erano le date della sua vita. Prima di quell’epoca i morti venivano sepolti attorno alla chiesa e nel terreno vicino al “brollo”, terreno che ora era coltivato da Nano (Ferdinando) Campanaron, che di tanto in tanto trovava sotto la vanga qualche osso antico. Per un breve periodo, tra il 1865 e il 1871, aveva funzionato un cimitero, nel terreno delle scuole San Rocco, al confine con Musile, un cimitero promiscuo con la parrocchia di Musile voluto dalle autorità civili, questo gli aveva raccontato don Sebastiano. Sul Registro dei morti di Croce in data 27 agosto 1865 era registrata “Luigia Bennaguci Collauto di qui, di anni 24...” “sepolta nel nuovo cimitero per la prima”; i morti di Croce venivano seppelliti nella parte destra e quelli di Musile nella sinistra. Ma la popolazione mal sirassegnò al nuovo cimitero. L’autorità civile insistette e l’ordinanza di usarlo, salvo qualche eccezione di seppellimento nel cimitero parrocchiale, fu rispettata per qualche anno. Nel 1866 il Veneto era divenuto italiano e i meno fiscali amministratori italiani, così ricordava don Natale dei racconti di don Sebastiano, avevano concesso che venisse adibito a nuovo cimitero l’appezzamento di terra a duecento metri dalla chiesa donato allo scopo dal Conte Prina al Comune. In ogni caso era tutto scritto sul Libro dei morti: “Sartori D’Andrea Regina di qui, figlia fu Gaetano e Cuccato Angela d’anni 34 morì per febbre tifoidea li 9 ottobre 1871 ore 11 munita di tutti i Soccorsi di nostra religione Cattolica; era moglie di Osvaldo D’Andrea detto Pittana di qui; fu sepolta nel nuovissimo cimitero per primo cadavere li 11 ottobre 1871 ore 9 da me don Sebastiano Busnardo Arciprete. Il nuovissimo cimitero era stato costruito sul fondo del S.r G.e Angelo Prina che l’aveva donato al comune di Musile purché venisse fatto in prossimità della Chiesa Parrocchiale ed essendo il terreno donato dal Conte Prina tra quelli condotti dal fattore Antoniazzi, il camposanto fu da allora indicato con la locuzione “da Antoniazzi”. “Quando ’ndarò da Antoniazzi...” significava “Quando sarò morto”. Con la costruzione del nuovo cimitero, quello vicino alla chiesa era stato abbandonato e i morti via via trasferiti, molte lapidi erano però rimaste sul muro esterno della chiesa. In questi mesi di lavori sulla chiesa, resti di defunti tornavano continuamente alla luce. Il nuovo cimitero, circondato da un muretto in pietra, era stato dotato di un oratorio dedicato a San Giuseppe, la cui porta d’ingresso dava su via Croce ed era pertanto considerato Oratorio Pubblico. Con la guerra 1915-18 era andato distrutto l’oratorio ma soprattutto s’era imposta la necessità di trovar terreno per i soldati morti, perciò fu destinato a cimitero militare il lotto di terreno attiguo.

Il 20 settembre Mussolini dichiarava che il fascismo rinunciava alla pregiudiziale repubblicana e annunciava la volontà di “demolire tutta la struttura socialista-democratica dello Stato”. Le baracche a uso scuole necessitavano di riparazioni, che furono eseguite dalla ditta “Baron Enrico & fratello – Laboratorio di falegnameria – costruzione mobili – Musile”. La richiesta di pagamento dei lavori (che sarà presentata il 15 novembre) riporta le otto scuole del Comune: Salsi, Caposile, Paludello,


     Scuola Cascinelle
Riparato il pavimento e N° 1 luchetto			L. 21
Vetri con posa in opera N° 3 da 40 X 35			L. 18
Riparato il coperto e 
rimesso eternit nuove      				L.285
id. finestre e scuri con N° 1 scuro nuovo 
con posa in opera 					L. 65

     Scuola Musile Cento 
N°4 […]

     Scuole Croce centro
	
Riparazione pavimenti, finestre e scuri	|		L. 45
Puntellato la baracca con N°2 travi	|I° scuola	L. 55
Vetri con posa in opera N°5 da 30 a 35	|		L. 25
	
Riparato il pavimento			|		L. 30
Riparazione pavimento scuri e finestre	|II° scuola	L. 25
n° 1 lucchetto				|		L.  4,50
Vetri con posa in opera N° 9 da 45 X 48	|		L. 58
	
     Scuola Fossetta
Riparazione porte					L. 10
Vetri con posa in opera N° 3 da 50 X 38			L.  9
N° 1 stufa con posa in opera, trasporto 
e relativi tubi 					L.285
Imbiancatura n° 3 stanze				L. 75

     Scuola Centro Musile […]

Le due baracche in centro a Croce erano posizionate nel terreno che Pietro Scantamburlo aveva preso in affitto da una congregazione religiosa, terreno che egli, prima della guerra, a sua volta aveva subaffittato come orto alla Maestra Berton. La scuola alla Fossetta era, ricordiamolo, nei locali della Regina Vendraminetto, gestora dell’osteria alla Fossetta. La scuola alle Cascinelle era posizionata sui terreni di Nicola Bizzaro. Il Comune pagava a legittimi proprietari il fitto del terreno.

Il palazzo comunale - Ville come sentinelle ai bivi del paese

Se la chiesa stentava ad arrivare al tetto, erano invece proceduti (o stavano procedendo) velocemente i lavori di costruzione del fabbricato comunale sul lato sinistro della via principale. Ed erano giunte velocemente e felicemente a conclusione le ville delle ex-vedove Gradenigo, rimaritate e facilmente convinte che il loro nuovo amore aveva bisogno di un nido adeguato.
Sotto la guida del colonnello Riccardo Gioia, la contessa Rachele Sacerdoti profuse i suoi avere nella villa che vediamo riprodotta qui sotto, all’incrocio della Strada matta.


Villa Gradenigo-Gioia, costruita dal Colonnello negli anni 1922-23

A gara con quella, sotto la guida di Renato Cuppini, sorse a bella mostra quella della contessa Morosina de Concina, accanto alla storica Casa Gradenigo del bivio.


Villa Gradenigo-Cuppini, costruita negli anni 1922-23

Il I ottobre, con l’inizio dell’anno scolastico, prendeva servizio il dottor Raimondo Stochino, medico del II comparto, quello di Croce.
Qualche settimana dopo fece scalpore in tutta la diocesi la morte di suor Maria Bertilla Boscardin, la suora dorotea che tanto aveva fatto per i soldati all’ospedale di Treviso durante la guerra, poi allontanata per incomprensioni con la sua superiora e destinata a lavori di lavanderia, e da poco ritornata a lavorare in ospedale a Treviso. Il tumore, sconfitto in gioventù, si era rifatto vivo e l’aveva consumata. La partecipazione ai funerali fu tanta e tale che impressionò la nazione. Cominciò il viavai sulla sua tomba.

Le squadracce fasciste di reduci e fiamme nere battevano l’Argine San Marco o più spesso la strada della Fossetta; erano costituite di gente che aveva avuto i suoi momenti di gloria durante la guerra e non ne voleva sapere, non riusciva, ad adattarsi alla vita democratica. Con loro erano degli sbandati attirati dall’ideologia violenta propugnata dai Fasci di combattimento. Scontri e scazzottate tra socialisti e fascisti – e qualche volta si trovavano in mezzo anche i popolari – si erano verificate spesso in centro a Musile senza che mai nessuno riuscisse ad avere la meglio. I fascisti locali gonfiarono il petto quando giunse la notizia della Marcia su Roma (28 ottobre) e della salita al potere di Mussolini: cominciava il nuovo “ordine”, regolato da insulti, intimidazioni, olio di ricino per gli avversari, violenze piccole e grandi, prima contro i nemici del fascismo e poi anche contro i tiepidi. Il 4 novembre, anniversario della Vittoria, un tal Seganti, fascista della prima ora, giunto per chissà quale ragione a Croce – aveva qualche parente tra i soldati defunti o era stato istigato da qualche notabile musilotto a creare problemi al parroco? – chiese a Don Natale, e non ottenne, lo spostamento degli orari della processione della Festa del Milite Ignoto. Non ricevendo ascolto, mandò nei giorni successivi una lettera di rimostranze al Patriarca di Venezia, non sapendo che Croce di Piave apparteneva alla diocesi di Treviso: si lamentò che il parroco di Croce non dava sufficiente lustro alle celebrazioni militari. Forse l’avevano mal informato, forse Don Natale gli aveva dato l’idea di non lasciarsi trascinare per la tonaca dai fascisti... Comunque Don Natale fu chiamato a discolparsi e lo fece con la sua precisa e colorita onestà.

Ill.mo e Rev.mo Mons. Vitale Gallina
					Provicario Generale
								Treviso

		A riscontro vostra lettera 8 Nov. 1922, notifico che ogni 
anno la sera di tutti i Santi ho fatto la Processione solenne al 
Cimitero comunale e militare attiguo, ed ho impartito la Benedizione 
ai morti dell’uno e dell’altro cimitero con le preci di rito.
	Li 2 Luglio 1922, Domenica 4a dopo Pentecoste, a richiesta 
dell’Autorità militare, ho fatto una Ufficiatura solenne pro militibus 
con la Messa solenne della Domenica ore 9½ (cantata da quattro 
cantori a due voci di Mitterer), nella quale ho letto brevi parole di 
circostanza. 
Dopo la Messa ho formato uno splendido corteo con l’intervento 
delle autorità militari e comunali stesse: un Capitano, due tenenti, 
graduati, militari decorati, Sindaco, tutto il popolo e mi sono recato 
al Cimitero militare dove ho dato la Benedizione alla salme secondo 
il rito.
	Dopo la splendida funzione il Capitano, i graduati, i decorati, 
son venuti nella mia Canonica a ringraziarmi e congratularsi meco 
per la funzione riuscitissima sotto ogni aspetto e per il breve 
discorso da me tenuto veramente ispirato, dicevano, ad amor di 
patria e di religione. 
Ed hanno dichiarato che in nessun altro paese dove sono stati, hanno 
provato una soddisfazione uguale a quella provata a Croce di Piave.
	Il I° Novembre corr. nelle ore pom. ho fatto come di metodo 
processione, benedizione al cimitero comunale e militare col 
concorso massimo della popolazione, attesa anche la giornata 
splendida.
Poi il 4 Nov. corr. anniversario  < del milite ignoto > a richiesta di 
un comitato di giovanni e signore del paese, e dietro permesso di 
Sua Ecc. Mons. Vescovo pro un vice, ho cantato Messa all’aperto nel 
centro del Cimitero militare, tenendo brevi parole di circostanza 
colle preci di rito, con l’intervento della popolazione e con 
soddisfazione di tutti i presenti.
	Ecco tutto.
Da informazioni avute mi consta che il Sig r Seganti Mario di Lugo 
(Ravenna) non fu presente ad alcuna delle suddette funzioni 
funebri da me fatte, né mai si è fatto vedere da me.
Mi consta ancora che il Seganti trovandosi a Croce la sera di 
tutti i Santi, desiderando partire colla corsa delle 4 pomeridiane 
pretendeva, parlando colla gente in istrada, che la processione 
al cimitero fosse fatta subito a suo talento per arrivare a tempo 
di prendere il treno delle 4.
   Ora io non avrei potuto nemmeno immaginare il desiderio, meglio 
il pretesto  del Seganti, non sapendo di avere un tanto pellegrino 
in parrocchia! 
Quindi dopo qualche giorno mi giunse per posta la famosa lettera 
del Seganti in data 5 corr., nella quale mostra animo cattivo, 
mancanza di educazione e di religione.
   Con ossequio

  Croce di Piave 10 Novembre 1922
					       Devotissimo Paroco
					Dn Natale Simionato.

Monsignor Gallina ritenne più che esaustiva la risposta (da sempre aveva un occhio amichevole per il suo don Natale) e così rispose al Seganti:

			Treviso, li 15 – 11 - 1922
CURIA VESCOVILE
    TREVISO	  

              Ill.mo Signore 

Sua Eminenza il Patriarca di Venezia passò a questa Curia di Treviso, 
alla quale appartiene la Parrocchia di Croce di Piave, copia di una 
lettera che la S. V. ha indirizzata a quel Parroco, nella quale Ella 
espone accuse piuttosto gravi a suo carico con linguaggio a dir il vero 
poco rispettoso per non dire peggio. 
Sempre solleciti, perché i nostri sacerdoti non abbiano a mancare ad 
alcuno dei loro doveri e a quei sensi di pietà che si devono ai morti 
e specialmente ai morti gloriosi, che hanno un diritto speciale alla 
gratitudine di tutti, abbiamo voluto fare un po’ di inchiesta; 
e abbiamo il piacere di assicurarle che Ella è stata male informata e 
che se nel giorno di tutti i Santi avesse potuto fermarsi colà fino a dopo 
i vespri, avrebbe veduto dopo le preci di rito in baracca Parroco e 
fedeli recarsi al cimitero parrocchiale e poi al cimitero militare 
come si suol fare in tutte le nostre parrocchie. 
Con perfetta osservanza.

			M or Vitale Gallina
			Provicario generale

I metodi fascisti erano chiari. Il giorno dopo Mussolini pronunciava alla Camera il suo discorso in occasione del voto di fiducia: “Potevo fare di questa aula sorda e grigia un bivacco di manipoli. Potevo sprangare il Parlamento e costituire un governo esclusivamente di fascisti. Potevo, ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto”. Programma per la politica estera: rispetto dei trattati, difesa degli interessi nazionali. Programma per la politica interna: “economia, ordine, disciplina”. L’11 dicembre veniva istituito il Gran Consiglio del Fascismo, organo deliberativo e consultivo del regime fascista.

Il parroco di Musile, don Tisato, non si sa se indotto dalla propaganda musilotta o dalla nascente prassi di condotta medica che cominciava a considerare la zona delle Case Bianche ormai parte di Musile, “ingenuamente” non credette scorretto dare sepoltura a due morticini di quelle case. Ma era uno sgarbo, una sopraffazione nei confronti del parroco di Croce alla cui parrocchia quelle case appartenevano.

Il 21 dicembre Pietro Scatamburlo si faceva scrivere dalla maestra Berton la richiesta alla Giunta

a volergli corrispondere l’importo dell’affitto del terreno occupato dalle baracche e piazzale della scuola diretta dalla maestra Berton a Croce di Piave. Tale terreno costituiva, anteguerra, l’orto della maestra per la quale pagava l’affitto al sottoscritto. Ci sono due anni e mezzo da corrispondere a 50 lire all’anno. Ringraziamenti ed ossequi.

La questione del quartese dovuto o non dovuto sulle terre novali ricompariva su un documento – privo di data, ma che ci pare opportuno collocare qui – che riporta la richiesta (alla Curia) di compenso per l’utilizzo da parte della parrocchia dell’oratorio alla Fossetta.

In parrocchia di Croce esiste in località Fossetta l’oratorio dedicato alla B. V. del Rosario.
Proprietà dei Malipiero (1745-91) dai quali l’odierno nome, Ca’ Malipiero, fino al 1921 era dell’Amministrazione Beatrice Bianchini di Rosa, che lo ha ceduto al banchiere di Padova Sig. Alceste Mion.
L’Oratorio durante la guerra fu rovinato, l’odierno proprietario ha fatto domanda per il compenso, dovendo servire per la Messa festiva della popolazione che è lontana Km. 5 dalla diruta chiesa parrocchiale (sostituita dopo il 1918 da baracca di legno fino alla ricostruzione per parte del. Min. Terre Liberate)
Sono noti i rapporti legali precorsi fra il proprietario Bianchini ed il parroco per quartese su fondi riscattati all’agricoltura mediante il consorzio, che si volle negare assolutamente come onere fisso sui novali.

La scrittura sul foglio risulta identica a quella su di un altro documento recante il timbro della “Curia vescovile di Treviso” che offre una ricognizione (evidentemente post-bellica) degli oratori presenti sul territorio di Croce:

Oratorio del Rosario alla Fossetta
Era (1745) di Zaccaria Malipiero, poi (1778 e 1791) Chiara Malipiero Cappello, con Mansioneria.
Si diceva bello, con statue, allora, e nel 1882 elegante.
Dicevasi della N.D. Pisani (1882)
Notasi che a croce v’erano 4 oratori anche nel 1792, cioè questi, ora ridotti a due
(1) questo: del Rosario a Fossetta,
(2) quello di Foscari, tit. B. Carmeli
(3) quello della Commissaria Giusti al Coltello Scuole (tit. Dolorata)
(4) quello dei Da Lezze al traghetto in onore di S. Francesco, dato ai Barcajuoli

Più urgente per don Natale era la questione dei confini della parrocchia, sui quali la Curia di Treviso, nella persona del vescovo Apollonio, aveva già preso la sua decisone ventiquattro anni prima, che era quella di lasciar le cose com’erano, punto. Così prese carta e penna e scrisse una lettera di fuoco al provicario Generale:


Ill. mo e Rev. mo Mons. D. Vitale Gallina
			Pro Vicario Generale
						Treviso  
	Mi consta che il paroco di Musile, senza punto interpellare 
il paroco di Croce, né il cappellano, si permise di levare due 
morticini nella parrocchia di Croce, frazione < case bianche >, 
e col massimo apparato di bambine biancovestite, condurre 
le due salme alla chiesa di Musile e quindi al cimitero.
    Il primo funerale avvenne li 16 Nov., il secondo li 19 
    Dicembre 1922.
    Le due salme appartenevano a due fratelli di principî moderni... 
uno dei quali vive in concubinato mentre ha la prima moglie 
sposata in chiesa, ancor viva fuori di parrocchia.
    Sembra che il paroco di Musile voglia fare propaganda 
solenne per lusingare o meglio ingannare le buone famiglie 
delle < case bianche > a seguire i suoi capricci mettendosi 
d’accordo con qualche disgraziato e provocare così discordie 
e scissioni nella pacifica e buona frazione delle < case bianche > 
di Croce.
   Pertanto con tutto l’animo mio protesto per tali sopraffazioni 
ed abusi inauditi da parte del paroco di Musile contro i diritti del
paroco di Croce, e pro bono pacis esigo che né il paroco né il 
cappellano di Musile abbiano più a ingerirsi ne’ diritti del sacro 
ministero del paroco di Croce, e neppure a prendersi la libertà di 
andare per accattonaggi in parrocchia di Croce sempre a scopi 
sovversivi.
    I sacerdoti di Croce furono e sono più che sufficienti per ben 
servire la parrocchia, e in caso di bisogno il paroco di Croce 
non manca di provvedere.
E come la frazione < case bianche > ha la propria chiesa, così 
la frazione < Ca’ Malipiero > ha la sua e non meno distante dalla 
Chiesa parrocchiale: colla differenza che dalla frazione 
< Ca’ Malipiero > il paroco di Croce non ebbe mai da lamentare 
il minimo dispiacere per intrighi dei parroci circonvicini. Così 
il paroco di Croce intende ed esige di non aver intrighi o peggio 
da parte dei sacerdoti di Musile.
  Con profondo ossequi

  Croce di Piave 22 Dicembre 1922
				Dev. mo paroco
				D. Natale Simionato.

	Io sottoscritto mi unisco pienamente alla pro-
	testa giusta e doverosa del Parroco di Croce di Piave.
			Don Luigi Pasqualetto Cappellano.

Don Natale difende con le unghie le < Case bianche >

In Curia, dove lo smembramento era già stato deciso, non se l’aspettavano una reazione del genere.

Il 28 dicembre il Consiglio dei ministri approvava l’istituzione della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale e il 12 gennaio il Gran consiglio del fascismo sanciva lo scioglimento delle squadre d’azione.

Don Natale fu invitato a spiegare le ragioni per le quali si opponeva, essendo il decreto dettato da opportunità logistiche e di semplificazione amministrativa. Don Natale, ricorrendo a tutte le sue abilità dialettiche, inviò una seconda, lunghissima lettera, in cui esponeva la situazione religiosa, economica e civile delle Case Bianche (30 gennaio 1923)

Croce di Piave
Oggetto < Case bianche >
________________________
Eccellenza Ill.ma e Rev.ma
Mons. Andrea Giacinto Longhin Vescovo di

Treviso

Mi consta che a Musile si è costituito un comitato di alcuni superuomini senza Dio e senza Religione, con a capo il nuovo medico ateo , d’intesa col Paroco locale, più due famiglie oriunde da Musile, attualmente domiciliate a Croce, Mucelli e Vazzoler, i quali avrebbero inoltrato istanza a Vostra Ecc. Ill.ma e Rev.ma per ottenere lo smembramento della frazione di Croce ed aggregarla alla parrocchia di Musile.

Consta che la mozione ferve specialmente dopo guerra, cioè dopo che a richiesta della frazione stessa, io sottoscritto paroco, ho posto nel centro delle casebianche un’ampia e bella baracca uso chiesa, dove i frazionisti con tutta comodità compiono i loro doveri religiosi, ed in un prossimo avvenire detta baracca verrà sostituita in una bella chiesetta stabile per volontà della frazione stessa.

Ora permetta V. Ecc. Ill.ma e Rev.ma che io umile paroco, esponga per sommi capi lo stato vero della questione per provare le vane pretese di Musile, e la necessità e convenienza di conservare integra la parrocchia di Croce.

Per ragione di chiarezza considero la questione sotto tre aspetti: religioso, economico, civile.

I° Dal lato religioso

In primo luogo, fra parentesi, dico desta le risa e insieme provoca indignazione, come un comitato composto per lo più di persone senza religione, voglia interessarsi delle coscienze altrui, ed obbligare in particolare la frazione < case bianche > di andare a Messa a Musile, piuttosto (che) a Croce, o a . Donà, o altrove.

Ora entrando in argomento dico che la questione fu già presa ad esame 25 anni fa da Sua Ecc. Mons. Apollonio, il quale dopo matura considerazione, decise che la parrocchia di Croce rimanga integra. Tale sentenza fu accolta con la massima soddisfazione dalla frazione < case bianche > e da tutta la parrocchia. E quindi integra e senza condizioni fu conferita a me umile paroco per investitura ecclesiastica e R. Placet.

È da notarsi che a quell’epoca la frazione < case bianche > non aveva nel suo centro una chiesa come l’ha oggi per quanto modesta, che, come dissi, sarà tramutata in chiesa stabile. Contuttociò anche allora la frazione era ben servita dai sacerdoti di Croce.

La distanza dalla chiesa di Croce al centro < case bianche > non supera i 3 chilometri e 700 metri per viam breviorem in parte già consolidata e in parte circa 700 metri da consolidare. E le famiglie delle < case bianche > avrebbero praticato questa via breve già da oltre mezzo secolo, se il Municipio di Musile non avesse a bello studio, obbligate le famiglie stesse a percorrere la via di circonvallazione, o S. Marco, kilometri 5, per arrivare alla chiesa parrocchiale di Croce.

Dal centro < case bianche > alla chiesa di Musile havvi una distanza di circa tre chilometri, e una gran parte delle famiglie hanno la medesima distanza per venire a Croce, come per andare a Musile, o a San Donà. Ora per una differenza di sì poca entità, e per questo solo motivo, vale forse la penna di sconvolgere la parrocchia, smembrando le case bianche, mentre ad esse nulla manca dal lato spirituale e nulla hanno da reclamare?!

Faccio osservare a Vostra Ecc. Ill.ma e Rev.ma che se ai sacerdoti di Musile sopravanza un po’ di tempo hanno in parrocchia due frazioni < Caposile > e < Salsi >, le quali distano dalla chiesa parrocchiale rispettivamente 5 km e oltre 12 chilometri. Quelle frazioni non hanno certo quei conforti religiosi che ha la frazione < casebianche > di Croce.

Noto ancora che la frazione < Case bianche > frequenta la propria chiesa, o S. Donà, pochissimo Musile, anzi il centro stesso di Musile pratica S. Donà.

Facio presente che la frazione < case bianche > non abbandonerà mai le tombe dei loro cari in cimitero di Croce, ad onta che qualche ufficiale di Musile vorrebbe oggi obbligare le case bianche a portare le loro salme in cimitero di Musile, e imporre alle famiglie stesse a pagare una tassa se vogliono collocarvi una croce anche di legno.

Fò presente in fine che la frazione < Ca’ Malipiero > di Croce, si trova nelle identiche condizioni della frazione < case bianche > e quella frazione non ha nulla da reclamare dal lato spirituale, né punto è molestata dai sacerdoti delle parrocchie circonvicine. Però è da considerarsi che accordando oggi lo smembramento delle < case bianche > domani potrebbe insorgere la frazione per simili pretesti.

II° Dal lato economico

In Comune di Musile esistono due Consorzi: Consorzio di Musile e Consorzio di Croce. Musile pel proprio Consorzio da 70 anni a questa parte si è triplicata in estensione con grande vantaggio per quartese od offerte al paroco di Musile. Croce pure da oltre 60 anni ha aumentato pel proprio Consorzio nel quale sono comprese le case bianche. Ora sarà pure giusto e naturale che anche Croce aumenti per conto proprio e non per gli estranei.

E quì faccio osservare che prima del Consorzio le case bianche erano paludi, e le famiglie che vi abitavano sugli argini, vivevano di strame, rane, pesci. Quelle famiglie furono servite sempre dai sacerdoti di Croce gratis et amore Dei. Allora Musile non si è mai sognato di domandare le < case bianche > perché non aveva alcun interesse, bensì le pretende oggi che la frazione è ridotta ad un giardino a spese e fatiche delle famiglie e proprietari di Croce.

Come dunque i sacerdoti di Croce hanno servito gratis et amore Dei prima del Consorzio, non è giusto e naturale che questi servano le anche oggi che son migliorate le condizioni economiche?!

Ed è da notarsi che le famiglie d’oggi, sono quasi tutte quelle medesime che furono cinquanta, sessanta anni fa, e più.

Facio osservare che la parrocchia di Croce oggi ha sommamente bisogno di perfetta unità e pace per la ricostruzione della propria chiesa, e Musile approfitta invece del momento debole per Croce per ottenerne lo sfacelo.

Anzi il solo discutere oggi di smembramento della parrocchia, porta già un grave danno morale ed economico alla chiesa di Croce.

Inoltre è necessario considerare che nella parrocchia di Croce, le frazioni che riconoscono il dovere delle decime e che pagano, sono due: ; le altre frazioni, Ca’ Malipiero, Fossetta, Bellesine, Cassinelle che comprendono oltre metà della parrocchia, non riconoscono quartese e non pagano, ovvero danno liberamente a titolo di oblazione , come già ho notificato più volte a cotesta Ill.ma e Rev.ma Autorità ecclesiastica. (Es. Ditta Mion, Co. Prina Breganze-Franceschini).

Ora è giusto forse, che alla parrocchia di Croce venga sottratta la parte che paga le decime per lasciarle le parti che non pagano le decime?

Infine ricordo che Musile ha un legato per la Messa a Caposile, mentre a Croce non esistono legati.

III° Dal lato civile

Premesso che una gran parte delle firme applicate all’istanza di Musile, non sono autentiche, come mi si riferisce: molti altri firmatari mi dichiarano di essere stati ingannati, perché intendevano che scopo dell’istanza fosse meramente politico, non mai religioso, cioè che la sede del Municipio rimanesse a Musile.

E qui facio osservare che il perno della questione non è religioso ma civile.

Cioè Musile vorrebbe con la maggior estensione di territori anche la maggioranza delle popolazione per assicurarsi il sopravvento politico su Croce.

Fino a jeri Musile ha dominato su Croce per il prestigio del maggior Sicher: oggi in mancanza di Sicher, Musile vorrebbe dominare col numero. Ma è proprio quì che non c’intendiamo: perché Croce fu sempre trascurata dal Capoluogo in tutti i conforti e necessità della vita: cioè in fatto di strade, acqua, luce, scuole, posta, medico, ecc. e fu obbligata sempre a pagare tasse senza alcun utile, mentre Musile è ridotta ad un Parigi.

Che [se] Croce dopoguerra ha ottenuto con fatica un medico proprio, una scuola, qualche fontana d’acqua fu a merito dei consiglieri di Croce.

Facio osservare infine che oggi in parrocchia di Croce si stanno prosciugando le ultime paludi in prossimità del fiume Sile. Fra pochi anni quelle nuove terre saranno abitate da nuove e molte famiglie.

Allora sarà il momento opportuno che cotesta Ill.ma e Rev.ma Autorità eccl. , d’intesa coi proprietari e coloni provveda d’un curato e chiesetta propria in quella località di Croce.

Conclusione

A conclusione delle ragioni ed osservazioni suesposte io sottoscritto ed umile paroco, che da trent’anni, cioè dal 1893, servo la parrocchia di Croce e conosco chiaramente le condizioni di tutto il Comune, facio umilmente a cotesta Ill.ma e Rev.ma Autorità eccl. le seguenti proproste che credo necessarie ed opportune pel bene generale del paese ora e sempre, senza pregiudizio di parte.
I°. Che la parrocchia di Croce rimanga integra com’è, con due sacerdoti a Croce, sufficienti a servire anche le due frazioni di < Case bianche > e < Ca’ Malipiero >, aventi già chiesa propria.
II°. Propongo che da qui ad alcuni anni sia presa in considerazione la nuova Bonifica di Croce presso il Sile per vedere se o meno sarà opportuno collocare un curato con chiesa propria.
III°. Che la parrocchia di Musile è giusto rimanga pure in statu quo, essendo di molto già ampliata per le proprie bonifiche, e la popolazione va ognor più aumentando.
IV°. Che nel centro di Musile è sufficiente il Paroco, essendo Musile un pleonasmo di S. Donà: che il cappellano di Musile sarebbe necessario avesse dimora stabile a Caposile per servire anche la frazione che dista dalla parrocchia oltre 12 chilometri, e le nuove bonifiche di Musile.
V°. Che finalmente dover oggi parlare di smembramento della parrocchia di Croce dopo 30 anni ch’io la servo con paterno amore, mi reca il massimo dispiacere, per cui preferirei di piangerle tutte insieme queste anime, anzi che perderne anche una sola.

Con profondo ossequio bacio la mano a Vostra Ecc. Ill.ma e Rev.ma implorando la pastorale benedizione sopra di me e parrocchia.

Croce di Piave 30 gennaio 1923

Umiliss. paroco.
Don Natale Simionato.

Beh, ecco: don Natale l’aveva detto: Musile non era che un pleonasmo di San Donà. Ma intuì che le proprie osservazioni da sole potevano non bastare. E allora, tramite i fabbricieri, fece radunare nella baracca-oratorio alle Case Bianche tutti i coloni di quella parte della parrocchia perché ribadissero per iscritto le ragioni che aveva appena inviato al vescovo. Attilio Guseo, che non era delle Case Bianche, ma era un assessore comunale e sapeva farsi ascoltare, appena ottenuto un po’ di silenzio, lesse con la sua bella voce la lettera che il fabbriciere Angelo Moro aveva stilato.

Eccellenza Ill.ma e Rever.ma
Monsignor Andrea Giacinto Longhin
Vescovo di Treviso

I sottoscritti coloni della frazione di Case Bianche «Croce di Piave» fanno presente a S. E. Ill.ma, che essendo venuti a conoscenza che l’autorità ecclesiastica, in seguito all’istanza di altre persone, animate e spinte da secondi fini, avesse intenzione di separare la nostra frazione dalla Parrocchia di Croce per essere aggregata a quella di Musile, portano a conoscenza quanto segue:
I°. Molti di noi sottoscritti firmarono la precedente lista erroneamente ed abbindolati da falsi ragionamenti che ora, in seguito a maturato esame, riconoscono non solo infondati, ma deleterî per il buon andamento religioso, morale e civile del popolo della frazione di Case Bianche.
2°. Per la parte religiosa possiamo affermare che sempre fummo assistiti con massimo zelo da parte dei sacerdoti di Croce di Piave.
3°. In seguito all’aver eretto una baracca, uso Chiesa, nel centro della nostra frazione, possiamo svolgere ogni pratica religiosa senza alcun sacrifizio, né perdita di tempo per recarci alla Chiesa del centro.
4°. Le vie d’accesso al centro di Croce sono attualmente di molto migliorate che per il passato, ciò che permette di risparmiare molta strada per raggiungere la chiesa del centro, a coloro che vogliano partecipare alle funzioni più solenni.
5°. Finora la popolazione di Croce, ad arte fu sempre abbandonata dalle autorità civili del Comune di Musile. Infatti le strade, tutte quante, furono tenute in completo abbandono, ciò che costringeva noi a servirsi della strada di circonvallazione «strada dei cento – argine S. Marco» per raggiungere la via di Croce.
6°. In seguito alla costruzione della nuova strada Triestina, e della sistemazione in corso d’esecuzione della strada Morosina, che parte di fronte alla Chiesa Parrocchiale e che si porta in linea retta nel centro di Case Bianche, abbiamo di molto diminuito la distanza che prima ci separava dal centro di Croce; di modo che sistemate le strade di cui sopra, la distanza media che divide Case Bianche dal centro di Croce sarà di quattro chilometri, ciò che non può recare disagio alcuno a nessuno di noi sottoscritti.
7°. Infine i frazionisti di Case Bianche non dimenticano di avere le tombe dei loro cari a Croce, né intendono per nessun motivo separarsi ed abbandonarle.

Iniziò quindi il via vai delle firme

N. d’ordineCognome e nome del capo famigliaN. dei componenti la famigliaCampi coltivati dalle singole famiglie
1 Bortoletto Giuseppe 10 10
2 Pavan Giovanni 19 34
3 Busolin Antonio 11 25
4 Soldera Vittorio 7 14
5 Cro + ce di Soldera Pietro Guseo Attilio teste
Busolin Luigi teste
6 14
6 Zorzetto Eugenio 23 30
7 Sperandio Vittorio 24 30
8 Sforzin Luigi 19 31
9 Cro + ce di Minetto Angelo Agostinetto Ferdinando teste
Teste Sperandio Vittorio
7 2
10 Sforzin Enrico 9 26
11 Grandese Fioravante 11 5
12 Pavan Vittorio 12 13
13 C... Silvio 6 2
14 Sforzin Giovanni 14 5
15 Montagner Pietro fu Luigi 24 36
16 Naressi Eugenio proprietario 5 3
17 Diral Augusta 16 5
18 Mazuja Giacomo 2 1 ½
19 De Zotti Luigi 2 1 ½
20 Cro + ce di De Zotti Domenico Guseo Attilio teste
Vinale Giuseppe teste
8 4
21 Cro + ce di Lorenzon Fortunato Guseo Attilio teste
Vinale Giuseppe teste
22 Cro + ce di Bettin Luigi Guseo Attilio teste
Vinale Giuseppe teste
102
23 Cro + ce di Lorenzon Ferdinando Guseo Attilio teste
Vinale Giuseppe teste
7 1 ¼
24 Bars Giuseppe 14 3
25 Cro + ce di Agostinetto Giuseppe Guseo Attilio teste
Vinale Giuseppe teste
4 1 ½
26 Pavan Bortolo 9 3 ½
27 ...scotto Giovanni 8 1 ¼
28 Camin Antonio 6 3
29 Camin Luigi 1 3
30 Parpinel Giovanna 14 3
31 Trevisiol Luigi 11 5
32 Agustinetto Giovanni 7 2 ½
33 Agostinetto Ferdinando per il Padre Giovanni 6 10
34 Bellese Piero 6 3 ½
35 Badalin Antonio Per il Padre 16 3 ½
36 Baldo Vincenzo 9 7
37 Cro + ce di Bettin Enrico Guseo Attilio teste
Vinale Giuseppe teste
10 3
38 Vinale Giuseppe Per il Padre 13 5
39 Baldo Giovanni 9 7
40 Fusso Olivo 7 13
41 Cro + ce di Casagrande Angelo Guseo Attilio teste
Badalin Antonio teste
4 2
42 Damo Giovani 8 3 1/2

Altri si aggiunsero alla lista e fu necessario compilare un altro foglio:

Eccellenza Ill.ma e Rever.ma
Monsignor Andrea Giacinto Longhin
Vescovo di Treviso
_________________________________________

I sottoscritti coloni della frazione di Case Bianche «Croce di Piave» fanno presente a S. E. Ill.ma, che essendo venuti a conoscenza che l’autorità ecclesiastica, in seguito all’istanza di altre persone, animate e spinte da secondi fini, ... [identica alla precedente]

N. d’ordineCognome e nome del capo famigliaN. dei componenti le famiglieCampi coltivati dalle singole famiglie
43 Alfier Giovanni Per il Padre 5 3 ¼
44 Damo Giovanni 8 3
45 Cro + ce di Badalin Domenico Guseo Attilio Teste
Teste Sperandio Vittorio
3 5
46 Gerotto Giacomo 7 4
47 Alfier Giovanni Per Agostinetto Antonio Amalato Teste Sforzin Luigi
Bortoletto Giuseppe teste
6 4
48 Diral Eugenio 7 3
49 Cella Giuseppe 7 ½
50 Salmaso Amedeo 8
51 Cro + ce di Zanchetta Giovanna Guseo Attilio teste
Teste Salmaso Amedeo
8
52 Diral Giovanni 5 5
53 Piovesan Giuseppe Proprietario 9 2
54 Montagner Massimiliano Proprietario 9 3
55 Trevisan Domenico 13 10

Anche i proprietari della Casebianche - il bizzarro Conte “Gino” e le sue sorelle - aderirono all’iniziativa e vergarono sotto:

Eccellenza Illustrissima e Revrendissima
Noi sottoscritti, proprietari di tutta la frazione di Casebianche, approviamo giustamente quanto chiedono i nostri coloni qui soprascritti.
Ci sorprende che degli sconsigliati si siano serviti della religione per scopi eminentemente politici.
Deploriamo che certi individui, non di Croce, si siano permessi di sobbilare con falsi ragionamenti i nostri coloni, i quali desiderano pace e lavoro.
Preghiamo quindi S. Ecc. Ill:ma e Rev:ma di non distaccare Casebianche da Croce sicuri che solo in tal modo, si potranno evitare maggiori dispiaceri e maggiori discordie e dolori a questo popolo che ha già troppo sofferto

Devotissimo Gradenigo Conte Girolamo del fu Leonardo
Angelina Gradenigo V.a de Comini
Carolina Gradenigo V.a Semenza

Ed altri ancora si aggiunsero ai precedenti.

Eccellenza Ill.ma e Rever.ma
Monsignor Andrea Giacinto Longhin
Vescovo di Treviso
_________________________________________

I sottoscritti coloni della frazione di Case Bianche < Croce di Piave > fanno presente a S. E. Ill.ma, che essendo venuti a conoscenza che l’autorità ecclesiastica, in seguito all’istanza di altre persone, animate e spinte da secondi fini, ... [identica alla precedente]

N. d’ordineCognome e nome del capo famigliaN. dei componenti le famiglieCampi coltivati dalle singole famiglie
56 Scarabel Angelo 2 2 ½
57

58
Cro + ce di Bortoletto Vincenzo
Guseo Attilio teste
Fornasier Ferdinando (Teste)
29 47
59 Fu . . . Ant . . . 14 16

Eccellenza Ill. ma e Rever. ma
Mons. Vescovo di
Treviso
______________________

Noi sottoscritti dichiariamo d’aver presenziato alla sottoscrizione dei coloni di Case Bianche nella istanza fatta circolare dal sig. Guseo Attilio di Croce di Piave.
Attestiamo nella nostra coscienza di buoni cattolici, che tutti i coloni di Case Bianche sottoscrissero la istanza in parola di loro spontanea volontà, senza pressione alcuna da parte sia dei proprietari o chi per essi.
Ciò intendiamo portare a conoscenza di Sua Eccellenza Ill.ma e Rever.ma perché alcune persone di Musile, non paghe d’aver fatto tutto il possibile per portare la discordia nella nostra frazione, ora che giustamente è insorto tutto il popolo per protestare contro l’oscura manovra di disgregazione della nostra parrocchia, tentano ancora di gettare il discredito contro la lealtà e spontaneità delle firme in parola.
Imploriamo da Sua Eccellenza Ill.ma e Rever.ma la pastorale benedizione.
Devoti figli in Gesù Cristo.

I testi
De Faveri Francesco
Lessi Giacomo

Infine il fabbriciere Angelo Moro vergò a sua volta una postilla a sostegno di quanto affermato da parroco e coloni delle Casebianche e tutti i fabbricieri sottoscrissero.

Croce di Piave
Ecc. Ill. ma e Rever. ma Mons. Vescovo
di Treviso
______________________

I sottoscritti fabbricieri di Croce di Piave si uniscono al paroco di Croce, ai Sig.ri proprietari e coloni della frazione per protestare contro le inique pretese di Musile di avere la frazione a soli scopi politici, e dichiarano che alla frazione stessa nulla manca dal lato religioso, atteso lo zelo dei sacerdoti di Croce, e che è volontà ferma e risoluta della frazione stessa e di tutto il paese che la parrocchia di Croce rimanga intiera com’è.
La presente istanza i sottoscritti fabbricieri accompagnano a Vostra Ecc. Ill.ma e Rev.ma compresi di compiere un atto di dovere, e a scanso d’ogni responsabilità.
Umilmente baciano la Vostra mano e chiedono la pastorale Benedizione.
Croce di Piave 7 febbraio 1923

I Fabbricieri
Moro Angelo
Bortoletto Giuseppe
Favotto Luigi

In Curia decisero di prendere tempo: non conveniva mettersi contro l’intero paese. La Giunta Comunale dal canto suo era alle prese col problema della baracche costruite dopo la guerra: dopo aver cercato a lungo dove sistemare quelle che dovevano essere rimosse, finalmente riuscì a convincere Leonardo Camin (il portalettere) e i fratelli Antonio e Isidoro, eredi del fu Francesco, “a cedere al Comune un terreno a Croce di Piave lungo l’Argine San Marco per potervi alloggiare le quindici baracche che dovevano essere smontate in varie parti del comune per liberare le strade e favorire le ricostruzioni”. Il contratto venne stipulato ufficialmente il 16 febbraio. Il giorno dopo la Giunta stabilì che il dottor Raimondo Stocchino, non avendo trovato alcun alloggio disponibile nel centro di Croce, venisse alloggiato con la famiglia nel fabbricato Comunale, che dunque a questa data risultava costruito.

[disegno a mezza colonna del palazzo come doveva essere prima delle modifiche]

Gli sarebbe stato affittato solo il primo piano perché i locali del piano superiore dovevano servire ad uso ufficio di Stato civile ed alloggio dell’impiegato addetto. Il canone di affitto che il dottor Stocchino avrebbe pagato, con decorrenza 1° gennaio 1923, sarebbe stato di 800 lire annue.
Il terreno annesso al fabbricato Comunale era stato affittato a Innocente D’Andrea, che pagò 100 lire a marzo e altrettante ne avrebbe pagate a fine anno.

Bar e rivendite

Questi sono gli esercenti che (il 14 marzo) pagarono tasse per la licenza vendita di vino al minuto:

Bettarello Pasqua Fossetta £. 25
Bianchini Luigi (*) Fossetta £. 50
Bortolotto Pietro Centro £. 50
Celeghin Livia (*) Caposile £. 50
Cadamuro Giuseppe Taglio £. 50
Camin Leonardo Centro Musile £. 25
Dalla Mora Giovanni Centro Musile £. 50
Franzin Maria Croce £. 50
Girardi Angela Consorzio £. 50
Guseo Attilio Croce £. 50
Ferrari Silvio (*) Croce £. 50
Guseo Eliseo (*) Croce £. 50
Tozzato Antonio Fossetta £. 25
Massilli Marcello Centro Musile £. 25
Salmasi Umberto Centro Musile £. 50
Vendraminetto Regina (*) Fossetta £. 50

Quelli segnati con (*) godevano anche della licenza per vendere bevande superalcoliche, per la quale pagavano altre 100 lire.

Aveva già costruito Eliseo il suo casuìn fronte chiesa, all’inizio di via del Bosco? Sulla base del documento sopra e delle testimonianze raccolte, lo riteniamo probabile. In ogni caso in quegli anni Attilio poteva mostrare orgoglioso la sua famiglia alla macchina fotografica.


La foto è del 1922 o del ’23. A sinistra è la Elisa (secondogenita, nata nel 1905, che dunque al momento della foto ha 17-18 anni). Dietro le sedie sono Attilio e la moglie Tonina (Antonia) nata nel 1883 (che dunque nella foto ha 39-40 anni). A destra è la terzogenita Maria (che morirà nel 1936 a 27 anni, lasciando un figlio di 6 anni, e che dunque nella foto deve averne 13 o 14). Davanti a lei una cuginetta.
In primo piano, in piedi sulle due sedie, Dirce (del ’20 o del ’21) e Giovannino (del ’21 o del ’22)
Mancano il primogenito Antonio del 1903, la quartogenita Regina, del 1912, morta nel ’15 sotto l’organetto la quintogenita XXX, morta di febbre spagnola durante il profugato in Sicilia, e il nonogenito Bepi (Giuseppe, che nascerà di lì a poco nel 1924). Nove figli ebbero Attilio e la Tonina.

Elezioni provinciali

Il 18 marzo si tennero le elezioni provinciali. Il 30 marzo 1923 il cursore comunale Giacomo Pavanetto ricevette 15 lire per il trasporto di tavoli e sedie eccetera alla sede dell’Ufficio staccato di Stato Civile in Croce di Piave.

Alienazione delle baracche

Il Consiglio Comunale deliberava intanto “unanime per alzata e seduta, di chiedere autorizzazione all’Illustrissimo Prefetto di poter vendere tutte le baracche cedute gratis dal Commissariato Riparazioni Danni di Guerra di Treviso a mezzo di trattativa privata agli attuali proprietari, affittuali, a chiunque ne avesse fatto richiesta; e di chiedere sanatoria per le baracche fin qui alienate e di chiedere l’affitto delle baracche per le quali non sarebbe riuscita possibile la vendita mediante un conveniente affitto con l’obbligo dell’affittuario di provvedere alle spese di manutenzione e all’assicurazione antincendio”.

La chiesa in riparazione

Don Natale si dedicava anima e corpo alla fase finale della ricostruzione della chiesa: il presbiterio era tornato a far bella figura di sé “com’era e dov’era”; sull’altare maggiore non c’era più il “Ritrovamento della Croce da parte di sant’Elena”, andato distrutto, e mancavano ancora un po’ di arredi, ma presto la chiesa sarebbe stata pronta per celebrarvi messa.


1923. La ricostruzione del tetto della chiesa.
[Archivio di Carlo Fregonese]

Il coro

Presto anche il coro dei cantori, rimesso in piedi da subito, sarebbe tornato a far le prove “nella chiesa com’era”: con la sua straordinaria passione per la musica da chiesa, don Natale non vedeva l’ora di sentirlo cantare in una chiesa vera; del resto don Nadal era bravo e ci sapeva fare come musicista: girava sempre con il corista [il diapason] in mano o nella tasca, e insegnava un sacco di buona musica, ed era orgoglioso dei suoi coristi, in tutto erano trentina.
Prima della guerra i suoi vecchi cantori erano andati a esibirsi perfino alla Fenice, ce n’erano tre o quattro di buoni tra loro.

Ricostruzione del brolo

Don Natale attendeva il risarcimento dei danni di guerra per pagare le spese della ricostruzione di canonica e brollo. Lungo il perimetro che dava sulla strada aveva fatto piantare una fila di spini crosèri, alberelli bassi che con le loro spine ben servivano per fare da siepi di confine, scomode e pericolose da superare.
Secondo la leggenda tali spini divennero crosèri dopo che furono usati per intrecciare la corona di spine di Cristo: per questo “maledetti”, erano piante condannate a non produrre frutti salvo il caso di innesto. Inframmezzati agli spini crosèri erano dei piloni di marmo; lungo il lato a confine con il sagrato aveva fatto sistemare alberi da frutto e viti. Le distruzioni della guerra lentamente venivano cancellate.

Dimissioni in massa alla Giunta Comunale

Anche il Comune attendeva i risarcimenti di guerra. Ma poiché il nuovo Governo non intendeva pagare le cifre che il vecchio aveva promesso, e la Giunta non era in grado di far fronte a tutte le spese per le quali s’era impegnata, tutti i componenti della Giunta Comunale, a eccezione di Guseo Attilio, con atto eclatante l’11 aprile 1923 si dimisero. Attilio, spirito pragmatico, non se la sentiva di lasciare il lavoro a metà: aveva premuto fortemente per l’istituzione della nuova condotta medica, per l’acquisto del terreno in piazza Croce e per l’istituzione e la costruzione della sede staccata dell’ufficio di stato civile; i soldi non sarebbero arrivati a breve, ma sarebbero arrivati. Occorreva dare impulso al centro di Croce (tanto più che vi aveva installato il suo bar):. le dimissioni della giunta non avrebbero aperto la strada a un’amministrazione fascista?

Fascismo locale e nazionale

Il 21 aprile, in occasione del “Natale di Roma” il municipio fu tutto illuminato con candele, fornite da Luigi Granzotto. Fu decisione locale o la disposizione giunse da Roma?

Il 23 aprile uno sconquasso analogo a quello in Comune si verificava a livello nazionale: il Partito popolare abbandonava la compagine governativa. Lo stesso giorno veniva nominato il nuovo commissario prefettizio di Musile, Mario Mazzetti che si insediava il 30 aprile.

Il 25 il Gran consiglio del fascismo definiva “inderogabile” la riforma elettorale con sistema maggioritario; il 27 veniva votata la riforma scolastica voluta dal filosofo Gentile che prevedeva provvedimenti per tutti i gradi di istruzione: centralità della cultura classica, istituzione del liceo scientifico, esame di Stato con commissione esterna a conclusione del ciclo della scuola secondaria superiore, prove scritte a livello nazionale.

Verso la metà di maggio 1923 Sdràussina, il paese natale di don Natale, cambiava nome e diventava “Poggio Terza Armata”, in onore dell’Armata del duca d’Aosta che da quelle parti si era distinta durante la guerra. Il 15 maggio don Sturzo era riconfermato alla guida del PPI, partito che confermava la sua opposizione alla riforma elettorale con sistema maggioritario.

Il 24 maggio, anniversario dell’entrata in guerra, di nuovo il municipio fu illuminato tutto di candele. La retorica della guerra e l’oratoria del patriottismo imperversavano. Qualche candela o torcia fu collocata anche presso la sede staccata di Croce? Non risulta. Ma probabilmente fu issata una bandiera nuova di zecca. Il 1° giugno il commissario prefettizio Mario Mazzetti veniva rimborsato delle 179 lire che aveva speso per lo svincolo dalla stazione di San Donà e per il trasporto delle bandiere tricolori rimesse dalla Unione Cooperativa di Milano, una in lana delle dimensioni di 150 per 150 da esporre al balcone della sede staccata di Croce, e una di seta 120 x 120 (del tipo ricco) per la sede comunale di Musile, per l’astuccio dove conservarla, per sciarpe e nastri.

Il duce passa per Croce

Le bandiere sarebbero servite di lì a qualche giorno: il 3 giugno il Duce passò per Croce. A dire il vero l’evento più importante di quella giornata doveva essere l’inaugurazione del nuovo municipio di San Donà, appena completato, ma gli organizzatori della cerimonia infittirono l’agenda del capo e, dovendo egli passare per Croce, colsero l’occasione di far fare al corteo governativo una sosta al cimitero del paese e rendere omaggio alla salma del capitano Tito Acerbo, fratello del gerarca Giacomo.
Scriverà fra qualche anno il retorico Chimenton: “La tomba di Tito Acerbo nel Cimitero Civile di Croce fu visitata da numerose personalità: S. E. il Presidente del Consiglio dei Ministri, On. Benito Mussolini, sopra quella pietra, piangendo, depose il 3 giugno 1923 un corona di lauri.”

Ne parlò anche il Gazzettino il 5 giugno 1923, citando le 917 salme italiane e 725 austriache, per un totale di 1642, raccolte nelle fosse comuni all’ingresso del cimitero. “Vennero tutti a vedere il Duce che passava, i fascisti lo imponevano. Me lo raccontò mio fratello”, mi avrebbe raccontato molti anni dopo Vittorio di Legui.
Il Chimenton aveva ricavato la notizia da Il Basso Piave, numero unico uscito il 14 giugno ’925 in onore della medaglia d’oro Tito Acerbo.

Triestina e “tre scalini”

La “Triestina”, l’arteria di comunicazione che, utilizzando spezzoni esistenti, avrebbe collegato direttamente Venezia alla redenta Trieste, era in fase di completamento. A Croce una grande curva verso destra raccordava l’argine della Fossetta con la Strada Matta, quindi s’appoggiava al pezzo di strada già esistente presso il Ponte del Bosco, dove c’era l’osteria di Costantini e si collegava all’incrocio dell’Argine San Marco con la strada che puntava direttamente alla chiesa di Musile: l’intero comune di Fossalta e una parte dei territori di Croce, compresa la sua chiesa, rimanevano sulla sinistra, Ca’ Malipiero, e le terre della bonifica sulla destra.
In località “Viscardi”, dov’era l’osteria-negozio di alimentari dell’omonima famiglia (negozio impiantato anni prima da un venditore ambulante, tal Costantini, che poi gliel’aveva ceduto), il piano della nuova sede stradale risultò più basso di quello dell’osteria che era stata costruita “in alto” perché il terreno, un tempo di palude, era soggetto a possibili allagamenti e fu necessario raccordarlo al piano del negozio mediante tre scalini. Molti anni dopo, quei “Tre scalini” finiranno per dare il nome alla zona .

[Pianta di Croce con la nuova strada]

Nel giugno 1923 la Società Anonima Cooperativa di Produzione e Lavoro (Muratori – Falegnami e Braccianti) di Croce e Musile (con “sede in Croce di Musile – Venezia”) fornì l’armadio per il locale ufficio di Stato civile. In occasione della festa nazionale del 24 giugno il commissario prefettizio si recò in visita ai cimiteri militari di Zenson, Caposile e Croce.

Il 10 luglio, dopo le aperture di De Gasperi ad una riforma elettorale con sistema maggioritario, don Sturzo rassegnava le sua dimissioni da Segretario del PPI.

Elezioni comunali e proposte fossaltine di condotta medica consorziata con Croce

Il 27 luglio 1923 si tennero le elezioni comunali e qualche giorno dopo il nuovo Consiglio Comunale elesse sindaco il cavalier dottor Vincenzo Janna, che già era stato sindaco prima della guerra e Commissario Prefettizio subito dopo la guerra, nonostante egli non avesse dato la sua disponibilità per essere eletto (così si disse in seguito).
Quando il medico condotto di Fossalta rinunciò al servizio, il Comune di Fossalta, in “condizioni finanziarie disastrose”, pensò di ripristinare la vecchia condotta medico-sanitaria com’era fino al 1920; il sindaco fossaltino Bortolozzi, ai primi di agosto avviò pertanto “pratiche col Comune di Musile di Piave per l’unione in consorzio per il servizio Medico Sanitario” della parte di Croce “in sinistra della linea ferroviaria Venezia-Portogruaro dalla stazione di Fossalta al Ponte Ferroviario e tutto il terreno delle Sezioni di Fossetta e parte di Cascinelle in tutto con territorio di Croce Ett. 1500 circa ed abitanti 2000 circa, e per Fossalta tutto il Comune Ett. 800 circa abitanti 3451, con residenza del Medico Condotto in Centro di Fossalta”. La spesa per il mantenimento del medico sarebbe stata sostenuta per L. 6.500 (corretto in 7.500) a carico di Fossalta e per L. 5.000 (corretto in 6.000) a carico di Musile. Il sindaco Bortolozzi invitava il sindaco di Musile a “rimettere un esemplare della decisone presa con la maggior possibile sollecitudine e possibilmente entro l’8 corr. mese”. Non avrebbe mai fatto in tempo il sindaco a prendere in due giorni una decisione tanto importante. Forse non vi fu attinenza, in ogni caso il dottor Janna il 12 agosto rassegnò “le irrevocabili dimissioni” dalla carica di sindaco. Il Consiglio elesse allora Giuseppe Argentini fu Giorgio, d’anni 53, possidente, fascista. Ricevette 19 voti su 20 mentre uno finì ancora al dottor Janna. Questa la Giunta: Argentini, Janna, Sattin, Montagner Giuseppe, Casagrande, Bizzaro.
A cavallo tra agosto e settembre ci fu l’affare di Corfù: la missione militare al comando del generale Tellini inviata in Grecia per delimitare il confine greco-albanese fu vittima di un agguato che provocò la morte di quattro uomini tra cui lo stesso generale. Mussolini inviò un ultimatum chiedendo riparazioni, respinto dal governo greco; l’esercito italiano quindi occupò Corfù e la Società della Nazioni condannò l’occupazione italiana, finché a fine settembre l’Italia abbandonò l’isola in cambio del riconoscimento di un risarcimento. Mussolini aveva dimostrato di sapeva “agire”.

Tenendo conto che il Comune di Fossalta avrebbe provveduto a nominare per concorso il nuovo medico entro dicembre, il neo sindaco di Musile Argentini si prese il tempo d’inviare ai sindaci dei comuni di San Donà, Noventa, Ceggia, Meolo, Cavazuccherina, Grisolera la richiesta di una serie di informazioni: qual era l’ammontare dello stipendio annuo del medico condotto e quello dell’indennità di cavalcatura, di malaria e di caroviveri, l’ammontare del fitto ambulatorio... Nei discorsi sulla fattibilità del consorzio non mancavano le considerazioni sulla “Triestina” che fu completata sul finir dell’estate. Tra i più contenti vi era il paroco, che ora poteva andare al mercato di San Donà in un attimo: imboccava la nuova strada all’incrocio che essa formava con la strada Morosina; altrettanto rapidamente egli poteva giungere alle Case Bianche che non erano lontane più di quattro chilometri, dieci minuti di cavallo. In Curia non potevano insistere con la storia dello smembramento anche se da più parti la dicitura “Croce di Musile” cercava di sancire ufficialmente una gerarchia che non era mai esistita.

Riguardo alla condotta consorziata, la Giunta, il 10 ottobre,
[…] Ritenuto che la parte del territorio di Croce per la quale si chiede il consorzio […] era e fu effettivamente disimpegnato fino al 1920 dal Medico Condotto di Fossalta senza dar luogo ad alcun reclamo.
Considerato il ritorno normale alla vita civile e sociale di questi Comuni del basso Piave.
Ritenuto che senza nessun scapito del servizio sanitario nella Frazione di Croce di Piave il Comune verrà ad economizzare L. 9.600,= annue spendendo per il servizio in consorzio L. 6000,= annue in confronto di L. 15.600,= che vengono ora corrisposte al Medico di Croce - potendo altresì utilizzare con miglior assetto del fabbricato Comunale ove attualmente alloggia il Medico Dr. Stocchino.
Attesoché per maggior comodità dei frazionisti di Croce e nell’interesse del regolare servizio Sanitario è necessario che la residenza del Medico Consorziale venga fissata in località Capodargine […]
[…]
[…]
Attesoché il provvedimento é esclusivamente imposto da ragioni economiche finanziarie […] e non affatto in odio al Dr. Raimondo Stocchino attuale Medico della Frazione di Croce – per il quale l’Amministrazione sente doveroso tributare al distinto Sanitario la più viva riconoscenza per l’opera sempre prestata con amore, premura, scienza e coscienza – facendo voti che il medesimo abbia a riuscire eletto quale Medico Consorziale.

D E L I B E R A

I° di proporre al Consiglio di sopprimere col I° Gennaio pv. la Condotta Medica nella Frazione di Croce di Piave.
2° di accogliere la domanda del Comune di Fossalta di Piave […]
3° che […] il Sanitario sia nominato dal Consiglio Comunale di Fossalta col concorso
di una rappresentanza proporzionale del Comune di Musile
[…]

Scoppia il tumulto

Quando si seppe “la novità”, a Croce scoppiò un tumulto: il 24 molti paesani si ritrovarono nel palazzo e i consiglieri buttarono giù una lettera al sindaco in cui spiegavano che la condotta era stata insistentemente richiesta perché già nel periodo anteguerra c’erano stati reclami per l’impossibilità di avere un servizio puntuale da parte del medico consorziale di allora, impossibilità dipendente non da lui ma dalla topografia del paese. E poi che nel 1922 era stata finalmente ottenuta l’istituzione della tanto sospirata condotta, ora circolava la voce che si volesse di nuovo sopprimerla. La popolazione era aumentata ed erano stati bonificati centinaia di ettari di palude che ora, pian piano, si andava abitando. I frazionisti di Croce reclamavano nel modo più assoluto che la loro condotta medica venisse lasciata intatta. Quindi cominciò il via vai dei firmatari: otto facciate di tre fogli di carta bollata furono riempite, con 161 firme di capifamiglia: c’erano quelle degli otto consiglieri comunali di Croce, dell’assessore Montagner Giuseppe, di don Natale (al 32° posto), dei nobili e di tutti. Il sindaco fu costretto a indire una convocazione straordinaria del Consiglio per il pomeriggio del 31.

Il 31 ottobre...

La mattina del 31 ottobre il Consiglio comunale ratificò la delibera di Giunta del 15 settembre di rendere comunali “i due tronconi di strada statale tagliati fuori dalla nuova statale: si trattava del troncone che dal Bivio di Casa Gradenigo sulla Strada Provinciale della ‘Motta’ [errore per indicare la “strada matta”] conduceva alla Località ‘il Gonfo’ per Croce di Musile e l’Argine San Marco della lunghezza di m. 4647, e del troncone che dall’inizio della nuova rampa passava per Musile, fino alla testata destra del ponte, m. 710”.

Il pomeriggio, alle ore 14, ebbe dunque luogo la memorabile seduta di consiglio che doveva decidere della sorte della condotta medica di Croce.
Il sindaco aveva in mano, giunta la mattina (prot. 1261), la sollecitazione del prefetto ad aderire alla richiesta del Comune di Fossalta che “nessunissimo pregiudizio” avrebbe arrecato al servizio sanitario nella frazione di Croce di Piave. Anzi:
il provvedimento corrisponde[va] perfettamente alle vedute del Governo, il quale col decreto 27 maggio 1923 N. 1177 [aveva] voluto istradare gli Enti locali nela via della più rigorosa economia…].
Ma il consigliere Bianchini, di Croce, esordì subito dicendo che non poteva dare il suo voto alla proposta perché il servizio “verrà molto a discapitare”; per il vastissimo territorio Croce-Fossalta un sol medico non avrebbe potuto “disimpegnare a tutte le esigenze sanitarie specie per l’aumento della popolazione verificatosi dopo il ritorno del profugato e che viene e verrà continuamente a stabilirsi nel territorio di Croce per il bonificamento de’ suoi terreni Paludosi”; l’economia di spesa sarebbe stata fittizia, anzi, “si ridurrà in passività” perché, non potendo il servizio venir disimpegnato da un solo dottore, molti di più sarebbero stati i malati inviati agli ospedali, con danno per le finanze del Comune.
Il sindaco, un poco azzardando, spiegò che al medico sarebbe stato fatto obbligo di risiedere a Capodargine, e di tenere giornalmente nel centro di Croce l’ambulatorio. E poi c’era poco da pretendere: comuni con territorio più vasto e con maggior popolazione avevano un solo medico condotto; il ripristino della condotta medico consorziale era dettato da ragioni economiche finanziarie e non era da sciocchi tentar di assecondare le richieste di risparmio dell’attuale Governo, il quale aveva già adottato provvedimenti di aggregazione a centri più grossi per i comuni impossibilitati a reggersi per mancanza di mezzi. Se il servizio sanitario consorziale avesse apportato qualche pregiudizio egli si sarebbe unito per primo, colla Giunta tutta, alla protesta dei frazionisti di Croce per il ripristino della condotta attuale. I consiglieri Bianchini e Guseo insistettero che Croce aveva bisogno di un medico proprio: il dottor Stocchino, impegnato nella sola Croce, era già completamente assorbito dal servizio. Bisognava tener conto della situazione economica, ripeté il sindaco.
E allora, insisté Bianchini, dato che la frazione di Croce ha un territorio più vasto di quello della condotta del centro di Musile, forse era il caso di “sopprimere il medico di Musile”, “potendo la condotta del I reparto venire disimpegnata con un medico del vicinissimo Comune di San Donà, dove c’erano medici libera esercenti.
Il consigliere Janna mostrò che il Governo, col decreto del 27 maggio, mirava a semplificare il più possibile le spese dei Comuni, e dato che il Comune di Musile versava in condizioni disastrose c’era il pericolo che esso venisse aggregato a quello di San Donà e la frazione di Croce a quello di Fossalta “com’ebbe a farglielo comprendere l’Illustrissimo Prefetto”; e se ciò fosse accaduto si sarebbero dovuti ritenere responsabili i soli consiglieri di Croce. Egli lo diceva pel bene che aveva sempre nutrito per il Comune di Musile al quale aveva prestato l’opera sua anteguerra il defunto suo padre ed egli stesso.
Appunto, per Musile, e non per Croce! gli ribatterono. Il dibattito era acceso. Il consigliere Janna insisteva sulla necessità del provvedimento; la discussione proseguì animatissima e alla fine il presidente pose a votazione per appello nominale la proposta della Giunta. Votarono “sì” per approvarla Argentini Giuseppe, Janna Cav. Dr Vincenzo, Sattin Ferruccio, Bizzaro Nicola, Casagrande Augusto, Vazzoler Emilio, Montagner Giuseppe fu Ferdinando, Bozzo Antonio. Votarono “no” per respingerla Montagner Giuseppe fu Luigi, Favotto Luigi, Guseo Eliseo, D’Andrea Giovanni, Fuser Francesco, Montagner Pietro fu Luigi, Bianchini Luigi, Vazzoler Giovanni fu Stefano. Otto contro otto. La proposta, né approvata né respinta sarebbe stata “trasmessa all’Illustrissimo Prefetto per gli ulteriori provvedimenti”.

Quella sera, in occasione della commemorazione della Marcia su Roma, anche il “municipio” di Croce fu illuminato da candele, fornite da Eliseo Guseo. Lo stesso fu fatto in occasione della Festa della Vittoria (4 novembre). Croce cominciava a sentirsi importante: il palazzo, le candele... Ma stava per perdere la condotta medica! Quella sera i consiglieri comunali del paese, “pressati dalla popolazione”, scrissero una lettera al prefetto, in cui esposero le considerazioni che ormai ci sono note e si dichiararono decisi a rassegnare tutti irrevocabilmente le dimissioni nel caso che la decisione del prefetto fosse stata a favore della condotta consorziale: “questo per volontà della popolazione”. “Si fa presente a S.E. che anche un altro assessore e precisamente il Sig. Prosdocimo Raggiotto ha già rassegnato le dimissioni nelle mani del Sig. Sindaco di Musile per gli stessi motivi”.

L’8 novembre Hitler e il generale Ludendorff tentavano un putsch a Monco, Hitler veniva arrestato (e in carcere scriverà il Mein Kampf).
Il giorno dopo, 9 novembre 1923, il sindaco Argentini e il segretario si recavano dal prefetto per conferire in ordine alla condotta medica di Croce di Piave e alla situazione finanziaria del Comune; il 14 il sindaco chiedeva al collega di Fossalta di approvare le varianti al capitolato di servizio, ossia che il medico consorziale risiedesse a Capodargine, che prestasse giornalmente servizio a un’ora stabilita nel fabbricato comunale sito nel centro di Croce e che il Sanitario fosse nominato anche col concorso di una rappresentanza proporzionale del Comune di Musile. Lo stesso giorno il Senato italiano approvava la legge proposta da Giacomo Acerbo di un sistema maggioritario in un collegio unico nazionale e introduzione del “premio di maggioranza”.

Il 23 novembre la Giunta di Fossalta accoglieva le ultime due richieste del Comune di Musile ma “per una completa efficienza del servizio medico” decideva di mantenere “l’obbligo di residenza per il medico Condotto-Consorziale in Fossalta di Piave non troppo lontano dalla Farmacia” “che nei casi di urgenza può fornire tutto il materiale che venga richiesto”.

In Comune si erano fatti e rifatti i calcoli della popolazione delle due condotte (che non coincidevano con le due parrocchie):

Popolazione
Parrocchia Centro Musile 	ab. 	2407
    “      Croce Piave		 “ 	3208
Totale 	5615
-----------
Musile 	Centro 			ab 	1307
Paludello 			 	 458
Caposile			  	 386
Salsi				 	 246

Casebianche			  	 553
Parte Scuole S. Rocco 	  	  	 400
Totale abitanti				3360

Croce 	Centro 			ab 	 495
Fossetta 				1436
Parte Scuole S. Rocco 	  	         324
Totale abitanti				2255

La parrocchia di Musile aveva dunque 2407 abitanti. Ma aggiungendovi quelli delle Casebianche e una porzione consistente di quelli delle Scuole S. Rocco arrivava a 3360.

Il dottor Rizzola, al quale il sindaco aveva chiesto in via informale se se la sarebbe sentita di diventare l’unico medico condotto del Comune nel caso che la condotta di Croce venisse soppressa e il suo territorio unito a quella di Musile, in una lettera altrettanto informale rispose d’aver saputo dal dottor Stocchino che quegli era deciso ad abbandonare la professione di medico condotto e si dichiarò disponibile, a patto di rimanere nella propria residenza di Musile, ad assumere il servizio sanitario quale medico dell’unica condotta, come aveva già fatto nel 1920-’21-’22. Chiedeva un adeguato compenso per l’aggravio di lavoro, “non inferiore in modo assoluto a lire cinque mila”.
Con queste notizie in mano il sindaco si presentò in Giunta il giorno dopo, 15 dicembre, e dopo aver spiegato che il Comune di Fossalta non aveva aderito alla richiesta di far risiedere il medico a Capodargine, e tenendo conto del “grande vantaggio arrecato alla pubblica viabilità colla costruzione della nuova strada Triestina Provinciale il servizio medico p[oteva] benissimo venire disimpegnato da un solo Medico per tutto il territorio di Musile valendosi dell’opera attiva, solerte e capace del bravo Medico del I reparto Dr Rizzola Cav. Filippo, disposto ad assumere il servizio sanitario di tutto il territorio comunale”, la Giunta deliberò di proporre al Consiglio di sopprimere “col I marzo pv.” la condotta di Croce “unificandola con quella del I° Reparto (Musile) affidandola al Dr. Filippo Cav. Rizzola”.

Il 28 dicembre il Consiglio comunale, assenti tutti i consiglieri di Croce, approvò la proposta della Giunta. Due giorni dopo b>i consiglieri di Croce “vista l’ostinatezza da parte dei Consiglieri di Musile […]” rassegnarono al sindaco “le dimissioni irrevocabili dalla carica di Consigliere Comunale, questo per desiderio chiaramente espresso della popolazione della frazione di Croce. Nel frattempo comunicano che hanno già rassegnato le dimissioni nelle mani del Prefetto.
Con regio decreto legge del 30 dicembre, il Governo centrale disponeva l’abolizione del “focatico” (antesignana dell’Imposta di famiglia, dell’Ici, dell’Imu), tassa che ricopriva un posto di fondamentale importanza nei bilanci comunali assieme all’imposta sul valore locativo; ma l’abolizione fu poi sospesa a causa delle proteste delle amministrazioni locali.

E la chiesa?

Procedeva la ricostruzione della chiesa con l’aggiunta delle cappelle laterali, una al posto della sacrestia, ma più lunga, lunga quanto il nuovo presbiterio che era più lungo di quello andato distrutto; l’altra, simmetrica al posto del campanile, il quale sarebbe stato costruito in seguito, discosto dalla chiesa.
Nuovo nonzolo. Toni “Campaner” cedeva il posto di “nonzolo” al figlio Piero che aveva cominciato esattamente come lui tanti anni prima: dapprima accompagnando il padre nelle funzioni in chiesa, pronto a mettere la firma sul registro dei matrimoni quando servisse un secondo testimone di nozze, e poi a sostituirlo all’occorrenza. Ora si firmava “nonzolo” ma ancora non poteva dedicarsi all’incombenza di campaner che aveva dato il nome alla famiglia. Don Natale sperava che incominciassero presto anche i lavori per la ricostruzione del campanile; non era tranquillo invece relativamente alla questione delle Case Bianche, i cui redditi sarebbero stati necessari per portare avanti la ricostruzione di chiesa e campanile. Da Treviso, durante l’inverno, era giunto a Musile monsignor Chimenton, a raccogliere informazioni sullo stato delle parrocchie; ma il retorico non si mosse da Musile, stette colà in canonica e in municipio, e non venne a Croce. Perciò non si fece cognizione diretta e generale di causa.

Con nota municipale N° 19, il 5 gennaio 1924 la Giunta all’unanimità deliberò di respingere le dimissioni dei consiglieri di Croce.
In Russia il padre della Rivoluzione Vladimir Lenin dettava le sue memorie oscillando tra crisi e sensazioni di guarigione. Sarebbe morto il 21 gennaio.

Obbligo di acquisto delle baracche di guerra

Il 15 gennaio 1924 il Comune di Musile, in cerca di soldi da tutte le parti, rese pubblica l’ordinanza che obbligava gli occupanti delle baracche di guerra ad acquistarle o in subordine a pagare il fitto e una sanatoria per gli anni precedenti. Per molti poveracci del paese fu la disperazione, in particolare per le vedove di guerra, che oltre al dolore di aver perso il marito ora si vedevano infliggere quello della perdita della casa, non potendo acquistarla e non sapevano a che santo votarsi. Avrebbero voluto chiedere aiuto, scrivere a qualcuno, ma cosa, a chi, che non sapevano neanche scrivere...

Il Consiglio deliberava di elevare il compenso per le condotte mediche da 7.900 a 9.000 lire, con decorrenza 30 gennaio 1924.
Il medico ha l’obbligo della cura gratuita fino a 1000 poveri, per ciascun povero eccedente i 1000 e fino a 1500 verranno corrisposte al medico £. 5 annue. Per i non poveri dovrà applicarsi la tariffa minima di cui all’ordine dei Medici. Nell’applicazione di essa il medico terrà conto dei mezzi economici della famiglia e della distanza dalla residenza del medico. È previsto un aumento di un decimo dello stipendio a partire dal 4°, 8°, 12°, 16° e 20° anno” [delibera n.° 109]. Venne stabilito [delibera n.° 110] anche l’aumento di stipendio alle levatrici: “esse riceveranno 4000 £. con l’obbligo dell’assoluta gratuità fino a 50 parti e per ciascun parto in più fino a 100 riceveranno 10 £ e per ciascun parto che superi i 100 riceveranno £. 20”.

Il 25 gennaio furono sciolte le camere e indette nuove elezioni per aprile. Tre giorni dopo, da Palazzo Venezia, Mussolini invitava “tutti gli uomini del popolarismo, del liberismo e delle frazioni della democrazia sociale disposti a collaborare con la maggioranza fascista” ad entrare in una grande lista elettorale. Il 29 gennaio i consiglieri di Croce, che si erano visti respingere le dimissioni, le confermarono “irrevocabilmente”: ben altre economie avrebbe potuto fare il Comune anziché sopprimere l’indispensabile condotta: […] Citiamo ad esempio la soppressione dei caro-viveri ai medici […] il che ridurrebbe il tottale dei due stipendi a quasi la somma che […] verrebbe a percepire un solo medico […] Facciamo inoltre osservare che la considerazione del Consigliere Guseo Eliseo fu male interpretata. Essa non era una proposta, ma bensì un’asserzione circa la prova già fatta due anni fà su la quasi impossibilità, per un solo medico di eseguire a seconda delle esigenze il servizio per l’intero Comune. Rinnoviamo per tanto, la preghiera alla S. V. Ill.ma di rettificare se possibile la questione della condotta […]

In preda alla disperazione per dover acquistare le baracche o pagarne il fitto, le vedove, tutte quelle dell’intero Comune, non solo quelle di Croce, si votarono all’unica persona che finora aveva dimostrato di saper prendere le parti dei deboli e dei poveri e di opporsi con energia alle angherie delle amministrazioni. «Piovan, el fàe calcossa lu: come pretendili che paghemo che non gavemo gnaca i soldi par magnar». Don Natale prese carta e penna e scrisse:

Trascriviamo:

Illustrissimo signor Sindaco
di Musile

Le vedove di guerra di questo Comune ricoverate co’ propri figli in misere baracche, visto l’avviso di V. S. Illustrissima in data 15 gennaio 1924, adunatesi in assemblea generale in questa canonica oggi 5 febbraio corrente, incaricano me sottoscritto Capodelegazione delle vedove ed orfani di guerra del Comune a notificare a V. S. Illustrissima che esse si trovano nella impossibilità di pagare qualsiasi fitto per conto della baracche passate in proprietà del Comune e tanto meno di poterle acquistare.
Per conseguenza domandano a V. S. Illustrissima di rimanere indisturbate nelle baracche in cui si trovano : in caso diverso sono costrette fare ricorso al R. Prefetto di Venezia.

Con ossequio.
Croce di Piave 5 febbraio 1924

Don Natale Simionato
Capo delegazione orfani di guerra




Inseriamo a questo punto del racconto - per attinenza con l’argomento che precede e con quello che segue - una LETTERA ANONIMA priva di data che circolò in paese quando era medico il dottor Stochino. Di lettere anonime ne circoleranno ancora nei mesi successivi... ma l’autore di questa ha tutta l’aria di essere il povero contadino che conduceva i campi della prebenda parrocchiale e che per qualche ragione don Natale era intenzionato a mandar via. Di lì a qualche mese la prebenda verrà infatti affidata a Nano Fornasier.

Popolo di Croce!
C’è un ricco che caccia i poveri dalle case! È ricco e non ha cuore!
C’è un medico (del partito che vuole aiutare il popolo) e vuole cacciare i poveri dalle loro case, perché i poveri non sono popolo. È «terramatta!» Venne qui per fare il medico e fecce tutto fuorché il medico… Rovinò il paese coi partiti e lo divise e non fecce altro… È ricco e non ha cuore.
Ma c’è un parroco che dovrebbe essere il padre dei poveri, la guida del paese, e che cosa fa? Ha un solo contadino povero sotto di lui e lo vuole cacciare via in una strada e può. Ha forse bisogno di polenta? No voi la portate a lui a centinaia di quintali! Ha forse bisogno di vino? No! Voi lo portate a lui a centinaia di ettolitri. Ha forse bisogno di fieno? No; voi lo portate a lui a centinaia di quintali, e può mantenere cavallo, vacche (compresa sua sorella) cavare [pie]gore e maiali! E perché dunque? Perché tra voi ha sempre […?…] di sfruttare e farsi ricco e basta.
Ricordate quando sfruttava le povere bambine, figlie di vedove di guerra che sotto la tigre di sua sorella dovevano lavorare [con le] botte le ingiurie e senza paga? Ora sfrutta un povero vecchio fa[…?…], una povera scempia foresta e in paese c’è bisogno di lavoro! E voi a lui date ogni cosa anche il fieno che non ha diritto… Svegliati o popolo Guai a chi darà più fieno al parroco se lui manderà via quella povera famiglia dai suoi campi. Sono buona gente e sono [maltrat?]tati come vuole lui. Perché maltrattarli? Perché sono poveri.
Popolo svegliati e pensaci tu che è ora. Quelle che dovrebbero aiutarti ti rovinano tutti.

« Eja – Eja – Eja»



L’8 febbraio il Consiglio Comunale, in seduta straordinaria e assente la componente dei dieci consiglieri e assessori di Croce, approvò (oggetto n.° 1) in seconda lettura la delibera del 28 dicembre in merito all’aumento di assegni al dottor Rizzola che, a seguito della soppressione della IIa condotta, avrebbe servito tutto il Comune. Il dottor Stocchino col I° marzo doveva ritenersi dispensato dal servizio, con tutti i diritti all’indennità di congedo pari a due stipendi mensili. Poco dopo (oggetto N.° 6) il Consiglio respinse ufficialmente le reiterate dimissioni dei consiglieri di Croce. Qualche giorno dopo il sindaco Argentini invitava per iscritto i consiglieri di Croce a recedere dalla loro decisione: non era detto che il provvedimento tanto contestato, dettato da esigenze di bilancio, non avesse carattere provvisorio: “se dopo un periodo di esperimento le esigenze lo imponessero l’Amministrazione assicura fin d’ora il ripristino della IIa Condotta”; nutriva fiducia che ciascuno di loro “vorrà ritirare le dimissioni presentate e continuare a prestare l’efficace opera a vantaggio del Pubblico Bene”.

Il 12 febbraio, a Milano, veniva pubblicato il primo numero de “L’unità”, quotidiano comunista voluto da Antonio Gramsci. Ce n’erano in paese di comunisti e di socialisti, ma a don Natale il colore politico non interessava: lui vedeva cristiani bisognosi d’aiuto. Non solo vedove e orfani, ma poveri d’ogni sorta bussavano alle porte della canonica. Don Natale cercava di recuperare dai ricchi quello che ai poveri, per legge di Cristo, spettava di diritto e bussava a quartese presso tutti coloro che avevano campagne di terra e accampavano scuse per non pagare. «Cosa vuole questo prete da noi? Dove sono le carte? La Curia ci dimostri che dobbiamo pagare il quartese!» rispondevano quelli, tignosi.

Le ricche signore di Croce avevano pensieri di altra natura: riunite in casa del colonnello Gioia, intendevano organizzare i festeggiamenti in onore della maestra Berton, appena premiata dal Ministero dell’Istruzione per i suoi trent’anni di insegnamento; usando la macchina da scrivere del colonnello, componevano la seguente lettera:

			CROCE DI PIAVE 19 FEBBRAIO 1924

		SPETT/. AMMINISTRAZIONE COMUNALE DI

				MUSILE DI PIAVE
				===============

		Le sottoscritte, sicure d’interpretare l’unanime pensiero 
del popolo di Croce si sono costituite in comitato allo scopo di esprime=
re alla distinta maestra Berton Santina il compiacimento del Paese per il 
diploma di benemerenza conferitole dalle Superiori Autorità Scolastiche. 
Inoltre detto comitato, colle offerte fattole spontaneamente dagli abi=
tanti della frazione, desiderosi di offrire ed onorare la benemerita Signo=
ra con un tangibile ricordo di riconoscenza per l’opera zelante e valente 
da essa spiegata durante il lungo periodo di insegnamento (compreso quel=
lo di profumato) si é provvisto di medaglia d’argento e di una perga=
mena che rimarranno a disposizione delle Autorità designate per la ceri=
monia.
	Il comitato suddetto si pregia comunicare a codesta On/. Amministra=
zione quanto sopra esposto affinché possa prendere le disposizioni che cre=
derà più opportune per contribuire al buon esito della cerimonia che avrà 
luogo il giorno 2 marzo nel locale da destinarsi alle ore 10,30 
salvo eventuali proposte di modifiche da parte delle pubbliche Autorità.
		Si gradirebbe un cenno di riscontro, con perfetta osservanza 
	Il Comitato
	Rachele Gioia
	Morosina Cuppini
	Gina Stochino
	Rita Guseo
	Montagner Elisabetta

Don Natale, alle prese con la ricerca delle carte che dimostrassero il suo diritto al quartese nelle terre di bonifica, scriveva alla Curia di procurargliele:

Ill.ma e Rev.ma Curia Vescovile 
						di Treviso
	Richiesta decime – Riassunto

	La ditta Di Rosa-Bianchini, Mestre, proprietaria a Croce di Piave 
di Ettari 367 di terreno del Consorzio misto, esistente dal 1880 non ha 
riconosciuto il dovere delle decime.
	Col giorno 26 febbraio 1920 la Ditta ha venduto metà della tenuta 
a due nuovi acquirenti Bizzaro e Caberlotto in parti uguali.
	Nel 1923 l’altra metà della tenuta Di Rosa – Bianchini fu venduta 
al Nob. Lucheschi – Reali.
	Nel preliminare delle suddette compravendite fu inserito il 
seguente art. 3°
<< La compravendita si intende convenuta nello stato ed essere come 
si trovano attualmente i beni di cui è oggetto il presente preliminare 
con ogni inerente servitù attiva e passiva e con ogni inerente onere 
quarantesale esistente >> .
	Ora le nuove Ditte Bizzaro e Caberlotto interrogate da me 
sull’onere delle decime, mi dicono di non essere contrarie ad unifor-
marsi agli altri proprietari del paese nel corrispondere al parroco 
le decime, ma desiderano vedere in proposito un documento da parte 
di cotesto Rev mo Tribunale Ecclesiastico.
	Pertanto io sottoscritto paroco prego umilmente cotesta 
Ill ma e Rev ma Curia Vescovile rilasciarmi tale documento col quale 
possa convenire co’ detti Proprietari.

Con profondo ossequio

Croce di Piave 21 Febbraio 1924
		
				Dev mo paroco
			Don Natale Simionato


Nota: 	È da notarsi che oggi il Comune stà faciendo pratiche 
        presso lo Stato, perché le vecchie bonifiche (anno 1880) 
	vengano equiparate ai fondi alti, e quindi applicate le 
        prediali relative.
	_______

Il comitato festeggiamenti alla maestra, in difficoltà con la scelta del luogo adatto, fu costretto a rivolgersi a don Natale, che mise a disposizione una stanza della canonica.


	Croce di Musile 24 febbraio

  	All’egregio Sindaco di Musile 

  	in risposta a sua pregiata d’ieri 
questo comitato soddisfatto dell’approvazione 
avuta da cotesta amministrazione circa le 
onoranze da tributarsi alla signora Berton 
ringrazia vivamente della gentile offerta 
inviatale a mano del dott:r Stochino, e mentre 
si sente onorato per il sicuro intervento 
di cotesta rappresentanza comunale si pregia 
comunicare d’aver ben volentieri accettato 
la proposta di rimandare la cerimonia al giorno 
9 marzo stessa ora, nel locale gentilmente 
concesso dal Parroco di qui. 
Con perfetta osservanza per il comitato
		de Concina Morosina Cuppini 

La maestra Berton non era l’unica a prodigarsi nell’insegnamento. Molto faceva la sera, per gli adulti o i ragazzi che di giorno erano impegnati nel lavoro dei campi, anche don Luigi Pasqualetto, il cooperatore di don Natale, che chiedeva all’


Illustrissimo Signor Sindaco
				Musile 
	
	Avvicinandosi ormai la chiusura della scuola serale, 
mi permetto d’inviarLe la nota delle spese da me sostenute 
per la illuminazione di detta scuola, come da accordi con Lei presi.
Dovetti comperare anche alcune boccette d’inchiostro, perché 
i banchi non erano sufficienti, e usai anche alcuni tavoli. Spese:

Per carburo, lampade e accessori   	ricev. N.° 1    £  159,75
Per una nuova lampada e beccucci 	  “    N.° 2	“   24,25
Carburo (prime sere) e inchiostro	  “    N.° 3	“   24,10
Riparazione di una lampada		  “    N.° 4 	“   15,=
Per sostegni lampade			  “    N.° 5	“   10,=
						___________________
				Totale spese       £. 	   233,10	

Con rispettosi ossequi

In Croce di Piave 25-2-24		Devotissimo
			Don Luigi Pasqualetto Cooperatore

Don Luigi aveva fatto il suo lavoro. Anche monsignor Chimenton a Treviso aveva fatto il suo, ma di tutt’altra farina. E il sindaco il 27 fece il suo: con una lettera avvisò il dottor Stocchino del suo destino e con un’altra pregò don Natale di “voler compiacersi avvisare dall’Altare codesti Parrocchiani che col I° di Marzo pv. avrà inizio il servizio d’unificazione delle condotte mediche che verrà disimpegnato dar Dr Rizzola Cav. Filippo. Ogni giorno dalle... alle... eccetera eccetera”. cosa che don Natale puntualmente fece durante la messa della domenica successiva.

Anno bisesto anno funesto:
la folle giornata del 29 febbraio 1924

Il dottor Stocchino, ricevuta la lettera del sindaco, “prese nota” del proprio licenziamento, a malincuore dato che fece presente “che meglio sarebbe stato sopprimere in un primo tempo la sezione staccata dello Stato Civile in quanto nessun danno tale provvedimento potea arrecare alla popolazione”; avrebbe liberato il prima possibile la casa d’abitazione.

A Treviso il Chimenton stilava la sua relazione:

Sullo smembramento della località
“Case Bianche”
_Musile_Croce di Musile_

1._ Si tralascia in questa relazione ogni trattazione sui principî che regolano la materia dello smembramento e della incorporazione delle parrocchie. Quanto prescrive il C.I.C. nel can. 1427 e can. 476_§8. trova tutta la sua applicazione nella questione che mi fu posta allo studio.
Questione a lungo studiata in gennaio 1923, e sospesa poi d’ordine dell’Autorità Diocesana._ La pratica fu nuovamente presentata al relatore il 19 febbraio p.p. con lett. N 69/24 di protocollo.

2._ La vertenza per lo smembramento del territorio di Case Bianche dalla parrocchia di Croce di Piave, e la sua incorporazione alla parrocchia di Musile fu lungamente discussa.
a.) Nel 1859 si trattò a lungo presso la Curia di Treviso il diritto di “Case Bianche” ad essere incorporate a Musile; la motivazione era sempre quella: la vicinanza a Musile, il servizio religioso che si otteneva a Musile e mai a Croce, l’assistenza ai malati per i quali bisognava portarsi a Musile. La vertenza che si protrasse all’anno 1860, ebbe come conseguenza che alcune case di “case Bianche” furono incorporate a Musile._ Ma si trattava unicamente di famiglie che abitavano a poco più di cento metri dalla chiesa di Musile.
b.) Nel 1897 si rinnovarono le istanze: esiste nell’incarto una lunga petizione, diretta a S. Ecc. Mons. Apollonio._ La Sede parrocchiale di Croce era in quell’epoca vacante, e si sperava così che la pratica potesse più facilmente aver corso; si propose anzi che il nuovo parroco di Croce fosse investito con analoga ed opportuna «riserva» sul territorio di Case Bianche, di cui si chiedeva l’incorporazione a Musile._ Sorti nuovo contrasti, l’Autorità Ecclesiastica credette non conveniente mutare i confini delle due parrocchie, e rimettere la decisione della controversia a tempo più opportuno.
c.) Nel 1921 l’Autorità Municipale volle dirimere civilmente la questione, e con deliberazione del 17 marzo, approvata all’unanimità dal Consiglio Comunale, staccava definitivamente da Croce di Piave tutto il territorio di case Bianche e lo incorporò alla Sezione di Musile; simile approvazione, ad unanimità di voti, si ebbe nella seduta del 7 aprile 1921. Il Sindaco di Musile, Signor Mario Zavanella , inoltrò i due verbali alla prefettura di Venezia, e dalla Giunta Prov. Amministrativa del 15 settembre 1921, N. 17.313, la deliberazione del Municipio di Musile fu approvata e licenziata per l’attuazione: Così fin dal 1921 il territorio di “Case Bianche” in tutto ciò che riguarda assistenza medica, assistenza di levatrice, e ufficio di Stato Civile è intieramente incorporato, di fronte alla legge, a Musile e forma con questa un’unica Sezione.
d.) La deliberazione provinciale riesumò la vecchia vertenza._ E il 24 luglio 1922 si ripresentava nuova istanza alla Curia di Treviso sottoscritta da N. 83 firmatari, e si ridomandava la incorporazione di “Case Bianche” alla parrocchia di Musile._ La motivazione esposta in una lettera, a firma di Mucelli Antonio, è sempre la stessa: la vicinanza a Musile, a cui il popolo accede per il servizio religioso e specialmente per l’istruzione dei bambini, che non possono essere mandati a Croce distante cinque km; si aggiunge il fatto ormai compiuto della incorporazione civile. L’istanza fu accolta dalla Autorità Ecclesiastica favorevolmente e sarebbe stata la pratica condotta a termine fin dal febbraio 1923, «se pressioni illegittime, fatte sulla Autorità Ecclesiastica» non avessero impedito a questa «di procedere a norma dei Sacri Canoni».
e.) Nuovi incidenti, disgustosi incidenti, successi nei primi giorni di gennaio di quest’anno 1924 determinarono il Sindaco di Musile a riprendere d’ufficio la vertenza e chiedere una definitiva decisione dalla competente autorità Diocesana.

3._ Ed esprimo subito il mio parere: l’istanza in via di massima dev’essere accettata._ Non è giusto si prolunghi l’equivoco increscioso, che la popolazione di un intiero territorio, addossato quasi alla chiesa di Musile, e che in tutte le necessità spirituali frequenta Musile, appartenga a Croce di Piave, da cui dista, nel suo limite massimo, più di 5 km. Pur conoscendo la fede viva del nostro popolo del Lungo Piave, non si può imporre un viaggio di un’ora, mentre in cinque minuti si accede alla chiesa di Musile.
a._) a Musile si mandano i bambini per il catechismo._ Se talora questi vengono ammessi alla prima Comunione in Croce di Piave, o nella Chiesa-baracca di Case Bianche, il giorno seguente alla prima Comunione essi passano per le pratiche religiose a Musile.
b._) a Musile accedono i bambini per la scuola, per tassativa disposizione municipale.
c._) a Musile si accede per l’assistenza del medico e della levatrice. Ed è ben naturale che, almeno nei casi più urgenti, si invochi la presenza del Clero di Musile, per impedire che gli ammalati abbiano da morire senza i conforti religiosi.
d._) a Musile accede tutto il popolo per la Messa festiva e le funzioni vespertine, attratto dalla vicinanza e dal fatto che nel centro del Comune può, nei giorni festivi, disimpegnare pratiche o pendenze presso le pubbliche autorità.

4._ I confini segnati dalla autorità municipale sono legittimi. Purtroppo le due chiese di Musile e di Croce rimangono ugualmente ai punti estremi delle due parrocchie e si imporrà in seguito, ultimate le bonifiche, la erezione di due curazie, in Caposile e alla Fossetta._ Ma questo fatto non nuoce alla legittimità del provvedimento.
È sufficiente un semplice sguardo alla carta topografica: Il vecchio confine infatti segnava le seguenti distanze (V. carta topografica N1) Dalla chiesa di Croce al confine verso Musile: (in linea d’aria, di molto inferiore alla linea naturale da percorrersi:

α = linea = km. 4.260
β = linea = km. 3.250
γ = linea = km. 2.375
δ = linea = km. 3.200

Dagli stessi confini, invece alla chiesa di Musile le distanze erano, rispettivamente le seguenti:

Dal confine α = linea = km. 1.500
        “       β = linea = km. 0.600
        “       γ = linea = km. 1.250
        “       δ = linea = km. 0.250

Tali distanze non si potevano più conservare._ E la nuova linea di confine civile segna oggi le seguenti distanze:

Dal confine a Croce:         Dal confine a Musile:
linea α = km. 1.500         linea α = km. 2.250
linea β = km. 1.500         linea β = km. 2.250
linea γ = km. 1.500         linea γ = km. 2.000
linea δ = km. 1.750         linea δ = km. 2.000

Tali confini, che spostano le distanze in un modo che apparentemente sembra troppo sensibile, si giustificano dal fatto che il Comune dovette tener presente il servizio della condotta medica, il cui piano di azione, se veniva così ristretto verso Croce, conservava però un’estensione fortissima verso Fossetta e Cassinelle, dove pure si incorporava a Croce parte del territorio di Caposile incunellata in territorio di Croce e che veniva passato in condotto a quest’ultima parrocchia.

5._ Tali confini civili, si possono seguire come base, ma devono essere modificati, riducendo la linea divisoria a pari distanza fra le due chiese parrocchiali nella parte ovest ._ I confini che il relatore propone presentano le seguenti distanze:

α = km. 2.000         α = km. 2.250
β = km. 2.000         β = km. 1.750
γ = km. 2.000         γ = km. 1.750
δ = km. 1.750         δ = km. 1.750

Di più si cede a Croce la parte di Caposile incunellata in Croce di Piave.
Così la linea di confine ecclesiastico è spostata in confronto al confine civile, verso Musile e con vantaggio di Croce di Piave =
Solo in questo modo è tolta l’odiosa differenza delle distanze al lato ovest, e resta fissata una linea di demarcazione sicura e precisa, costituita non a linea d’aria, o a linea visuale, ma fondata su confini certi e precisi, quali sono i canali divisori di proprietà, le strade. e il corso dei fiumi.

6._ Con tale sistema, che al relatore sembra logico e consono ai principi giuridici degli smembramenti e sulle incorporazioni, la linea di confine sarebbe così segnata (V. Carta top. N 2) «Partendo dal Ponte sulla ferrovia, punto sud, (1) si segue la linea Ponte – Strada S. Marco, comprendendo la campagna Montagner Pietro ; si segue la strada Argine S. Marco verso Musile (2) fino a raggiungere il fossetto di divisione campagna (3) Montagner Giuseppe (che rimane a Croce) e Diral Antonio (che passa in Musile); si segue questo fossetto (4) fino al suo punto di contatto con la strada Fossa Morosina; si segue questa per una ottantina di metri fino alla strada nuova provinciale (5) detta Triestina._ Si prosegue lungo la strada Triestina verso Fossetta (6) fino a raggiungere la casa Gradenigo (7)._ Da casa Gradenigo si segue il confine fra Case Bianche e Fossetta, (8) sino alla congiunzione col fiume Gorgazzetto, e, proseguendo la linea di detto confine (9) fino al suo punto di contatto con la strada Mille Pertiche e Consorziale (10.)._ Si procede lungo la strada Mille Pertiche (11) verso canale Fossetta, sino a raggiungere l’Argine delle Piombise (12) che si segue fino al suo congiungimento col fiume Sile».
Solo in questo modo sarà provveduto ad un’equa sistemazione dei confini in quel Comune; e si porrà fine ad una lotta che perdura da lunghi anni e ad incidenti incresciosi e frequenti che certo non possono giovare al bene delle anime.
Salvo sempre un miglior giudizio.

Sac. Dott. Costante Chimenton

Treviso 29 febbraio 1924

Lo smembramento teneva conto del servizio di condotta medica proprio il giorno in cui la II condotta veniva abolita. Se la notizia dello smembramento fosse giunta a Croce in contemporanea con quella della soppressione della condotta medica crocese si sarebbe scatenata una rivolta popolare. Invece alla data del 29 febbraio era giunta in paese solo quest’ultima; e la sera ci fu un tumulto: “circa duecento abitanti della frazione di Croce, capitanati dai Consiglieri dimissionari, si [recarono] presso il Municipio per protestare contro la soppressione della condotta Medica di Croce, chiedendo che ven[isse] ripristinata la condotta stessa ovvero che l’attuale Medico del I° Reparto a[vesse] a trasferire la propria residenza nel centro del territorio comunale affinché possa così meglio disimpegnare a tutte le esigenze dell’importante servizo sanitario, e che nel frattempo ven[isse] mantenuto il servizio della condotta medica di Croce”. Urlavano i duecento, pronti a tutto.
“Attesa l’eccitabilità della folla tumultuante”, il sindaco ritenne “opportuno pel momento di rilasciare al capo dei consiglieri Comunali dimissionari Sig. Bianchini Luigi, una lettera diretta al Dr. Stocchino […] colla quale venne pregato di continuare a prestare servizio fino a nuovo ordine. In tal modo, ed anche per i buoni consigli dell’Ill.mo Sig. Fiduciario Mandamentale della Federazione Fascista, Comm. Dr. Costante Bortolotto, intervenuto a richiesta dell’esponente, si poté ottenere la calma e convincere i tumultuanti a ritornare nelle loro case, assicurando che la Giunta sarebbe stata [il giorno dopo] convocata d’urgenza per riesaminare e studiare l’importante questione.”
L’indomani, I° marzo, alle due del pomeriggio, il sindaco ricapitolò in Giunta i fatti del giorno prima ed espose il contenuto della lettera del dottor Stocchino “dal tenore della [quale] si rileva palesemente che le proteste di ieri altro non sono che il frutto dell’agitazione fatta da alcuni capi di Croce e fomentata da particolari interessi”. Spiegò le ragioni del provvedimento, ed espresse il convincimento che l’ostinatezza dei consiglieri di Croce nel non voler ritirare le dimissioni se non fosse stata ripristinata la condotta di Croce, e la dimostrazione ostile fatta il giorno prima dalla popolazione di Croce, dimostravano che si trattava “chiaramente di un puntiglio, e voler ottenere colla imposizione e con la forza ciò che il Consiglio comunale [aveva] ritenuto contrario nell’interesse del pubblico bene”.
Infine, tenendo conto che non erano ancora stati approvati “dall’Autorità Tutoria i provvedimenti adottati […]” nelle varie delibere di Giunta e Consiglio, e “considerato che solo con una collaborazione reciproca di tutti i componenti del Consiglio nell’interesse supremo del Paese, seguendo le direttive segnate dal capo del Governo colla soppressione di spese inutili e superflue (come pure anche quella dell’ufficio staccato di Stato Civile di Croce” si [sarebbe potuta] evitare la rovina del Comune”, si mostrò d’avviso, “anche per salvaguardare la dignità di Autorità della Rappresentanza Comunale” che non si potesse adottare “alcuna contraria decisione in merito” se non quella di mantenere “in servizio il medico Dr Raimondo Stocchino fino all’approvazione delle delibere più volte accennate”.

Don Natale, che attendeva dalla Curia il documento richiesto che gli avrebbe permesso di ottenere il quartese alle ditte Bizzaro e Caberlotto, ricevette invece una lettera che era una vera mazzata:

Treviso li 6 marzo 1924

Reverendissimo Arciprete.

Questa Autorità Ecclesiastica, per provvedere maggiormente al bene delle anime, ha deciso di addivenire ad una più equa delimitazione di confini fra le due parrocchie di Musile e di Croce di Piave.
Il confine designato sarebbe il seguente: «Partendo dal Ponte sulla ferrovia, punto sud, si segue la linea Ponte – Strada S. Marco, comprendendo (in Musile) la campagna Montagner Pietro; si segue la strada Argine S. Marco verso Musile fino a raggiungere il fossetto di divisione campagna Montagner Giuseppe (che rimane a Croce) e Diral Antonio (che passa in Musile); si segue questo fossetto fino al suo punto di contatto con la strada Fossa Morosina; si segue questa per una ottantina di metri fino alla strada nuova provinciale detta Triestina; si prosegue lungo la strada Triestina verso Fossetta, fino a raggiungere la casa Gradenigo; da casa Gradenigo si segue il confine fra Case Bianche e Fossetta, sino alla congiunzione col fiume Gorgazzetto, e, proseguendo la linea di detto confine, fino al suo punto di contatto con la strada Mille Pertiche e Consorziale; si procede lungo la strada Mille Pertiche, verso canale Fossetta, sino a raggiungere l’Argine delle Piombise, che si segue fino al suo congiungimento col fiume Sile.»
In ottemperanza alle disposizioni dei can. 1427 e 1428 si domanda per iscritto il suo parere. La risposta scritta deve giungere non più tardi del giorno 12; non giungendo per tale epoca la risposta richiesta, si procederà d’ufficio al provvedimento.
Con ossequi

Della S. V. Demo

Illmo e Remo
Don Natale Simionato
Parroco in Croce di Musile

«Àseni… Àseni! Cossa combìnii?… - urlò don Natale appena ebbe la lettera in mano - Chiaro che ’a lettera, se non ’i ghe l’ha scritta lori, quei dal Musil, poco ghe manca! Sie giorni par risponda! Par iscritto! Sie giorni! Li gà zà deciso, li gà za deciso...» Don Natale era furibondo, irritato e deluso; peggio, si sentiva insultato. Riguardò il fondo della lettera e di nuovo sbottò: «E pó àseni, che ’i é: Crose l’é “de Piave”, no “de Musil”!» Lesse e rilesse: il tono della lettera era perentorio; eh sì, in Curia avevano già deciso. «Chi’o l’àseno che ha suggerìo al vescovo sta division ? Chimenton! El se gà inrabià quea volta che go rifato a ciesa qua... eadesso el me ’a fa pagar».
Don Nadal avrebbe voluto averlo per le mani per spiegargli bene la situazione, convinto che fosse lui “a inzhinganar el vescovo...”
Occorreva pensare a una risposta, a una protesta... Sei giorni!

Il 9 marzo, alle ore 10,30 si svolse in canonica la cerimonia di premiazione della maestra Berton con medaglia d’argento e pergamena, presenti il sindaco Argentini, tutte le signore del Comitato coi rispettivi mariti e tanta altra gente. Il sindaco puntò sul petto della esimia insegnante “la medaglia d’argento quale Diploma di Benemerenza conferitale per Decreto Reale”. Don Natale era presente ma il pensiero suo primo andava alla lettera ricevuta dalla curia. Ancora tre giorni! Fece arrivare alla Curia le sue obiezioni al progetto di Chimenton? Non sappiamo. Il 16 la Curia spedì al sindaco una piantina dei nuovi confini delle parrocchie e il 25 giungeva inesorabile a don Natale il decreto del vescovo.

CURIA VESCOVILE di TREVISO

Viste le disposizioni del Codice di Diritto Canonico, ottenuto il consenso del Nostro Rmo Capitolo, uditi i parroci di Musile e di Croce di Piave, valendosi delle nostre facoltà Ordinarie, e avendo di mira unicamente il bene delle nostre popolazioni, abbiamo decretato e

Decretiamo

1°. tutto il territorio denominato «Case Bianche» e il territorio nord-est della località «Scuole San Rocco», già facente parte della parrocchia di Croce di Piave, viene incorporato alla parrocchia di Musile.
2. lo smembramento della parrocchia di Croce di Piave è fissato in modo che la linea di confine in quella zona fra le due parrocchie di Musile e di Croce di Piave resta segnata così: «Partendo dal Ponte sulla ferrovia, punto sud, si segue la linea Ponte – strada S. Marco, comprendendo in Musile la campagna Montagner Pietro; si segue la strada Argine S. Marco, verso Musile, fino a raggiungere il fossetto di divisione campagna Montagner Giuseppe che rimane a Croce e Diral Antonio che passa in Musile; si segue questo fossetto fino al suo punto di contatto con la strada Fossa Morosina; si segue questa per una ottantina di metri fino alla strada nuova provinciale detta Triestina; si prosegue lungo la strada Triestina verso Fossetta, fino a raggiungere la casa Gradenigo; da casa Gradenigo si segue il confine fra Case Bianche e Fossetta, sino alla congiunzione col fiume Gorgazzetto, e, proseguendo la linea di detto confine, fino al suo punto di contatto con la strada Mille Pertiche e Consorziale; si procede lungo la strada Mille Pertiche, verso canale Fossetta, sino a raggiungere l’Argine delle Piombise, che si segue fino al suo congiungimento col fiume Sile».
3. il territorio a sud dell’Argine delle Piombise, già appartenente alla parrocchia di Musile, passa alla parrocchia di Croce di Piave.
4. i parroci di Musile e di Croce di Piave subentrano rispettivamente nei diritti e nei doveri per il territorio diviso che li riguarda.
Le conseguenze economiche eventualmente derivanti dal presente provvedimento sono regolate a norma di Diritto. Il presente Decreto entrerà in vigore il I aprile 1924 con la semplice spedizione ai due parrochi di Croce e di Musile.
In fede etc…… Treviso, 25 marzo 1924.

Fr. Andrea Vescovo

In blu i confini prima del 1924. In rosso, il nuovo confine. In grigio la Triestina, appena ultimata. 1 e 2 indicano i punti dove la Curia avrebbe voluto costruire la nuova chiesa.

Per una trattazione completa dell’argomento vedi
CARLO DARIOL - Storia di Croce Vol. 2 - DON NADAL, EL PAROCO DE CROSE
Edizioni del Cubo, 2016