Il 19 dicembre 1468 l’enfiteusi (=affitto) per le due Gastaldie di San
Donà e di Santa Croce fu concessa al Nobil Homo Giovanni Gradenigo per il
canone di 854 ducati; ma essendo morto il deliberatario senza firmare il contratto le
Gastaldie non furono assegnate.
[Chimenton S. Donà pp. 32-33]
Il commendatario dell’abbazia del Pero, Giovanni Barbo, continuava ad alienare i terreni
dell’abbazia e nel 1473 concedette a Domenico q. Nicolò Bragadin la
possessione abbaziale di 150 campi circa in Croce di Piave, chiamata la
Rotta, costituita dai beni pervenuti in donazione all’abbazia nel 1299.
[Codice Pirense dell’abbazia di Praglia, ff.. 246-248; ASVE, SGM, b. 9,
Catastico sandei, c. 721, proc. 258, n. 4, 10 novembre 1473, notaio Ludovico
Zamberti. Il livello verrà affrancato con rogito del 4 febbraio 1521 (ibidem,
c. 723, proc. 258, n. 13, notaio Bortolo Raspi)]
Quei terreni si andavano ad aggiungere a quelli che in passato dal
patriarca di Aquileia erano stati venduti al N.H. Bragadin? Boh. In futuro per
via di eredità giungeranno in proprietà alla famiglia Foscari.
L’acquisto della Gastaldia de Crose da parte dei Foscari
Il Senato della
Repubblica Veneta deliberò e ordinò ai Tre Savi, deputati a ricuperare denaro
per la Repubblica che si trovava in difficoltà economiche a causa delle guerre
di difesa dei propri territori, di vendere alcuni possedimenti in terraferma.
Nel 1483 i terreni di
qua e di là del Piave verso la sua foce furono posti in vendita dai Deputati
“sopra la recuperation del danaro”, cioè all’incanto.
die XXVI maj
Non data in [?] per diu rettenta
El fo prexo ali zorni passati in questo Conseio (Senato), et commesso ai tre Sauui, deputati al
recuperar danari, che dovessero intender tuti li beni de la Signoria nostra, existenti neli territorii nostri da
parte da terra (di terra ferma), et minutamente informarsi de la condition et
qualità de quelli (beni), azo che parendo a questo Conseio et constrenzendone
cussì el bisogno el se potesse deliberar la vendition soa. Et, chome ognun
intende, se mai el fu necessario recuperar grande summa de danari et presto per
li besogni nostri, le (così è) al presente, chome ognun intende.
Perunde,
attrovandose nel territorio nostro trivisano el livello de ducati 840 de la
Gastaldia de Sandone (San Donà), et la Gastaldia de Santa + (Croce), item nel territorio de Padoa si trova el Lago de
Guidizuol, cum algune valle che sono del fu Thadio Marchexe, messe ne la
Signoria nostra, per parte del credito che havea la signoria nostra prefacta
cum dito Thadio Marchese; preterea nel territorio de Este et padoana alguni
livelli, feudi et altri beni sono del marchexe de Ferrara. De li qual tuti si
potrà haver per vendition bona summa de danari.
Et
però (perciò) sia preso (deliberato) chel predeto livello de Sandone et
Gastaldia de Sancta + , Lago de Guidizuol cum predicte valle, item tuti i
livelli, e feudi predicti, et altri beni predicti siano messi al publico
incanto et per tre zorni incantadi cadaun de quelli. Et poi delivradi
(consegnati) a chi più offerirà , cum quello più avantazo de la Signoria nostra
che far se potrà. Ma avanti che per i prefati Savi se vegni ala delivration de
algun de quelli, debiano vegnir ala presentia de la Signoria nostra et a quella
per zornata (giorno per giorno) dichiararli el prexio li serà sta offerto.
Et poi, parendo cussì ala prefata Signoria e Collegio, Quelli et
cadaun de quelli delivrar insieme et divisim a parte a parte, chome al Collegio
parerà delivrar possi ali più offerenti ut supra. I denari del tracto (del
ricavato) diquali non se possi spender in alguna cossa, senza licentia de
questo Conseio.
De parte _____ 152 [Voti per il sì]
De non ______ 10 [Voti per il no]
Nonsint ______ 7 [Astenuti]
|
Nessuno però riuscì a
comprare tutto; le due parti furono allora divise: il 2 settembre 1475 fu
affittata la sola Gastaldia di S. Donà e risultarono deliberatari Francesco
Marcello e Angelo Trevisan mentre la
Gastaldia di Croce, nuovamente posta all’asta il 26 maggio 1483 venne acquistata dai fratelli Francesco e
Domenico Foscari di Alvise il 13 agosto 1483, per ducati 5.610.
L’atto di acquisto
[L’atto notarile n° 194 dell’acquisto si trova presso l’Archivio di Stato di Venezia, nella
busta 336 delle “Rason vece”. La versione sotto riportata presenta la parte in
latino tradotta. Purtroppo anche la parte in veneziano è trascritta male]
Gesù Cristo
Nel nome di Cristo. Amen. Anno della sua Natività 1483, indizione prima, giorno di
mercoledì, tredicesimo del mese di agosto, in Rialto, sotto il portico cioà la
loggia.
Presenti gli egregi uomini Donato Cigotto fu Ser
Domenico della parrocchia di S. Barnaba, Ser Girolamo Negro del fu Alessandro
della parrocchia di S. Maria Zobenigo, Ser Giovanni delle Chiavi della contrada
di S. Fantino, Ser Giacomo detto Bagattin, pubblico banditore della città di
Venezia, lor signori – insieme a Pietro
Rossi, altro banditore della parrocchia di S. Severo, ed essendo già stati
convocati nel luogo tutti i testi avuti e interrogati, e altri – diedero
all’incanto la sottoscritta GASTALDIA DE CROCE; ivi i magnifici e generosi
uomini Ser Vettor Soranzo, cavalier procurator de San Marco, Marco Loredan e
Domenico Morosini savii, deputati a ricuperar danari per autorità loro
attribuita e per ufficio loro attraverso gli eccellentissimi Pregadi (Senato)
come consta dalla delibera presa nel predetto Consiglio l’anno 1483, nel giorno
26 maggio, vista e letta da me notaio infrascripto, per la qual ebbero autorità
e facoltà di eseguire le disposizioni seguenti e altre, ordinarono che fosse
posta al publico incanto la infrascripta GASTALDIA DE CROCE sotto la forma di
lingua volgare veneziana, così:
“Si vende al publico incanto, per mezzo del
magnifico Ser Vettor Soranzo, cavalier procuratore di S. Marco e di compagni
savi deputati a ricuperar danari per l’autorità loro attribuita, la GASTALDIA
DE CROSE, posta nel distretto di Treviso, per la quale si pagano di fitto lire
3000 di piccoli all’anno, con le condizioni evidenti per il fitto dato a messer
Girolamo de Mula. Ma, poiché gli sono state usurpate molte possessioni nei
tempi passati, come si dice, riguardo alla detta Gastaldia, si dichiara perciò
che colui che la compra sia ascoltato con raxon dalla nostra illustrissima
Signoria e possa dimandar e ricuperar quanto che fusse sta usurpà; e tuto quel che sarà ricuperà si vuole che vada a
chi comprerà.
Il compratore, dopo versato il pagamento, abbia a
riscuotere, tramite i predetti gentiluomini, dalla casa de Mima [o Memo?] lire
3000 all’anno per il tempo della fittanza. E il compratore sia tenuto a fare il
pagamento entro 15 giorni dalla delibera, sotto pena del 10% e di essere
rivenduta a sue spese e a beneficio della nostra illustrissima Signoria; e sia
inoltre tenuto a pagare le spese dell’incanto e le carte, e dare 4 ducati ai
comandanti e 2 ducati ai fanti. E qui ha fine il soprascritto incanto”.
E a questo incanto poi e all’asta fatta di frequente
e in diversi giorni e ora in Rialto, nel suo luogo consueto, come è stato
detto, alla presenza di grande moltitudine di popolo, intervennero moltissime
persone offerenti prezzi diversi. Alla fine la Gastaldia fu consegnata al nobil
homo che era presente ser Francesco Foscari, figlio del fu magnifico N.H. ser
Luigi, come il maggior offerente che accettò la stessa Gastaldia e i suoi
diritti conforme alle denominazioni sottoscritte.
Perciò i predetti signori, magnifici e generosi
uomini, Vettor Soranzo, cavaliere procuratore di S. Marco, Marco Loredan e
Domenico Morosini, savii deputati, ut supra, in nome dell’illustrissimo dominio
ducale di Venezia, diedero, consegnarono, vendettero e alienarono, in nome di
Dio, in proprietà, in proprio diritto e in perpetuo al nobilissimo ser
Francesco Foscari, figlio ecc.., presente e accettante in suo proprio nome e in
vece e in nome di ser Domenico Foscari suo fratello, i noti diritti per la metà
indivisibile, stipulando e accettando anche per l’altra metà in vece e in nome
della Commissaria di Ser Giovanni Foscari … e per i nomi di loro e di ciascuno,
per i loro eredi e successori. E lo stesso Ser Francesco poi in forma solenne
promise “de rato et rati habitione”, anche in favore del fratello Domenico e
della Commissaria di Ser Giovanni, la predetta Gastaldia posta nel distretto
trevigiano. E questa invero comprende i beni seguenti: in primo luogo la Villa
di Croce che contiene in sé possedimenti, terre arative, prati, boschi, paludi…
posti dentro questi confini, e cioè: a mattina il fiume Piave e poi gli eredi
di Ser Domenico Bragadin e in parte i beni del vescovato di Torcello; a
mezzogiorno le acque salse [il mare]; a sera in parte il fiume Meolo, Ser
Pancrazio Cappello, suo fratello, i consanguinei o parenti, quindi i beni del
monastero di S. Daniele di Venezia e in parte la Fossa vecchia; a monte la
stessa Fossa Vecchia, detta anche fiume Vagliate [il Vallio], poi la Signora
Giulia di Collalto, in parte il bosco delle Tasche, quindi i Barisani,
cittadini di Treviso, i pascoli del Comune di Fossalta, il Comune di Campolongo
[di S. Mauro], chiamato Prato dell’Isola [del Piave]…, i beni del monastero di
S. Maria del Pero [di Monastier]. Inoltre i boschi di Marteggia, Novolè, Onolè,
i terreni paludosi di Angarano [dove i benedettini raccoglievano poi il
quartese dei coloni]
Il detto ser Francesco compratore, i suoi eredi e
successori ebbero la nominata Gastaldia di Croce, con i beni e i diritti
inerenti come già venduti e quindi in possesso di tutte le cose soprascritte,
con facoltà di tenere, di possedere, usare, godere, dare, vendere, donare,
permutare, giudicare per l’anima e per il corpo, e di fare qualunque cosa in
perpetuo piacerà a lui e ai suoi eredi, come di loro proprietà libera e sciolta
da ogni livello e obbligo, senza contraddizione dei signori venditori
sopraddetti e di qualunque altra persona del mondo, tutti i beni e i diritti
della Gastaldia sono venduti con gli accessi e gli sbocchi, le strade, gli
anditi e i sentieri, i fiumi, le acque e i corsi d’acqua, i canali, le
pescagioni, le cacciagione, le uccellagioni, e con tutti e singoli i fabbricati
e gli edifici di ogni genere che si trovano in essa. Inoltre con tutte le
esenzioni e le immunità che avevano e tenevano il predetto illustrissimo
Governo ducale e anche il soprascritto Ser Domenico de Mula per diritto di
locazione e gli altri conduttori che in qualche tempo tennero o possedettero i
detti beni o qualche parte di essi in locazione ovvero per qualche altro
diritto, prima di questa vendita e, in via ordinaria, con tutte le altre
azioni, giurisdizioni e ragioni, con i possessi e con tutte le pertinenze e le
adiacenze, “tam realiter quam personaliter, utile et directe, mixte et
pretorie, civiliter et hypothecarie, generaliter et particulariter”, che la detta
Gastaldia e i suoi beni e diritti venduti hanno in pieno potere, in ogni luogo
e con ogni diritto, uso, azione e requisizione che spettavano ed appartenevano
agli stessi beni venduti, o meglio ai detti signori Savii, in qualche modo, e
in nome dell’illustrissimo Governo.
E questa vendita invero fu stipulata per il prezzo
di 5610 ducati. Quindi i detti signori sapienti che agirono in nome e per
autorità dell’illustrissimo Governo, come sopra, si dichiarano soddisfatti del
prezzo e del contratto, e manifestarono in seguito di aver ricevuto i 5610
ducati in denaro contante dai predetti compratori di Casa FOSCARI in questo
modo: dai soprascritti signori Francesco e Domenico Foscari 300 ducati per
mezzo del Banco di Casa Pisani, il 18 agosto 1483. Nello stesso giorno 300
ducati dalla Banca di Ca’ Lippomanno. Ai 25 del mese di agosto poi 2050 ducati
dalla detta Banca di Ca’ Lippomanni. Ai 28 dello stesso mese 80 ducati contati
presso l’ufficio dei Camerari [Cassieri]. In questo giorno pure altri 80 ducati
del Banco dei Garzoni. E dalla Commissaria del defunto Giovanni Foscari, il 18
agosto corrente, 850 ducati prelevati dalla Banca Ca’ Pisani. Inoltre il 25
agosto seguente 1950 ducati dalla Banca di Lippomanni. E tutte queste cifre
assommano precisamente a 5610 ducati.
I detti Savii di cui sopra rinunciarono
interamente ad ogni altra richiesta di denaro e di prezzo perché saldati i
conti, e ad ogni speranza di rimunerazione e di compenso in avvenire, e
assicurarono ai nobili Foscari compratori termine, quiete, assoluzione e
sicurezza plenaria, col patto di non chiedere nient’altro “in perpetuum” oltre
al prezzo stabilito. Inoltre i predetti venditori, cedendo, rinunciarono ai
compratori tutti i diritti e tutte le azioni e tutte le ragioni o qualunque
altra cosa che l’illustrissimo Dominio ha e potrebbe avere in qualche modo
nella Gastaldia e nei beni venduti. E costituirono gli stessi compratori
procuratori irrevocabili, ponendoli nel diritto e nello stato in cui si trovano l’illustrissimo Governo ducale di
Venezia prima della presente vendita, Girolamo de Mula nel suo diritto di
locazione e tutti gli altri conduttori e affittuari per il tempo in cui ebbero
il possesso della Gastaldia.
Così che da ora in avanti i compratori sono in
potere di usare di tutti i diritti e di tutte le azioni, come agire, reclamare,
far causa, conseguire, difendersi, ecc…. portare liberamente in giudizio quelle
ragioni che l’illustrissimo Dominio ducale poteva o avrebbe potuto fare prima
di questa vendita o alienazione, trasferendo quindi completamente nei
compratori diritto e dominio nel possesso della Gastaldia. Frattanto i signori
venditori conservano ancora il diritto nominale di proprietà della Gastaldia e
dei suoi beni venduti, finché i signori di Ca’ Foscari compratori non ne abbiamo
ottenuto l’investitura con la regolare immissione. E per tale possesso questi
signori ricevettero piena autorità dai Savii, i quali affermarono che la stessa
Gastaldia e i diritti soprascritti fino al tempo della vendita furono
dell’illustrissimo Governo e che a nessun’altra persona queste cose vennero
date, donate, vendute, pignorate o altrimenti obbligate, ma soltanto a questi
compratori con la presente vendita mediante l’incanto suddetto. Qualora dovesse
comparire questa persona, i venditori promisero di indennizzare gli stessi
compratori e i loro eredi, di non permettere mai alcuna lite, causa, molestia o
questione, agli acquirenti o ai loro eredi circa i beni venduti o di qualche
parte di essi, anzi di lasciare pacificamente agli acquirenti ed eredi gli
stessi beni, con la difesa legittima e con l’autorità, per la piena protezione,
per la forte conservazione e per il possesso pacifico contro ogni persona,
comune o collegio, contro tutti i pericoli, le difficoltà e le spese
dell’illustrissimo Governo ducale.
Pertanto i Savii promisero promisero e promettono
in nome dell’illustrissimo Governo questa vendita e tutti i suoi beni ai
compratori, i quali stipularono e accettarono per sé e per i loro eredi, in
forma stabile, ratificata e gradita, per tenere con cura, per conservare con
diligenza e non fare azione contraria direttamente o indirettamente “de jure
vel de facto”, [spinti] da qualche motivo o astuzia, pena il doppio pagamento,
dal tempo dell’imbroglio scoperto, degli atti premessi con solenne stipulazione
di questo istrumento, e la riparazione di tutti i danni e delle spese di una
eventuale lite.
Tuttavia, saldate e riparate o meno tali cose, il
presente documento con quanto esso contiene rimanga nella sua stabilità.
I magnifici signori Savii, pur obbligati a
conservare tutti i beni attuali e futuri dell’Illustrissimo Governo ducale, qui
rinunciano a tutte le riserve, ai particolari privilegi, aiuti e beneficii per
i quali potesse qualche cosa venire comunque eccepito, obiettato o contrapposto
alle premesse o ad alcune di esse.
[Quindi le firme] Io Lodovico Memo provvisore sopra le Camere sottoscrissi.
Io Francesco Foscareno sopra le Camere sottoscrissi
|
Venezia dipendeva
economicamente dalle zone ai confini della laguna soprattutto per il
legname, che non bastava mai. E non si sta parlando dei pregiatissimi tronchi
che giungevano dal Cadore o dai boschi della Stiria che servivano per le
fondazioni dei palazzi, ma della comunissima legna da ardere.
L’Agnoletti, riferendosi
ai Foscari, ricorda fra le attività esercitate in questa Gastaldia quella del
carbonaro. Si trattava di carbon dolce da trasportare a Venezia. In proposito
una drammatica testimonianza si trova in Marco
Cornaro, nel suo libro ‘Antichi scrittori di idraulica veneta’. Il Cornaro
era stato alla ‘Giustizia Vecchia’ nell’anno 1442. In questa Magistratura si
era trovato dinanzi ad una delle più gravi preoccupazioni cittadine:
all’approvigionamento della legna da ardere, la cui mancanza si faceva sentire
spesso con grandissimo danno, disperazione ed anche morte della povera gente
specie durante la stagione invernale.
Per questo negli anni seguenti Marco Cornaro compì
accurati sopraluoghi alla rete fluviale per togliere il disagio della
navigazione e relative comunicazioni con Venezia. Fu in conseguenza di ciò che nel 1483 Venezia provvide a scavare il
canale “Fossetta”. Metteva in comunicazione Venezia con tutto il trevisano
orientale mediante i fiumi Meolo, Vallio che confluiscono in esso. Determinando
anche una interruzione sulla via Annia per Aquileia, diventava un «traghetto»
importantissimo. E avrebbe portato notevoli vantaggi per il territorio di
Croce.
Il quale
intanto fu colpito dalla peste (1486/89),
con una mortalità attorno al 30% della popolazione; da un inverno talmente
rigido da far gelare la laguna di Venezia e il Piave (1490)
e provocare un’alta mortalità fra gli uomini ed il bestiame e
da un’epidemia di mal francese (sifilide) (1496),
contemporanea a una carestia in cui la gente non avendo più
nulla da mangiare raccoglieva la gramigna, la tagliava a pezzi, la faceva
seccare nei forni «et poi fatala maxenar feve pan».
Nell’atto di
investitura canonica del ‘Pievano’ di Noventa (1497), tra le ‘Cappelle’ da essa
sorrette si trova anche Croce di Piave.
[Lib. Act. 1497, busta 1]
Nel 1499 divenne
vescovo di Treviso il trentunenne Bernardo de’ Rossi, conte di Berceto,
trasferito dalla sede
di Belluno. Era un nobile parmense favorito dalla Serenissima per i servizi
prestati dalla sua famiglia, tant’è vero che già all’età di sedici anni (nel 1485)
gli erano state assegnate le entrate della chiesa di Treviso.
A seguito del valore degli studi fin li condotti e sempre in grazia della Repubblica di Venezia nel 1488, ventenne,
era stato consacrato vescovo di Belluno.
Ora tornava a Treviso, da estraneo al territorio, circondato da un clan di
cittadini, una quindicina di persone. Di suo era un umanista, protettore di
artisti e letterati, tra cui il giovane Lorenzo Lotto che lo ritrasse.
Bernardo de’ Rossi (ritratto di Lorenzo Lotto)
Appena giunto in diocesi diede inizio,
quasi d’impeto, alla visita pastorale; dovette però sospenderla in duomo per
l’opposizione del Capitolo, che avanzava diritti ab immemorabili sulla
Chiesa madre; governò mediante alcuni vescovi ausiliari suffraganei:
Angelo Lemino e Niccolò Lupi di Gravina vescovo di Scutari; riuscì
a riprendere la visita pastorale il 4 settembre 1500 e giunse anche a Noventa; dalla
relativa relazione risulta che:
il reverendo parroco Antonio, pievano di San Mauro, interrogato se entro
i confini della sua parrocchia vi siano altre Chiese o Cappelle soggette,
risponde come sotto: la chiesa di Santa Maria delle Grazie della Villa di San
Donato, la chiesa di Santa Croce, la chiesa di San Benedetto di Zenson la cui
rendita spetta al Padre Abate del Monastero del Pero, la chiesa di San Donato
di Musile, la chiesa di San Ermagora di Fossalta.
|
R.P.Antonius plebanus Sancti Mauri, interogatus si intra suam
paroechiam subsint alias Ecclesias seu Cappellas illi subiectas, respondit ut
infra: ecclesiam Sancta Maria de gratia di Villa Sancti Donati, ecclesiam Sanctae
Crucis, ecclesiam Sancti Benedicti de Zensono cuius collatio spectat P. Abbati de
Monasterio Peri, ecclesiam Sancti Donati de Musilo, ecclesiam Sancti Ermagora
de Fossalta.
|
L’elenco delle Chiese soggette appare stilato secondo l’ordine d’importanza delle medesime.
Nel 1503 il
vescovo entrò in conflitto con il podestà veneziano della città, Girolamo Contarini,
e con le altre autorità di Treviso, avendo varato alcune riforme che
indebolivano i controlli esterni sugli affari ecclesiastici. Nel settembre di
quell’anno una congiura della famiglia Onigo cercò di farlo
assassinare, ma il piano venne scoperto prima di essere messo in atto.
Un’altra pestilenza era intanto giunta nel 1502 e
un’inondazione del Piave si verificò nel 1506.
[questi e i dati sopra sono ricavati dagli Anagrafi
della Serenissima, alla Biblioteca Marciana]
La Fossetta
Tuttavia Croce si avviava a godere dei benèfici effetti del commercio
lungo la Fossetta, e con l’aumento di popolazione poteva aspirare a diventare
sede di una nuova parrocchia indipendente, staccandosi da Noventa.
Giuseppe Dalla Santa
così scrive nel recensire il libro «La strada e il traghetto della Fossetta»
scritto dal Pavanello: «Nei primi anni
del 1500 la strada della Fossetta apparve già avere una certa importanza
strategica, carovaniera e postale, e la stazione di quel traghetto, la più
addentro nel continente, accentrava in sé gran parte del commercio di Venezia
nel trevisano orientale, nel Basso Friuli e la Germania. Intanto, attesa
l’importanza del traghetto della Fossetta e degli altri di dentro e di fuori la
Dominante si formò una legislazione che riguarda la confraternita dei barcaioli
e le singole fraglie dei traghetti, le libertà, i gravami, gli approdi, le
tariffe».
Alcuni terreni di Croce
di Piave vennero permutati tra l’abbazia del Pero e il nobile Francesco Foscari
con atti 5 dicembre 1508 e 29 gennaio.
[ASVE, b. 9, Catastico Sandei, cc. 721-723, proc. 258, nn. 6-7,
notai Antonio da Padova e Pietro Gratarol da Venezia]
Nel 1509 il vescovo di Treviso Bernardo
Rossi venne confinato, poi espulso ed esiliato perché sospettato di connivenza
con il fratello Filippo, che era passato al servizio dell’imperatore
Massimiliano, tradendo la Serenissima. Ma trovò grazia presso Giulio II (il
papa in armi) e poté mantenere il titolo di vescovo di Treviso.
1509: CROCE diventa parrocchia
Forse perché la Gastaldia era tanto cresciuta (raggiungendo le 140-150
anime, ragionando per induzione all’indietro) da poter sorreggersi
autonomamente, forse perché il vescovo era confinato a Roma e Marco Foscari aveva entrature presso
l’amministrazione della Serenissima, nel 1509 la cappella dedicata
all’Invenzione della Santa Croce, divenne
chiesa parrocchiale e don Andrea de
Pace, veneziano, ne fu il primo
parroco su presentazione dello stesso Marco Foscari, giuspatrono. Nell’archivio
parrocchiale è conservato il seguente documento notarile e curiale sulla immissione
del primo parroco don Andrea De Pace nella
nuova recente parrocchia di Croce di Piave:
(segue sulla seconda facciata)
Cerchiamo di decifrarlo:
1509
Documento redatto a
favore del venerabile don Andrea de Pace, di Venezia, relativo al possesso
della chiesa di Santa Croce della Villa di Croce
Nel nome di Cristo
amen. Per mezzo di questo pubblico istrumento sia evidentemente chiaro e noto a
tutti che presso di me notaio infrascritto
a Treviso sopra il cimitero della cattedrale della chiesa Trevigiana si è
presentato personalmente Giovanni Rinaldo di San Zenone, Nunzio giurato della
Curia dell’Episcopato Trevigiano. E riferì a me notaio come, nel corrente
anno della Divina Natività 1509 – dodicesima indizione – mercoledì 27
del mese di giugno, lo stesso nunzio
sia stato richiesto dal venerabile signore don Andrea De Pace di Venezia,
rettore della Chiesa di Santa Croce della Villa di Croce, della diocesi tarvisina, in
forza delle Lettere e delle Bolle di collazione rilasciate allo stesso
sacerdote della detta chiesa per il [per mezzo del/dal] reverendissimo
in Cristo Padre e signore
Bernardo de’ Rossi, per grazia di Dio e della Sede Apostolica
vescovo di Treviso e conte di Berceto, in data 25 del mese di giugno predetto, e si
presentò alla prenominata chiesa di Santa Croce. E il delegato vescovile
condusse lo stesso don Andrea, alla presenza di Antonio di Ripa gastaldo di
Trento e di Pietro Antonio di
Giorgio fattore del magnifico signore Marco Foscari, testimoni dallo stesso nunzio rogati,
al possesso effettivo e quasi corporale della stessa chiesa e dei
suoi diritti e pertinenze; e una volta che il detto
rettore vi fu condotto, e si fu genuflesso davanti all’altare maggiore,
con l’intenzione di prendere il detto
possesso, baciandolo il detto altar maggior nel mezzo e agli angoli, andando
e ritornando per la stessa chiesa, chiudendo e aprendo la porta, suonando
la campana, sedendo in coro, e facendo altri gesti e segnali consueti in
simili avvenimenti ne prese a tutti gli effetti il pacifico possesso,
chiedendo a me notaio di
redigere delle azioni compiute pubblico istrumento.
Francesco Novello notaio travisano, come scrissi
sopra.
(Traduzione di Carlo Dariol)
|
1509
Pro venerabili domino presbitero Andrea de Pace de
Venetiis possessus ecclesiae Sanctae Crucis de Villa Crucis.
In
Christi nomine amen: per hoc presens publicus instrumentum cunctis pateat
evidenter et notum sit quod penet me notarius infrascriptum Tarvisii sup
coemeterio Cathedralis ecclesiae Tarvisinae personaliter constitus [sott.est
= si presentò] Joannes Renaldus de Sancto Zenone Nuntius Curiae Episcopatus
Tarvisinij Juratus, rettulit mihi notaro qualiter currente anno Divinae
Nativitatis Milliaquingentesimo nono, indizione duodecima, die mercurii
vigesimo septimo mensis junii,
ipse
nuntius sit requisitus a venerabili domino presbitero Andrea De Pace, de
Venetiis, Rectore Ecclesiae Sanctae Crucis de Villa Crucis Tarvisinae
dioceses vigore Litterarum et Bullarum Collationum ipsi sacerdoti facta de
dicta Ecclesia per Reverendissimum in Christo patrem et Dominum Dominum
Bernardum de Rubeis, Dei et apostolica sedis gratia Episcopum Tarvisinum et
Comitem Berceti sub die vicesimoquinto mensis Junii praedicti [et] ad
praefatam ecclesiam Sanctae Crucis accessit. Ac ipsum dominum presbiterum
Andream in presentia Ser Antonij Joannis de Rippa Tridenti Gastaldionis et
Petri Antonij Georgij fattoris peragrati domini Marci Foscari Patritii veneti
testium ab ipso nuntio rogatorum, in attualem et corporalem possessionem vel
quasi in ipsam ipsius ecclesiae ac jurium et pertinentiarum suarum in
eandem ecclesiam attuali duxit. Qui dominus Rector sit ductus et coram altare
magno genibus flexis constitutus animo dictam possessionem apprehendendi
medium et cornua dicti altari magni oscurando, per dictam ecclesiam eundo et
redeundo, claudendo et aperiendo, campanulam pulsando, in choro sedendo, et
alia signa in similibus consueta et convenientia faciendo, praedictae ecclesiae
et jurium suorum pacificam possessionem actualiter appraehendit, me notarium
requirens ut de praedictis huiusmodi publicum conficerem instrumentum.
Franciscus Novellus
notarius tarvisinus, ut supra scripsi
|
Da quella data Croce non fu più “Cappella di
Noventa” ma parrocchia
indipendente della diocesi di Treviso. Si noti che il documento riportato sopra
non si riferisce propriamente alla data della fondazione della parrocchia ma a
quella della immissione in possesso del primo parroco. Si può supporre che la
parrocchia fosse stata eretta prima, almeno di qualche mese, e che fosse in
attesa della nomina e della investitura del suo primo parroco.
Don Andrea de Pace non
ebbe una residenza propria, ed è probabile che visse a Venezia, così come
faranno i suoi successori per lungo tempo.
La piccola chiesa, che –
ricordiamo – si trovava nei pressi del Piave, press’a poco in corrispndenza
dell’attuale curva dell’Argine di san Marco, aveva nelle adiacenze il cimitero,
la canonica e alcune
case di pescatori, contadini, legnaioli e carbonari. Si trattava di “casoni”
col tetto in cannelle. Altre povere case o “casoni” erano dispersi nell’ampio
territorio che confinava con la laguna veneta, collegati al “centro” da strade
polverose d’estate e fangose d’inverno.
Quell’anno, a seguito di
nuove controversie con la Repubblica Serenissima, il vescovo de’ Rossi fu
costretto a lasciare la sede diocesana e a ritirarsi a Roma
nel 1510.
Era intanto (nel 1508) scoppiata la guerra di Cambrai, e il parroco di Croce
avendo al sopraggiungere di tale guerra affidato la propria cavalla in custodia al pievano di Musile,
dovette sostenere lite per riaverla [Pavanello, La Città di Altino e l'Agro altinate orientale]
Col suo progressivo
rafforzarsi sul mare, Venezia preferì avere un maggiore controllo anche
sull’entroterra amministrando le Gastaldie attraverso i vicari.
Interessante in proposito quanto riferisce
il Bonifacio nella sua Storia di Trevigi
circa la vita amministrativa alla quale furono sottoposti per diversi secoli
gli abitanti di questa come di altre Gastaldie: «Il Vicario ducale, succeduto
al gastaldo, era un giudice di pace popolare con attribuzioni limitate: veniva
nominato dal Doge dietro proposta dei livellari o proprietari…» I livellari
sono gli affittuari che pagano un certo livellum
(quota) di affitto.
Il governo locale, per quanto concerne Croce e
Musile, andava dalla Fossa Vecchia (Fossetta) a Torre del Caligo (Ducale 4
novembre 1514). Contro la facoltà di cui era investito il governo locale vi era
diritto di appellarsi al podestà di Torcello.
Il linguaggio del tempo può venir rivissuto
leggendo un documento rilasciato per il transito di cinque
animali dal traghetto della Fossetta:
«Condux ser Zuan Antonio per la fossetta
porci 5 de rason della Gastaldia semel tantum (una volta soltanto)...».
Gli agenti daziari
che avessero lasciato passare un carico senza le prescritte formalità erano
puniti con la multa di lire venticinque e un giorno di berlina (pena che
consisteva nell’esporre al pubblico ludibrio il condannato).
Successivamente i Foscari
vendettero qualche porzione dell’immensa proprietà, sicché nel 1518
rimanevano loro 1.196 ettari, per lo più boschivi o paludosi, e destinati a
contrarsi e frazionarsi ulteriormente, per via di divisioni familiari e di
doti.
L’abate del monastero di San Benedetto di Polirone, nel cui possesso erano giunti i
beni dell’abbazia del Pero, nel 1520 alienò alcuni terreni o li affrancò dai
livelli ci erano sottoposti.
Alla Rotta ne approfittò Vincenzo q. Francesco Tiepolo, che affrancò dal livello 150 campi
[ASVE, SGM, b. 3, catastico B, ff. 4v. 25; ibidem b. 2]
Come don Andrea non
viveva a Croce così anche il vescovo titolare di Treviso, Bernardo Rossi, non
viveva a Treviso ma a Roma, presso papa Clemente VII; lì aveva partecipato al Concilio
Lateranense V. Ma il motivo primo di questa sua latitanza è che il doge gli
aveva concesso di entrare in diocesi solo un paio di volte e per breve tempo.
Per l’amministrazione il vescovo si servì di alcuni vicari generali, Beruccio
Lamberti, Broccardo Malchiostro, Ottaviano di Castelbolognese; di quest’ultimo
sappiamo che nel 1520 raccolse a sinodo gli ecclesiastici a Mestre e che
compose un suo Liber visitationum con una quindicina di domande
(cerimonie, preci, interrogatori) da sottoporre al curato e a quattro
testimoni; sappiamo però che condusse la sua visita pastorale in maniera
sbrigativa.
Si trova che nell’anno 1521
“Contareno e Marco Cornaro, in possesso di terreni anche a Villa
Crucis in loco vocato ‘La Rotta’
pagano ogni anno al monastero
del Pero cerae once sei”.
[P. Davide: Abbazia di Monastier, pag. 198]
La Rotta fa pensare a un’antica
alluvione memorabile che aveva lasciato il segno sul territorio.
Quando venne a mancare
don Andrea De Pace, i Foscari presentarono don Aloysio (=Luigi) Durante, il
quale però non prese dimora a Croce, ma affidò la cura delle anime al domenicano padre Giovanni
Antonio. Coadiutore era padre Roco. In quale anno accadde? Non sappiamo.
Anche il vescovo de’ Rossi intanto, se ne stava lontano; da Roma,
tornò alla rocca di San Secondo Parmense, feudo della sua famiglia,
per riconquistare terre che giudicava appartenenti al suo ramo e si trovò
a combattere contro Giovanni delle Bande Nere,
chiamato a difendere la sorellastra Bianca Riario, sposa di Troilo I de' Rossi.
Fu perciò costretto a rifugiarsi a Parma nel 1524.
Visita pastorale del 9 giugno 1524
La prima visita pastorale alla parrocchia di Croce fu condotta dal canonico Annibale
Grisani, vicario generale della diocesi di Treviso.
Villa di Croce.
Nell’anno 1524,
giovedì 9 giugno, il predetto Reverendo Domino Vicario era in procinto di
visitare la chiesa restaurata di Santa Croce nella Villa di Croce; nella
quale entrato si recò all’altare maggiore e da lì, cantata l’antifona e
celebrata la processione, prima attraverso la chiesa e poi fino al cimitero,
con le solite e consuete preghiere, si recò infine al luogo dove si conserva
il Corpo di Cristo, che trovò chiuso in un certo piccolo contenitore di legno
decentemente conservato; vide il Sacro Crisma con l’Olio santo e l’Olio degli
infermi in un altro armadietto; e vide il fonte battesimale, lustro, e tutte
le cose tenute sotto custodia. E lì vide il
presbitero Rocco fu Matteo, veneto, avente le Lettere dei suoi ordini e
di buona fama e la facoltà di operare la cura delle anime in tutta la diocesi
di Treviso; (in quella chiesa) egli spesso trascurò i divini ministeri. Fu
poi condotto il padre frate Giovanni
Antonio, veneto, dell’ordine dei predicatori e conduttore dello stesso
beneficio: il rettore del quale,
disse, era il Venerabile don Aloysio
Durante, veneto, che non fa mai residenza. Udito ciò, il Vicario comandò
al presbitero Rocco, in virtù dell’obbedienza, di riferire allo stesso don
Aloysio che entro un mese avrebbe dovuto presentare le Lettere della sua
collazione al detto Reverendo Vicario sotto pena di sospensione dal
ministero, e al medesimo fra Giovanni Antonio che entro lo stesso termine,
avrebbe dovuto esibire la facoltà di stare fuori della clausura del suo
convento.”
(traduzione di Carlo Dariol)
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Villa Crucis:
1524 die Jovis nono iunii antedictus Reverendus Dominus Vicarius visitaturus
ecclesiam restauratam Sanctae Crucis in Villa Crucis : in qua ingressus adivit
altare maius illicque cantata antiphona, celebrataque processione per
ecclesiam ad cimiterium cum orationibus solitis ut consuetis : jvit ad locum
ubi servatur sacrum corpus christi : quod clausum reperit in quondam vasculo
ligneo decenter servatum : Vidit sacrum chrisma cum oleo sancto et infirmorum
in alio armarido : et fontem baptismalem nitidum et omnia sub custodia
clausum : Ibique reperit Ven…lem D. presbiteri rocum fuit mathei venetum
habentem litteras ordinum suas et bonae famae : ac facultatem operandi curam
animarum per diocesem tarvisinam : qui jbi in divinis deseruit : conductus
per D. fr… Joannem antonium venetum ordinis predicatorum conductorem ipsius
beneficii : cuius rectorem esse dixit Ven…lem D. alovisium duranti venetum :
qui numquam residentiam facit : quo audito ipse Reverendus Dominus Vicarius
mandavit eidem presbitero roco in virtute oboedientiae : ut denuntiasset ipsi
Domino aloysio qua… infra terminem unius mensis presentare deberet literas
collationis su… cito Reverendo d. Vicario sub pena suspensionis a divinis :
et eidem frate joanni antonio infra eundem terminem ostendat facultatem
standi extra claustra monasterij sui :
(la decifratura di questo e dei successivi brani è di Carlo Dariol)
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Quindi il vescovo
cominciò a prender nota delle questioni amministrative. Anticipiamo che la luminaria è l’insieme delle candele
accese in chiesa ai vari altari; un legato
è un lascito o una disposizione testamentaria che destina i beni di un’eredità
o una parte di essi ad uno scopo preciso.
La luminaria di
detta chiesa non ha nessun bene di suo all’infuori di un unico legato di tre
lire per anno in perpetuo duraturo fatto da una certa Betta, cognata di Paolo
al Bosco di Feltre, le quali (tre lire) spende Pietro Polato per essa
(luminaria); e alcuni beni situati nel territorio di Feltre dei quali è
amministratore sempre lui; infine un certo altro legato di venti soldi fatto
da un tale chiamato Spaleto di Villanova: quei soldi li spende Alvisone
abitante sotto la Regola di Villanova in quanto fratello del testatore e li
ricava da quanto arato piantato e vendemmiato da un certo campo situato sotto
la Regola di Villanova.
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Luminaria dictae
ecclesia nihil habet in bonis preterea unum legatum trium librarum singulis
annis perpetuo duraturum factum per quamdam betam cognatam pauli del boscho
de feltro quas solvit petrus polatus de dicta : et quibusdam bonis positis in
teritorio feltri quorum ipse est administrator : item quodam aliud legatum
soldorum viginti factu per quondam dictum spaleto de villa nova : quos solvit
alovisonus habitator sub regulatu villae novae ut frater dicti testatoris de
quodam campo aratum plantatum et vitigatum posito sub regulatu villae novae :
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Il vescovo raccolse qualche notizia sulle anime e sul confessore, il prete Rocco.
Sotto la cura vi sono 150
anime, di cui 100 sono da confessione e comunione; e così fanno, ciascuna
singolarmente, tutte vivendo cristianamente e lodevolmente.
Il confessore (di detta chiesa) è il presbitero Roco fu Stefano, veneto: egli
confessa e celebra, dice la Messa e l’ufficio.
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Sub ea cura sunt
anime centum quinquaginta quarum centum tenentur confiteri et comunicare : et
jta faciunt omnis singulis omnes christianiter et laudabiliter viventes :
Confessor eius est D. presbiter rocus fuit stephanui
venetus et … confitetur et celebrat :
missa et officium dicit :
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Quindi si convocarono i testimoni.
Testi da esaminare erano il signor Giovanni
Battista Visentin, il signor Bortolo fu Giovanni de Marchetto e Pietro Pavan.
Ser Giovanni Battista Visentin, sotto giuramento e diligentemente interrogato sulla vita e i
costumi del sacerdote, disse che quello (il presbitero Rocco) volentieri
gioca a carte e qualche volta bestemmia, e ha in casa una ragazza incinta
dalla quale generò 4 figli; tuttavia nell’esercizio della sua cura e
nell’amministrazione delle cose divine si comporta bene; e rettamente nelle
altre cose.
Sulla vita invece del conduttore, bene in tutto.
Ser Bortolo fu Giovanni de Marchetto,
interrogato sulla vita e i costumi del sacerdote rispose che di
tanto in tanto bestemmia e in casa tiene una donna che ha figli dei quali si sospetta
e si mormora nel popolo che siano suoi figli. Nel resto si comporta bene.
Ser Pietro Pavan, interrogato ecc., rispose
che si comporta bene, tuttavia che ha in casa una certa donna che ha figli
che si dice siano figli dello stesso sacerdote.
Nel resto si
comporta rettamente.
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Testes examinandi Ser Joannes baptista vincentinus : Ser bortholus
fuit joanni de marcheto : et Ser petrus pavanus :
Ser Joannes baptista vincentinus juratus et diligenter interrogatus de
vita et moribus sacerdotis jbi deservientis dixit quod libenter ludit ad
ludum cartarum et non numquam blasfemit habens domi puellam pregnantem ex qua
quatuor filios genuit; in exercitio autem curae et admnistratione divinorum
bene se gerit : In reliquis recte :
De vita autem conductoris in omnibus bene respondit :
Ser bortholus fuit Joanni de marcheto interrogatus … de vita et moribus sacerdotis :
respondit quod raro blasfemat : et domi habet quandam foeminam habentem filios de quibus est suspicio
et murmur in populo : quod sint suis filii : in ceteris bene se gerit :
Ser petrus pavanus interrogatus … respondit quod bene se gerit :
atamen quod habet feminam quandam in domo habente filios : qui dicuntur esse ipsius sacerdotis :
In reliquis recte :
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Infine giunsero i provvedimenti.
Sentite queste
cose il Revendo Vicario ingiunse al presbitero Roco di allontanare da sé la
donna in questione entro 3 mesi sotto pena di esilio dalla diocesi tarvisina.
E vedendo che il cimitero era aperto al pascolo delle bestie ordinò che si
facesse un fosso e una siepe tutt’intorno. Comandò al presbitero Roco e per
mezzo di lui volle che fosse comandato che il detto fra Giovanni Antonio
venisse multato di lire 5, da pagarsi senza remissione, ogni volta che
venisse meno a quanto comandato, metà da destinarsi all’episcopato trevigiano
e l’altra metà alle luminarie della chiesa; di non permettere alle bestie di
pascolare nel cimitero. Infine ordinò agli stessi sostituti di non salire più
sul tetto della chiesa e di non permettere ad altri di salire sotto pena di
venti soldi da imporsi e applicarsi allo stesso modo.
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Quibus intellectis
idem Reverendus Dominus Vicarius mandavit
ipso presbitero rocho ut feminam ipsam a se dimitteret infra tre mensis sub
poena exilij a diocese tarvisina. Et videns cimiterium patere bestijs ad
pascendum : jussit fieri foveam et sepem circumcirca : mandans ipsi
presbitero rocho et per eum mandari volens : dicto fratri Joanni antonio sub
pena, librarum quinquarum toties irremissibiliter auffertam quoties fuerit
contra factum : cuius mediatas aplicet episcopatui tarvisino altera mediatas
luminariae ipsius ecclesiae : ne permittant animalia sua pasci in cimiterio
supradicto : item mandavit ipsis
substitutis ne amplius ascondant tectum ecclesiae ne ut alios ascendere
permittant sub pena viginti soldorum similiter auferenda et aplicanda :
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E per concludere fu stilato l’inventario dei beni della chiesa.
L’auricalco è l’ottone, il marculo del turibolo è il marchio.
Inventario dei beni della chiesa:
una croce in ottone dorata;
4 candelabri in auricalco e uno al Corpo di Cristo (=alla lampada del Santissimo) in auricalco;
4 candelabri di ferro;
32 tovaglie;
2 … di legno dipinti;
un secchiello in auricalco;
un calice con patena argentato e piede … ;
2 messali;
un turibolo con marculo in auricalco;
3 camici;
4 pianete;
4 stole;
3 manipoli;
3 amitti;
1 paliotto per altare;
altri 3 paliotti;
1 ferale (=fanale) per il Santissimo;
1 pannello con pitture di tela …
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Inventarium bonorum infrascripta ecclesia ……
Una crux ex auricalco deaurata :
Quatuor candelabra ex auricalco : et unum ad corpus christi ex auricalco :
Quatuor candelabra ferea :
Tobalea triginta duo
Duo … lignei depicti
Unum siculum ex auricalco
Unus calix cum pathena argentea et pede …
Duo missalia
Unum thuribulum cum marculo ex auricalco
Tria camisa
Quatuor planete
Tole 4
Tria manupula
Tres amictus
Unum palium ex altare
Tria alia palia
Unum ferale corporis christi
Unum penellum cum picturis ex tella bla..a
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Fine resoconto visita pastorale
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Croce aveva dunque 150
anime sparse in un territorio vasto come... Per fare un piccolo confronto nello stesso
anno Musile aveva 200 anime: lo dice Wladimiro Dorigo, nel suo
Venezie sepolte nella terra del Piave,
ma l’impressione è che il dato di Musile sia sovrestimato: qualche decennio dopo i numeri risulteranno invertiti.
Per rendersi conto
della situazione di miseria di quegli anni si pensi alle devastazioni che
toccarono il territorio trevigiano e veneziano nella guerra tra Carlo V e
Francesco I cui erano seguite requisizioni e saccheggi.
Nell’anno in cui Carlo V coi suoi Lanzichenecchi saccheggiava Roma (1527)
il vescovo trevigiano Bernardo de’ Rossi moriva a Parma,
forse avvelenato dai nipoti, Giovan Girolamo e Bertrando, e lì
avrebbe lasciato le sue collezioni artistiche.
Mentre Clemente VII si ritrovava prigioniero a Castel Sant’Angelo, prigioniero con
lui era il cardinale veneziano Francesco Pisani che,
venuto a conoscenza della morte del vescovo di Treviso de’ Rossi,
chiese e ottenne l’amministrazione della Sede trevigiana – ne aveva altre in
commenda – anche se non aveva alcuna intenzione di farvi residenza, tanto più che per un anno e mezzo ancora sarebbe rimasto
detenuto nel Maschio angioino a Napoli.
Il 27 gennaio 1528 papa Clemente VII lo nominò amministratore apostolico di Treviso.
Francesco Pisani, nato nel 1494, in gioventù aveva avuto una figlia illegittima;
senatore a ventitré anni, era
stato poi avviato alla carriera ecclesiastica dal padre Alvise, il ricchissimo
patrizio veneziano ambasciatore della Repubblica di Venezia presso la Santa Sede,
il quale pare offrì ventimila ducati a Leone X per
ottenere il cappello cardinalizio al figlio, entrando così nei piani della
Serenissima, che si adoperava di piazzare a Roma i suoi alti prelati.
Su richiesta del doge Leonardo Loredan, Francesco era stato creato cardinale nel 1518 con
il titolo di San Teodoro.
Nel 1524 Clemente VII l’aveva poi eletto vescovo di Padova
(a sinistra una statua in Prato della Valle) e
nel 1526 l’aveva nominato amministratore apostolico di Cittanova (si dimetterà il 10 maggio 1535).
Il 5 maggio 1527 lo aveva consacrato vescovo a Roma,
due giorni dopo che Francesco aveva optato per il titolo di San Marco.
Nel 1528 il parroco don Aloysio Durante prese finalmente
dimora a Croce. Era aiutato pastoralmente dal cappellano padre Bernardino.
[Notizia di don Primo, da controllare]
Tornato in libertà, il Pisani tuttavia
trovò difficoltà per la presa di possesso della diocesi perché il senato
veneziano aveva nel frattempo operato scelte diverse.
Per una trattazione completa dell’argomento vedi
CARLO DARIOL - Storia di Croce Vol. I - IL PAESE DELL'INVENZIONE
dalle origini all’arrivo di Don Natale (1897), Edizioni del Cubo
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