HISTORIA de CROSE
dal 1451 al 1530



Il 19 dicembre 1468 l’enfiteusi (=affitto) per le due Gastaldie di San Donà e di Santa Croce fu concessa al Nobil Homo Giovanni Gradenigo per il canone di 854 ducati; ma essendo morto il deliberatario senza firmare il contratto le Gastaldie non furono assegnate.
[Chimenton S. Donà pp. 32-33]

Il commendatario dell’abbazia del Pero, Giovanni Barbo, continuava ad alienare i terreni dell’abbazia e nel 1473 concedette a Domenico q. Nicolò Bragadin la possessione abbaziale di 150 campi circa in Croce di Piave, chiamata la Rotta, costituita dai beni pervenuti in donazione all’abbazia nel 1299.
[Codice Pirense dell’abbazia di Praglia, ff.. 246-248; ASVE, SGM, b. 9, Catastico sandei, c. 721, proc. 258, n. 4, 10 novembre 1473, notaio Ludovico Zamberti. Il livello verrà affrancato con rogito del 4 febbraio 1521 (ibidem, c. 723, proc. 258, n. 13, notaio Bortolo Raspi)]
Quei terreni si andavano ad aggiungere a quelli che in passato dal patriarca di Aquileia erano stati venduti al N.H. Bragadin? Boh. In futuro per via di eredità giungeranno in proprietà alla famiglia Foscari.

L’acquisto della Gastaldia de Crose da parte dei Foscari

Il Senato della Repubblica Veneta deliberò e ordinò ai Tre Savi, deputati a ricuperare denaro per la Repubblica che si trovava in difficoltà economiche a causa delle guerre di difesa dei propri territori, di vendere alcuni possedimenti in terraferma.
Nel 1483 i terreni di qua e di là del Piave verso la sua foce furono posti in vendita dai Deputati “sopra la recuperation del danaro”, cioè all’incanto.

die XXVI maj
Non data in [?] per diu rettenta

El fo prexo ali zorni passati in questo Conseio (Senato), et commesso ai tre Sauui, deputati al recuperar danari, che dovessero intender tuti li beni de la Signoria nostra, existenti neli territorii nostri da parte da terra (di terra ferma), et minutamente informarsi de la condition et qualità de quelli (beni), azo che parendo a questo Conseio et constrenzendone cussì el bisogno el se potesse deliberar la vendition soa. Et, chome ognun intende, se mai el fu necessario recuperar grande summa de danari et presto per li besogni nostri, le (così è) al presente, chome ognun intende.

Perunde, attrovandose nel territorio nostro trivisano el livello de ducati 840 de la Gastaldia de Sandone (San Donà), et la Gastaldia de Santa + (Croce), item nel territorio de Padoa si trova el Lago de Guidizuol, cum algune valle che sono del fu Thadio Marchexe, messe ne la Signoria nostra, per parte del credito che havea la signoria nostra prefacta cum dito Thadio Marchese; preterea nel territorio de Este et padoana alguni livelli, feudi et altri beni sono del marchexe de Ferrara. De li qual tuti si potrà haver per vendition bona summa de danari.

Et però (perciò) sia preso (deliberato) chel predeto livello de Sandone et Gastaldia de Sancta + , Lago de Guidizuol cum predicte valle, item tuti i livelli, e feudi predicti, et altri beni predicti siano messi al publico incanto et per tre zorni incantadi cadaun de quelli. Et poi delivradi (consegnati) a chi più offerirà , cum quello più avantazo de la Signoria nostra che far se potrà. Ma avanti che per i prefati Savi se vegni ala delivration de algun de quelli, debiano vegnir ala presentia de la Signoria nostra et a quella per zornata (giorno per giorno) dichiararli el prexio li serà sta offerto. Et poi, parendo cussì  ala prefata Signoria e Collegio, Quelli et cadaun de quelli delivrar insieme et divisim a parte a parte, chome al Collegio parerà delivrar possi ali più offerenti ut supra. I denari del tracto (del ricavato) diquali non se possi spender in alguna cossa, senza licentia de questo Conseio.

      

De parte _____ 152 [Voti per il sì]
De non ______ 10 [Voti per il no]
Nonsint ______ 7 [Astenuti]

Nessuno però riuscì a comprare tutto; le due parti furono allora divise: il 2 settembre 1475 fu affittata la sola Gastaldia di S. Donà e risultarono deliberatari Francesco Marcello e Angelo Trevisan mentre la Gastaldia di Croce, nuovamente posta all’asta il 26 maggio 1483 venne acquistata dai fratelli Francesco e Domenico Foscari di Alvise il 13 agosto 1483, per ducati 5.610.

L’atto di acquisto

[L’atto notarile n° 194 dell’acquisto si trova presso l’Archivio di Stato di Venezia, nella busta 336 delle “Rason vece”. La versione sotto riportata presenta la parte in latino tradotta. Purtroppo anche la parte in veneziano è trascritta male]

Gesù Cristo

Nel nome di Cristo. Amen. Anno della sua Natività 1483, indizione prima, giorno di mercoledì, tredicesimo del mese di agosto, in Rialto, sotto il portico cioà la loggia.

Presenti gli egregi uomini Donato Cigotto fu Ser Domenico della parrocchia di S. Barnaba, Ser Girolamo Negro del fu Alessandro della parrocchia di S. Maria Zobenigo, Ser Giovanni delle Chiavi della contrada di S. Fantino, Ser Giacomo detto Bagattin, pubblico banditore della città di Venezia, lor signori – insieme a Pietro Rossi, altro banditore della parrocchia di S. Severo, ed essendo già stati convocati nel luogo tutti i testi avuti e interrogati, e altri – diedero all’incanto la sottoscritta GASTALDIA DE CROCE; ivi i magnifici e generosi uomini Ser Vettor Soranzo, cavalier procurator de San Marco, Marco Loredan e Domenico Morosini savii, deputati a ricuperar danari per autorità loro attribuita e per ufficio loro attraverso gli eccellentissimi Pregadi (Senato) come consta dalla delibera presa nel predetto Consiglio l’anno 1483, nel giorno 26 maggio, vista e letta da me notaio infrascripto, per la qual ebbero autorità e facoltà di eseguire le disposizioni seguenti e altre, ordinarono che fosse posta al publico incanto la infrascripta GASTALDIA DE CROCE sotto la forma di lingua volgare veneziana, così:

“Si vende al publico incanto, per mezzo del magnifico Ser Vettor Soranzo, cavalier procuratore di S. Marco e di compagni savi deputati a ricuperar danari per l’autorità loro attribuita, la GASTALDIA DE CROSE, posta nel distretto di Treviso, per la quale si pagano di fitto lire 3000 di piccoli all’anno, con le condizioni evidenti per il fitto dato a messer Girolamo de Mula. Ma, poiché gli sono state usurpate molte possessioni nei tempi passati, come si dice, riguardo alla detta Gastaldia, si dichiara perciò che colui che la compra sia ascoltato con raxon dalla nostra illustrissima Signoria e possa dimandar e ricuperar quanto che fusse sta usurpà; e tuto quel che sarà ricuperà si vuole che vada a chi comprerà.

Il compratore, dopo versato il pagamento, abbia a riscuotere, tramite i predetti gentiluomini, dalla casa de Mima [o Memo?] lire 3000 all’anno per il tempo della fittanza. E il compratore sia tenuto a fare il pagamento entro 15 giorni dalla delibera, sotto pena del 10% e di essere rivenduta a sue spese e a beneficio della nostra illustrissima Signoria; e sia inoltre tenuto a pagare le spese dell’incanto e le carte, e dare 4 ducati ai comandanti e 2 ducati ai fanti. E qui ha fine il soprascritto incanto”.

E a questo incanto poi e all’asta fatta di frequente e in diversi giorni e ora in Rialto, nel suo luogo consueto, come è stato detto, alla presenza di grande moltitudine di popolo, intervennero moltissime persone offerenti prezzi diversi. Alla fine la Gastaldia fu consegnata al nobil homo che era presente ser Francesco Foscari, figlio del fu magnifico N.H. ser Luigi, come il maggior offerente che accettò la stessa Gastaldia e i suoi diritti conforme alle denominazioni sottoscritte.

Perciò i predetti signori, magnifici e generosi uomini, Vettor Soranzo, cavaliere procuratore di S. Marco, Marco Loredan e Domenico Morosini, savii deputati, ut supra, in nome dell’illustrissimo dominio ducale di Venezia, diedero, consegnarono, vendettero e alienarono, in nome di Dio, in proprietà, in proprio diritto e in perpetuo al nobilissimo ser Francesco Foscari, figlio ecc.., presente e accettante in suo proprio nome e in vece e in nome di ser Domenico Foscari suo fratello, i noti diritti per la metà indivisibile, stipulando e accettando anche per l’altra metà in vece e in nome della Commissaria di Ser Giovanni Foscari … e per i nomi di loro e di ciascuno, per i loro eredi e successori. E lo stesso Ser Francesco poi in forma solenne promise “de rato et rati habitione”, anche in favore del fratello Domenico e della Commissaria di Ser Giovanni, la predetta Gastaldia posta nel distretto trevigiano. E questa invero comprende i beni seguenti: in primo luogo la Villa di Croce che contiene in sé possedimenti, terre arative, prati, boschi, paludi… posti dentro questi confini, e cioè: a mattina il fiume Piave e poi gli eredi di Ser Domenico Bragadin e in parte i beni del vescovato di Torcello; a mezzogiorno le acque salse [il mare]; a sera in parte il fiume Meolo, Ser Pancrazio Cappello, suo fratello, i consanguinei o parenti, quindi i beni del monastero di S. Daniele di Venezia e in parte la Fossa vecchia; a monte la stessa Fossa Vecchia, detta anche fiume Vagliate [il Vallio], poi la Signora Giulia di Collalto, in parte il bosco delle Tasche, quindi i Barisani, cittadini di Treviso, i pascoli del Comune di Fossalta, il Comune di Campolongo [di S. Mauro], chiamato Prato dell’Isola [del Piave]…, i beni del monastero di S. Maria del Pero [di Monastier]. Inoltre i boschi di Marteggia, Novolè, Onolè, i terreni paludosi di Angarano [dove i benedettini raccoglievano poi il quartese dei coloni]

Il detto ser Francesco compratore, i suoi eredi e successori ebbero la nominata Gastaldia di Croce, con i beni e i diritti inerenti come già venduti e quindi in possesso di tutte le cose soprascritte, con facoltà di tenere, di possedere, usare, godere, dare, vendere, donare, permutare, giudicare per l’anima e per il corpo, e di fare qualunque cosa in perpetuo piacerà a lui e ai suoi eredi, come di loro proprietà libera e sciolta da ogni livello e obbligo, senza contraddizione dei signori venditori sopraddetti e di qualunque altra persona del mondo, tutti i beni e i diritti della Gastaldia sono venduti con gli accessi e gli sbocchi, le strade, gli anditi e i sentieri, i fiumi, le acque e i corsi d’acqua, i canali, le pescagioni, le cacciagione, le uccellagioni, e con tutti e singoli i fabbricati e gli edifici di ogni genere che si trovano in essa. Inoltre con tutte le esenzioni e le immunità che avevano e tenevano il predetto illustrissimo Governo ducale e anche il soprascritto Ser Domenico de Mula per diritto di locazione e gli altri conduttori che in qualche tempo tennero o possedettero i detti beni o qualche parte di essi in locazione ovvero per qualche altro diritto, prima di questa vendita e, in via ordinaria, con tutte le altre azioni, giurisdizioni e ragioni, con i possessi e con tutte le pertinenze e le adiacenze, “tam realiter quam personaliter, utile et directe, mixte et pretorie, civiliter et hypothecarie, generaliter et particulariter”, che la detta Gastaldia e i suoi beni e diritti venduti hanno in pieno potere, in ogni luogo e con ogni diritto, uso, azione e requisizione che spettavano ed appartenevano agli stessi beni venduti, o meglio ai detti signori Savii, in qualche modo, e in nome dell’illustrissimo Governo.

E questa vendita invero fu stipulata per il prezzo di 5610 ducati. Quindi i detti signori sapienti che agirono in nome e per autorità dell’illustrissimo Governo, come sopra, si dichiarano soddisfatti del prezzo e del contratto, e manifestarono in seguito di aver ricevuto i 5610 ducati in denaro contante dai predetti compratori di Casa FOSCARI in questo modo: dai soprascritti signori Francesco e Domenico Foscari 300 ducati per mezzo del Banco di Casa Pisani, il 18 agosto 1483. Nello stesso giorno 300 ducati dalla Banca di Ca’ Lippomanno. Ai 25 del mese di agosto poi 2050 ducati dalla detta Banca di Ca’ Lippomanni. Ai 28 dello stesso mese 80 ducati contati presso l’ufficio dei Camerari [Cassieri]. In questo giorno pure altri 80 ducati del Banco dei Garzoni. E dalla Commissaria del defunto Giovanni Foscari, il 18 agosto corrente, 850 ducati prelevati dalla Banca Ca’ Pisani. Inoltre il 25 agosto seguente 1950 ducati dalla Banca di Lippomanni. E tutte queste cifre assommano precisamente a 5610 ducati.

I detti Savii di cui sopra rinunciarono interamente ad ogni altra richiesta di denaro e di prezzo perché saldati i conti, e ad ogni speranza di rimunerazione e di compenso in avvenire, e assicurarono ai nobili Foscari compratori termine, quiete, assoluzione e sicurezza plenaria, col patto di non chiedere nient’altro “in perpetuum” oltre al prezzo stabilito. Inoltre i predetti venditori, cedendo, rinunciarono ai compratori tutti i diritti e tutte le azioni e tutte le ragioni o qualunque altra cosa che l’illustrissimo Dominio ha e potrebbe avere in qualche modo nella Gastaldia e nei beni venduti. E costituirono gli stessi compratori procuratori irrevocabili, ponendoli nel diritto  e nello stato in cui si trovano l’illustrissimo Governo ducale di Venezia prima della presente vendita, Girolamo de Mula nel suo diritto di locazione e tutti gli altri conduttori e affittuari per il tempo in cui ebbero il possesso della Gastaldia.

Così che da ora in avanti i compratori sono in potere di usare di tutti i diritti e di tutte le azioni, come agire, reclamare, far causa, conseguire, difendersi, ecc…. portare liberamente in giudizio quelle ragioni che l’illustrissimo Dominio ducale poteva o avrebbe potuto fare prima di questa vendita o alienazione, trasferendo quindi completamente nei compratori diritto e dominio nel possesso della Gastaldia. Frattanto i signori venditori conservano ancora il diritto nominale di proprietà della Gastaldia e dei suoi beni venduti, finché i signori di Ca’ Foscari compratori non ne abbiamo ottenuto l’investitura con la regolare immissione. E per tale possesso questi signori ricevettero piena autorità dai Savii, i quali affermarono che la stessa Gastaldia e i diritti soprascritti fino al tempo della vendita furono dell’illustrissimo Governo e che a nessun’altra persona queste cose vennero date, donate, vendute, pignorate o altrimenti obbligate, ma soltanto a questi compratori con la presente vendita mediante l’incanto suddetto. Qualora dovesse comparire questa persona, i venditori promisero di indennizzare gli stessi compratori e i loro eredi, di non permettere mai alcuna lite, causa, molestia o questione, agli acquirenti o ai loro eredi circa i beni venduti o di qualche parte di essi, anzi di lasciare pacificamente agli acquirenti ed eredi gli stessi beni, con la difesa legittima e con l’autorità, per la piena protezione, per la forte conservazione e per il possesso pacifico contro ogni persona, comune o collegio, contro tutti i pericoli, le difficoltà e le spese dell’illustrissimo Governo ducale.

Pertanto i Savii promisero promisero e promettono in nome dell’illustrissimo Governo questa vendita e tutti i suoi beni ai compratori, i quali stipularono e accettarono per sé e per i loro eredi, in forma stabile, ratificata e gradita, per tenere con cura, per conservare con diligenza e non fare azione contraria direttamente o indirettamente “de jure vel de facto”, [spinti] da qualche motivo o astuzia, pena il doppio pagamento, dal tempo dell’imbroglio scoperto, degli atti premessi con solenne stipulazione di questo istrumento, e la riparazione di tutti i danni e delle spese di una eventuale lite.

Tuttavia, saldate e riparate o meno tali cose, il presente documento con quanto esso contiene rimanga nella sua stabilità.

I magnifici signori Savii, pur obbligati a conservare tutti i beni attuali e futuri dell’Illustrissimo Governo ducale, qui rinunciano a tutte le riserve, ai particolari privilegi, aiuti e beneficii per i quali potesse qualche cosa venire comunque eccepito, obiettato o contrapposto alle premesse o ad alcune di esse.

[Quindi le firme] Io Lodovico Memo provvisore sopra le Camere sottoscrissi.
Io Francesco Foscareno sopra le Camere sottoscrissi

Venezia dipendeva economicamente dalle zone ai confini della laguna soprattutto per il legname, che non bastava mai. E non si sta parlando dei pregiatissimi tronchi che giungevano dal Cadore o dai boschi della Stiria che servivano per le fondazioni dei palazzi, ma della comunissima legna da ardere.

L’Agnoletti, riferendosi ai Foscari, ricorda fra le attività esercitate in questa Gastaldia quella del carbonaro. Si trattava di carbon dolce da trasportare a Venezia. In proposito una drammatica testimonianza si trova in Marco Cornaro, nel suo libro ‘Antichi scrittori di idraulica veneta’. Il Cornaro era stato alla ‘Giustizia Vecchia’ nell’anno 1442. In questa Magistratura si era trovato dinanzi ad una delle più gravi preoccupazioni cittadine: all’approvigionamento della legna da ardere, la cui mancanza si faceva sentire spesso con grandissimo danno, disperazione ed anche morte della povera gente specie durante la stagione invernale.

Per questo negli anni seguenti Marco Cornaro compì accurati sopraluoghi alla rete fluviale per togliere il disagio della navigazione e relative comunicazioni con Venezia. Fu in conseguenza di ciò che nel 1483 Venezia provvide a scavare il canale “Fossetta”. Metteva in comunicazione Venezia con tutto il trevisano orientale mediante i fiumi Meolo, Vallio che confluiscono in esso. Determinando anche una interruzione sulla via Annia per Aquileia, diventava un «traghetto» importantissimo. E avrebbe portato notevoli vantaggi per il territorio di Croce.
Il quale intanto fu colpito dalla peste (1486/89), con una mortalità attorno al 30% della popolazione; da un inverno talmente rigido da far gelare la laguna di Venezia e il Piave (1490) e provocare un’alta mortalità fra gli uomini ed il bestiame e da un’epidemia di mal francese (sifilide) (1496), contemporanea a una carestia in cui la gente non avendo più nulla da mangiare raccoglieva la gramigna, la tagliava a pezzi, la faceva seccare nei forni «et poi fatala maxenar feve pan».

Nell’atto di investitura canonica del ‘Pievano’ di Noventa (1497), tra le ‘Cappelle’ da essa sorrette si trova anche Croce di Piave.
[Lib. Act. 1497, busta 1]

Nel 1499 divenne vescovo di Treviso il trentunenne Bernardo de’ Rossi, conte di Berceto, trasferito dalla sede di Belluno. Era un nobile parmense favorito dalla Serenissima per i servizi prestati dalla sua famiglia, tant’è vero che già all’età di sedici anni (nel 1485) gli erano state assegnate le entrate della chiesa di Treviso. A seguito del valore degli studi fin li condotti e sempre in grazia della Repubblica di Venezia nel 1488, ventenne, era stato consacrato vescovo di Belluno.
Ora tornava a Treviso, da estraneo al territorio, circondato da un clan di cittadini, una quindicina di persone. Di suo era un umanista, protettore di artisti e letterati, tra cui il giovane Lorenzo Lotto che lo ritrasse.

Bernardo de’ Rossi (ritratto di Lorenzo Lotto)

Appena giunto in diocesi diede inizio, quasi d’impeto, alla visita pastorale; dovette però sospenderla in duomo per l’opposizione del Capitolo, che avanzava diritti ab immemorabili sulla Chiesa madre; governò mediante alcuni vescovi ausiliari suffraganei: Angelo Lemino e Niccolò Lupi di Gravina vescovo di Scutari; riuscì a riprendere la visita pastorale il 4 settembre 1500 e giunse anche a Noventa; dalla relativa relazione risulta che:

il reverendo parroco Antonio, pievano di San Mauro, interrogato se entro i confini della sua parrocchia vi siano altre Chiese o Cappelle soggette, risponde come sotto: la chiesa di Santa Maria delle Grazie della Villa di San Donato, la chiesa di Santa Croce, la chiesa di San Benedetto di Zenson la cui rendita spetta al Padre Abate del Monastero del Pero, la chiesa di San Donato di Musile, la chiesa di San Ermagora di Fossalta.

R.P.Antonius plebanus Sancti Mauri, interogatus si intra suam paroechiam subsint alias Ecclesias seu Cappellas illi subiectas, respondit ut infra: ecclesiam Sancta Maria de gratia di Villa Sancti Donati, ecclesiam Sanctae Crucis, ecclesiam Sancti Benedicti de Zensono cuius collatio spectat P. Abbati de Monasterio Peri, ecclesiam Sancti Donati de Musilo, ecclesiam Sancti Ermagora de Fossalta.

L’elenco delle Chiese soggette appare stilato secondo l’ordine d’importanza delle medesime.

Nel 1503 il vescovo entrò in conflitto con il podestà veneziano della città, Girolamo Contarini, e con le altre autorità di Treviso, avendo varato alcune riforme che indebolivano i controlli esterni sugli affari ecclesiastici. Nel settembre di quell’anno una congiura della famiglia Onigo cercò di farlo assassinare, ma il piano venne scoperto prima di essere messo in atto.

Un’altra pestilenza era intanto giunta nel 1502 e un’inondazione del Piave si verificò nel 1506.
[questi e i dati sopra sono ricavati dagli Anagrafi della Serenissima, alla Biblioteca Marciana]

La Fossetta

Tuttavia Croce si avviava a godere dei benèfici effetti del commercio lungo la Fossetta, e con l’aumento di popolazione poteva aspirare a diventare sede di una nuova parrocchia indipendente, staccandosi da Noventa.
Giuseppe Dalla Santa così scrive nel recensire il libro «La strada e il traghetto della Fossetta» scritto dal Pavanello: «Nei primi anni del 1500 la strada della Fossetta apparve già avere una certa importanza strategica, carovaniera e postale, e la stazione di quel traghetto, la più addentro nel continente, accentrava in sé gran parte del commercio di Venezia nel trevisano orientale, nel Basso Friuli e la Germania. Intanto, attesa l’importanza del traghetto della Fossetta e degli altri di dentro e di fuori la Dominante si formò una legislazione che riguarda la confraternita dei barcaioli e le singole fraglie dei traghetti, le libertà, i gravami, gli approdi, le tariffe».

Alcuni terreni di Croce di Piave vennero permutati tra l’abbazia del Pero e il nobile Francesco Foscari con atti 5 dicembre 1508 e 29 gennaio.
[ASVE, b. 9, Catastico Sandei, cc. 721-723, proc. 258, nn. 6-7, notai Antonio da Padova e Pietro Gratarol da Venezia]

Nel 1509 il vescovo di Treviso Bernardo Rossi venne confinato, poi espulso ed esiliato perché sospettato di connivenza con il fratello Filippo, che era passato al servizio dell’imperatore Massimiliano, tradendo la Serenissima. Ma trovò grazia presso Giulio II (il papa in armi) e poté mantenere il titolo di vescovo di Treviso.

1509: CROCE diventa parrocchia

Forse perché la Gastaldia era tanto cresciuta (raggiungendo le 140-150 anime, ragionando per induzione all’indietro) da poter sorreggersi autonomamente, forse perché il vescovo era confinato a Roma e Marco Foscari aveva entrature presso l’amministrazione della Serenissima, nel 1509 la cappella dedicata all’Invenzione della Santa Croce, divenne chiesa parrocchiale e don Andrea de Pace, veneziano, ne fu il primo parroco su presentazione dello stesso Marco Foscari, giuspatrono. Nell’archivio parrocchiale è conservato il seguente documento notarile e curiale sulla immissione del primo parroco don Andrea De Pace nella nuova recente parrocchia di Croce di Piave:


(segue sulla seconda facciata)

Cerchiamo di decifrarlo:
1509

Documento redatto a favore del venerabile don Andrea de Pace, di Venezia, relativo al possesso della chiesa di Santa Croce della Villa di Croce
Nel nome di Cristo amen. Per mezzo di questo pubblico istrumento sia evidentemente chiaro e noto a tutti che presso di me notaio infrascritto a Treviso sopra il cimitero della cattedrale della chiesa Trevigiana si è presentato personalmente Giovanni Rinaldo di San Zenone, Nunzio giurato della Curia dell’Episcopato Trevigiano. E riferì a me notaio come, nel corrente anno della Divina Natività 1509 – dodicesima indizione – mercoledì 27 del mese di giugno, lo stesso nunzio sia stato richiesto dal venerabile signore don Andrea De Pace di Venezia, rettore della Chiesa di Santa Croce della Villa di Croce, della diocesi tarvisina, in forza delle Lettere e delle Bolle di collazione rilasciate allo stesso sacerdote della detta chiesa per il [per mezzo del/dal] reverendissimo in Cristo Padre e signore Bernardo de’ Rossi, per grazia di Dio e della Sede Apostolica vescovo di Treviso e conte di Berceto, in data 25 del mese di giugno predetto, e si presentò alla prenominata chiesa di Santa Croce. E il delegato vescovile condusse lo stesso don Andrea, alla presenza di Antonio di Ripa gastaldo di Trento e di Pietro Antonio di Giorgio fattore del magnifico signore Marco Foscari, testimoni dallo stesso nunzio rogati, al possesso effettivo e quasi corporale della stessa chiesa e dei suoi diritti e pertinenze; e una volta che il detto rettore vi fu condotto, e si fu genuflesso davanti all’altare maggiore, con l’intenzione di prendere il detto possesso, baciandolo il detto altar maggior nel mezzo e agli angoli, andando e ritornando per la stessa chiesa, chiudendo e aprendo la porta, suonando la campana, sedendo in coro, e facendo altri gesti e segnali consueti in simili avvenimenti ne prese a tutti gli effetti il pacifico possesso, chiedendo a me notaio di redigere delle azioni compiute pubblico istrumento.

Francesco Novello notaio travisano, come scrissi sopra.

(Traduzione di Carlo Dariol)

1509

Pro venerabili domino presbitero Andrea de Pace de Venetiis possessus ecclesiae Sanctae Crucis de Villa Crucis.
In Christi nomine amen: per hoc presens publicus instrumentum cunctis pateat evidenter et notum sit quod penet me notarius infrascriptum Tarvisii sup coemeterio Cathedralis ecclesiae Tarvisinae personaliter constitus [sott.est = si presentò] Joannes Renaldus de Sancto Zenone Nuntius Curiae Episcopatus Tarvisinij Juratus, rettulit mihi notaro qualiter currente anno Divinae Nativitatis Milliaquingentesimo nono, indizione duodecima, die mercurii vigesimo septimo mensis junii, ipse nuntius sit requisitus a venerabili domino presbitero Andrea De Pace, de Venetiis, Rectore Ecclesiae Sanctae Crucis de Villa Crucis Tarvisinae dioceses vigore Litterarum et Bullarum Collationum ipsi sacerdoti facta de dicta Ecclesia per Reverendissimum in Christo patrem et Dominum Dominum Bernardum de Rubeis, Dei et apostolica sedis gratia Episcopum Tarvisinum et Comitem Berceti sub die vicesimoquinto mensis Junii praedicti [et] ad praefatam ecclesiam Sanctae Crucis accessit. Ac ipsum dominum presbiterum Andream in presentia Ser Antonij Joannis de Rippa Tridenti Gastaldionis et Petri Antonij Georgij fattoris peragrati domini Marci Foscari Patritii veneti testium ab ipso nuntio rogatorum, in attualem et corporalem possessionem vel quasi in ipsam ipsius ecclesiae ac jurium et pertinentiarum suarum in eandem ecclesiam attuali duxit. Qui dominus Rector sit ductus et coram altare magno genibus flexis constitutus animo dictam possessionem apprehendendi medium et cornua dicti altari magni oscurando, per dictam ecclesiam eundo et redeundo, claudendo et aperiendo, campanulam pulsando, in choro sedendo, et alia signa in similibus consueta et convenientia faciendo, praedictae ecclesiae et jurium suorum pacificam possessionem actualiter appraehendit, me notarium requirens ut de praedictis huiusmodi publicum conficerem instrumentum.

Franciscus Novellus notarius tarvisinus, ut supra scripsi

Da quella data Croce non fu più “Cappella di Noventa” ma parrocchia indipendente della diocesi di Treviso. Si noti che il documento riportato sopra non si riferisce propriamente alla data della fondazione della parrocchia ma a quella della immissione in possesso del primo parroco. Si può supporre che la parrocchia fosse stata eretta prima, almeno di qualche mese, e che fosse in attesa della nomina e della investitura del suo primo parroco.

Don Andrea de Pace non ebbe una residenza propria, ed è probabile che visse a Venezia, così come faranno i suoi successori per lungo tempo.

La piccola chiesa, che – ricordiamo – si trovava nei pressi del Piave, press’a poco in corrispndenza dell’attuale curva dell’Argine di san Marco, aveva nelle adiacenze il cimitero, la canonica e alcune case di pescatori, contadini, legnaioli e carbonari. Si trattava di “casoni” col tetto in cannelle. Altre povere case o “casoni” erano dispersi nell’ampio territorio che confinava con la laguna veneta, collegati al “centro” da strade polverose d’estate e fangose d’inverno.

Quell’anno, a seguito di nuove controversie con la Repubblica Serenissima, il vescovo de’ Rossi fu costretto a lasciare la sede diocesana e a ritirarsi a Roma nel 1510.

Era intanto (nel 1508) scoppiata la guerra di Cambrai, e il parroco di Croce avendo al sopraggiungere di tale guerra affidato la propria cavalla in custodia al pievano di Musile, dovette sostenere lite per riaverla [Pavanello, La Città di Altino e l'Agro altinate orientale]

Col suo progressivo rafforzarsi sul mare, Venezia preferì avere un maggiore controllo anche sull’entroterra amministrando le Gastaldie attraverso i vicari.
Interessante in proposito quanto riferisce il Bonifacio nella sua Storia di Trevigi circa la vita amministrativa alla quale furono sottoposti per diversi secoli gli abitanti di questa come di altre Gastaldie: «Il Vicario ducale, succeduto al gastaldo, era un giudice di pace popolare con attribuzioni limitate: veniva nominato dal Doge dietro proposta dei livellari o proprietari…» I livellari sono gli affittuari che pagano un certo livellum (quota) di affitto.

Il governo locale, per quanto concerne Croce e Musile, andava dalla Fossa Vecchia (Fossetta) a Torre del Caligo (Ducale 4 novembre 1514). Contro la facoltà di cui era investito il governo locale vi era diritto di appellarsi al podestà di Torcello.

Il linguaggio del tempo può venir rivissuto leggendo un documento rilasciato per il transito di cinque animali dal traghetto della Fossetta:
«Condux ser Zuan Antonio per la fossetta porci 5 de rason della Gastaldia semel tantum (una volta soltanto)...».

Gli agenti daziari che avessero lasciato passare un carico senza le prescritte formalità erano puniti con la multa di lire venticinque e un giorno di berlina (pena che consisteva nell’esporre al pubblico ludibrio il condannato).

Successivamente i Foscari vendettero qualche porzione dell’immensa proprietà, sicché nel 1518 rimanevano loro 1.196 ettari, per lo più boschivi o paludosi, e destinati a contrarsi e frazionarsi ulteriormente, per via di divisioni familiari e di doti.

L’abate del monastero di San Benedetto di Polirone, nel cui possesso erano giunti i beni dell’abbazia del Pero, nel 1520 alienò alcuni terreni o li affrancò dai livelli ci erano sottoposti.
Alla Rotta ne approfittò Vincenzo q. Francesco Tiepolo, che affrancò dal livello 150 campi [ASVE, SGM, b. 3, catastico B, ff. 4v. 25; ibidem b. 2]

Come don Andrea non viveva a Croce così anche il vescovo titolare di Treviso, Bernardo Rossi, non viveva a Treviso ma a Roma, presso papa Clemente VII; lì aveva partecipato al Concilio Lateranense V. Ma il motivo primo di questa sua latitanza è che il doge gli aveva concesso di entrare in diocesi solo un paio di volte e per breve tempo. Per l’amministrazione il vescovo si servì di alcuni vicari generali, Beruccio Lamberti, Broccardo Malchiostro, Ottaviano di Castelbolognese; di quest’ultimo sappiamo che nel 1520 raccolse a sinodo gli ecclesiastici a Mestre e che compose un suo Liber visitationum con una quindicina di domande (cerimonie, preci, interrogatori) da sottoporre al curato e a quattro testimoni; sappiamo però che condusse la sua visita pastorale in maniera sbrigativa.

Si trova che nell’anno 1521 “Contareno e Marco Cornaro, in possesso di terreni anche a Villa Crucis in loco vocato ‘La Rotta’ pagano ogni anno al monastero del Pero cerae once sei”.
[P. Davide: Abbazia di Monastier, pag. 198]
La Rotta fa pensare a un’antica alluvione memorabile che aveva lasciato il segno sul territorio.

Quando venne a mancare don Andrea De Pace, i Foscari presentarono don Aloysio (=Luigi) Durante, il quale però non prese dimora a Croce, ma affidò la cura delle anime al domenicano padre Giovanni Antonio. Coadiutore era padre Roco. In quale anno accadde? Non sappiamo.
Anche il vescovo de’ Rossi intanto, se ne stava lontano; da Roma, tornò alla rocca di San Secondo Parmense, feudo della sua famiglia, per riconquistare terre che giudicava appartenenti al suo ramo e si trovò a combattere contro Giovanni delle Bande Nere, chiamato a difendere la sorellastra Bianca Riario, sposa di Troilo I de' Rossi. Fu perciò costretto a rifugiarsi a Parma nel 1524.


Visita pastorale del 9 giugno 1524

La prima visita pastorale alla parrocchia di Croce fu condotta dal canonico Annibale Grisani, vicario generale della diocesi di Treviso.

Villa di Croce.

Nell’anno 1524, giovedì 9 giugno, il predetto Reverendo Domino Vicario era in procinto di visitare la chiesa restaurata di Santa Croce nella Villa di Croce; nella quale entrato si recò all’altare maggiore e da lì, cantata l’antifona e celebrata la processione, prima attraverso la chiesa e poi fino al cimitero, con le solite e consuete preghiere, si recò infine al luogo dove si conserva il Corpo di Cristo, che trovò chiuso in un certo piccolo contenitore di legno decentemente conservato; vide il Sacro Crisma con l’Olio santo e l’Olio degli infermi in un altro armadietto; e vide il fonte battesimale, lustro, e tutte le cose tenute sotto custodia. E lì vide il presbitero Rocco fu Matteo, veneto, avente le Lettere dei suoi ordini e di buona fama e la facoltà di operare la cura delle anime in tutta la diocesi di Treviso; (in quella chiesa) egli spesso trascurò i divini ministeri. Fu poi condotto il padre frate Giovanni Antonio, veneto, dell’ordine dei predicatori e conduttore dello stesso beneficio: il rettore del quale, disse, era il Venerabile don Aloysio Durante, veneto, che non fa mai residenza. Udito ciò, il Vicario comandò al presbitero Rocco, in virtù dell’obbedienza, di riferire allo stesso don Aloysio che entro un mese avrebbe dovuto presentare le Lettere della sua collazione al detto Reverendo Vicario sotto pena di sospensione dal ministero, e al medesimo fra Giovanni Antonio che entro lo stesso termine, avrebbe dovuto esibire la facoltà di stare fuori della clausura del suo convento.”
(traduzione di Carlo Dariol)

Villa Crucis:

1524 die Jovis nono iunii antedictus Reverendus Dominus Vicarius visitaturus ecclesiam restauratam Sanctae Crucis in Villa Crucis : in qua ingressus adivit altare maius illicque cantata antiphona, celebrataque processione per ecclesiam ad cimiterium cum orationibus solitis ut consuetis : jvit ad locum ubi servatur sacrum corpus christi : quod clausum reperit in quondam vasculo ligneo decenter servatum : Vidit sacrum chrisma cum oleo sancto et infirmorum in alio armarido : et fontem baptismalem nitidum et omnia sub custodia clausum : Ibique reperit Ven…lem D. presbiteri rocum fuit mathei venetum habentem litteras ordinum suas et bonae famae : ac facultatem operandi curam animarum per diocesem tarvisinam : qui jbi in divinis deseruit : conductus per D. fr… Joannem antonium venetum ordinis predicatorum conductorem ipsius beneficii : cuius rectorem esse dixit Ven…lem D. alovisium duranti venetum : qui numquam residentiam facit : quo audito ipse Reverendus Dominus Vicarius mandavit eidem presbitero roco in virtute oboedientiae : ut denuntiasset ipsi Domino aloysio qua… infra terminem unius mensis presentare deberet literas collationis su… cito Reverendo d. Vicario sub pena suspensionis a divinis : et eidem frate joanni antonio infra eundem terminem ostendat facultatem standi extra claustra monasterij sui :

(la decifratura di questo e dei successivi brani è di Carlo Dariol)

Quindi il vescovo cominciò a prender nota delle questioni amministrative. Anticipiamo che la luminaria è l’insieme delle candele accese in chiesa ai vari altari; un legato è un lascito o una disposizione testamentaria che destina i beni di un’eredità o una parte di essi ad uno scopo preciso.

La luminaria di detta chiesa non ha nessun bene di suo all’infuori di un unico legato di tre lire per anno in perpetuo duraturo fatto da una certa Betta, cognata di Paolo al Bosco di Feltre, le quali (tre lire) spende Pietro Polato per essa (luminaria); e alcuni beni situati nel territorio di Feltre dei quali è amministratore sempre lui; infine un certo altro legato di venti soldi fatto da un tale chiamato Spaleto di Villanova: quei soldi li spende Alvisone abitante sotto la Regola di Villanova in quanto fratello del testatore e li ricava da quanto arato piantato e vendemmiato da un certo campo situato sotto la Regola di Villanova.

Luminaria dictae ecclesia nihil habet in bonis preterea unum legatum trium librarum singulis annis perpetuo duraturum factum per quamdam betam cognatam pauli del boscho de feltro quas solvit petrus polatus de dicta : et quibusdam bonis positis in teritorio feltri quorum ipse est administrator : item quodam aliud legatum soldorum viginti factu per quondam dictum spaleto de villa nova : quos solvit alovisonus habitator sub regulatu villae novae ut frater dicti testatoris de quodam campo aratum plantatum et vitigatum posito sub regulatu villae novae :

Il vescovo raccolse qualche notizia sulle anime e sul confessore, il prete Rocco.

Sotto la cura vi sono 150 anime, di cui 100 sono da confessione e comunione; e così fanno, ciascuna singolarmente, tutte vivendo cristianamente e lodevolmente.
Il confessore (di detta chiesa) è il presbitero Roco fu Stefano, veneto: egli confessa e celebra, dice la Messa e l’ufficio.

Sub ea cura sunt anime centum quinquaginta quarum centum tenentur confiteri et comunicare : et jta faciunt omnis singulis omnes christianiter et laudabiliter viventes :
Confessor eius est D. presbiter rocus fuit stephanui venetus et … confitetur et celebrat : missa et officium dicit :

Quindi si convocarono i testimoni.

Testi da esaminare erano il signor Giovanni Battista Visentin, il signor Bortolo fu Giovanni de Marchetto e Pietro Pavan.
Ser Giovanni Battista Visentin, sotto giuramento e diligentemente interrogato sulla vita e i costumi del sacerdote, disse che quello (il presbitero Rocco) volentieri gioca a carte e qualche volta bestemmia, e ha in casa una ragazza incinta dalla quale generò 4 figli; tuttavia nell’esercizio della sua cura e nell’amministrazione delle cose divine si comporta bene; e rettamente nelle altre cose.
Sulla vita invece del conduttore, bene in tutto.
Ser Bortolo fu Giovanni de Marchetto, interrogato sulla vita e i costumi del sacerdote rispose che di tanto in tanto bestemmia e in casa tiene una donna che ha figli dei quali si sospetta e si mormora nel popolo che siano suoi figli. Nel resto si comporta bene.
Ser Pietro Pavan, interrogato ecc., rispose che si comporta bene, tuttavia che ha in casa una certa donna che ha figli che si dice siano figli dello stesso sacerdote.
Nel resto si comporta rettamente.

Testes examinandi Ser Joannes baptista vincentinus : Ser bortholus fuit joanni de marcheto : et Ser petrus pavanus :
Ser Joannes baptista vincentinus juratus et diligenter interrogatus de vita et moribus sacerdotis jbi deservientis dixit quod libenter ludit ad ludum cartarum et non numquam blasfemit habens domi puellam pregnantem ex qua quatuor filios genuit; in exercitio autem curae et admnistratione divinorum bene se gerit : In reliquis recte :
De vita autem conductoris in omnibus bene respondit :
Ser bortholus fuit Joanni de marcheto interrogatus … de vita et moribus sacerdotis : respondit quod raro blasfemat : et domi habet quandam foeminam habentem filios de quibus est suspicio et murmur in populo : quod sint suis filii : in ceteris bene se gerit :
Ser petrus pavanus interrogatus … respondit quod bene se gerit : atamen quod habet feminam quandam in domo habente filios : qui dicuntur esse ipsius sacerdotis : In reliquis recte :

Infine giunsero i provvedimenti.

Sentite queste cose il Revendo Vicario ingiunse al presbitero Roco di allontanare da sé la donna in questione entro 3 mesi sotto pena di esilio dalla diocesi tarvisina. E vedendo che il cimitero era aperto al pascolo delle bestie ordinò che si facesse un fosso e una siepe tutt’intorno. Comandò al presbitero Roco e per mezzo di lui volle che fosse comandato che il detto fra Giovanni Antonio venisse multato di lire 5, da pagarsi senza remissione, ogni volta che venisse meno a quanto comandato, metà da destinarsi all’episcopato trevigiano e l’altra metà alle luminarie della chiesa; di non permettere alle bestie di pascolare nel cimitero. Infine ordinò agli stessi sostituti di non salire più sul tetto della chiesa e di non permettere ad altri di salire sotto pena di venti soldi da imporsi e applicarsi allo stesso modo.

Quibus intellectis idem Reverendus Dominus Vicarius mandavit ipso presbitero rocho ut feminam ipsam a se dimitteret infra tre mensis sub poena exilij a diocese tarvisina. Et videns cimiterium patere bestijs ad pascendum : jussit fieri foveam et sepem circumcirca : mandans ipsi presbitero rocho et per eum mandari volens : dicto fratri Joanni antonio sub pena, librarum quinquarum toties irremissibiliter auffertam quoties fuerit contra factum : cuius mediatas aplicet episcopatui tarvisino altera mediatas luminariae ipsius ecclesiae : ne permittant animalia sua pasci in cimiterio supradicto : item mandavit  ipsis substitutis ne amplius ascondant tectum ecclesiae ne ut alios ascendere permittant sub pena viginti soldorum similiter auferenda et aplicanda :

E per concludere fu stilato l’inventario dei beni della chiesa. L’auricalco è l’ottone, il marculo del turibolo è il marchio.

Inventario dei beni della chiesa:
una croce in ottone dorata;
4 candelabri in auricalco e uno al Corpo di Cristo (=alla lampada del Santissimo) in auricalco;
4 candelabri di ferro;
32 tovaglie;
2 … di legno dipinti;
un secchiello in auricalco;
un calice con patena argentato e piede … ;
2 messali;
un turibolo con marculo in auricalco;
3 camici;
4 pianete;
4 stole;
3 manipoli;
3 amitti;
1 paliotto per altare;
altri 3 paliotti;
1 ferale (=fanale) per il Santissimo;
1 pannello con pitture di tela …

Inventarium bonorum infrascripta ecclesia ……
Una crux ex auricalco deaurata :
Quatuor candelabra ex auricalco : et unum ad corpus christi ex auricalco :
Quatuor candelabra ferea :
Tobalea triginta duo
Duo … lignei depicti
Unum siculum ex auricalco
Unus calix cum pathena argentea et pede …
Duo missalia
Unum thuribulum cum marculo ex auricalco
Tria camisa
Quatuor planete
Tole 4
Tria manupula
Tres amictus
Unum palium ex altare
Tria alia palia
Unum ferale corporis christi
Unum penellum cum picturis ex tella bla..a

Fine resoconto visita pastorale
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Croce aveva dunque 150 anime sparse in un territorio vasto come... Per fare un piccolo confronto nello stesso anno Musile aveva 200 anime: lo dice Wladimiro Dorigo, nel suo Venezie sepolte nella terra del Piave, ma l’impressione è che il dato di Musile sia sovrestimato: qualche decennio dopo i numeri risulteranno invertiti.

Per rendersi conto della situazione di miseria di quegli anni si pensi alle devastazioni che toccarono il territorio trevigiano e veneziano nella guerra tra Carlo V e Francesco I cui erano seguite requisizioni e saccheggi.
Nell’anno in cui Carlo V coi suoi Lanzichenecchi saccheggiava Roma (1527) il vescovo trevigiano Bernardo de’ Rossi moriva a Parma, forse avvelenato dai nipoti, Giovan Girolamo e Bertrando, e lì avrebbe lasciato le sue collezioni artistiche.
Mentre Clemente VII si ritrovava prigioniero a Castel Sant’Angelo, prigioniero con lui era il cardinale veneziano Francesco Pisani che, venuto a conoscenza della morte del vescovo di Treviso de’ Rossi, chiese e ottenne l’amministrazione della Sede trevigiana – ne aveva altre in commenda – anche se non aveva alcuna intenzione di farvi residenza, tanto più che per un anno e mezzo ancora sarebbe rimasto detenuto nel Maschio angioino a Napoli. Il 27 gennaio 1528 papa Clemente VII lo nominò amministratore apostolico di Treviso.

Francesco Pisani, nato nel 1494, in gioventù aveva avuto una figlia illegittima; senatore a ventitré anni, era stato poi avviato alla carriera ecclesiastica dal padre Alvise, il ricchissimo patrizio veneziano ambasciatore della Repubblica di Venezia presso la Santa Sede, il quale pare offrì ventimila ducati a Leone X per ottenere il cappello cardinalizio al figlio, entrando così nei piani della Serenissima, che si adoperava di piazzare a Roma i suoi alti prelati.
Su richiesta del doge Leonardo Loredan, Francesco era stato creato cardinale nel 1518 con il titolo di San Teodoro. Nel 1524 Clemente VII l’aveva poi eletto vescovo di Padova (a sinistra una statua in Prato della Valle) e nel 1526 l’aveva nominato amministratore apostolico di Cittanova (si dimetterà il 10 maggio 1535). Il 5 maggio 1527 lo aveva consacrato vescovo a Roma, due giorni dopo che Francesco aveva optato per il titolo di San Marco.


Nel 1528 il parroco don Aloysio Durante prese finalmente dimora a Croce. Era aiutato pastoralmente dal cappellano padre Bernardino.
[Notizia di don Primo, da controllare]

Tornato in libertà, il Pisani tuttavia trovò difficoltà per la presa di possesso della diocesi perché il senato veneziano aveva nel frattempo operato scelte diverse.

Per una trattazione completa dell’argomento vedi
CARLO DARIOL - Storia di Croce Vol. I - IL PAESE DELL'INVENZIONE
dalle origini all’arrivo di Don Natale (1897), Edizioni del Cubo