Storia semiseria del Piave
Lungo il Piave si sono ritrovati insediamenti umani che risalgono a diecimila, dodicimila anni fa.
In Epoca Romana il fiume condizionò la viabilità... locale e internazionale: tutte le strade Romane che attraversavano
il Veneto ebbero a che fare con il Piave.
Fin dall’antichità questa fu la via di comunicazione più importante della regione: mentre sulla vecchia Alemagna
incrociavano viandanti, pellegrini, mercanti, crociati, sul Piave viaggiavano le merci del Cadore: le zattere di tronchi.
Gli zatterieri
Non è una storia da niente quella degli zatterieri del Piave. Nel 1492, nella chiesa di S. Nicolò di Belluno, vennero sanzionati gli statuti della Congregazione degli zatterieri del Piave, successivamente avvalorati dal Doge Belisario.
Le loro zattere erano formate da tronchi dritti e resistenti, legati tra loro con rami di salice ritorto; erano leggere ed elastiche e venivano manovrate con quattro remi. Gli zatterieri erano uomini forti e abili perché dovevano superare un percorso sinuoso, con secche improvvise e tratti impetuosi. Giunti a Venezia gli zatterieri consegnavano il legname e spesso anche le zattere venivano sciolte e i suoi tronchi facevano parte del trasporto. Poi i zatterieri dovevano tornarsene a piedi o con mezzi di fortuna.
Di quell’antico commercio e trasporto del legname per fluitazione, che partiva da Perarolo, Noventa era il porto a valle, l’approdo più importante del Piave. C’è ancora chi ricorda i barconi trainati dai cavalli che arrancavano sull'alzaia... e la spiaggetta dei canottieri, dov’è ora il parco fluviale.
Oltre al legname gli zatterieri trasportavano lame da spada (le lame da spada di Belluno, un tempo più celebri di quelle di Valladolid), gli stivaletti di caprile, le chiavi di Cibiana, i chiodi e le asce del Zoldano, le pietre per le mole di Tisoi (le migliori d’Europa), i marmi e i laterizi…
Gli zatterieri cominciarono a sparire quando tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento arrivò la ferrovia e il commerciò lungo il Piave languì. Il trasporto su strada segnò definitivamente la fine del Piave come via di comunicazione.
Molti di noi sono abituati a dire IL Piave forse perché ‘fiume’ è parola maschile…
e perché non si può fare a meno di pensare AL Piave come ultimo baluardo contro il nemico austriaco
durante la I Guerra Mondiale. Uno se lo immagina con la baionetta e l’elmetto in testa nascosto tra i canneti, “il Piave”…
Se invece si spulcia qua e là dentro la sua storia, si scopre un’immagine totalmente diversa:
di una personalità molle, tranquilla, sinuosa, anche di una capricciosità e imprevedibilità tutta femminile: la Piave…
A maggio «a Piave và in amor» e «la crida carne de cristian nove volte al giorno».
Così, con confidenza e timore, i contadini aspettavano le acque del disgelo e subivano rassegnati le frequenti piene del fiume: che si infuria, esce dagli argini e sconvolge la vita delle campagne. Del resto da sempre, tra i molti fiumi torrenti del Veneto, la Piave fu la più turbolenta e la più tumultuosa. E per questo nel corso della sua storia subì, come tutte le donne che si rispettino, diversi interventi da parte dell’uomo che le innalzò un argine di qua perché camminasse meglio, uno di là perché riposasse con più piacere…
Ma nessuna donna è mai conquistata fino in fondo: bastava cedere un poco alla sua volontà perché lei,
la Piave, ritornasse a far le bizze, a formare un acquitrino di qua, la palude di là e con essa portar la malaria…
Corteggiatori instancabile di questa donna fonte di vita e di patemi che li faceva correre
in su e in giù lungo il Veneto, gli uomini ebbero infine il sopravvento e trasformarono
le sue terre soggette ad allagamenti in campagne coltivabili.
Piene e alluvioni della Piave
dall'antichita al 1966
In origine la Piave sfociava nello stesso letto del Sile.
E chissà cosa facevano la Piave e il Sile nello stesso letto. Non c’era da star tranquilli.
Infatti nel 589 avvenne una grande alluvione, che a dire il vero colpì tutta l’Italia
e fu considerata una forma di diluvio universale. È Paolo Diacono a raccontarlo,
nella sua Historia langobardorum:
A quel tempo ci fu un diluvio nei territori della Venezia, della Liguria e di altre regioni d’Italia,
quale credo non ci fosse più stato dai tempi di Noè. Terreni e fattorie diventarono laghi e ci fu gran strage
sia di uomini che di animali. Furono cancellate strade e sentieri, e tanto crebbe allora l’Adige che
l’acqua toccava quasi le finestre superiori della basilica del beato Zenone martire,
che è posta fuori delle mura di Verona; eppure, scrisse il beato Gregorio, divenuto poi Papa,
nella chiesa non ne entrò affatto. Le mura di Verona in alcuni punti furono danneggiate dall’inondazione.
Questa avvenne il 23 ottobre. Ci furono poi tanti lampi e tuoni quanti raramente se ne hanno d’estate.
Sempre a Verona, due mesi dopo, gran parte della città andò distrutta da un incendio.
Wladimiro Dorigo, nel volume Venezie sepolte nella terra del Piave, pag. 106 (Roma 1994),
scrive che la catastrofica alluvione del 23 ottobre 589, che mutò probabilmente corsi di fiumi come l’Adige,
dovette inferire un colpo gravissimo all’assetto idraulico del territorio.
Occorre anzitutto ricordare che quell’evento non fu isolato, ma si collocò al centro di un periodo climatico
straordinariamente difficile, nel quale, pur basandosi sulle fonti più sicure, si possono radunare
una serie di alluvioni. Lo studioso indica nell’arco dell’anno 389 (ai tempi di Teodosio)
all’886 (poco prima della coronazione di Berengario I) una dozzina di date di altri fenomeni
del genere che hanno lasciato ricordi di devastazioni e lutti eccezionali. I mesi più frequentemente ricordati
per questi eventi (ottobre-novembre) rivelano in genere la natura di piene fluviali autunnali,
e indicano quale chiave di lettura di questa terribile catena alcuni fatti catastrofici ben noti negli ultimi decenni.
In ogni caso, a proposito del 589, non si cita esplicitamente la Piave. Ma possiamo immaginare che
anch’essa, seppur in incognito, come una donna capricciosa,
uscì dal letto e si portò verso levante, dividendosi in molti… rami di cui il principale
si sistemò nel letto del Piavon, che sembrava un tipo più ruspante del Sile. Ma anche da lì deve essersene in seguito andata:
Piav-on, con quel suffisso in -on, è parola che probabilmente significa: il Piave di una volta. Nei dintorni di Cessalto
alla profondità di una ventina di metri, si trova ancora il suo vecchio letto, con le molle tutte sfondate.
Piave e Sile, allora, nella testa di molti grandi uomini formavano un’entità unica;
fu solo nel 600 che Fortunato Venanzio usò per la prima volta il termine “Plavem”, per distinguerlo dagli altri fiumi
con i quali intersecava continuamente il suo corso.
Nell’800, sempre in seguito ad alluvioni, la Piave si portò a sfociare verso Eraclea. Quando furono abbattute
le mura dell’antica città, essa seguì il suo corso naturale e andò a sfociare nella laguna di Burano.
Dell’820 è la prima piena di cui si ha notizia, con la distruzione di Feltre.
Dal 900 al 1110 ci furono alluvioni spaventose, selvagge: il limo alzò i terreni invasi dalle acque di un metro.
Le zone attualmente corrispondenti al Basso Piave (con tutta l'incertezza del caso, dato che non si sapeva qual era
il suo corso preciso) erano un’ampia distesa di acqua, fango e isolotti: il luogo ideale per la pesca.
Ma poco più in su si poteva andare a caccia di lontre, martore, volpi, tassi ed altri animali dalle pelli pregiate.
Poi si raccoglieva il sale, si tagliavano alberi per riscaldarsi e scaldar i signori. Non sempre rientrando
nelle regole; c’era chi sceglieva il rischio della vita nomade: erano i temibili pirati di fiume
con i casoni montati su grandi zattere; si spostavano continuamente nelle paludi fra San Donà, Ceggia, Staffolo
e gli Stretti.
La chiesa dal canto suo si dava da fare tentando di radunare piccole comunità attorno
alle sacre cappelle e ai loro santi: in questo modo i paesi cominciarono a prendere il nome dai loro santi protettori.
Perché la gente di Musile si fosse affezionata tanto a San Donato nessuno lo sa.
Pare che il grande uomo di Dio, vescovo di Evorea nell’Epiro greco, fosse passato di qua. Certo è che la fama
di San Donato dopo l’anno Mille si diffuse rapidamente in queste terre, tanto da indurre i vescovi
a dedicargli una cappella attorno alla quale potesse coagularsi la comunità, dedicandosi a pratiche
più cristiane del bracconaggio. C’è chi cita la chiesetta post al confine torcelliano
presso Torre del Caligo, chi invece la ricorda più a nord, dove la Piave sembrava dividersi in due ampi rami,
il Canal d’Arco e la Vecchia Piave.
La zona detta dei Musili, perché ricca di rialzi nel terreno arginati dal consolidamento
dei cumuli di limo plavense, fu presto identificata col suo patrono San Donato.
Ma i fedeli non avevano i conti con la Piave e i suoi ricorrenti capricci: nel 1250 una spaventosa inondazione
tagliò in due il paese lasciando la chiesetta a destra del fiume. Quando le acque si ritirarono le famiglie rimaste
a sinistra non si persero d’animo e con fiducia costruirono un’altra chiesa dedicandola a San Remigio vescovo di Reims:
se lui tanti secoli prima era riuscito a conquistare il cuore del re pagano Clodoveo battezzando tremila franchi,
anche loro l’avrebbero finalmente avuta vinta contro quegli scherzi d’acqua e del destino.
Ma si sa che quando ci si affeziona a qualcuno, sia una moglie, un figlio o un santo, è difficile d’un tratto staccarsene.
Presi dalla nostalgia, gli abitanti di San Remigio vollero in qualche modo ricordare nel nome del paese l’amato santo.
Tanto fecero e tanto pregarono che alla fine convinsero i vicini di Musile: la frazione cresciuta intorno
alla cappella di San Remigio prese il nome di San Donà e Musile dal canto suo conservò il titolo
nella chiesa parrocchiale. Ciascun paese possedeva dunque un importante riferimento a San Donato e la questione,
che rischiava di degenerare in rivalità accesa fra le frazioni, fu finalmente risolta.
La cerimonia organizzata per suggellare quello che ancor oggi si chiama “Patto di amistà”
risale al 7 agosto di un anno imprecisato del XVI secolo.
Riassumiamo: nel 1250 una spaventosa inondazione tagliò in due il paese di San Donà, e la parte rimasta
con la chiesa di San Donato cedette all’altra, più grande, il privilegio di chiamarsi San Donà in cambio di due capponi…
e questa è leggenda che ci viene raccontata ogni anno, rimessa in auge dal simpaticone De Nobili nel 1957 che la riesumò
dalle nebbie della storia e, complici i due sindaci di allora, le diede nuova linfa,
reinventando la storia di un fantomatico scambio di capponi che nessuna fonte storica riporta... e
che da allora consente al piagnone e debitore Musile di sentirsi per un giorno creditore della sorella maaggiore.
Nel 1295 la Piave di nuovo si riversò nel letto del “placido” Sile.
XIV secolo
Del 1304 è l’inondazione del feltrino.
Nel 1314 una grossa inondazione muta ancora il corso del Piave: il Comune di Treviso è costretto ad importanti lavori per ridurre il fiume in lectum de medio. Durante tale piena vengono danneggiate alcune ville del Coneglianese, mentre, delle due chiesette a Saletto che un vescovo aveva edificato sul ciglio della Piave (nell’agro celiano), Santa Maria e San Bartolomeo, la prima venne letteralmente ingoiata dalle acque e venne in seguito riedificata. La storia narra che al vescovo rimasero comunque dei feudi che si affittavano per 42 sacchi di grano.
Nel 1317 Cangrande della Scala, signore di Verona, per costringere alla resa Treviso assediata, fa rompere gli argini a Nervesa. Gli assediati si salvano deviando ancora le acque del Piave nel Sile.
I boschi di Croce subiscono molte inondazioni tanto che si ricoprono di sabbia e si formano paludi. È di quegli anni la riedificazione della chiesa presso il fiume .
Nel 1330 la pieve campestre di San Pietro di Vigonovo, sotto Salgareda, verso Ponte di Piave, viene travolta dal fiume. Salgareda, in tempi lontani era nell’antico letto del Piave, trasformato poi in campi e boschi, ma anche qua il Piave obbligò a trasportar di sito la chiesa.
Nel 1368, a causa di una grossa fiumana, l’Ospedale di S. Maria di Lovadina è ridotto in Isola.
XV secolo
Nel secolo XV ci furono solo cinque piene. Le principali sono queste tre:
Nel 1409 le acque scendono per il Monticano danneggiando Oderzo e inducono il Doge a far riparare la rotta.
Nel 1450 la Piave si gonfia e giunge fino a Treviso, con grave danno per la città.
Nel 1467, dopo una piena, Salettuol, che spetta a Cimadolmo, rimane unito a Maserada. I rami della Piave,
mutando corso, obbligavano a portar i morti anche a Ormelle, Varago e Candelù.
XVI secolo
Nel 1512 le piogge ingrossano così tanto la Piave che questa esce dai ripari di Nervesa, allaga il Trevisano
e giunge fino alla città dove fa crollare il ponte di S. Maria di Betlemme, ora S. Agata. C’è ancora
una lapide presso quel ponte a memoria del disastro: è Giorgio Piloni, nella sua Historia di Belluno (1607) ,
a raccontarcelo:
Crebberon i fiumi quest’anno per le gran pioggie e innondazioni che regnorno con danni notabili
di tutto il Paese, rovinorno i ponti, furno spiantati gli arbori con gran rovina delle campagne. Et la Piave,
horibilmente accresciuta sbalzò fuori del suo solito letto, et correndo per il Trivigiano entrò
con gran quand’impito in Trivigi et ruppe il ponte di Betelemme.
Ma quel che più conta sono le cause alle quali lo scrittore attribuisce le inondazioni:
La causa di tante inondationi è manifesta ad ognuno. Perché venendo tagliati e spiantati li boschi
sopra li monti, e sapandosi il terreno, quando vengono le pioggie non si fermano ponto le acque
ma precepitosamente scendendo conducono seco la terra mossa, e entrate nelli torrenti la conducono nella Piave,
la qual poi ingrossando per le acque e per la terra sbalza fuor dell’alveo consueto e va dannificando
le campagne per dove passa finché entra nelle lacune di Venetia atterrando i stagni e li canalli
di quella cittade. Il che non accadeva a tempi antichi, per esser i monti incolti, dalli quali scendevano
le acque chiare, e con minor impeto et in minor copia, che al presente non fanno, trattenendosi fra l’herba e tra le foglie.
Nel 1522 gli abitanti di Fagarè provvedono alla fabbrica della chiesa ch’era sul letto della Piave. Nel 1524 un’inondazione ne porta via la metà insieme alle terre del vescovado. L’antico Fagarè è ora occupato dalle grave. Colla consuetudine del “par e del dispar” Fagarè ebbe per confine Ponte di Piave e Zenson.
Nel 1531 una piena travolge la Chiesa di S. Michele a Cimadolmo. Fu ordinato di costruirne una nuova, la terza, in luogo sicuro, mandando prima a vedere in sopraluogo… tanto più che il Piave vagabondo, atterrava e faceva obliare i confini e le chiese mutavano luogo.
Nel 1533 si ha l’inondazioni più grande del XVI secolo, il bacino di Burano e Torcello è rovinato dalle rotte della Piave tanto che la Serenissima Repubblica di Venezia avverte l’interesse di disciplinare il corso del fiume: lo scopo non è tanto quello di difendere le popolazioni locali e le loro terre quanto di salvare Venezia, allontanando lo sbocco dei fiumi dalla laguna. L’anno dopo si inizia il “Taglio dei Re” per allontanare le acque della Piave dalla Laguna: l’opera durerà 35 anni e terminerà nel 1579.
Sempre nel 1534 viene decisa dalla Serenissima la costruzione di un doppio argine, da Fagaré a Torre del Caligo, doppio solo da questa parte, del resto è di qua che c’è Venezia con la sua laguna; quello più esterno è il famoso “Argine San Marco”; di là anche se c’è un argine solo… (gesto dell’ombrello) I lavori dureranno fino al 1543.
Nel 1558 il Piave scende violentissimamente ed esce dal proprio alveo sommergendo Musile e dintorni. È la più estesa inondazione del secolo. Il Piave si getta verso sinistra e mille ettari di terreno passano da San Donà a Musile .
Nel 1564 una delle più spaventevoli inondazioni sommerge molte ville del Feltrino. Un cronista del tempo dice che fu «monstruosum aquarum diluvium». Rimane distrutta anche la chiesa nuova di Candelù; la vecchia, antichissima, era già stata travolta dal fiume nel sito detto «il gorgo della chiesa».
Nel 1567 la Piave cresce a dismisura, entra a Nervesa e rompe a Zenson.
Nel 1572 il fiume muta corso a Ponte di Piave.
Fra le rovine causate dalla piena del 1578 vi è quella del ponte di Belluno, per il cui ripristino viene chiamato il Palladio, ormai vecchissimo. A Salettuol la Piave volge più a sera (cioè più a ovest) e la gente rimase senza gregge, senza pastore, senza chiesa e campi.
XVII secolo
Altre 10 inondazioni si ebbero nel XVII secolo con 43 rotte degli argini.
Nel 1601 per una piena soffre gravi danni la chiesa di Noventa. Vanno perdute molte robe e anche
l’anagrafe ove erano iscritti i nati a Fossalta. L’anagrafe fu ricominciata lo stesso anno e ancora esiste compilata fino al 1860.
Nel 1642 il Piave distrugge a Noventa molte case e palazzi. Nel 1643 ci fu la visita pastorale del Vescovo che lodò la popolazione che offrì “brache”, camicie ed altri panni per gli inondati
Dal 1642 al 1664 dura il laborioso parto che porta alla nascita di un figliolo, il “Piave Nuovo”, concepito artificialmente, che si ruba da subito gran parte della sostanza acquea della madre portandosela da San Donà a Porto Santa Margherita. Immediatamente il Sile, da tempo costretto a dormire sul divano, viene immesso nel letto abbandonato dalla Piave in località di Caposile e mette foce al porto di Jesolo.
Nel 1664 la chiesa di Musile viene distrutta da una grossa piena. «La rapacità del fiume aveva ingorgato la chiesa»: vanno perduti gli strumenti del beneficio, ossia le prebende .
Nel 1683 il Piave Nuovo ha un colpo di testa: con una piena straordinaria rompe le arginature artificiali in località Landrona e comincia a dire parolacce ed ad uscir di bocca, ed anziché a Santa Margherita, si scelse di persona la foce a Cortellazzo, dove sbocca tuttora.
XVIII secolo
Sei inondazioni si ebbero nel XVIII secolo con diverse rotte.. Le principali sono queste.
Nel 1724 una “mirabile rotta” distrugge l'argine davanti alla chiesa di Croce, la quale, senza più protezione, dovrà
essere ricostruita ex-novo in nuova località, più distante dal fiume, dov’è tuttora.
Nel 1742 e nel 1748 la chiesa di Negrisia si ritrova allagata.
Nel 1754 Romanziol fu sommersa dalla Piave con la sua cappella di Santa Maria. Le altre cappelle di Noventa, San Biagio di Mussa e Sant’Elena, situate sulla riva del fiume erano già disastrate e c’era il pericolo che fossero distrutte del tutto. Sant’Elena scomparve e di San Biagio non durò che l’altare di San Bernardo.
Nel 1757 ci furono due piene terribili (2 giugno e 31 agosto); nella seconda l’acqua della Piave invase la campagna e si alzò nella chiesa di Candelù ben cinque piedi.
Nel 1774 la chiesetta di Salettuol è distrutta da una piena. Nel 1791 la rendita di San Bartolomeo di Saletto era diminuita per causa del rapace torrente Piave che ne asportava la terra
Nel 1797, in seguito alla cessione del Veneto all’Austria da parte di Napoleone la Piave diventa austriaca e
si fa chiamare Piafe.
XIX secolo
Nel XIX secolo si ebbero ben 15 piene.
Nel 1823, il 14 ottobre la piena raggiunge m. 9,20 all’idrometro di Zenson; due rotte: a S. Andrea di Barbarana e a Mussetta.
Nel 1825, il 9 dicembre, l’acqua arriva a 9,50 metri a Zenson; avvengono dodici rotte, tra cui quelle di S. Andrea di Barbarana, Zenson, Cimadolmo, Roncadelle, Salgareda, Sabbionera, Noventa e Mussetta.
Nel 1851, il 2 novembre, la piena tocca m. 10,06 a Zenson, con sette rotte: a Lampol, Fossalta, Croce, Montiron, Fornera, Grisolera.
Altre piene nel ’55, nel ’63, nel ’72 e nel ’77. Nel frattempo il Piave si è fatto italiano, con l’annessione del Veneto all’Italia nel 1866
Quella del 15-16 settembre 1882, è la massima conosciuta e la più funesta, di m. 10,80 a Zenson: rompe in otto punti, a destra fra Zenson e Gaiola e a sinistra tra Vigonovo e Sabionera; il 28 ottobre nuova piena: a Zenson raggiunse l’altezza di 10,55, rompe a Campolongo e Gaiola sulla destra per m. 135 e 120, ed a Favorita di Noventa e Sabbionera, sulla sinistra per m. 100. L’inondazione interessa 25 comuni con circa 38.000 abitanti: la superficie inondata è di 56.000 ettari, pari a 100.000 campi da calcio; 10 giorni di allagamento; vanno distrutti i ponti di Quero e il ponte di pietra di Belluno, crollano alcune campate del ponte di Vidor e alcune del ponte di legno detto “della Pedona” tra San Donà e Musile e si rompono le porte e le panconature al sostegno di Intestadura; l’altezza media delle acque nelle campagne e di 3 metri.
Il Piave cambia alveo e fa passare la località Granza dalla sinistra alla destra. Dopo la piena furono necessari nuovi argini e la chiesa di Musile, travolta dalle acque, fu trasportata altrove.
Non si hanno molte notizie sulle arginature condotte in questo periodo. Si presume che via via che l’agricoltura progrediva ci pensassero i comuni e l’Amministrazione del Lombardo-Veneto a costruire e rafforzare gli arzerini che erano bassi, di sabbia, seguivano le sinuosità del fiume, restringendo in qualche punto la sezione di piena, allentando così la velocità dell’acqua che corrode le sponde.
Nel 1884 il Genio Civile riordina e sopraeleva le arginature da Nervesa fino al Mare.
Tra il 1884 e il 1886 il ponte sulla Piave tra San Donà e Musile è ricostruito in ferro.
Nel 1885 e 1886 Zenson è di nuovo allagata e alla fine del XIX secolo l’argine regio sostituisce gli arzerini.
Nel 1889, il 12 ottobre, una piena imponente, la massima osservata nel tronco mediano da Zenson a Intestadura, raggiunge a Zenson m. 10,74. Verso sera la piena comincia a scalzare l’argine maestro alla fronte Moretto sopra Musile producendo una breccia che poi si estende fino a 200 metri circa in ampiezza. L’acqua ben presto riempie il bacino fra l’argine maestro e quello di San Marco, che durante la notte viene squarciato per sormonto in due punti; crollano due case, ci sono dieci morti. Le acque inondano un vasto territorio correndo nella campagna coll’altezza di 4 metri.
Nel 1896, il 20 ottobre, la piena uguaglia quella del 1889 nei tronchi superiori e la sorpassa nell’estremo tronco da Intestadura a Revedoli; è però di brevissima durata e rimane contenuta nell’alveo.
XX secolo
All’inizio del XX secolo la Piave è soggetta a piene nel 1903 (enorme: durata 93 ore, rompe l’argine sinistro di fronte ad Intestadura per 200 metri), nel 1905 e nel 1907 .
Altre due piene nel 1914 e nel 1916.
Infine nel 1917 durante la I Guerra Mondiale, subito dopo la rotta di Caporetto, la Piave,
questa Giovanna d’Arco del Veneto, si trasforma in soldato per volere del Re Vittorio Emanuele III,
il quale, contrastando i comandi militari che volevano attestare il fronte sul Mincio, s’alzò in piedi
(anzi, si alzò in punta di piedi, il piccoletto, per dare maggior risalto alla decisione)
e indicando il Piave disse: «Resisteremo qui!». E fu così che IL Piave, ormai divenuto maschio, dopo il passaggio
sulla riva destra del resto delle armate italiane e la distruzione dei ponti, divenne la linea di difesa contro
le truppe austriache e tedesche che, nonostante svariati tentativi, non riuscirono a varcare il fiume.
Nasce La canzone del Piave.
Durante la battaglia del Solstizio, il Piave in piena per le forti piogge dà una mano
alle truppe italiane e rende difficile l'attraversamento da parte delle truppe austro-ungariche.
La linea resistette fino all’ottobre 1918 quando,
in seguito alla battaglia di Vittorio Veneto, il "nemico" è sconfitto e si giunge all'armistizio.
Da allora IL fiume Piave è considerato sacro alla patria.
Finita la sua missione Giovanna d’Arco ritorna donna.
Nel 1919, dal 7 al 9 gennaio la piena, pur non raggiungendo i limiti delle grandi piene passate in conseguenza
dei lavori difensivi esistenti lungo gli argini, rompe sulla sinistra alla Favorita, a 2 km a monte di Noventa,
a 200 metri a valle della rampa d’accesso di Fossalta, allo Iutificio S. Osvaldo e a 1 km a monte della ferrovia.
Altre due piene si hanno nel 1926 e una tremenda nel 1928.
Nel 1929 la Piave si fa di ghiaccio. Ci si può andare sopra in bicicletta…
Nel 1963 la Piave accoglie l’ondata provocata dalla frana del Vajont e trascina a valle centinaia di cadaveri.
Il 4 settembre 1965 un’altra grande piena: a Maserada, a Ponte di Piave, dove il fiume è considerato ancora torrente,
l’acqua si va alzando; ma lì c’è tanto spazio perché il fiume si allarghi e si sfoghi;
ma più giù, a Sant’Andrea, gli argini procedono abbastanza stretti e il fiume non ha più lo spazio necessario
e se l’acqua è tanta c’è da aver paura.
A Zenson si teme che la Piave rompa alla curva: è li che ha sempre rotto, è li che l’acqua preme;
la curva viene rinforzata con sacchi di sabbia... Per fortuna non piove. Il Piave arriva all’orlo,
a 12 metri cioè ben 6 sopra il livello normale, manca un niente perché tracimi... ma non tracima.
Qualcuno nel frattempo ha lasciato la propria casa.
Coppie di sposi a Zenson vanno a fare le foto sull'argine, a pochi centimetri dall'acqua vicino a uno scenario naturale
grandioso e terribile.
Per la Piave sono le prove generali, per l’anno successivo: il 1966.
Vai all'alluvione del 1966