La Piave

Il Piave nasce nelle Alpi Orientali, alle pendici meridionali del Monte Peralba, nel comune di Sappada, in provincia di Belluno, a quota 2.037 m s.l.m..
Già pochi chilometri dopo la sorgente assume una notevole portata dovuta all’afflusso di numerosi torrenti: l’Ansiei, il Boite , il Cordevole, il Maè, il Soligo, il Sonna, il Tesa. Il più importante è il Cordevole, con un bacino imbrifero di 66.77Km2. Il bacino superiore del Piave comprende i laghi alpini di Alleghe, di Misurina, di S. Croce sul Tesa (una derivazione del Piave regimenta il lago più un numero di bacini artificiali). Attraversa il Cadore e la Valbelluna in Provincia di Belluno e la pianura veneta nelle province di Treviso e di Venezia toccando le cittadine di Valdobbiadene, Nervesa della Battaglia, Ponte di Piave, San Donà di Piave, Croce di Piave ed Eraclea.
Dopo 220 chilometri, interamente entro i confini del Veneto, con una portata media di 100 m³/s, il Piave si getta nel Mar Adriatico, a nord-est di Venezia, presso il porto di Cortellazzo fra Eraclea e Jesolo. Il Piave è dunque il quinto fiume d’Italia per lunghezza fra quelli direttamente sfocianti in mare.
Fra i grandi fiumi italiani, il Piave è l’unico che ha la sorgente e la foce posti sul medesimo meridiano geografico. Il suo bacino idrografico si estende per 4.126,84 km².

Una storia antica

Tra i molti fiumi torrenti del Veneto, il Piave fu il più turbolento e il più tumultuoso. Per questo nel corso della sua storia ha subito da parte dell’uomo diversi interventi: bastava cedergli un po’ perché ritornasse l’acquitrino, la palude e con essa la malaria. L’opera dell’uomo ebbe infine il sopravvento e trasformò le terre soggette ad allagamenti, in campagne coltivabili.

In origine il Piave sfociava nello stesso letto del Sile. Nel 589 avvenne una grande alluvione che colpì tutta l’Italia e fu considerata una forma di diluvio universale. Il Piave uscì dal letto e si portò verso levante, dividendosi in molti rami di cui il principale si sistemò nel letto del Piavon tra Cessalto e Chiarano. Nei dintorni di Cessalto alla profondità di una ventina di metri, si trova ancora il suo letto.
Nell’800, sempre in seguito ad alluvioni, si portò a sfociare verso Eraclea. Quando furono abbattute le mura dell’antica città, esso seguì il suo corso naturale e andò a sfociare nella laguna di Burano.
Dal 900 al 1110 ci furono alluvioni spaventose, selvagge. Il limo alzò i terreni invasi dalle acque di un metro.

Croce... di Piave

Croce è “di Piave” da sempre, nata e cresciuta com’è su di un guado del fiume a metà strada tra quello della via Annia ufficiale (quello dove sta oggi il Ponte della Vittoria) e quello della sua variante più a nord (corrispondente al Pass tra Fossalta e Noventa)
Su quel guado sorse la prima comunità religiosa, dipendente dal Monastero del Pero e poi da Noventa,
Delle alluvioni del XIII e XIV secolo si hanno poche notizie.
Nel secolo XV ci furono cinque piene. Le terre ebbero il tempo di asciugare e la gente di rafforzare le difese.

Croce fu eretta a Parrocchia indipendente nel 1509. E si beccò qualche anno dopo l’inondazione enorme del 1533 (la più grande del XVI secolo), tanto che nel 1534 il Piave viene deviato con il “Taglio dei Re” per allontanare le sue acque dalla Laguna. L’opera terminerà nel 1579.
Altre 10 inondazioni si ebbero nel XVII secolo con 43 rotte degli argini.
A partire dal 1642 e fino al 1664 durarono i lavori per la costruzione del canale artificiale “Piave Nuovo” da San Donà a Porto Santa Margherita. Immediatamente il Sile fu immesso nell’alveo abbandonato dal Piave nella località di Caposile e mise foce al porto di Jesolo.
Nel 1683 una piena straordinaria ruppe le arginature del Piave Nuovo e determinò lo sbocco del fiume, anziché a Santa Margherita, a Cortellazzo, dove sbocca tuttora.
Sei inondazioni si ebbero nel XVIII secolo con diverse rotte.

In particolare nel 1724, in corrispondenza del guado di Croce si verificò

la notabile rotta

che asportò mezzo argine e costrinse don Pietro Caovilla e la comunità di Croce, per volere dei Periti veneziani, a ricostruire la chiesa distante dal fiume, nella sede dove sorge tutt’ora.

Nel XIX secolo si ebbero ben 15 piene elevatissime la cui massima, conosciuta il 15 settembre 1882, fu la più funesta, a Zenson raggiunse, al colmo, l’altezza di 10,80. L’inondazione interessò 25 comuni con circa 38.000 abitanti; la superficie inondata fa di 56.000 ettari, l’altezza media delle acque nelle campagne fu di 3 metri. Croce finì sotto acqua.

Non si hanno molte notizie sulle arginature. Si presume che via via che l’agricoltura progrediva ci pensassero i comuni e la Serenissima a costruire e rafforzare gli arzerini: erano bassi, di sabbia, seguivano le sinuosità del fiume, restringendo in qualche punto la sezione di piena, allentando così la velocità dell’acqua che corrodeva le sponde. Nel 1884 il Genio Civile riordinò e sopraelevò le arginature da Nervesa al Mare. Nel 1885 e 1886 Zenson fu di nuovo allagata e alla fine del XIX secolo l’argine regio sostituì gli arzerini.

L’alluvione del 1889

Nel 1889, il 12 ottobre, una piena imponente, la massima osservata nel tronco mediano da Zenson a Intestadura, raggiunse a Zenson m. 10,74. Verso sera la piena cominciò a scalzare l’argine maestro alla fronte Moretto sopra Musile producendo una breccia che poi si estese fino a 200 metri circa in ampiezza. L’acqua ben presto riempì il bacino fra l’argine maestro e quello di San Marco, che durante la notte fu squarciato per sormonto in due punti; crollarono due case, ci furono dieci morti. Le acque inondarono un vasto territorio correndo nella campagna coll’altezza di 4 metri.

All’inizio del XX secolo il Piave fu soggetto a piene negli anni 1903 - 1905 – 1907 – 1914 – 1916.

Il Piave

Nel 1917 durante la I Guerra Mondiale, subito dopo la rotta di Caporetto, la Piave, questa Giovanna d’Arco del Veneto si trasformò in soldato per volere del Re Vittorio Emanuele III, il quale, contrastando i comandi militari inglesi e francesi che volevano attestare il fronte sul Mincio, s’alzò in piedi (anzi in punta di piedi, per dare maggior risalto alla decisione) e indicando il Piave disse: «Resisteremo qui!». E fu così che la Piave, ormai divenuto maschio, dopo il passaggio sulla riva destra del resto delle armate italiane e la distruzione dei ponti, divenne la linea di difesa contro le truppe austriache e tedesche che, nonostante svariati tentativi, non riuscirono a varcare il fiume. La difficoltà dell’attraversamento fu dovuta anche al periodo di piena del fiume a causa delle forti piogge.

La linea resistette, sia in occasione della Battaglia d’arresto (novembre 1917) sia in occasione delle terribile Battaglia del Solstizio (15-24 giugno 1918: QUI la pagina monografica) fino all’ottobre 1918 quando, in seguito alla battaglia di Vittorio Veneto, gli avversari furono sconfitti e si giunse all’armistizio. Da allora il fiume Piave è considerato sacro alla patria.

Altre due piene si ebbero nel 1926 e nel 1928.
Nel 1929 il Piave ghiacciò. Ci si poteva andare in bicicletta.

La lapide dedicata al Piave


Il mito del Piave fu presto celebrato anche con dei monumenti. A Croce e a San Donà l’architetto GUIDO CIRILLI (Ancona 9.2.1871; grande protagonista della “invasione monumentale”, autore tra l’altro dei dieci Militi Ignoti ad Aquileia e del carro funebre del Milite Ignoto; morirà a Roma il 30.1.1954) fu chiamato nel 1934 a costruire due piccoli monumenti costituiti da un basamento su cui si erge un muro su entrambe le facce del quale campeggia la scritta PIAVE / FIUME SACRO / DELLA PATRIA / EF XII. Il monumento è collocato accanto alla linea ferroviare Venezia-Trieste, disposto perpendicolarmente rispetto ad essa così da mostrare ai viaggiatori in entrambe le direzioni le iscrizioni che riporta. Dal lato dei binari riportava un grande FASCIO con la SCURE e la TESTA di leone (quella che si vede sopra la scure). (Notizie che Gianni Cancellier ha ripreso da uno scritto di Corrado Balistreri Trincanato)
Il monumento ha un’altezza di circa 5 metri (4 corsi di blocchi di roccia alti circa 86,5 cm, il corso più alto (con la scritta “PIAVE”) alto circa cm 114 ed un “cappello” di circa 40 centimetri). Alla base è largo circa metri 7,50; ha uno spessore di cm 80.

Una delle caratteristiche della monumentalità veneta - scrive Daniele Pisani su circe.iuav.it - fu quella di essere rivolta non solo ai caduti ma anche ai luoghi sacri alla patria.

Con la caduta del fascismo furono scalpellati tutti i simboli fascisti. Fu perciò eliminato il fascio e fu eliminata pure la scritta “E.F. XII” che era incisa alla base.

I blocchi che costituivano il fascio, pur pesanti, furono dispersi. 


Ne rimangono due: quello sotto è un pezzo del blocco che sporgeva in corrispondenza della parola “PATRIA”. Lo si capisce dal fatto che la “fascia” o “cintura” che teneva insieme le verghe è in basso, alla base del blocco. La fotografia del fascio intero mostra che sotto questo blocco ce n’era uno di sole “verghe”  alte circa metà del corso corrispondente sul quale (corso) non c’è alcuna scritta.  La “cintura” era alta circa 42 centimetri ed era divisa in due da una incisione a “V” profonda circa otto millimetri e larga circa quindici.
Al centro si vede un vuoto che ha una larghezza di circa 20 cm. e una profondità massima di qualche centimetro. Lì evidentemente sporgeva il manico della scure che la demolizione ha distrutto.

La sezione è rappresentata da una “lente” (pezzo di semicerchio) avente un raggio di circa 50 centimetri (“corda” di 95 centimetri circa, “freccia” circa 36).

Un secondo pezzo di un blocco è quello sotto: esso risulta capovolto rispetto alla sua posizione naturale. Sporgeva in corrispondenza della parola “PIAVE”. Lo si capisce dal fatto che la “fascia” che teneva insieme le verghe è posta sopra le verghe, alte 11 centimetri. Anche questa “cintura” è alta circa 42 centimetri ed è divisa in due dalla incisione a “V” come la precedente. Anche questo ha al centro la scanalatura su cui verosimilmente spuntava il manico della scure. La sua sezione, alla base, è rappresentata da una “lente” (pezzo di semicerchio), avente un raggio di circa 50 centimetri, tagliato con una corda di 84 centimetri.

Oggi la lapide si presenta così

Clicca QUI per una storia dettagliata delle alluvioni della Piave prima di quella del 1966

L’alluvione del 1966

Infine nel 1966, ai primi di novembre si verificarono condizioni meteorologiche diverse e di una eccezionalità estrema, al limite della catastrofe. Cominciò a piovere il 2 e piovve tutto il 3 novembre; piovve su tutto il Nordest, dalle Alpi al mare; ingrossarono i fiumi a livelli di sei-sette metri sopra il livello di guardia. È il caso del Piave a Negrisia e a San Donà. Dall’altra, uno sciroccale di forza altrettanto rovinosa, durato 12 ore, rigonfiò il mare a quota +1.92 sul suo livello medio, così da impedire il deflusso delle acque dei fiumi in piena. Ma il mare ruppe anche battigie secolari, inondando le terre basse, all’interno dei litorali: Jesolo, il centro storico, le Marine Alta e Bassa e i Salsi. Quindi Musile a Sud di Piave Vecchia ed Eraclea. Il mare risalì i corsi dei fiumi, per alcune ore. È il caso del Piave ad Eraclea.
La sera del 5 novembre 1966 il Piave ruppe Sant’Andrea e a Zenson.
[...]

(QUI la pagina monografica dedicata allalluvione del 1966)

Carlo Dariol, in compagnia del Gus, nel 2006, in occasione del 40° anniversario della tragedia, ha costruito uno spettacolo sull’alluvione del 1966. Ha altresì trasformato nel racconto La mia alluvione (raccolto nel libro Dodese storie in Croce) la testimonianza di Cesare Davanzo, autore delle due foto qui sotto, scattate dalla finestra della sua camera la mattina del 6 novembre, la prima verso ponente (a sinistra, la piazza), la seconda dalla parte opposta, verso levante (a destra l’allora Casa Dariol, oggi Agraria Cancellier).

Nella mattinata del 6 l’acqua cominciò a defluire (foto di Gianni Cancellier)

Le grandi tragedie lungo la Piave

Di tanto in tanto il Piave/la Piave (tradisce di più se è maschio o femmina?) si prende qualche vita, specialmente di ragazzi o di giovani in cerca di refrigerio o di avventura.
In Piave morì Giovannino Guseo nel 1930, di otto anni.
Il 21 luglio 1949 morì Gianfranco *****, figlio di Alessandro, di appena ventanni (il suo corpo fu ripescato con l’aiuto di un rastrello da fieno dal gestore del “passo” Romeo Zamuner).
Nel 1963 il Piave restituì i morti di Longarone e la Madonnina della chiesa, recuperata a Fossalta da Walter Zamuner)
Nel 1964 il Piave si prese la giovane vita di Francesco Luisetto.

Trovi il racconto di queste disgrazie nella pagina delle grandi tragedie paesane.

Escursioni lungo il Piave

Il b.i.m.

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