LA LINGUA DEL BASSO PIAVE
o, per essere più precisi,
LA LINGUA DI CARLO DARIOL

Premessa
Troncamenti e mancanza di doppie
Rapido manuale di Crocese
Dizionario delle parole e delle forme dialettali (in altra pagina)
Un racconto in dialetto crocese: Tant cussì (in altra pagina)

PREMESSA

Il crocese propriamente non esiste: a Croce si parla un dialetto che è detto del Basso Piave, ossia attinente a un'area geografica più vasta. Questo non significa che in tutto il Basso Piave si parli lo stesso dialetto: è sufficiente spostarsi verso Meolo-Roncade per avvertire che il modo di parlare cambia, non di molto ma cambia, mentre ci sono molte più rassomiglianze con il dialetto, ad esempio, degli abitanti di Feltre, cittadina dell'Alto Piave. Questa osservazione porta a concludere che esiste più propriamente un dialetto del Piave, ed è pure facile immaginarne il motivo: le ataviche comunicazioni lungo l'importante via d'acqua (un tempo) avrebbero prodotto un continuo scambio di parole e pronunce producendo degli affinamenti per cui la lingua dei paesi lungo il Piave è sostanzialmente omogenea.
Ma anche questo non è del tutto vero

Esiste poi una considerazione legata al trascorrere del tempo e al passare delle generazioni: le parole legate agli oggetti che non si usano più scompaiono con quelli, ritornano per citazione e per ricostruzione ma di fatto appaiono estranee. Mentre caterve di parole italiane si fanno strada senza modifiche nel dialetto. Sedia era un tempo carega e ancor più in là cadrega, ma addesso si dice tranquillamente me son sentà so na sedia rota [= mi sono seduto su una sedia rotta].
Per converso la luse dei occi [=la luce degli occhi] di Giacomo Noventa appare più un artificio dell'uomo colto che innesta nel dialetto le parole che nel dialetto non hanno vita che una reale espressione dialettale.

TRONCAMENTI

Una delle caratteristiche più evidenti, anzi, la principale, della lingua crocese (cioè, per quanto si è detto sopra, della Lingua del Piave) è il troncamento delle parole maschili che terminano per -cco -llo -nno -sso -tto (che perdono la sillaba finale) e di quello che terminano in -ino e -one (che perdono la vocale finale). Emblematico di questa tendenza è il detto ironico Mus e carét, tut sul foss, el corea cussì forte che'l féa fin fum (Mulo e carretto, tutto nel fosso, correva così velocemente che faceva perfino fumo), dove però fum per fumo è troncamento di fantasia per accentuare l'intento ironico.  
ITALIANOCROCESE
straccostrac
gattogat
lettolet
musso/mulomus
coppocop
sassosass
marronemaron
spinospin

POCHE DOPPIE

L'altra delle caratteristiche più evidenti del crocese (e del dialetto del Piave), che un tempo era oggetto di scherno nei confronti dei veneti in generale (Bambini, batéte bene le dopie diceva il maestro...) è l'assenza di doppie, tendenza che oggi si va molto annacquando per l'influenza dell'italiano.
ITALIANOCROCESE
bottabota
è cotta l'é cota
fattafata
straccastraca
fettafeta

RAPIDO MANUALE DI CROCESE
Alfabeto e pronuncia
Suggerimenti per i foneni mancanti
Costruzione delle parole
Articolo
Pronomi personali
Aggettivi o pronomi possessivi
Gradi di comparazione
Numerali
Verbo (forma attiva)
Verbo (forma passiva)
Forma riflessiva
Forma reciproca
Forma impersonale
Interrogazione
Negazione
Preposizioni
Avverbi
Congiunzioni
Interiezioni
Parole composte
Parole straniere
Sintassi
Un racconto in crocese: Tant cussì

Alfabeto e pronuncia

L'alfabeto del crocese è lo stesso dell'italiano. Si pone il problema di trovare dei simboli per i fonemi che non hanno un corrispondente nell'italiano. La difficoltà maggiore sta nel codificare l'ampia varietà di s e di z, che si presentano in una casistica varia:

la S

La -s- singola in mezzo alla parola si pronuncia dolce (sonora) se preceduta da vocale (casa, rosa, muso, naso) e si pronuncia dura (sorda) se preceduta da consonante (ménsoea). La s soprapuntata () era il simbolo più azzeccato che avevo trovato in alcuni autori per indicare la s dolce di busie e di Crose, simbolo però non presente in tastiera. Dunque l'ho lasciato perdere.
La scelta goldoniana della x appare accettabile... ma solo in mancanza di meglio; chiunque, infatti, vedendo scritto Croxe, non può fare a meno di leggere Crocse.
La s sorda preceduta da vocale si rende attraverso il raddoppiamento della s medesima (cassa, casset, pessa, pesse...) ma senza mai pronunciata doppia.
La s- in inizio di parola (Sioco, senpio) si pronuncia sempre dura.
La s- dolce in inizio di parola praticamente non esiste nel mio dialetto. Nei rari casi in cui la uso la rendo con sz- : el szoeo = il volo, anche se tendo a modernizzare in el voeo

la Z

La -z- in mezzo alla parola è sempre dura e viene talvolta resa con il raddoppiamento della medesima (cazza = mestolo grande) da non pronunciare però mai come doppia; perciò, anche lasciandola singola non dovrebbe dare problemi.
Ben più complicata è la z- a inizio di parola: in generale si pronuncia dolce: zio, ziògo, ziogar, zerman (risultano arcaiche se la z- è pronunciata come nell'articolo inglese the).
Si pronuncia dura la z- a inizio di parola che un tempo era resa attraverso il suono duro th: zòcui, zavate.
Per indicare la z- dolce a inizio di parola (tipica del dialetto... mio) e talora in mezzo (ma rara, come in gazìa) ho deciso di usare la ż.

Suggerimenti per i fonemi mancanti

Il simbolo “θ” (th) per il suono che si produce con la lingua fuori dei denti, corrispondente al suono dialettale (più del passato, in verità) di thocui e thavate.
È da notare nei più anziani la mancanza dei suoni gl e sc, regolarmenti sostituiti con l e s.

Costruzione delle parole

Quello crocese è un dialetto, non una lingua, quindi le parole si formano come in italiano e la stragrande maggioranza delle radici dei temi e dei prefissi coincidono con quelle dell'italiano; cambiano solo le desinenze le quali sono soggette, come detto sopra, a troncamenti in tutta una serie di parole maschili e a traslitterazioni pressoché standard.

Articolo

ITALIANO CROCESE
La 'A ('A tòea)
Le 'E ('E case)
Il-Lo El (El can, el zòcoeo)
I-Gli I (I cani, i zocui)

Pronomi personali

io, me mi
tu, te, Voi, Lei ti
egli, esso, lui lu
ella, essa, lei éa
noi noialtri, noaltri
voi voialtri, valtri
essi, esse, loro i, e, lori, lore
sé (riflessivo) se (el se lava)
si (persona indefinita) se (se beve e se magna)

I va casa (vanno a casa, detto di maschi), E va casa (vanno casa, detto di femmine), I'é stati lori (Sono stati loro), I'é state lore (sono state loro) 

Aggettivi o pronomi possessivi

 

ITALIANO

DIALETTO

PRIMA DEL NOME DOPO IL NOME
mio me (el me can, a me casa) mio/mia (el can mio, casa mia)
tuo, vostro to tuo/tua (el can tuo, casa tua)
suo, di lui e di lei so suo/sua
di loro so sua

Gradi di comparazione

I gradi di comparazione si formano come in italiano:

Il comparativo di uguaglianza si forma con come... de...:
'l é mona come de lu (è scemo come lui). Ma è da notare che il de davanti al secondo termine è ormai scomparso e viene usato solo come cifra stilistica o in chiave ironica per alludere a un modo di esprimersi sorpassato.
Per il resto è tutto uguale
Il comparativo di maggioranza si forma con pì.. de:
Il comparativo di minoranza si forma con manco... de:
Il superlativo relativo si forma con el pì... de:

Numerali

I nomi dei numeri cardinali sono invariabili:
1 UN
2 DO
3 TRE
4 QUATRO
5 ZINQUE/ZHINQUE
6 SIE
7 SETE
8 OTO
9 NOVE
10 DIESE
11 UNDESE
12 DODESE
20 VINTI
30 TRENTA
100 ZENTO
1.000 MIE
1.000.000 UN MILION
3.451.728 TREMILIONI QUATROZENTOZINQUANTAUNMIE
SETEZENTOVINTIOTO

Verbo (forma attiva)

La coniugazione del verbo è uguale a quella in italiano: fa eccezione la seconda persona singolare
ITALIANO DIALETTO
io vado mi vae
tu vai ti TE va
egli/ella va lu/éa va
noi andiamo noialtri 'nden
voi andate valtri 'ndé
essi vanno lori va

Non esiste il passato remoto che viene reso col passato prossimo. 

Ecco sotto un esempio di coniugazione attiva. Si noti sempre la presenza del TE alla seconda persona singolare. Per quanto riguarda il participio presente esso non viene quasi mai usato in dialetto e quando viene usato esso ha chiara connotazione aggettivale.

INFINITO
Presente mangiare magnar
Passato aver mangiato ver magnà
INDICATIVO
Presente mangio mi magne
Imperfetto mangiavo magnée - TE magnéa
Passato prossimo ho mangiato ho magnà - T'ha magnà - ha magnà
Passato remoto mangiai ho magnà - T'ha magnà
Futuro semplice mangerò magnarò - TE magnarà 
Futuro anteriore avrò mangiato varò magnà - TE varà magnà
CONGIUNTIVO
Presente che io mangi che mi magne
Imperfetto che io mangiassi che mi magnesse - che ti TE magnesse - che lu magnesse
Passato che io abbia mangiato che mi èpie magna - che ti TE èpie magnà
Trapassato che io avessi mangiato che mi vesse magnà - che ti TE vesse magnà
CONDIZIONALE
Presente mangerei mi magnarìe/magnaràe - ti TE magnarìe/magnaràe
Passato avrei mangiato mi varìe/varàe magnà - ti TE varìe/varàe magnà
IMPERATIVO
Presente mangia/mangiate magna/magné
PARTICIPIO
Presente mangiante non esiste
Passato mangiato magnà
GERUNDIO
mangiando magnando

Verbo (forma passiva)

Il TE alla seconda persona singolare si presenta anche nella coniugazione passiva

Forma riflessiva

La coniugazione riflessiva si è ampliata fino ad assumere significati molto diversi, pur mantenendo apparentemente la medesima forma. Pertanto, il termine di “riflessivo” è ingannevole, poiché indica solo alcuni dei suoi possibili significati, quando effettivamente l’effetto dell’azione reagisce sul soggetto.
La forma è caratterizzata dalla presenza del pronome riflessivo, cioè una particella pronominale nella stessa persona del soggetto (io mi, tu ti ecc.) e si trova in questi sei casi (li elenco usando la terminologia tradizionale delle grammatiche scolastiche, che è piuttosto irrazionale):

1. verbo riflessivo proprio (o diretto): il pronome riflessivo è complemento oggetto: io mi lavo (“lavo me stesso”)

2. verbo riflessivo apparente (o indiretto, o transitivo pronominale): il pronome riflessivo è complemento di termine: mi lavo le mani (“le lavo a me stesso”)

3. riflessivo reciproco: indica azione, appunto, reciproca (non si fa differenza fra complemento oggetto e complemento di termine): se saeudén, noi ci salutiamo (“mi te saeude ti, ti te me saeuda mi”), se parlén (“mi te parle a ti, ti te me parla a mi”)

Nei casi precedenti il pronome riflessivo indica un vero personaggio della frase (un «attante», per usare un’espressione moderna).

Seguono altri casi in cui il pronome riflessivo non indica un personaggio, ma appartiene alla coniugazione verbale, e indica una categoria particolare di verbi, o un uso particolare.

4. Verbo intransitivo pronominale: il pronome riflessivo è parte della coniugazione del verbo, lo accompagna, per così dire come un’appendice che non ha particolare significato: me pente, me son pentìo, me vergogne. La spiegazione logica per questa forma è l’etimologia, che a volte risale a forme analoghe del latino (me paenitet ecc.)

Così come in italiano così anche in dialetto alcuni verbi possono avere tanto la forma attiva, come quella pronominale, con una semplice sfumatura di significato: ricorde calcossa / me ricorde de calcossa; lo desmenteghe / me’o desmenteghe.

Altri verbi invece possono cambiare di significato, e il pronome riflessivo indica il passaggio alla categoria dei verbi intransitivi (verbi a un solo «attante»): ho rot el piat / el piat s’ha rot. È un fenomeno analogo a quello di mi bruse ’a legna / ’a legna brusa, dove però manca il pronome riflessivo, ed è l’insieme della frase a segnalare il passaggio dalla categoria dei verbi transitivi a quella degli intransitivi.

5. Forma del si impersonale. Con i verbi intransitivi, il se (=si) permette di costruire una forma impersonale, cioè priva di soggetto grammaticale: se va, se dorme (“qualcun (?) va”, “qualcun (?) dorme”). Quando si deve usare in questa forma un verbo che ha già un pronome riflessivo (per esempio desmentegarse) in dialetto non dà fastidio la ripetizione del si (*se se desméntega) mentre in italiano il primo pronome viene sostituito dal corrispondente pronome di I persona plurale: ci si dimentica.

(6. Da questa forma in italiano si è poi sviluppata la cosiddetta forma del si passivante. Da un se vede dei àlberi (“qualcuno (?) vede degli alberi”), si è passati a si vedono degli alberi (= “degli alberi sono visti”), mentre in dialetto questo non accade ed esiste solo la forma se vede dei àlberi.)

Interrogazione

Segue le regole dell'italiano, tenendo conto che in dialetto in qualche misura il soggetto dell'interrogativa compare nella modificazione del verbo sotto forma di desinenza.
ITALIANODIALETTO
cosa fai? dove vai?cossa fatu? dove vatu?
cosa fa? dove va?cossa fàeo? dove vàeo?
cosa fanno? cossa fài? (o anche: cossa fa’i?)

Negazione

Il NÓN diventa NÓ (io non vado = mi no vae)
il NÒ resta NÒ (no, non vado = nò, nó vae)
(Nella scrittura nessuno degli accenti qui sopra usati per distinguere la pronuncia delle due particelle viene comunque usato, risultando del tutto superfluo).

Preposizioni

ITALIANODIALETTO>
dide
a(spesso viene omessa)
dada
inde
conco (superfluo l'apostrofo di elisione usato da taluni dialettologi)
susu
perpar, pa’
tra, fratra, fra
sottosot, soto
soprasora

Avverbi

Spesso vengono sotituiti dall'aggettivo o da una locuzione avverbiale, introdotta da una preposizione; in ogni caso gli avverbi in -mente hanno una veste dotta che nel dialetto viene evitata.

ITALIANODIALETTO
velocementeveòce, de corsa
rapidamenteràpido, de corsa
stupidamenteda stupido
frettolosamentede pressa

Congiunzioni

Interiezioni

Un tempo venivano spesso sostituite da una bestemmia, utile per far procedere il discorso. Oggi accade di meno.

Esempio sulla formazione delle parole da un radicale

Sintassi