La chiesa com’è oggi
Ricordiamo che la chiesa oggi
è il frutto dei rimaneggiamenti
avvenuti durante la ricostruzione dopo la I Guerra Mondiale e delle modifiche
(superfetazioni) apportate in tempi recenti.
Le sue caratteristiche sono tuttavia molto simili a quelle con le quali
fu pensata quando fu costruita nel 1724/26.
La chiesa del 1727
Dopo che la vecchia chiesa lungo l’Argine San Marco era andata distrutta
per una piena del Piave nel 1724, la nuova fu ricostruita a distanza
di sicurezza, a 500 metri dal fiume, lungo la strada che sarebbe diventata
la principale del paese (via Croce) su di un territorio donato dal Conte
Giovanni Da Lezze al margine dei suoi possedimenti. Per la sua costruzione - secondo i modelli
neoclassici in voga all’epoca - furono utilizzate le pietre e quanto
recuperato degli arredi della diroccata chiesa (pietre e mattoni bastarono
però per arrivare a metà dell’altezza).
Fu inaugurata
il 10 giugno del 1731 dall’Arcivescovo Zacco e per l’occasione fu svelata una lapide (oggi in
controfacciata) sul muro di destra della navata,
tra l’altare di San Matteo (oggi del Sacro Cuore) e di san Bovo (oggi della Madonna del
Carmine) che riporta:
D.O.M.
ET CRUCI SANCTISSIME INVENTE
TEMPLUM HOC SACRAVIT
AUGUSTUS ARCHIEPISCOPUS ZACCO
EPISCOPUS TARVISINUS
ANNO MDCCXXXI
CUIUS ANNUALIS MEMORIA CELEBRABITUR
TERTIA DOMINICA OCTOBRIS
|
A Dio Ottimo Massimo
e al ritrovamento della santissima croce
questo tempio consacrò
l’arcivescovo Augusto Zacco
nel 1731
e di ciò si celebrerà l’annuale memoria
la terza domenica di ottobre
|
La lapide originale andò probabilmente distrutta con la guerra, fu rifatta e ricollocata
al suo posto. Fu trasferita in controfacciata dall’attuale parroco Don Primo Zanatta
per lasciare spazio alla nuova Via Crucis (18 febbraio 1992).
La lapide della fondazione della chiesa
nella sua attuale collocazione in controfacciata, senza più la cornice di gesso
che la incastonava nella posizione precedente.
La facciata,
in stile neoclassico (sul modello, ripetiamo, della palladiana San Giorgio a Venezia)
presentava (e presenta) una facciata tripartita da quattro lesene su alti basamenti.
Sopra il portone centrale vi era una lunetta e più in alto una finestra cruciforme.
Lateralmente vi erano (e vi sono) due nicchie con le statue del Beato Macario Vescovo
di Gerusalemme, a sinistra, e di Sant’Elena, madre di Costantino, a destra,
personaggi legati dall’episodio del ritrovamento della vera croce,
al quale è intitolata la chiesa. Sugli spioventi della facciata
le tre virtù teologali: al centro la Fede con la croce,
a sinistra la Speranza con l’ancora,
a destra la Carità con in braccio un bambino. Il campanile era incorporato
nella chiesa, alla destra del presbiterio. Si noti il muretto di recinzione
dell’area sacra, la quale fungeva anche da cimitero.
L’interno
si presentava a navata unica con quattro cappelle laterali. L’altar maggiore era dedicato
all’Invenzione (=ritrovamento) della Croce e vi fu collocata una preziosa
pala raffigurante l’episodio del ritrovamento della vera croce. Le quattro cappelle laterali,
come quelle della chiesa
sul Piave abbandonata dopo la rotta del 1724, furono dedicate a sant’Antonio (attuale
Cappella del Battistero, I a sinistra), alla beata Vergine del Rosario (II a sinistra),
a san Vincenzo Ferreri (la II a destra), e a san Bovo (la I a destra).
A sinistra del presbiterio era la sacrestia, a destra la cella del basamento del
campanile, con i muri più spessi, come si vede nella pianta a destra,
ricostruita da Carlo Dariol sulla base degli estratti del Catasto
napoleonico (in grigio la pianta attuale). Nel tempo la chiesa si arricchì di arredi
e suppellettili e sugli altari furono collocati quadri di diverso genere, in particolare una
madonna dipinta alla greca (un’icona) all’altare di san Bovo.
Dopo la I Guerra Mondiale
La I Guerra Mondiale causò notevoli danni alla chiesa:
il campanile fu bombardato dagli Austriaci perché non fungesse da osservatorio
Alla fine della guerra il campanile dovette essere completamente demolito perché
pericolante;
nulla rimase del tetto, andarono distrutti e depredati gli altari;
invece la facciata, pur bucherellata dai proiettili, era rimasta in piedi.
Per volere di don Natale Simionato,
la chiesa fu ricostruita dov’era e com’era;
I Fabbriceri della Chiesa parrocchiale di Croce di Piave, Comune di Musile, radunati col Reverendo Parroco in seduta straordinaria.
Visto il Regio Decreto del I° Settembre 1920 ed il regolamento per il risarcimento danni di guerra agli Enti Pubblici locali e alle fabbricerie parrocchiali.
Viste le disposizioni relative al suddetto regolamento emanate dal Ministero T. L., e le norme date da cotesto On. Commissariato per la denuncia e le riparazioni danni di guerra delle fabbricerie.
Considerato la necessità di un ampliamento della Chiesa parrocchiale per ragione dell’aumento ognor crescente della popolazione, e che per conseguenza si farebbe uno spreco inutile di lavoro e di denaro a ricostruire la chiesa com’era perché insufficiente, riservandosi di inoltrare in seguito istanza per la ricostruzione del Campanile
propongono
di affidare la ricostruzione della Chiesa parrocchiale all’On. Commissariato per i risarcimenti danni di guerra Treviso,
sopra il progetto d’ampliamento redatto dall’On. architetto Giovanni Possamai di Venezia,
approvato già dall’Opera di soccorso per le Chiese rovinate dalla guerra di Venezia.
I fabbricieri rinunciano per ora alla costruzione delle due sacrestie laterali, rimanendo integro il progetto stesso.
Fanno presente però che qualora l’ammontare della spesa necessaria per la ricostruzione della Chiesa
nell’identica forma preesistente superi quello necessario per l’attuazione del progetto Possamai
(escluse le due sacrestie come sopra) i fabbriceri si riservano di destinare il civanzo per la ricostruzione del Campanile; e così
dichiarano
di accettare in conto risarcimento danni di guerra i lavori che verranno eseguiti,
rinunciando con ciò all’esecuzione diretta della Chiesa perché sprovvisti di mezzi.
Croce di Piave 6 Marzo 1921
Il Parroco
Don Natale Simionato
I fabbriceri
Moro Angelo
Bortoletto Giuseppe
I lavori per la ricostruzione della chiesa non partivano. Il progetto del Possamai si era rivelato troppo dispendioso;
perciò si optò per seguire il progetto dell’ingegnere Leonardo Trevisiol che prevedeva il semplice restauro
della chiesa (che, ricordiamo, risaliva al 1731, vedi immagine a sinistra) ma col presbiterio più allungato,
per affiancarvi in seguito le due navate laterali; e dietro a tutto le due sacrestie,
come emerge dal progetto sottostante
Sopra: confronto tra la paianta antica, a sinistra (in neretto la pianta come si presenta ora)
e il progetto dell’ingegner Trevisiol, a destra.
Il campanile fu costruito distante alcuni metri.
La decisione di ricostruire la chiesa dov’era e com’era irritò non poco
la Curia vescovile, in particolare il responsabile della ricostruzione delle chiese
monsignor dottor Costante Chimenton, che l’avrebbe voluta altrove, più verso il centro della parrocchia, e in diverso stile,
nel neogotico da lui tanto amato e che si può ammirare nella chiesa di Musile.
Restaurate le statue della facciata, che conservano ancora i buchi dei proiettili,
ci vollero alcuni anni perché fossero completati gli arredi interni.
La pala dell’altar maggiore, andata perduta, fu sostituita da un’altra di analogo soggetto
dipinta appositamente da G. Borsato nel 1927.
Gino Borsato, Ritrovamento della Croce (1927)
Già prima della guerra si era verificato
un mutamento nella denominazione e nella dedica dei vari altari: il II a destra,
un tempo dedicato a San Vincenzo Ferreri, veniva e fu indicato come l’altare del Sacro Cuore,
mentre il I a destra, cacciato San Bovo, da tempo era diventato l’altare della Madonna del Carmine.
Quest’ultimo in particolare, fu ricostruito in marmo grazie alla donazione dalla madre
di Tito Acerbo, Rosa de Pasquale Acerbo, che nel 1927 manifestò l’intenzione di onorare
la memoria del figlio anche in chiesa:
per interessamento dei fascisti locali, nel 1936 (XIV fascibus receptis, come ricorda
una piccola lapide murata in occasione dell’inaugurazione dell’altare)
fu installata
una pala del Martina che ritrae il Beato Simone Stock nell’atto di ricevere lo scapolare
del Carmelo dal Bambin Gesù in braccio alla Madonna.
S. Martina, Madonna del Carmine (1936)
La pala è stata restaurata nel 2011
Alla morte di don Natale la chiesa appariva decorata e arredata in tutte le sue parti.
Si osservino il baldacchino al soffitto del presbiterio, le balaustre di marmo
che separavano quest’ultimo dalla navata (alle balaustre ci si inginocchiava per ricevere la Comunione),
la lapide dei primi quattro rettori (parzialmente coperta dalla corsia degli sposi), i banchi in legno...
Gli anziani del paese ricordano il vecchio pulpito addossato alla parete sud-ovest...
Sguardo alla navata dal presbiterio. In fondo, in controfacciata, il baldacchino
di legno che reggeva l’organo
(che funzionava col fóeo, cioè a mantice), alle pareti la vecchia via Crucis nera,
ma soprattutto a destra il pulpito bianco con decorazioni in oro.
...e un pulpito meno pregiato addossato alla parete nord-est, sotto la lapide della fondazione (vedi sopra)
cui si accedeva tramite alcuni scalini di legno, detto volgarmente “la tina”.
I danni procurati dall’alluvione del 5 novembre 1966
permisero a don Ferruccio di assecondare la smania modernista dell’epoca: egli rimosse
la rovinata cantoria dell’organo, i baldacchini e i pulpiti, le splendide balaustre di marmo
e le acquasantiere,
La chiesa assunse un aspetto più sobrio,
ma anche più povero. Le due foto sopra, messe in rete da Gianni Cancellier, mostrano
com’era la chiesa poco prima degli interventi di don Ferruccio, nel 1967.
Si noti l’assenza di altare al centro del presbiterio,
il baldacchino a soffitto,
le balaustre che separavano la navata dal presbiterio
(alle quali ci si inginocchiava per ricevere l’eucarestia) e infine,
sul pavimento della navata, sotto la corsia
degli sposi, la lastra originaria della tomba dei primi quattro rettori del nuovo
tempio.
La lapide tombale dei primi quattro rettori della chiesa ricostruita.
Tale lapide riportava ben due errori: Bottanella anziché Bottamella e Moretto
anziché Moretti.
Il nuovo altare
Le direttive del Concilio Vaticano II indussero don Ferruccio a far accorciare la mensa
dell’altar maggiore per far posto
al nuovo altare-mensa previsto dal Concilio e sostituire il piccolo tabernacolo originale con uno di pietra
d’onice dismesso dalla Diocesi di Chioggia. Fu Mario Capiotto che andò a prendere il nuovo tabernacolo a Chioggia.
Sempre Mario Capiotto collaborò come muratore ai lavori di modifica del vecchio altare
e di messa in opera del nuovo altare, di cui sotto si vede il preventivo spese con i nomi degli autori:
Danilo Andreose ero lo scultore, Antonio Stoppiglia il marmista.
Poco dopo, il quadro dell’altar maggiore
fu spostato in una delle navate laterali e sostituito con un crocifisso ligneo realizzato
da padre Giorgio Lorenzon: fu un atto di cortesia di don Ferruccio verso la famiglia Lorenzon,
della quale era amico, e in particolare verso padre Giorgio che era appena stato
consacrato parroco e che aveva qualche qualità come scultore.
1969: la pala del Borsato è sostituita dal Crocifisso di padre Giorgio Lorenzon
Nei primi anni di parroccato di don Primo Zanatta furono realizzati
il mosaico alle spalle del crocifisso, donato dalla Silvia Sgnaolin
(le cui iniziali compaiono alla base dello sfondo, scambiate spesso per un incomprensibile
omaggio alle truppe di Hitler), e il pavimento nuovo della chiesa
che ricoprì la lastra tombale
dei primi quattro rettori della chiesa.
A ricordo di questa don Primo fece fare da Zanet
una piccola lastra con identica iscrizione che fu murata sul muro
dell’altare del Sacro Cuore.
Via Crucis
In occasione della Quaresima del 1993 l’attuale parroco don Primo fece installare
alle pareti le tavole di una via Crucis di stile piuttosto ingenuo, opera di
Franco Verri, un sacerdote giuseppino trevigiano. Per far
spazio a tre delle quattordici tavole fu necessario togliere dal muro di destra,
tra le due cappelle del Carmine e del Sacro Cuore, la storica lapide che ricordava
la consacrazione della chiesa da parte dell’arcivescovo Zacco nel 1731, da sempre in quella posizione, e ricollocarla in
controfacciata.
 |
Soffitto della navata centrale
Innamorato dello stile del padre giuseppino, don Primo gli commissionò anche l’opera per
il soffitto, da lui stesso pensata e progettata. Tale opera (pagata, come sovente accade in questi casi, dalla
immancabile benefattrice) fu installata nel giugno 2003 e si presenta come un trittico
dedicato all’esaltazione della Santa Croce.
Tale trittico è costituito da un rettangolo centrale a colori (risultante dall’unione di quattro
pannelli uno sopra l’altro)
e pannelli semicircolari in bianco e nero (che poco s’accordano con la forma
rettangolare dell’aula), uno in alto e uno in basso.Le due mezzelune rappresentano (quella in alto) l’albero della vita
e (quella in basso) il serpente di bronzo, temi biblici notoriamente
legati alla simbologia della croce.
Nel pannello rettangolare, al centro è il Calvario con i simboli
della passione retti da angeli, in basso, in primo piano per
l’osservatore, è il ritrovamento della Croce
(tema già trattato nel dipinto di Borsato del 1927) e in alto l’esaltazione
della Croce, tema anche questo già interpretato con maggior levità e
delicatezza sul soffitto del
presbiterio.
|
Alla fine del 2008 la vecchia via Crucis
fu ricollocata nelle due navatelle, sette tavole in una e sette nell’altra.
 |
Soffitto della navatella di sinistra
Il soffitto è decorato con il dipinto dell’Eucarestia, cuore della comunità.
Donato da una delle
donne che parteciparono sin all’avvio al cammino pastorale legato alla
Nuova Immagine di Parrocchia,
fu eseguito dal pittore sandonatese Beppe Vianello e inaugurato il 14 settembre 2013, giorno dell’esaltazione della Croce,
una delle tre feste particolari della parrocchia di Croce.
(Clicca QUI per la descrizione e l’analisi puntuale del dipinto)
|
 |
Soffitto della navatella di destra
Il soffitto è decorato con il dipinto dell’Esaltazione dell'Eucarestia.
Anch'esso fu eseguito dal pittore sandonatese Beppe Vianello, che in quest'opera
lasciò libero sfogo alla propria passione per i colori accesi.
Fu inaugurato il ..., giorno dell’esaltazione della Croce,
una delle tre feste particolari della parrocchia di Croce.
(Clicca QUI per la descrizione e l’analisi puntuale del dipinto)
|
Riposizionamento della Pala del Borsato sull'altare maggiore
Fu scelta che maturò con il consiglio pastorale e il consiglio per gli affari economici
durante il lockdown dovuto alla pandemia del Covid 19; si pensò di
dare un segno di fiducia e di speranza, che facesse memoria di quanto
la comunità stava vivendo e per guardare al futuro con speranza e ottimismo.
Qui sotto un passaggio dell’omelia che don Luca tenne domenica 13 settembre 2020, in occasione della Festa dell’Esaltazione della Croce, quando la pala del Borsato,
rimessa al suo posto, fu svelata.
Innanzitutto, già lo accennavo quando vi informavo della cosa via lettera alcuni mesi fa ormai,
credo dobbiamo porre un segno, una pietra miliare quasi, che ci ricordi. Il nostro territorio è costellato da questi segni,
cippi, monumenti ai caduti, lapidi che ci ricordano passaggi impegnativi della nostra storia, tipo le guerre, ma anche
luoghi di alcuni personaggi importanti… anche i nomi dei luoghi e delle strade ci ricordano fatti o persone: penso Piazza Dussin, ad esempio,
o Via don Natale Simionato, o il ricordo di Lisa Davanzo in piazza; ma anche Case alluvionati, Via mutilati a Trezze, per dirne un paio,
e ne potremmo trovare molti. È vero a livello della società degli uomini, è vero anche a livello personale: pensiamo ai ricordi della vita di una persona,
le cose che ci ricordano persone, momenti, passaggi, eventi… o i segni che portiamo sul corpo, e che dicono momenti e passaggi della nostra vita,
cicatrici o altro. Segni che fanno memoria. Ecco: in questo tornante della storia che stiamo vivendo a causa della pandemia,
in un’epoca già di suo in cambiamento, poniamo un segno di memoria, che ci ricordi. Quando abbiamo rimesso al centro questa pala?
Quando c’era la pandemia, quando cercavamo con coraggio e responsabilità di ricominciare a ricucire relazioni, storie, tessuto sociale…
Dal punto di vista liturgico e artistico fu anche rimosso il notevole tabernacolo in onice verde posizionato a suo tempo da don Ferruccio Dussin, che l'aveva recuperato
dalla chiesa di Chioggia per sostituire il più sobrio e deteriorato tabernacolo originale; ma che comunque mal si adattava all’altare maggiore,
essendo già in uso quello nella cappella laterale (cosa più consona alle norme liturgiche, che indicano la custodia eucaristica in una cappella laterale); ma l'evento importante
è che fu appunto ripristinata la pala (rimossa sempre da don Ferruccio per far spazio al crocifisso realizzato da padre Giorgio Lorenzon,
quale omaggio per l'avvenuta ordinazione sacerdotale. Vedi sopra, sempre in questa pagina web, il paragrafo relativo).
Ovviamente il ripristino della pala, pensata per quella posizione e rappresentante il titolo della parrocchia (L’invenzione della Santa Croce) e che per quarant'anni era rimasta confinata
nella cappella del coro, avvenne col benestare dell’ufficio beni culturali della diocesi di Treviso e la sovrintendenza per i beni culturali di Venezia.
Le autorizzazioni arrivarono un po’ tardi, alla fine di luglio, sicché la restauratrice Marta Schiavinato (vedi il suo sito, "mani materia")
dovette lavorare a tappe forzate per consegnarla il giorno della festa dell’Esaltazione della croce.
Venerdì 11 settembre fu tenuta una serata di presentazione con il prof Raffaello Padovan, docente al liceo classico di Treviso
ed esperto di arte della zona, che presentò l’autore, o meglio, gli autori, dato che Borsato lavorò su bozzetto di Antonio Beni, autore locale famoso e apprezzato (vedi su questo sito le pagine relative alla storia del primo dopoguerra).
Il lavoro di restauro fu essenzialmente di pulitura del fumo e della cera delle candele accumulata negli anni, mentre telaio e tele erano in buone condizioni,
e non c’erano danni all’opera.
La pala, come riportato in più parti di questo sito, fa riferimento al racconto del ritrovamento della croce narrato nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine.
A margine della pala, furono restaurati anche i candelabri originali.
Qui il file pdf che riporta le riflessioni di don Luca sull'avvenimento (CLICCA)
|