Case de ’na volta

Quand’è che le case di un paese diventano de na volta? Dopo essere state abbandonate?
Le case de ’na volta riportate in questa pagina sono quelle che conservano l’impronta della case coloniche diffuse tra la fine dell’Ottocento (quando diversi casoni erano ancora in piedi) e l’inizio del Novecento.

Erano intitolate a un santo e col nome del santo venivano chiamate.

Casa Bincoletto

Situata sulla via Emilia, all’incrocio tra via Emilia e via Cascinelle.



Casa Cadamuro

con davanti il forno per la cottura del pane. Qui sotto, il forno da vicino.



Casa Clerici (Casa Ambrosin) - "San Lorenzo"

Si trova lungo l’argine San Marco ed era dedicata a “San Lorenzo”. Fu abitata dagli Ambrosin a cavallo tra 1800 e 1900, quindi dagli Sgnaolin.

Nell’ultimo periodo della sua agibilità fu abitata dalla famiglia Gasparini.

Qui sotto, un abbozzo di pianta della cucina di casa Ambrosin (ricostruita da Gianni Cancellier).

Qui sotto el foghèr, nelle condizioni attuali.



Casa Franceschini (Casa Barbirato)

Si trova tra la strada della Fossetta e la curva della Triestina, in mezzo alle quali si venne a trovare dopo la costruzione della Triestina nel 1924.

Durante la prima guerra mondiale fu sede della Croce Rossa.
Qui sotto le foto scattate nella primavera del 1918 dall'inglese Harvey, autista di ambulanze della Red Cross.



Casa Giustinian (Casa Mariuzzo) - “San Filippo”

Si trova all'inizio di via del Bosco. Abitata per gran parte del Novecento dai Mariuzzo, famiglia numerosa, si spopolò lentamente; l’ultimo dei Mariuzzo che l’abitò fu Feliciano, il nonzolo.
L’ultimo abitante in assoluto fu il Cocco Ormenese che vi abitò dall’86 - appena sposato - al giorno in cui si trasferì nella sua casetta nuova in via Sauro.


(foto di Mattia Pavanetto)



Agenzia Gradenigo

Venuta in proprietà dei Roder, fu restaurata nel primi anni 2000 con occhio attento alle forme e ai volumi originari. Sotto come appare oggi.



Casa Lezze (Casa Sgnaolin) - “Sant’Antonio”

Si trova in centro a Croce, all'inizio di via Contèe. Si tratta dell’antica Ca’ da Lezze, dove viveva il fattore della omonima famiglia che gestiva la campagna in Croce e al confine con Croce. La casa, con la campagna, passò per via ereditaria dai Lezze ai Prina, quindi ai Manfredi.
In questa casa vissero per un periodo i parroci di Croce dopo la demolizione della canonica in riva alla Piave alla fine del Settecento, finché la bontà del conte Prina concesse loro due stanze (inizio Ottocento).
Nell’Ottocento fu intitolata a “Sant’Antonio”.
Fu abitata dal fattore Antoniazzi per buona parte del Novecento (prima Giuseppe, poi Domenico detto “Meto”, quindi un altro Giuseppe e ultimo Antonio che vi abitò fino all’autunno del 1968). Sul terreno di casa Antoniazzi (Ca' da Lezze) era stato ricavato nella seconda metà dell'Ottocento il cimitero paesano, per cui invalse il modo di dire “andar su quel de Antoniazzi” o “ndar da Antoniazzi” per non pronunciare scaramanticamente il termine “morire”.
Dal 1969 il barone Manfredi tenne aperta la casa ospitandovi personale dipendente dell’azienda; vi abitò la famiglia di Angelo Sgnaolin, per cui essa divenne per tutti Casa Sgnaolin.
Qui sopra la vediamo in una foto “poetica” degli anni Novanta del XX secolo.
Poi che fu abbandonata dagli Sgnaolin, trasferitisi a Castello di Godego, fu affittata per un certo periodo a Claudio Pivetta, che la usò come deposito attrezzi e mangimi.
Uno strano incendio - che ricordava tanto quello della rivendita di Attilio Guseo nel 1928, sempre in piazza a Croce - la distrusse nelle strutture in legno, facendone crollare tetto e solai. Dopo quel “colpo di grazia” fu venduta all’impresario Giovanni Granzotto, che la demolì (20 marzo 2002), come mostra la foto sotto,

e la ricostruì salvaguardando solo la planimetria e l'idea dei due corpi di fabbrica della costruzione originaria: l’Ufficio tecnico comunale consentì infatti al costruttore di rinunciare alle altezze originali, e i piani del corpo destinato ad abitazione da tre diventarono due, con evidente alterazione dell’armoniosità della forme primitive della casa colonica.
Risultò così compromesso anche lo skyline paesano (vecchio di secoli) che si godeva giungendo dalla Triestina (per la precisione dal Coeonèo Gioia), con la “Sant’Antonio” a sinistra e la “San Filippo” a destra.



Casa Lunardelli

Situata sulla Triestina, presso il Ponte del Bosc, è abitata da diversi decenni dalla famiglia Lunardelli.
Giovanni Battista vi lavorò in regime di mezzadria, poi il figlio Luigi (Jijo, gran baritono) iniziò ad acquistare il terreno e a impostare i vigneti con sistemi di allevamento sylvoz e attrezzandosi con una piccola cantina adiacente alla casa padronale.

Restaurata tra la fine del secolo scorso e l’inizio dell’attuale, dal 1992 la nuova cantina è diretta dal figlio di Luigi, Giovanni, diplomato enotecnico nell’anno 1988 all’Istituto Tecnico Agrario Statale G.B. Cerletti di Conegliano e successivamente enologo nel 1998, il quale ha dato un’impronta moderna all’azienda vinicola “VignaLuna” e all’annesso agriturismo.



Casa Saviane

Situata in via Croce, appena oltre il passaggio a livello, sul lato sud.

Casa Venturato

Situata alla fine di via Emilia, poco prima dell'incrocio con via Cascinelle

Nella pianta sotto, Casa Venturato è quella che compare a destra.

Sulla sinistra, il fianco su via Bellesine, si erge unaltra bella casa de ’na volta.



Casa Zanusso

Situata sulla Triestina, presso il Ponte del Bosc, all’angolo con via Bellesine, fu abitata dalla famiglia Zanusso (“Castaldel”) fino al 1970.

Ville degli anni Venti

Negli anni 1922-23 Renato Cuppini, che aveva sposato Morosina de Concina, vedova di Piero Gradenigo e il colonnello Gioia, che aveva sposato Rachele Sacerdoti, vedova di Leonardo Gradenigo, costruirono le loro ville.

Sopra la villa del colonnello Gioia (oggi proprietà di Ildebrando Lava)
Sotto la villa di Renato Cuppini (oggi proprietà di Elisabetta Rorato)