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Artisti: scrittori

Luisa e Fulvio Ervas

FULVIO Ervas nasce a Croce nel 1955 (l’anno della morte di don Natale).
Molti anni dopo, ormai diventato popolare, di sé scriverà:
Nasce in riva al Piave il 23 luglio 1955, senza sapere che Einstein era appena morto. Quando ne avrà coscienza, si iscriverà a un liceo con l’idea di costruirsi una cultura scientifica. Attratto da tutti gli animali diversi dall’uomo, si laurea in scienze agrarie, con un’inquietante tesi sulla “Salvaguardia della mucca Burlina”.
Nelle biografie ufficiali si omette di dire che la sua è una giovinezza vissuta nei caldi anni Settanta: Fulvio simpatizza per la sinistra, si impegna in prima persona in organizzazioni studentesche e operaie di sinistra, con i compaesani Paolo e Guerrino viene anche portato una notte in caserma per accertamenti (dopo l’attentato a Pilla nel dicembre 1978), per essere subito rilasciato, non venendo riscontrato alcun indizio a loro carico.
Risale a quegli anni la passione per la scrittura: messe da parte le velleità politico-ideologiche, Fulvio tenta di sfondare nel mondo della letteratura con romanzi che però troppo odorano di ideologie politiche; tutte le case editrici gli rifiutano i dattiloscritti. Ripone momentaneamente le aspirazioni di scrittore e, mettendo a frutto la laurea in scienze agrarie, diventa professore di scienze, prima precario, poi finalmente di ruolo.

"Luisa Carnielli nasce a Musile di Piave il 26 luglio 1957. Secondogenita e femmina non è fatta per gli studi prolungati; si lascia inghiottire da uno dei tanti maglifici di quello che non si chiama ancora Nord-Est"
Senonché, improvvisamente, nel 1999...

Di fatto - racconta wikipedia - Fulvio esordisce nel panorama letterario nel 1999, quando (con) la sorella LUISA (maritata) Carnielli vince ex aequo la XII edizione del premio Italo Calvino con il racconto La lotteria.

Quel “con” agli inizi non compariva nelle biografie che si rintracciano in internet e l'articola sopra ne è una prova.

La notizia della vittoria di Luisa fa scalpore e finisce su tutti i giornali perché Luisa non ha una formazione scolastica o letteraria compiuta; ha lasciato la scuola in giovane età per lavorare come operaia e poi fare la mamma. Sono in molti a sospettare che nell’opera di Luisa - al di là del contributo di suggerimenti che con somma onestà la sorella riconosce ai fratelli - vi sia più che una mano di Fulvio: i molti riferimenti alle questioni scientifiche toccate nel libro e la forma del genere poliziesco ne sono un indizio.
Dopo molti rimaneggiamenti il volume viene dato alle stampe nel 2005 con l’editore Marcos y Marcos, cui i fratelli rimarranno sempre fedeli.

Che la collaborazione tra sorella e fratello non sia superficiale lo rivela il secondo libro dei due, Commesse di Treviso (del 2006, pubblicato sempre dalla Marcos y Marcos), in cui Luisa, almeno a livello letterario, si riappropria del cognome da nubile (Ervas) e precede quello del fratello: è il primo di una serie di romanzi (l’unico firmato da entrambi) ambientati nel Nordest che vedono come protagonista l’ispettore Stucky.

Commesse di Treviso. Qui due storie (non) si intrecciano.
La prima: Natale si avvicina e qualcuno molesta le commesse di Treviso, in un crescendo allarmante, finché una bella commessa nera non ci lascia la pelle.
La seconda: Kuto Tarfusser, aspirante psicologo (e investigatore privato, per sopravvivere) ascolta il lungo monologo di un paziente, Max Pierini, fondatore di una discarica (che, seppur registrato alla prima persona, parla un po' troppo come il narratore del libro). Alla vigilia di Natale il giallo si risolve, quasi da solo, lasciando un'impressione generale di tristezza e di sguardi impudichi su anime dolenti.

Il libro è di agevole lettura e dispensa parecchi sorrisi, pur essendo chiaro che il poliziesco si regge sul nulla. Se il desiderio di ottenere una prosa rapida che mescoli descrizioni, denotazioni narrative e pensieri dei protagonisti porta a tralasciare il discorso diretto (leggi: i due punti e le virgolette), è anche vero che (dal punto di vista logico) ogni tanto un bel punto-e-virgola non stonerebbe.
Dal punto di vista stilistico appaiono decisamente ardite certe metafore, mentre rimangono inspiegate certe imprecazioni, certi soprannomi (Antimama, Klema); ma quà un'invenzione linguistica riuscita, là una metafora divertente dentro una prosa generalmente spumeggiante risarciscono il lettore altrimenti annoiato dalla trama inverosimile e dal mancato intreccio delle due storie, attaccate con lo scoch. L'ironia sul Nord est talora è efficace; a volte indugia sui luoghi comuni coi quali si ama ritrarre il Nord Est.
Max Pierini, fondatore della discarica, personaggio più riuscito degli altri, è l'elemento distrattore in un giallo che in quattro e quattr'otto si risolve per altra strada, e il colpevole era sotto gli occhi di tutti; e l'indizio rivelatore è un bigliettino di baci Perugina con una frase di Rimbaud, che Stucky (affetto da varie idiosincrasie tra cui quella nei confronti del simbolista francese) riconosce come elemento debole, e perciò estraneo, ma rivelatore di una personalità prosaica quale deve essere quella dell'assassino. Ora, conoscendo la qualità letteraria di molti bigliettini dei Baci Perugina, disprezzare proprio quello scritto da Rimbaud è sintomo più dell'insufficienza di Stucky che dell'assassino.

Nel lavoro a quattro mani (?) inutile il gioco del "Chi ha scritto cosa?" Qual è la parte pensata dal fratello? Qual è la parte pensata dalla sorella? I fratelli lavoranno all'unisono, con "una profonda affinità di pensiero", come ben spiega il risvolto di copertina. Ma la risposta (sorprendente, ma era sotto gli occhi di tutti, come il finale del libro) arriverà qualche anno dopo.

La terza opera nata dal sodalizio è Succulente (2007): questa volta in copertina Luisa perde definitivamente il cognome Carnielli per mantenere solo quello proprio (e del fratello).

Lisbona, Portogallo. Anzi: Lisboa, Portugal. Britto Mendes (si noti l’assonanza con Fulvio Ervas, ndC) è il malinconico vicedirettore della Estufa Fria, uno splendido ma vetusto giardino botanico perennemente in ristrutturazione. A tormentare Mendes, oltre alla consueta aritmia cardiaca, da qualche giorno c’è anche un senso di colpa grosso come una casa, per aver mandato la riluttante signora Luzia (=Luisa) a dare una rassettata alla parte alta del padiglione tropicale, proprio là dove la donna è scivolata, ha battuto la testa ed è morta. (Interpretazione psicanalitica: Fulvio ha mandato avanti col primo libro la sorella Luisa, che lo ha trascinato alla popolarità: adesso egli può anche letterariamente "ucciderla", e così farà dal successivo romanzo.)
Sulla disgrazia indaga il supponente e fastidioso ispettore Coelho, le cui indagini si intrecciano a un lungo excursus sulle disgrazie di Mendes: quindici anni prima ha perso il padre e poi è stato investito da un’auto e ha passato settimane in coma, durante le quali ha avuto la misteriosa visione di una sterminata foresta di eucalipti che lui attraversava a piedi, lentamente. Per non parlare del fatto che da un mese l’amata compagna Amalia l’ha lasciato ed è partita per chissà dove. Britto non lo sa, ma quel chissà dove è la laguna di Aveiro, una suggestiva località costiera dove si sta costruendo un parco naturale, lavoro nel quale Amalia si è gettata con entusiasmo. Ad Aveiro vivono anche Estrela e suo marito, il comandante Branco, un militare burbero eroe della rivoluzione portoghese e fanatico del pollo arrosto. Estrela sta attraversando un periodo di crisi personale: è scontenta della sua vita, non è più sicura dei suoi sentimenti e da quando ha visto come i volatili vengono uccisi, non ha più nemmeno voglia di cucinare il pollo al marito. Mentre Amalia ed Estrela scoprono un rapporto di amicizia destinato a donar loro emozioni e dolori, a Fatima, nel santuario frequentato ogni giorno da migliaia di pellegrini e trasformato in una sorta di industria della fede e della sofferenza, si vive un inedito dramma. La disperata signora Luzia infatti si rivolge al monco factotum del santuario, Humberto Baleira, che ha fama di uomo dei miracoli, con una richiesta terribile e mai sentita prima d’ora: far morire suo figlio Manuelito, malato senza possibilità di cura.

Intervista a Luisa e Fulvio Ervas dopo l’uscita di SUCCULENTE
Articolo di David Frati
Luisa e Fulvio Ervas... ovvero la piccola cooperativa di scrittura di due fratelli di Musile di Piave, piccolo centro agricolo tra Venezia e Treviso. Lui insegna Scienze Naturali in una scuola superiore in provincia di Treviso e ama smodatamente qualsiasi animale che non sia l’uomo. Lei ha fatto per tanti anni l’operaia in un maglificio e ora fa la casalinga con licenza di scrivere. Persone vere, semplici, senza sovrastrutture.
Il tema del viaggio è centrale in Succulente, e non tanto o non solo per gli spostamenti dei protagonisti, ma per l’esperienza pre-morte di Britto Mendes, che è un po’ il simbolo, il ‘manifesto’ di questo approccio...
Fulvio: “Sì, e la cosa è vera anche e soprattutto per un altro motivo, più semplice se vuoi: tutto nasce da un mio viaggio con amici in Portogallo, un viaggio tanto desiderato e organizzato a lungo e con cura, che stava saltando per la mia sbadataggine. Avevo acquistato una cucina da campo dotata di tutti i comfort, che andava sistemata tutta compatta in un piccolo rimorchio da agganciare all’automobile. Eravamo in viaggio da qualche ora, quando un camion ha iniziato a lampeggiarmi nello specchietto retrovisore. Una, due, tre volte. Ho pensato: il solito camionista rompicoglioni e incivile. Invece mi voleva far capire che la cucinetta si era sganciata dal supporto e strusciava sull’asfalto facendo una scia di scintille: ancora qualche metro e addio cucina da campo! Insomma in Succulente c’è il viaggio come spostamento, ma anche come esperienza umana. E come fobia di stare fermi".
I personaggi femminili hanno un fascino particolare per voi?
Luisa: “In Succulente parliamo del dolore delle donne. Una madre, una moglie, un’amante. Figure diverse, diversissimi ruoli, ma tutte convivono con un dolore: perdere un amore, o liberarlo, o lasciarlo dietro di sé con rimpianto. Sono figure femminili forti perché così è la donna. Possono cambiare gli ambienti, le società, le storie, ma le donne saranno sempre così".
Si parla di citazioni, ammiccamenti, allusioni in alcuni personaggi di Succulente. Del resto se una donna portoghese si chiama Amalia viene automatico pensare al fado, che volete farci?
Fulvio: “Sì, è comprensibile. Ma in realtà Amalia non fa rierimento ad Amalia Rodrigues, la regina del fado. Solo il personaggio dell’ispettore che indaga è ispirato a Paulo Coelho, ma è un po’ una stilettata perché è uno scrittore che non amiamo affatto. Invece ne La lotteria abbiamo inserito volutamente nomi di personaggi della scienza e della storia, un giochino anche per divertirci a vedere se qualcuno li riconosceva. Come potrebbero riconoscersi varie persone di Treviso che magari abbiamo incontrato in un bar, per la strada e poi utilizzato come modello per personaggi dei nostri romanzi. Non c’è fantasia che superi la semplice descrizione delle persone che si incontrano per caso, con i loro tic e le loro espressioni assolutamente uniche".
Un altro tema forte di Succulente è quello dell’eutanasia. Come vi ponete nel dibattito infinito su questo argomento?
Luisa: “Inizialmente non era voluto, è venuto un po’ da solo, tanto che ce ne siamo accorti dopo aver scritto il romanzo. Quanto al dibattito italiano, la questione della dignità umana anche nella morte va posta con forza. Quando si scende sotto certi livelli sul piano etico insistere con una vita che non è più vita non ha alcun senso”.
Che senso avete voluto dare alla scelta di non tradurre i nomi e molti termini portoghesi utilizzati nel romanzo? Insomma, perché Lisboa e non Lisbona, ad esempio?
Fulvio: “C’è dietro ovviamente un omaggio alla meravigliosa musicalità della lingua portoghese, e anche una questione di simpatia. Voglio dire, si riceve tanto da una terra del genere, e si sente il bisogno di un gesto gentile nei suoi confronti, per quanto piccolo, come per ringraziamento”.
Il fatto che il romanzo possa essere percepito come un noir pur non essendolo è un equivoco che vi disturba, vi lusinga o vi lascia indifferenti?
Luisa: “Né l’uno né l’altro, succede e basta. Succulente non è un noir, e su questo non ci piove, malgrado la storia inizi con un cadavere. Ma la compagnia dei noir non è che ci disturbi, anzi è capitato pure di presentare il libro nell’ambito di festival dedicati al giallo e ci siamo trovati benissimo”.
Ho letto da qualche parte che delle piante grasse - le succulente del titolo - vi piace la capacità di resistere, di adattarsi all’ambiente. Con la vita che avete avuto, vi sentite un po’ succulente anche voi due?
Fulvio: “Il titolo in realtà è stato scelto per due motivi. Il primo è che a Lisbona c’è molto verde, serre davvero stupende. Se si capita durante la fioritura delle piante grasse si assiste a uno spettacolo magnifico, una vera esperienza sensoriale. Del resto storicamente il Portogallo era la porta verso l’America Latina, anche naturalisticamente. Il secondo motivo è che le succulente, cioè le piante grasse, hanno le unghie, vivono in territori complessi, hanno una resistenza speciale". Luisa: "Quanto alla nostra famiglia, abbiamo origini diciamo così ’variegate’: Romania, Bulgaria, Montenegro. Una famiglia poverissima e ricca di personaggi stranissimi, che è dovuta tornare esule in Italia e ha sostanzialmente abbandonato nostra madre giovanissima da certi cugini, anche questi poverissimi e molto, molto strani. C’erano parenti dei quali si diceva avessero poteri paranormali, una zia con gli occhi gialli con fama di strega, un tipo che si rifugiava sugli alberi e una figlia ammalata di poliomielite che amava raccontare strane storie. Nelle giornate di pioggia o di malattia sentivamo il rumore di lei con le sue protesi per camminare che saliva faticosamente le scale per venire da noi tre fratelli a raccontare le sue storie macabre e scollacciate, che diceva tratte da libri proibiti dalla Chiesa...”
Fulvio: “Chiunque sarebbe diventato uno scrittore con un’infanzia così! La cosa più sconcertante era che la sua famiglia ha abbandonato nostra madre con figli piccoli a un destino difficile, di fame e di stenti, così, senza più cercarla. Allucinante davvero”.
Due su tre vostri libri sono ambientati in paesi lontani, molto distanti non solo geograficamente dal ‘vostro’ nordest. C’è un motivo preciso per questa scelta?
Fulvio: “Il nordest è un non-luogo, un’etichetta sulla quale ironizziamo volentieri. Un luogo geograficamente bellissimo raso al suolo e ricoperto di capannoni industriali. E allora se vivi da circa 50 anni lì e ti ricordi com’era tanto tempo fa non ti rimane che sognare isole lontane, che sognare il Portogallo”.
Luisa: “Oppure i paesi lontani te li inventi direttamente, come abbiamo fatto per La lotteria, che è stato ambientato in un arcipelago di isole inventato appositamente per avere uno sfondo cupo e spettrale. Abbiamo preso le isole croate, che conosciamo molto bene, e le abbiamo fatte navigare fino all’estremo nord...”
Perché nei vostri romanzi ci scappa sempre il morto?
Fulvio: “In tutti i libri c’è una fascinazione per la morte, e il sommo disgusto per chi uccide. La morte allora diventa un pretesto per conoscere le vittime, per esplorare le connessioni tra i personaggi. Che sono la chiave dell’umanità. Mi piacerebbe che i membri della stessa specie - gli uomini, per esempio - si guardassero tra loro con simpatia. Io capisco che a Marghera uno sia arrabbiato, è circondato da fabbriche, inquinamento e rifiuti. Ma se vivi a Treviso che è una città bellissima, pulita, ricchissima allora cosa sei incazzato a fare, perché te la devi andare a prendere cogli immigrati e coi rom? Non si capisce”.
Dopo tre libri, qual è il personaggio al quale siete più affezionati?
Fulvio: “Direi Britto Mendes di Succulente, ma anche il vecchio direttore della serra. Lì c’è anche il tema della morte, di chi ci accompagna nel passaggio. Quando lascerò questo pianeta mi piacerebbe avere vicino un vecchio amico".
Luisa: “Il giovane Kosh ne La Lotteria, Jolanda ne Le commesse di Treviso. Poi io sono una madre e in Succulente ovviamente mi rivedo molto nel personaggio di Luzia, che deve prendere una decisione sul figlio che la distruggerà ma le darà pace. Anche se non esiste dolore più grande della perdita di un figlio”.
Che procedura seguite per scrivere in due? Uno si immagina che essendo fratello e sorella vi accapigliate, minimo...
Fulvio: “Il nucleo del lavoro è il racconto della vicenda. Poi tranne rare eccezioni ci affidiamo a una scrittura doppia, cioè ognuno di noi scrive tutte le scene e poi ci confrontiamo e teniamo le cose che funzionano meglio. Certo, si soffre a buttare via le proprie cose, ma è un esercizio utilissimo”.

Dopo le frustrazioni della giovinezza e i rifiuti subiti da tante case editrici, finalmente Fulvio (grazie alla sorella) ha trovato un suo spazio come autore e una casa editrice. Da quel momente una profluvie di titoli arricchirà l’offerta della Marcos y Marcos.
Che avesse in serbo molto materiale e molte idee lo dimostra la sequenza di libri che da quel momento sforna in autonomia uno all’anno: sempre del stesso ciclo dell’ispettore Stucky sono i romanzi Pinguini arrosto (2008), Buffalo Bill a Venezia (2009), Finché c’è prosecco c’è speranza (2010), L’amore è idrosolubile (2011), Si fa presto a dire Adriatico (2013).

Pinguni arrosto. Siamo ancora a Treviso, sul Sile. Protagonista è ancora l’ispettore Stucky; il quale esclama, intercala, ripete sempre “Antimama”, parola di origine slava il cui significato continua a rimanere ignoto.
Ancor più che in "Commesse", qui Stucky si rivela proiezione psicanalitica dell'autore: è un darwinista che ancora si interroga sulle origini del mondo; aveva praticato il rugby al liceo, si era quasi laureato in chimica, poi a Venezia a inizio carriera si era trovato inzuppato di politica e sovversivi; ora vive in vicolo Dotti, ha la fidanzata in pausa di riflessione e segue almeno tre casi, solo parzialmente e solo alla fine intrecciati: incendi di discutibili fabbriche d’allevamento (ispirazione veritiera), spinte improvvise di un malandrino a chi corre per footing sulle alzaie, il suicidio di una suora e la morte del vecchio prete don Primo forse non accidentale.

Da una recensione su internet: "incipit zoppicante (pur grazioso e curioso), dialoghi allusivi (fin troppo), incidere talora inconcludente (in ottima prosa)".


Un indubbio pregio dei titoli è che sembrano presi a prestito da Achille Campanile.

La scelta dei nomi dei protagonisti, le vicende raccontate - seppur nascoste sotto la cortina fumogena degli studi fatti - continuano a mostrare un autobiografismo spinto. Le questioni politiche che hanno impedito l’exploit giovanile sono state sostituite dalle questioni etiche. Ma soprattutto Fulvio ha trovato la sua strada nel costruire trame funamboliche, carambolesche, inverosimili (ed è ciò che piace o NON piace di lui), in cui risalta la felicità delle locuzioni descrittive.

Follia docente (2009), ancor più smaccatamente autobiografico, è ispirato alla sua esperienza da professore di scienze naturali.

Articolo di Giovanni Pannacci
Elia è laureato in Scienze agrarie a indirizzo zootecnico e si sta interrogando su quale possa essere il suo imminente futuro lavorativo. Purtroppo non riesce ad andare oltre queste bizzarre quanto interessanti possibilità: calcolare il baricentro delle uova da panettone, progettare un reggiseno per mucche da latte o appiccicare coccinelle essiccate sulla buccia delle mele trentine. Fortunatamente (?) un giovane laureato in Lettere, incontrato in un pub fumoso, lo salva da questi confusi scenari e gli propone di entrare nel fantastico mondo della scuola. L’iter è quello classico: si inizia come supplenti precari, poi si fa il concorso e, se si è fortunati, si entra di ruolo. Elia comincia così la sua carriera, con lo stupore un po’ ansioso di chi si avventura in un mondo sconosciuto. Contrariamente a quanto accade alla stragrande maggioranza dei precari, per lui c’è quasi subito un concorso di abilitazione disponibile che supera immediatamente e – altrettanto immediatamente – si ritrova ad essere un insegnante di ruolo. “La spada usata dai funzionari del provveditorato per nominarmi era di latta e cartone, ma al momento non ci feci caso”. La sede scolastica che gli viene assegnata è a Venezia, dove, guarda caso, Elia ha due vecchie zie, ex insegnanti in pensione, che gestiscono, ri-guarda caso, una pensione per docenti, che si chiama, ohibò, Collegio Docenti. Carlotta e Brigitta, “il terrore di dislessici, disgrafici, disfasici, discalculici, iperlessici e disprassici” si prendono cura del nipote novizio, dispensando consigli e ansiolitici. I primi giorni di scuola, però, sono per Elia molto difficili: capire regole e accettare abitudini consolidate non è così facile. Tutto gli appare un po’ surreale e assurdo. Sarà per questa ragione che viene irretito con una certa facilità da un precario sovversivo, un informatico che introduce Elia in una organizzazione segreta denominata “Brigata Robin Williams” che ha come scopo quello di realizzare atti sovversivi all’interno della scuola… Un po’ Kafka e un po’ Paperino, il protagonista di Follia docente si muove in un mondo che forse nell’intenzione dell’autore voleva essere surreale e ironico ma che invece appare al massimo farsesco. Nonostante la scrittura sciolta e spiritosa, la narrazione non si mette mai in moto e rimane al servizio di un divertissement che però non riesce a coinvolgere il lettore. I personaggi sono più da cartone animato che da romanzo, per ognuno di essi si è attinto agli stereotipi più lisi. Se si voleva strizzare l’occhio al post-modernismo mescolando alto e basso, cinema e fumetto, forse si sarebbero dovuti cercare dei riferimenti meno abusati e più originali (“Ancora me stai a Robin Williams!” Urlerebbe sdegnato il grande regista Rocco Smiterson). Lo scopo del libro forse voleva essere quello di lanciare, in maniera iperbolica e vivace, uno sguardo critico sulla scuola pubblica, in realtà non riesce a essere né un pamphlet di denuncia, né un trascinante romanzo di avventure. Dopo i libri sulla scuola di Domenico Starnone, Paola Mastrocola e Daniel Pennac, davvero non si sentiva l’esigenza di un’altra storia “ironica e delirante” sulla pubblica istruzione.

Nel 2011 la Marcos y Marcos gli ripubblica Commesse di Treviso, questa volta col suo solo nome.
Da quel momento dal sito della Marcos y Marcos sparisce la vecchia copertina coi due nomi. Se ne deduce che il libro era interamente di Fulvio e che, anche per quel romanzo, la scelta di coinvolgere la sorella fosse puramente strumentale.
Le storie si disintrecciano.

Ma il grande successo arriva nel 2012 con Se ti abbraccio non aver paura che racconta l’avventuroso viaggio di Franco e Andrea Antonello, padre e figlio affetto da autismo. È direttamente Franco Antonello, padre dell’autistico Andrea, che commissiona il libro a Fulvio.

Articolo di Carla Colledan
Franco e Andrea: un padre e un figlio, due mondi che si sfiorano e non si sa con certezza se si incontrino. È iniziato con una diagnosi che non lascia scampo, questo viaggio: autismo. Andrea fino ai due anni è un bambino normale, che gioca, va a cavallo col nonno, fa le cose che fanno i bambini. Improvvisamente nel giro di pochi giorni comincia a diventare strano. Lo sguardo si fissa obliquo su qualcosa che non c’è, Andrea non risponde agli stimoli, ha dei comportamenti incoerenti. Ad un primo momento di sconcerto segue l’inizio dell’incubo. È il maggio del ’96 quando in un centro specializzato di Siena viene formulata la diagnosi. E da lì in poi la vita di Franco e Bianca diventa una sorta di montagna russa, un adattarsi alle follie di Andrea, e un tentativo continuo se non di guarirlo, di far sì almeno che la vita della famiglia sia il più normale possibile. L’ultimo tentativo in ordine di tempo che Franco decide di fare è un viaggio con suo figlio: chissà se questo lo porterà più vicino alla soluzione dello splendido enigma che è Andrea. Su e giù per l’America in moto, fermandosi sulle spiagge più belle, perché Andrea da sempre è un pesciolino che nell’acqua sembra rinascere. E poi giù verso sud, attraversando il canale di Panama fino in Nicaragua e in Brasile... Una storia vera che ti prende e non ti lascia andare, dalla prima all’ultima pagina, perché Andrea è davvero speciale. Pur con tutte le limitazioni che l’autismo impone a lui e a chi gli vive accanto - e senza nasconderci i momenti in cui prendono il sopravvento i movimenti ossessivi, i silenzi, la maniacale ossessione con cui riposiziona qualunque oggetto non sia nell’ordine che la sua mente gli impone - Andrea è riuscito grazie al computer a comunicare con il mondo esterno, e quello che esce dalle sue risposte, dalle poche frasi che scrive ti lascia straziato, apre una serie infinita di domande che probabilmente resteranno senza risposta ma davvero fanno sì che a libro chiuso si vada in Rete a cercare notizie, a cercare di sapere come procede la sua vita. Vivere con Andrea è come stare in una stanza buia nella quale dei poltergeist dispettosi spostano gli oggetti, una fatica continua costante, infinita, una ricerca estenuante dell’ordine precedente. Ma in quei pochi momenti in cui si accende la luce, quegli attimi in cui Andrea c’è, ti accorgi di quanto meraviglioso possa essere. Andrea è uno di quegli autistici atipici che hanno bisogno del contatto: è indifferente a qualsiasi convenzione, non esistono estranei per lui, corre incontro alle persone, le abbraccia le bacia e tocca loro la pancia, dice che così riesce a sentirle e capire come stanno. Insomma un delizioso enigma. Nessuna omissione, Franco a volte fa fatica a sopportare le intemperanze di Andrea, la fatica qualche volta diventa insopportabile, come pure la paura. Ma l’amore e la tenacia di quest’uomo, che come lui stesso dice è fra i fortunati che hanno una certa sicurezza economica, ti fanno davvero venire voglia di fare qualcosa, non fosse altro capire di più. E si arriva alla fine di questo viaggio con la sensazione di avere portato a casa tanto.

Grazie al battage pubblicitario messo in campo da Franco Antonello, che partecipa anche come ospite (con o senza il figlio) a una folta serie di trasmissioni televisive (del resto, quello dell'autismo è un tema sensibile e sentito), il libro diventa un successo editoriale e regala a Fulvio la notorietà editoriale da sempre inseguita. Da quel momento si moltiplicano sulle riviste gli articoli o i trafiletti dedicati al nostro.

Qui sotto la Biografia che la Marcos y Marcos dedica al nostro

Ma come? Anche il primo romanzo (quello a nome di Luisa Carnielli), dunque, era suo?

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