L’alluvione della Piave
del 5-6 novembre 1966

a cura di Carlo Dariol

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Il I novembre è un martedì: il tempo è bello, tutti in cimitero portano fiori ai morti senza bisogno di ombrello. In montagna si scioglie un po’ la neve e anche quella è acqua che finirà in Piave.

Poi dalla sera del 2 comincia a piovere, piove un po’ dappertutto, in Italia. Piove da le nuvole sparse, piove su le tamerici salmastre ed arse, piove sui pini scagliosi ed irti, piove sui mirti divini, sulle ginestre fulgenti di fiori accolti…

Insomma piove: piove il 2 e piove tutto il 3 novembre; soprattutto in montagna; una pioggia che ingrossa il Piave... a Negrisia... a San Donà.

A Maserada e a Ponte di Piave l’acqua è alta, sei-sette metri sopra il livello di guardia; da lì, come l’anno prima, qualcuno avverte i parenti che abitano più a valle: «Attenti che qui il Piave è alto, ma qui c’è spazio, lì da voi no...»

Il Piave s’ingrossa, ovunque i canali s’ingrossano... Gli impianti della Bonifica vengono tutti attivati al sollevamento, ma i collettori delle acque alte, sui quali si dovrebbe pompare l’acqua dell’eventuale esondazione, sono già in piena per l’effetto delle straordinarie precipitazioni a monte.

giovedì 3 novembre 1966

Alle dieci di sera, alla fine del turno di lavoro alla SicEdison Chimica di PortoMarghera, Albino Barbaran esce sul piazzale adibito a parcheggio. All'inizio del turno ha parcheggiato la sua Renault 4 col muso rivolto verso sud, e il vento caldo e umido che giunge da sud ha causato problemi allo spinterogeno: il motore non parte più. Albino deve lasciare l’auto nel parcheggio e, non potendo tornare a casa sua a Zenson, si rassegna a prendere la corriera di linea, per andare a Favaro, a casa della sorella.

venerdì 4 novembre 1966

Alle 6.51 del giorno 4 l’A.n.s.a. lancia un messaggio: “L’Arno è straripato a Firenze poco prima delle ORE 5. Alle ORE 6 il fiume ha raggiunto i parapetti di tutti i ponti del centro città. Già dalle ORE 3 la corrente elettrica manca in molte zone”.
ORE 08.15 “I quartieri periferici raggiunti per primi dalle acque dell’Arno, la gente comincia a lasciare le abitazioni, chi non ha fatto in tempo sale ai piani superiori delle case”.
ORE 09.30 - “Le acque stanno invadendo il centro della città di Firenze”.
ORE 10.00 - La stessa Ansa è costretta a lasciare la sua sede in via Pucci. “Usiamo un ponte radio militare dal Comando Militare della regione in piazza San Marco”.
ORE 12.00 – “Il capo dello stato non sa ancora niente. È al Milite ignoto a deporre una corona”. Il 4 novembre infatti è la festa della vittoria, anniversario della fine della I Guerra Mondiale.
ORE 12.00 – “Il presidente del consiglio Moro non sa ancora niente. È a Redipuglia”.
ORE 12,20 – “A Firenze per ponte radio parla il sindaco: Fiorentini! In questo momento mi giunge la triste notizia: le acque sono arrivate in piazza del Duomo. In alcuni quartieri l’acqua è arrivata al primo piano. Invito tutti alla calma. Chi ha barche, canotti, battelli affluire in Palazzo Vecchio.
ORE 13.45 – “il capo dello stato è informato dall’agenzia Ansa. Appena informato ha pregato di farsi interprete della sua solidarietà”
ORE 16.28 – “Il ministro del bilancio Pieraccini è partito da Roma alla volta di Firenze”. Ma è costretto a fermarsi prima di Incisa Valdarno, già allagata da un metro d’acqua.
ORE 17.56 – “L’aspetto della città è desolante. Firenze è un immenso lago che sta immergendosi nelle tenebre”.
È un’Apocalisse, un inferno che ha fatto scempio perfino della “Porta del Paradiso”. Cinque formelle si sono staccate, cadute a terra, e per fortuna il cancello davanti alla porta le ha fermate... Firenze viene sommersa da tre metri d’acqua con ingenti danni al patrimonio artistico.

[35 saranno le vittime, 12.000 gli sfollati, centinaia di miliardi di danni.]

Oddio Firenze...
Ma chi ha tempo di pensare a Firenze? Anche Venezia è finita sott’acqua... O beh, Venezia finisce sott’acqua venti volte all’anno. Sì... ma... adesso è peggio, il mare la sta attaccando!

Facciamo un passo indietro di qualche ora. La mattina del 4 in queste zone del Basso Piave, a Zenson, a Croce, a Musile, a San Donà, gli abitanti si sono svegliati presto, colti da un frastuono premonitore, inquietante, irreale. Il cielo è grigio-scuro, colore che rimarrà inalterato per tutta la giornata, carico di nubi, basse e veloci spinte da Sud-Est, da questo dannato scirocco, eccezionalmente tiepido, eccezionalmente impetuoso, soffierà per 12 ore, tutta la giornata... L’umidità è forte, così forte che i vetri si appannano, ma non per dentro, per di fuori!

Albino Barbaran, dopo aver dormito dalla sorella, esce fuori in strada: il vento è talmente caldo e umido che dà perfino fastidio. È vento di scirocco: ’l é el mar che buta su. A Zenson vi è un detto che quando ’e nuvoe ’e va a’ montagna co ’e torna indrìo ’e ne bagna. Tornato al lavoro in autobus, asciuga la calotta dello spinterogeno e riesce a rimettere in moto l’auto. Spera che la sera l'auto riesca a partire.

Lungo il Piave le raffiche fischiano come lamenti agli angoli delle case, le imposte chiuse si scuotono insistentemente, gli alberi delle golene si agitano forsennati, si piegano e si raddrizzano roteando repentinamente, cambiando posizione e figure come in un balletto surreale, in un rito sinistro. Anche gli uccelli scompaiono. Gli ultimi sono i gabbiani venuti dal mare. Si ode per la prima volta il frastuono cupo del mare in burrasca.

Il Genio civile già dalle otto ha cominciato ad avvisare coloro che abitano nelle golene del Piave di una possibile piena del fiume.

A San Donà dalle prime ore del mattino si è costituito il comitato d’emergenza e di pronto intervento, diretto dal sindaco Franco Pilla che ha assunto i pieni poteri. Centinaia di uomini, muniti di indumenti e di mezzi di fortuna propri, riempiono di sabbia migliaia di sacchi con i quali si provvede ad innalzare gli argini della vecchia ansa a semicerchio, nei pressi del ponte della ferrovia, e presso l’ansa di Romanziol: è sulla anse che c’è il pericolo, è dove è costretto a curvare che il fiume preme, e preme... e l’acqua si alza...

Per via dello scirocco che agita il mare e impedisce il deflusso dei fiumi, a Jesolo il Sile si è già alzato ieri sera e ha provocato una falla prima del ponte del Cavallino. Ma stamattina la situazione si è fatta critica: gli allagamenti si susseguono sempre più numerosi e preoccupanti. Il livello del mare Adriatico è rimasto per 12 ore sopra la quota di 1,20 m sul medio mare raggiungendo una quota massima di + 1,92. L’acqua del mare è riuscita a superare il dosso litoraneo che fino ad ora è stato considerato pressoché insormontabile. Gli edifici fronte mare vengono raggiunti dalle onde e superati e in certi casi il mare lava via la terra attorno alle fondamenta e gli alberghi si ritrovano in condizioni prossime all’instabilità.

Il mare inonda le terre basse all’interno dei litorali, inonda il centro storico di Jesolo, le Marine Alta e Bassa e i Salsi... La parte di Jesolo maggiormente colpita è quella di Lio Maggiore e del Drago. La zona, con 25 persone, rimane isolata: non è più possibile raggiungerla con mezzi terrestri per cui è necessario stabilire un collegamento con camion militari, integrati da imbarcazioni. Con un secondo collegamento si provvede a rifornire loro viveri, acqua potabile, medicinali. In un secondo tempo verrà fatta affluire anche l’acqua per il bestiame.

Durante la mattinata in Municipio a Jesolo si susseguono le richieste di intervento per l’evacuazione di famiglie, bestiame, per il puntellamento di edifici e di ogni altra assistenza.

Oddio, anche il Piave è alto, occorre sorvegliare anche l’argine della Piave… La Giunta jesolana mobilita tutto il personale e i mezzi pubblici, ricorre anche a mezzi privati. Il sindaco Capecchi dispone la chiusura del Cimitero, invaso dalle acque, per ragioni igieniche e delle scuole del Capoluogo per accogliere un centinaio di persone che le squadre di pronto intervento stanno facendo affluire dagli edifici invasi dalle acque.

Il mare inonda una parte di Musile a Sud della Piave Vecchia, ed Eraclea. Sospinto dal vento, il mare risale il corso della Piave fino ad Eraclea… Nel primo pomeriggio le torbide della Piave raggiungono e invadono le golene, si allargano a vista d’occhio, raggiungono gli argini maestri e a San Donà lambiscono il ponte viario della Vittoria, simbolo della città.

Alle 16 in municipio a Fossalta si costituisce il Comitato di emergenza, composto da Cesare Tonini, Giuseppe Menoia, Giambattista Giabardo, Aldo Artusato e Angelo Possamai.

A Zenson, dove da sempre si avvertono le maree - perché le si avverte sul Piave! - cominciano a tremare: la marea, nel Piave, è alta. Pasquale Biasi, guardiano dipendente del Magistrato delle acque di Venezia, incaricato di tenere sotto controllo la situazione idrica del fiume, è molto preoccupato: «Stavolta i ne nega, parché su in montagna i ha vert ’e dighe tute so na volta», in montagna hanno aperto le dighe contemporaneamente anziché una alla volta. In montagna erano ancora tutti sconvolti dalla tragedia del Vajont di tre anni prima.

A Jesolo gli sfollati vengono alloggiati in alcuni alberghi per trascorrere la notte. Il disagio nel coordinare queste operazioni è aumentato dal fatto che sono saltate le linee telefoniche. Per raggiungere le zone più disagiate il sindaco decide di provvedere all’acquisto del motore di un motoscafo. Gli alberghi sono vuoti in novembre ma le colonie no, vi sono alloggiati in permanenza dei bambi... Ve ne sono anche all’Istituto Marino, esso pure investito dalla furia del mare. L’acqua ha invaso gli scantinati e bloccato il funzionamento delle cucine, del riscaldamento e dell’elettricità: occorre intervenire e riportare a un minimo di efficienza questi importanti servizi.

A Croce, a Musile, a San Donà il tempo si è andato rasserenando; è un po’ meno grigio che la mattina; a Noventa si osserva un tramonto bellissimo, e struggente - ricorda qualcuno - con colori rossi mai visti. Sugli argini si ammira lo spettacolo grandioso e inquietante della piena; c’è un’atmosfera ovattata; qualcuno, in ginocchio, si lava le mani in Piave, perché l’acqua è lì, a portata di mano.
Non tutti sono preoccupati: per i più giovani ciò che sta per accadere assomiglia a un’avventura: è vero, l’acqua potrebbe anche uscire dagli argini, ma che mai potrà fare? Eppoi non piove più, la sera è bella...
Qualcuno a Croce, come Cesare Davanzo, vent’anni, ha deciso che andrà al cinema.

A Zenson da due giorni si sa che sta per succedere qualcosa di grosso. Quel giorno molti zensonesi sono sull’argine a tenere d’occhio l’acqua che cresce. Vi è ovviamente il sindaco cavalier Augusto Peloso, e con lui il guardiano del Piave Pasquale Biasi; vi sono il sacrestano, Ferdinando Nando Lazzarato, col figlio Alessio e l’amico di lui Bruno Zorzetto.
Le acque continuano a crescere: raggiungono i 7 metri e 33 centimetri sopra il livello di guardia. Nella mente dei più vecchi ritornarono le immagini dell’alluvione tremenda del 1903. Quando è palese a tutti che sta arrivando tantissima acqua che avrebbe superato l’argine, il sindaco dà ordine a Mario Carrer di passare per le strade con l’altoparlante per avvisare la gente di abbandonare le case e mettersi in salvo. Mario Carrer è colui che possiede un altoparlante che usualmente monta sulla capotta dell'auto quando serve, ad esempio in occasione delle funzioni religiose (è lui che recita il rosario con l'altoparlante). «Via, via, via tutti che arriva tanta acqua! Bisogna scampar!» sarà il suo messaggio.
Alessio Lazzarato riceve dal padre l’ordine di mettere in salvo i paramenti sacri della chiesa; lui chiede all’amico Bruno Zorzetto di andare con lui in sacrestia per aiutarlo a portarli in alto sul campanile.
Verso le 19 l’acqua incomincia ad arrivare lentamente ai gradini della chiesa di Zenson; Nando corre a casa perché «qua bisogna pensar a stasera, pa’ ’a zena»; prende un po' di pane e formaggio e biscotti e raggiunge i ragazzi sul campanile. Comincia a suonare le campane a martello.
Verso le 19.30 c'è ancora la luce dei lampioni e delle case, non piove più e c’è una luna luminosa: i tre dal campanile vedono l’acqua che cresce lentamente.
Quando Gualtiero Bisiol sente suonare le campane a martello capisce che è l’allarme. E non appena sente gli avvisi dell’altoparlante, carica padre, madre e nonna sulla sua Opel familiare e parte, diretto a San Biagio, che pensa fuori della zona del pericolo; passano per Sant'Andrea: lungo la strada dee Caealtèe (la strada che da Sant’Andrea di Barbarana mena a Rovarè) c’è già l'acqua che bagna i fianchi della strada. A Sant’Andrea, dove il Piave aveva sempre rotto durante le ultime alluvioni, la gente è all’erta fin dal giorno prima: hanno portato le cose di valore in alto, e ora cercano di raggiungere i piani superiori delle case, mettendo in salvo bambini e anziani.

Alle 20 i componenti del Comitato di emergenza e la Giunta comunale di Fossalta sono riuniti per decidere sul da farsi.

Verso le nove di sera la situazione inizia a impensierire anche la gente di Musile, di San Donà. Per precauzione in tanti sono andati via durante la giornata, hanno trovato alloggio presso parenti, più o meno vicini, qualcuno è andato lontano presso parenti emigrati anni prima: «Staremo via qualche giorno», dicono: alcuni di loro si fermeranno via per sempre. Qualcuno dalle località rivierasche si è spostato più a nord, qualcuno da Croce è andato verso Zenson, qualcuno ha fatto il cammino inverso ed è andato verso Millepertiche...

In tanti da Zenson sono andati via, come la moglie del signor Aldo Mazzonetto, che ha preferito rifugiarsi in casa della nipote, distante dalla Piave. Invece il signor Aldo non ha paura: anche l'anno prima il Piave aveva tanto minacciato e poi non era successo niente. La moglie ha tentato di convincerlo ad abbandonare la casa, ad andare via acon lei, ma non c'è stato verso di convincerlo.

A Negrisia il sacrestano Piero Andreuzza, con l'aiuto del figlio più giovane (l'altro è militare e proprio oggi è ritornato in caserma) ha portato tutto ciò che si poteva salvare al secondo piano, compreso il motore di un attrezzo agricolo.

Il Piave continua a rimontare nei vortici. Lo si tiene d’occhio in ogni suo tratto, soprattutto sulle anse. Ora la paura della catastrofe si legge nei volti tirati, negli sguardi spaventati, nelle parole e nei preparativi inconsueti. Ci si appresta a vegliare nella notte in cui dovrebbe succedere qualcosa. Alle 21 il primo avviso, poi gli altoparlanti dalle strade arginali avvisano ripetutamente gli abitanti di Croce, di Fossalta, di Zenson, di non dormire, di tenersi pronti all’evacuazione e di stare calmi in attesa di ordini. I sacrestani delle varie parrocchie salgono sui campanili e suonano le campane
Intanto, nell’avanzare della notte, mentre il vento e la pioggia si quietano, le acque continuano a crescere: raggiungeranno i 7 metri e 33 centimetri sopra il livello di guardia.
Nella mente dei più vecchi ritornano le immagini dell’alluvione tremenda del 1903.

Alle 21,30 il Piave rompe a Negrisia sull’argine sinistro. È l’ora più drammatica in cui la piena travolgente del Piave si scatena contro la furia di un’alta marea che non è mai stata così alta, a memoria d’uomo.

Dalla parte destra, a Sant’Andrea, dove il Piave ha sempre rotto durante le ultime alluvioni, la gente è all’erta fin dal giorno prima. Dopo aver portato i beni in alto, si cerca di raggiungere i piani superiori delle case lontane dalle rive, mettendo in salvo bambini e anziani. Gli uomini aiutano i militari, giunti nel frattempo a riempire e a posizionare sacchi di sabbia sui punti dell’argine ritenuti maggiormente a rischio. Il Piave preme, e tracima sull’argine delle “Grave di Sotto”, alto otto metri sul piano della golena.

A San Donà le speranze di evitare la spaccatura degli argini sono al lumicino. Verso le 22 è thrilling: l’acqua è quasi al limite, ma non tracima: con l’innalzamento dell’argine delle due anse, si è data una mano al miracolo.

Arrivati in centro a San Biagio, al Monreal (famoso ristorante albergo), Gualtiero e i familiari trovarono un sacco di gente fuori in strada, gente da Negrisia ma anche da Zenson. Sono circa le 22. Entrato al Monreal, Gualtiero chiede al gestore se ha una stanza libera per lui e i familiari. Tutto pieno. Si fa vivo un signore che si offre di prestare da dormire; offre addirittura il proprio letto matrimoniale agli anziani genitori e alla nonna di Gualtiero, lui e la moglie si adatteranno a dormire in poltrona; la famiglia Bisiol è colpita da tanta ospitalità; non solo, ma la gentile coppia offrirà vitto e alloggio ai tre anziani per i tre giorni successivi. Gualtiero, non potendo dormire anche lui sul letto matrimoniale, si rassegna a dormire in macchina.
I fratelli di Gualtiero, Santino e Orfeo, sono partiti da Zenson dopo di lui, col camioncino della ditta, un 615 FIAT, e sulla strada dee Caealtèe hanno trovato l’acqua ancora più alta; hanno trovato anche un conoscente, Carlo Chinotto, al quale l’acqua aveva fatto deragliare la vettura fuori strada, sul fosso; Santino è riuscito in retromarcia ad andargli vicino col camioncino, Carlo si è aggrappato sul cassone, vi è salito sopra ed è stato portato in salvo.
Da Zenson tutti stavano scappando. O quasi.
I tre sul campanile, non potendo scendere, si rassegnano a dormire lassù, per quel che potranno dormire, coprendosi coi paramenti sacri della chiesa per proteggersi dal freddo. Toccherà loro di rimanere lassù per due notti.
La sera di quel terribile 4 novembre, Albino Barbaran, finito il turno di lavoro alle 22 e udito da un collega di Portegrandi che per la Triestina non si passa, pensa di fare il giro per Treviso.
Loris Pavanello, di Zenson, che fa l’autista all’Azienda Vinicola Botter di Fossalta, a quell’ora corre anche lui a casa con la sua Fiat 500, assai preoccupato, perché la sua casa è nella golena del Piave a Zenson. Entrato in paese e imboccato l'argine vede che l’acqua è già arrivata all’altezza dell’argine maestro, e la sua casa è andata sotto di tutto il piano terra: dentro ci sono la moglie e i due figli da recuperare. Loris lascia l’auto sopra l’argine col muso rivolto verso la casa e va a prendere una piccola barca dal fratello Eno. I fari della 500 illuminano il tragitto che dovrà compiere; sale sulla barca... ma la corrente è forte e lo trascina via: la barca si rovescia. Riesce ad arrampicarsi sui rami di un’acacia che si protende sul fiume, e si ferisce sulle spine dell’albero. La paura lo prese.

Arrivato a San Biagio, Albino Barbaran si meraviglia di trovare tutta quella gente di Zenson. Riconosce in particolare gli amici Sergio Florian e Ottavio Lorenzon, e, poiché non possono proseguire con l’auto, quella notte ospitò i due amici a dormire nella sua Renault 4.

Alle 22.30 passa lungo l'Argine San Marco e per altre strade un secondo avviso per le strade ad avvisare la popolazione di portarsi ai piani superiori. A Fossalta le informazioni sulla situazione del Piave vengono fornite dal Genio Civile di Treviso e dall’Ufficio Idraulico di Ponte di Piave. Da parte dell’Ufficio del Genio Civile di Venezia non viene invece fornita nessuna tempestiva notizia dell’aggravarsi della situazione. A Venezia sono già nelle peste, hanno pensieri ben più grossi.

Alle 23.30, a Sant’Andrea di Barbarana, l’argine del Piave cede a sud del cimitero con un boato terrificante di cascata in piena. L’ondata ne lambisce le mura, travolge le vie e le case del centro; l’abitazione del signor Fantuzzo è rasa al suolo dalla corrente. Di lì a pochi minuti, un centinaio di metri più avanti il secondo tuono sinistro e prolungato. Questa volta, l’argine si squarcia davanti al campanile: il rumore è così forte che il parroco di Sant'Andrea immagina il crollo del campanile... invece l’acqua spazza via la casa del sacrestano Piero Andreuzza. L’onda d’urto investe la piazza, s’infrange sulla casa ad archi di Franco Loschi. Il fragore delle acque impazzite sovrasta le urla di terrore della gente.

I vecchi del paese raccontano che agli inizi del 1919, all’indomani della fine della Grande guerra, venne ordinato a militari italiani e ai prigionieri austro-ungarici, di aggiustare le buche negli argini del Piave prodotte dalle granate. Ebbene, si dice che proprio i due tratti che cedettero nel ’66, fossero stati riparati da squadre di prigionieri, un boicottaggio in piena regola, per rancori comprensibili. Vero o no che sia, il fatto è che a Sant’Andrea lo si ripeteva da sempre.

La notizia giunge in un battibaleno a Zenson e a Fossalta. Immediata la richiesta da parte del sindaco di Fossalta alla prefettura di Venezia per l’invio di reparti delle forze armate per adibirli a guardia degli argini ed eventuali necessità varie”. Inizia l’offerta da parte di parecchi cittadini della loro opera.

Cesare a quell’ora è appena uscito dal cinema, a San Donà, e sta tornando a casa: la notizia dello squarcio dell’argine è appena uscita da Sant’Andrea, e già ci sono i militari per le strade. Giunto a casa, in centro a Croce, i suoi genitori anziani sono già a letto; anche lui si prepara ad andare a letto... quando gli suonano il campanello; va ad aprire: è Melchiori, messo comunale, giunto in auto da Musile; ha un altoparlante con sé. Lo ha mandato il sindaco Borgato appena ricevuta la telefonata dal Genio Civile con l’ordine di mettere in allerta la popolazione. Lo hanno mandato da Cesare perché questi conosce bene il paese e tutta la gente del paese: occorre subito andare ad avvisare il prete, don Ferruccio, di suonare le campane a morto e allertare la gente che l’acqua sta per arrivare, e in maggior quantità dalla parte di Musile perché da questa parte la terra è più bassa...
Cesare si rimette il giaccone e sale in macchina con Melchiori e con lui va in giro per Croce e per Trescalini e un po’ dappertutto ad avvisare la gente «Il Piave ha rotto a Sant’Andrea. L’acqua sta per arrivare, non c’è pericolo ma conviene portare tutto il possibile e il necessario ai piani superiori. E soprattutto state calmi!»

A Croce sono il messo Melchiori e Cesare Davanzo, negli altri paesi sono altri benemeriti che con gli altoparlanti dalle strade arginali avvisano ripetutamente gli abitanti di non dormire, di tenersi pronti all’evacuazione e di stare calmi in attesa di ordini. I sacrestani delle varie parrocchie salgono sui campanili e suonano le campane. Intanto, nell’avanzare della notte, mentre il vento e la pioggia si quietano, il livello delle acque continua a crescere: raggiungerà i 7 metri e 33 centimetri sopra il livello di guardia.

Tra le 23,30 e mezzanotte, a Zenson il fiume raggiunge il livello di 12 metri e 40 (c’è la chiavica che segna l’altezza dell’acqua) e comincia a tracimare, in località Tressa, vicino a villa Sernaggiotto, nota come Azienda Ca’ Mora, nella zona nord di Zenson.
La tressa è un antico argine in grado di contenere l’acqua fino al livello di 10 metri, costruita per proteggere le case lì vicino, ovvero quelle vicino a villa Sernagiotto. Essendo un argine costruito di traverso, la tressa ha costituito un ulteriore sbarramento per l’acqua, che ha cominciato a tracimare 100 metri più avanti.
Un’onda inesauribile, alta due-tre metri, travolge la casa dei Serafin, si espande furiosa, erode l’argine, sommerge il paese, imbottigliato tra l’argine maestro e l’argine San Marco, invade parte del cimitero e le vie del centro.
Aldo Mazzonetto, che si era attardato in casa, in via Isola (lui che non temeva l’acqua perché già l'anno prima c'era stato tanto rumore per nulla...) è stato sorpreso dall’acqua nel secchiaio di casa. La vicina famiglia Agnoletto, finché c'è stata la luce accesa, ha visto Aldo Mazzonetto sulla porta di casa.
Presso la Tressa c’era un rifugio costruito sull’argine maestro dai tedeschi durante la I guerra mondiale; quando poi gli argini erano stati ripristinati, non erano stati consolidati a dovere, e laddove era stato tolto il legno del rifugio tedesco la zona era rimasta più fragile. E quello è il tratto dove l’acqua tracimando comincia a erodere il terreno, proprio davanti all’abitazione della famiglia Serafin.

I tre che sono sul campanile di Zenson vedono cadere la muretta della chiesa di Zenson e galleggiare sull’acqua le prime carcasse di animali morti; nell’acqua nuotano anche animali vivi, mucche vitelli maiali, odono i cani che abbaiare e urlare spinti dall'acqua da via Isola verso la piazza.
Più a sud si porta via la 500 ancora con i fari accesi di Loris, che è sempre appeso alla sua acacia,

A Zenson, quando l’acqua arrivà alla cabina della fabbrica di Crich, la luce salta e il paese si ritrova al buio, o quasi, perché non piove più e c’è una bella luna quella notte… I tre sopra il campanile non vedono più il transitare degli animali per la piazza ma continuano a sentire il rumore della piena dell’acqua.

sabato 5 novembre 1966

All’una e mezza, le due, l’acqua raggiunge Fossalta.
Cesare e Melchiori sull’argine San Marco continuano a passare in auto con l’altoparlante ad avvisare che il Piave ha rotto, e di mettere in salvo le cose e di portarsi ai piani superiori.

A Candelù (località appena fuori dell'indagine del mio racconto, ma la tragedia merita la citazione) Gino Barzi decide di avventurarsi lungo il fiume per prestare soccorso ad alcuni parenti di Saletto. Lo accompagna il figlio Renato, ventiseienne. Vanno verso la stalla per prendere una mucca a testa e si dirigono verso la strada che porta all'argine San Marco. Improvvisamente l'acqua comincia a salire velocemente. Abbandonano le mucche, si aggrappano a una siepe, riescono ad attaccarsi con una corda lanciata loro da un camion... ma la corrente impetuosa li sbatte sott'acqua e vengono trascinati via. Il padre si ferma sopra un palo del vigneto, il figlio riesce a trovare rifugio in una casa vicina. Il figlio sa che il padre non potrà resistere a lungo in quella posizione, ritorna sul fienile e fa un grosso muro attraverso il quale far passare il padre. Gli lancia una corda e cerca di concordare l'attimo in cui il padre deve abbandonare il palo e comincia a tirare la cima; il padre si togli gli stivali, entra completamente nell'acqua, il figlio tira la cima... ma improvvisamente sente che nessuno tira più dall'altra parte. Il padre, infreddolito, sfinito, privo di forza, ha probabilmente avuto un malore e ha abbandonato la presa. Il figlio chiama, urla, impreca, inutilmente, il padre non risponde più.

Sulla sponda sinistra intanto l’acqua travolge Ponte di Piave: un bersagliere ventunenne di San Biagio di Callalta in servizio di emergenza, Eros Perinotto, un ventunenne in forze al 132° reggimento della caserma Zappalà di Aviano, è su un mezzo anfibio dell'esercito che sta prestando soccorso a una donna incinta confinata sul tetto di casa a Levada, lungo il Grassaga. La furia delle acque travolge il mezzo, dal quale riescono a fuggire e mettersi in salvo i commilitoni. Eros, radiotelegrafista, rimane al proprio posto nel tentativo di segnalare al resto della colonna il pericolo incombente. Una volta compiuto il proprio dovere, per lui è troppo tardi, il fiume non gli lascia scampo, e il giovane muore, a due settimane dal congedo. Per il suo sacrificio gli verrà conferita la Medaglia d'oro al valor civile.
Le torbide proseguono la loro corsa devastante, allagando le terre basse, quelle al di sotto del livello medio del mare, appartenenti ai terreni dei Consorzi di Bonifica Bidoggia-Grassaga, Cirgogno e Bella Madonna, in buona parte nel Comune di San Donà. L’ondata ha i suoi bacini di trasmissione nei grandi collettori Grassaga e Bidoggia, già ricolmi da prima. Quindi, confluisce nel “Navigabile”, canale che allaga la periferia Nord-Est della città, come i seminterrati dell’ospedale civile: allora era periferia della città, oggi è pieno centro.
Centinaia di migliaia di ettari, appartenenti a Comuni diversi, Noventa di Piave (escluso il centro) e Cessalto compresi, si trasformano in un unico, immenso lago. A San Donà tocca l’esondazione maggiore. Nella campagne si odono voci nel buio, richiami, invocazioni di aiuto e il muggire prolungato e tetro delle bestie prima di affogare. Si portano in salvo maiali e vitellini nei granai e nei fienili. In centro a San Donà invece si è all’asciutto.
Verso le quattro, Cesare Davanzo finalmente torna a casa sua, a Croce, e porta anche lui alcune cose al piano superiore: il frigo, alcune borsette d’acqua... Per quattro ore è andato in giro a mettere in allerta la popolazione ma l’acqua ancora non è arrivata. Qualcuno gli suona il campanello per rimproverarlo: che motivo avevano lui e il messo di andare in giro a spaventare la gente con l’altoparlante, cos’era tutta quella fretta... Già, nessuna buona azione resta mai impunita.

Nella golena di Zenson, Loris è ancora appeso ai rami della sua acacia quando si vede venire incontro una massa di fieno che galleggia, che l’acqua ha asportata da qualche fienile: teme di esserne travolto... allora si tuffa in acqua e nuota... nuota verso casa sua, con tutte le forze, riesce a nuotare solo fino a metà del tragitto, fino alla casa del suocero... che è sul poggiolo, e improvvisamente vede una mano che si aggrappa alla ringhiera: la afferra, è la mano del genero, tira...: Loris è finalmente in salvo.

A Croce, Cesare decide di sincerarsi di persona della situazione, inforca la moto e va verso Zenson a vedere cosa sta succedendo da quelle parti, ma è costretto a fermarsi prima di Zenson: l’acqua sta tracimando sopra l’argine San Marco, ovunque c’è un silenzio spettrale, si ode solo il rumore dell’acqua. Volta la moto e torna verso Croce e trova un sacco di gente sull’argine San Marco: stanno tutti guardando verso il Piave, qualcuno prima si è spinto anche sull’argine maestro per capire meglio la situazione, ma poi è stato costretto a tornare indietro perché l’acqua sta arrivando lungo la grava tra i due argini.
In quel momento arriva Guido Lorenzon – che non è ancora il Cavalier Uido, sindaco col borsello, lo sarà tra qualche anno, ma intanto è uno che si dà da fare in politica – arriva con la Cinquecento Giardiniera del vicesindaco Riolfo, quello delle pelletterie: «Andate a casa, andate a casa, l’acqua sta arrivando da Fossalta».
Da Fossalta? Fossalta è stata fortunata: l’acqua è passata a fianco di Fossalta e ora l’onda si sta infrangendo contro la ferrovia. Tutti corrono a casa, e anche Cesare corre, prima fino al forno di Croce, da Longato, a prendere tre panini, che consegna alla madre, poi porta la moto in salvo sull’argine; e nel tornare giù per via Croce, a piedi dell’argine incontra l’acqua; c’è un silenzio di tomba, impressionante; quando entra in casa a metà della via l’acqua gli arriva già alle caviglie; in cinque minuti arriva a 80 cm, verso la chiesa è anche più alta. Tra le cose che andranno perdute in centro a Croce c’è il disco di Roberta, che la Roberta Pivato non è mai riuscita ad ascoltare.

Dall’altra parte del Piave, San Donà, che è stata invasa nella parte nord-orientale dalle acque di tracimazione dei canali di Bonifica, specie dai collettori Grassaga, Bidoggia e dal Navigabile, poi ha visto le acque del Piave completare l’opera dall’altra parte, verso sud. Ma la maggioranza dei cittadini non subisce particolari disagi in quanto il centro urbano è rialzato, e l’acqua non vi arriva; ma soprattutto la sopraelevazione delle anse della ferrovia e di Romanziol ha impedito che il Piave tracimi da quella parte.

Invece dalla parte destra del Piave l’acqua continua a invadere la campagna, l’acqua che tracima dall’argine maestro continua a investire la casa dei Serafin, asserragliati sul tetto. Ma ci mette un po’ l’acqua a camminare. Caposile e Millepertiche sono ancora all’asciutto: lì non si percepisce l’arrivo del pericolo. Qualcuno pensa che forse sì andrà sott’acqua, ma non si sa di quanto: si crede, si spera, di poco. Non c’è vera preoccupazione tra le gente…

Quell mattina (5 novembre), Albino Barbaran e i suoi due amici si svegliano un po’ ammaccati per aver dormito in auto: è netta la percezione che sia grave la situazione di Zenson, ma non si è fatta viva nessuna autorità; i tre vanno allora in prefettura a Treviso a chiedere un intervento e finalmente dalla prefettura le autorità si muovono: allertano i mezzi anfibi. I tre tornano verso San Biagio. C’è adesso lì con loro un altro compaesano, Antonio Cristofoletto (Toni Crich), consigliere comunale. Li è giunto anche Gualtiero Bisiol.
Agostino ha vent’anni e fa l’elettricista; abita nella casa dei Montagner, la più alta di Caposile, in via Canaletta Sicher, proprio vicino all’argine. Sono tranquilli lui e la sua famiglia, tanto che quella mattina lui va a lavorare in bicicletta a San Donà, come tutte le mattine.

Verso le 9, le 9.30 arrivano a Bocca Callalta tre anfibi. E c’è un’autorità che chiede se vi sia lì qualcuno che conosce la strada per arrivare a Zenson. Toni Crich spiega ai militari che «Gualtiero Bisiol e Albino Barbaran sono di Zenson e conoscono bene le strade»; Toni sale con Albino, Gualtiero sale su un secondo mezzo anfibio, il terzo anfibio segue il primo. Toni propone di andare per Sant’Andrea, ma Albino osserva che la rotta si è verificata proprio a Sant’Andrea, occorre piuttosto tornare indietro verso Ponte di Piave, e passare sull’argine sinistro del Piave per poi fare il giro per San Donà. Due anfibi vanno quindi da quella parte. Gualtiero tenta inizialmente di indirizzare il suo anfibio verso il cimitero di Sant’Andrea, ma la strada è troppo stretta e l'acqua da quella parte arriva troppo forte; capita loro anche di vedere un uomo appeso ai rami di un albero che chiede aiuto: «Portéme via, é da jeri sera che son picà qua e no ghe ’a fae pì», ma l'anfibio non può raggiungerlo, lì si arriva solo con una barchetta. L’anfibio torna indietro a Bocca Callalta e proprio in quella arrivano i pompieri, che vengono avvisati dell’uomo in pericolo: i pompieri, con una barchetta, riescono poi a raggiungere il malcapitato e a portarlo in salvo.

Per tutta la mattina, l’elicottero dei soccorsi sorvola le campagne per vedere se c’è qualcuno sui tetti, in difficoltà, da salvare: a Zenson, Loris e suo suocero fuori in terrazzo urlano, si sbracciano, per farsi notare dagli occupanti dell’elicottero, ma nessuno li vede.

Albino e Toni, col loro mezzo anfibio che ha fatto il giro per San Donà, arrivano a Zenson verso mezzogiorno lungo l’argine San Marco. Là finalmente scendono, finito il loro compito di navigatori; l’acqua in piazza Zenson è alta e scorre forte. Nando e i ragazzi da sopra il campanile e la gente al terzo piano dell’albergo in piazza osservano impotenti la tragedia. Diverse persone sono sopra l’argine San Marco. Tra loro c'è il vicesindaco Vicino, che ha lì portato in salvo il suo camion. Albino trova i suoi fratelli che sono riusciti a mettere in salvo due vitellini, portandoli a braccia nell’appartamento dove si sono rifugiati, nella casa di fronte a quella dove vivono, una seconda abitazione di loro proprietà, più alta e robusta, costruita di recente, e più sicura. Hanno invitato a trasferirsi lì anche a una parente che abita lì vicino in una casa a piano terra. Il resto del bestiame è andato perduto: avevano due stalle, a Zenson, i Barbaran, una vicino alla casa di abitazione, l’altra poco distante, data in gestione a un dipendente, il quale ha detto che non è riuscito a spingere le vacche fuori della stalla, nonostante avesse tolto loro le catene: le vacche, in preda al terrore non hanno voluto muoversi. Sono annegate le bestie di entrambe le stalle, 12 capi, tutte tranne i due vitellini... e una vitella che, arrivando a nuoto lì vicino dove c’erano degli appartamenti di case popolari, ha trovato una porta aperta: l’istinto ha condotto l’animale a salire per le scale al primo piano e a salvarsi. Poi Albino torna verso Fossalta dove abita la sorella.

Quando Agostino torna a casa a mezzogiorno a Caposile vede che le scoline e i fossi sono già tutti pieni di acqua e che l’acqua continua a crescere; alle 13, 13.30, Agostino decide che non tornerà a lavorare dopo pranzo: c’è da dare una mano ai vicini: le loro casa non sono costruite su di un’altura come la sua e andranno sotto acqua; inoltre suo padre è uno dei pochi che ha una barca e potrà servire il loro aiuto.
Con il trattore e il rimorchio lui e altri vanno fino in fondo a via Pietra a recuperare la gente: sanno che lì è basso e che quella zona sarà la prima ad andare sotto. Cominciano ad avvisare tutti del pericolo: «Salite sul rimorchio che vi portiamo fuori». Fuori dal pericolo, intendono. Riempiono il rimorchio di persone, ognuna coi suoi fagotti. I giovani sono i più lesti a cambiarsi, a prendere le due o tre cose necessarie e a salire sul rimorchio; i vecchi indugiano.
Chi ha bestie le attacca dietro al rimorchio e le bestie vengono dietro da sole.
I vecchi indugiano, non si muovono, anche quelli che vivono in una baracca e non hanno niente da perdere, e le baracche sono le prime ad andare sotto, ad andare distrutte.
Certi vecchi sarà necessario tornare a prenderli dopo, con la barca però…
Ma intanto l’acqua sale, sono tutti allo sbando, non c’è coordinamento negli aiuti, è un sisalvichipuò generale. La gente sale sui camion dell’esercito, ognuno cerca di mettersi in salvo come può… Nel marasma generale i parenti si perdono di vista, e magari sono vicini, li separa la confusione generale: a Zenson la moglie e i figli di Loris non sanno che lui è in salvo nella casa del suocero, e che da lì si sta sgolando per chiamare aiuto.

Gualtiero, che col “suo” anfibio ha preso la strada per Rovarè e Monastier vecio, da lì, per il centro di Monastier (Fornaci), arriva a Fossalta che sono le 14, le 14.30. A quell'ora il 95 % del territorio di Fossalta risulta allagato. L’acqua, giunta dalle rotte a nord di Zenson ha invaso violentemente la zona tra gli argini del Piave e di San Marco, e tutta la zona di Campolongo, Ronche, via Luigi Cadorna, Pralungo, Capo D’Argine, le Contee Basse e Alte. È rimasto escluso solo il centro urbano. E se la popolazione fra i due argini se l’aspettava e fin dalla sera prima era al lavoro per mettere in salvo ogni cosa, quella delle Ronche, di via Cadorna, di Pralungo, Capo D’Argine e Contee è stata colta di sorpresa perché nessuno, a memoria di famiglia, aveva mai visto le acque del Piave giungere fin lì, e nessuno quindi pensava che arrivassero.
I soccorsi sono scattati abbastanza presto, soprattutto grazie ai volontari. Il sindaco di Fossalta ha chiesto alla Prefettura l’invio di mezzi anfibi. Nel frattempo ci si è arrangiati con barche locali, camion locali, automobili, trattori. Il reparto dei Vigili del Fuoco di San Donà è intervenuto, si sono mossi anche i tre carri anfibi già operanti nel territorio di Zenson. Solo dopo è arrivato il carro anfibio dei Vigili del Fuoco di Venezia.

Arrivato alla rotonda di Minetto (del famoso Piero della Orsola), il mezzo anfibio su cui viaggia Gualtiero attraversa il centro asciutto, si dirige verso il battistero; l’acqua ha invaso la zona di Rialto (dove sta l’odierna birreria Caramel), la corrente non è forte e il mezzo riesce a passare, a salire sull’argine del Piave; poi lungo l'argine il mezzo prosegue verso Zenson.
Alle 15 l’anfibio di Gualtiero è a Zenson davanti alla rotta, proprio di fronte all’abitazione della famiglia Serafin: le persone della famiglia si sono riparate al terzo piano della casa, sul solaio, e da lì implorano aiuto. L’anfibio prova a scendere dall’argine per arrivare alla casa, ma vi è una curva secca a destra da percorrere e la corrente è ancora forte, con l’acqua che viene di fianco: il sergente autista dell’anfibio dice che non si può proseguire perché, con l’acqua di fianco, si rischia di venire capovolti. Prova tre o quattro volte, anche rimanendo solo sul mezzo, per non mettere a repentaglio la vita di altri, ma poi deve rinunciare. Arriva anche Vicino, il vicesindaco fotografo, e sale anche lui sull’anfibio per dare indicazioni al sergente: «Provo io, che la strada la conosco bene» disse; ma nemmeno con le sue indicazioni il sergente riesce a raggiungere la casa. Tornati sull’argine, i “salvatori” devono dare ai Serafin la mesta risposta che non riescono a passare, troppo pericoloso. I Serafin sono nella disperazione: «Gualtiero, vien ciorne, che qua se se nega tuti». Per tutta la vita Gualtiero avrebbe ricordato le grida di Attilio Serafin.
Di là della rotta, Gualtiero vede il cugino Sergio Barbazza che ha camminato lungo l’argine e gli comunica che la madre e la sorella stanno bene, e così pure la zia Maria e il cugino Carlo che abitano vicino a loro, sono tutti in salvo, con il bestiame, un chilometro più a nord verso Sant’Andrea.

A Millepertiche, a Caposile tutti hanno pensato che l’acqua, allargandosi a macchia d’olio, non sarebbe venuta a mettere in pericolo quelle zone; invece l’acqua, dopo aver riempito Zenson, Fossalta e Capo d’Argine è arrivata a Millepertiche, a Caposile, e cresce.

Bisogna dire al parroco di Caposile di suonare le campane, di avvertire la popolazione di portarsi ai piani superiori delle abitazioni. Dal municipio parte la telefonata e don Armando Durighetto si dà subito da fare. Donne e bambini, vennero ricoverati provvisoriamente in asilo e nella cantina sociale.

Agostino Montagner e i suoi sono ancora in giro a recuperare gente. Sono le 4 e mezza, le 5 del pomeriggio: l’acqua comincia a prendere le ruote del loro trattore e del loro rimorchio; un cugino e un fratello di Agostino si gettano sopra il cofano per far zavorra: «Basta, basta fermarsi a caricare roba, bisogna correre a casa...» con la marcia lenta, e stare in sinistra, che a destra c’è l’acqua del canale, già la strada si comincia a non vedere più, bisogna ricordarsela a memoria. Le bestie vengono portate lungo l’argine delle Piave e legate alle acacie, si andrà dopo a portar loro del fieno e domani a costruire loro un riparo....
L’acqua sale... In Via Montegrappa, dove c’è una stalla grande, i proprietari non fanno in tempo ad andare a sciogliere le bestie, che moriranno alla catena.
A casa di Agostino l’acqua arriva fino ai pollai, ai capannoni, in casa non entra, ma tutt’attorno ormai servono le barche e i barchini per andare a recuperare quelli che non si sono presi per tempo, quelli che non hanno voluto venir via subito. Testardi di vecchi!

La Prefettura invita il Comune di Jesolo “a predisporsi per accogliere nuovi e numerosi alluvionati che giungono dal Comune di Musile” e che i camion dell’esercito hanno contribuito a recuperare e mettere in salvo.
Il Sindaco di Musile, Borgato, chiede ai Comuni di Jesolo e di Caorle aiuto di mezzi, in particolare natanti... barche! Jesolo ne manda alcune dell’Azienda di Turismo.

Nel tardo pomeriggio giungono a Jesolo notizie di persone ritirate nei tetti, invocanti soccorso, in località Trezze. Il Sindaco di Jesolo Capecchi manda un nucleo di Lagunari che con un mezzo fuoribordo d’altomare porta in salvo i poveretti. D’altomare? Vuol dire che l’acqua è alta!
L’acqua nel corso delle ore continua ad accumularsi sulle campagne dell’intero Consorzio di Bonifica Caposile che si sta trasformando nel bacino della fiumana.

Agostino, adesso con la barca, continua a recuperare chi è rimasto indietro e ad aiutare chi è in difficoltà: da Beraldo le bestie vengono tirate fuori dalle stalle quando ormai sono sotto per metà, quando ormai è scuro, verso le 7 di sera, e la motivazione del ritardo è sempre la stessa: non si pensava che il pericolo fosse così grande! E anche quelle vengono portate sull’argine.

Col passar delle ore Caposile e Millepertiche vengono letteralmente inghiottite. Quella sera ci sono 96 persone a casa dei Montagner: si sistemano in un modo o nell’altro, i giovani di casa cedono le proprie camere agli ospiti e vanno a dormire nel granaio sopra i sacchi; nelle loro camere dormono in 5 o 6 per stanza, nel corridoio sui materassi per terra dormono altre 10 o 12 persone.

Le donne e i bambini che erano stati ricoverati provvisoriamente in asilo e nella cantina sociale di Caposile vengono condotti a Jesolo, a sera inoltrata, con camion di fortuna, e alloggiati negli hotel. Sono i primi sfollati, circa trecento. Ma l’afflusso di sfollati verso Jesolo era stato continuo per tutto il pomeriggio. All’ora di cena da quelle parti si possono già contare oltre 500 alloggiati, tanto che l’Amministrazione di Jesolo prende la risoluzione imponente di far funzionare il complesso Marzotto. Si telefona alla Fondazione di Valdagno, e il conte Gaetano Marzotto – cosa vuoi? che dica di no? – consente a mettere in moto l’immenso complesso a tempo di record, nonostante le attrezzature siano state in parte investite dalla furia del mare.

Dal canto suo il sindaco di Musile, Borgato, dà ordine che si organizzino Centri di Soccorso a Croce, a Ca’ Malipiero, a Lazzaretto, presso il negozio Stella e a Caposile: da questi centri partono a raggiera le barche per portare viveri alle famiglie allagate e non ancora sfollate. Nelle varie parrocchie sono i preti a dirigere le operazioni di soccorso: don Valentino a Musile, don Ferruccio a Croce (dove molti ricordano soprattutto quanto riescono a fare in quelle ore in paese Fratel Piero Mariuzzo e Don Mario Bortoletto), don Narciso a Millepertiche, don Armando a Caposile...

A Millepertiche, a Caposile, gli uomini sono rimasti a custodire le case, ad accudire gli animali. Ma contro ogni previsione, l’acqua ha continuato a crescere, in accelerazione impressionante. Ha raggiunto i due, i tre metri e più, fino ai secondi piani. Allora don Armando esce in barca con Gigio Perissotto a mettere in salvo gli uomini intrappolati nelle case. È mezzanotte, navigano sopra i vigneti col “ciaro a carburo”. Impressionanti, giungono i lamenti lugubri, i mugghii disperati delle bestie morenti legate alla greppia. Nell’avvicinarsi alle abitazioni, chiamano per nome le persone prigioniere:
«Ettoreee, Nanooo ... semo qua».
«Eo lu don Armando? Grassie».

“Uno sguardo, una stretta di mano. Poi il silenzio e una gran voglia di ritornare per ricostruire”.

domenica 6 novembre

Già alle 4 del mattino, il Comune di Fossalta consegna ai mezzi anfibi di soccorso e alle loro guide tanti sacchetti di pane e tante bottiglie di acqua minerale da portare agli sfollati sull’argine del Piave. Ai quali i salvatori li consegnano, ricevendone in cambio bottiglie di latte appena munto accompagnate da frasi significative: «Manco mal che é rivà el pan, ché el saeame el ven, el vin anca, quindi par adess sen a posto». Un mezzo anfibio, ritornato verso casa Serafin, riesce finalmente a portare in salvo i disperati, che hanno trascorso una seconda notte di paura; mamma, papà e il bambino appena nato (Achille) vengono issati sul mezzo e portati a Fossalta.

Le prime luci del secondo giorno dell’inondazione, domenica 6, mostrano una scena allucinante verso Caposile: bovini affogati, animali da cortile appollaiati ovunque su posti rialzati, quando non sono affogati nei pollai. Sui tetti delle case ad un piano o delle baracche residue vengono aperti degli squarci da dove gli abitanti, raggiunti dall’acqua alta a livello di soffitto, possono mettersi in salvo.
In Chiesa c’è poca gente a Messa. Don Armando piange, lui il prete del coraggio.
Nel corso della giornata altri sfollati verranno condotti a Jesolo e alloggiati al Villaggio Marzotto.

A Zenson, Loris e suo suocero, dopo che per un giorno e mezzo hanno sperato che qualcuno andasse a recuperarli decidono di tentare di cavarsela da soli: recuperano un vecchia botte in cantina e costruiscono una zattera e con quella si portano fortunosamente in salvo sull’Argine San Marco. Salvi, definitivamente salvi... ma Loris resterà sotto shock per alcuni giorni. La sua 500 verrà ritrovata a un chilometro di distanza con le chiavi ancora inserite nel cruscotto.

I tre sul campanile di Zenson la mattina di quella domenica 6 novembre finalmente vedono arrivare in piazza i soccorsi: attirano l'attenzione degli uomini dell’anfibio, che li vanno a prendere e li portarono in salvo in piazza a Fossalta; si rifocillano con qualcosa di caldo e vengono ospitati all'albergo Italia, dove rimarranno due giorni, prima di tornare alle loro case. Quella domenica viene recuperato anche il corpo esanime di Aldo Mazzonetto: aveva atteso troppo, e quando l’acqua era salita non aveva più potuto aprire la porta che dava sul vano scale, bloccata dall’acqua; aveva allora tentato di sfondare il solaio di legno ma non vi era riuscito.

In centro a Croce, la signora Brocchetto, che otto giorni prima ha partorito in ospedale e da poco è tornata a casa con la neonata, è impaurita e preoccupata per la piccola; è vero che l'acqua è scesa dal metro e passa del giorno prima a 50 centimetri ma lei continua ad essere agitata, forse teme per la salute della piccola, e ha mandato a chiamare il parroco. Verso mezzogiorno don Ferruccio arriva, con gli stivaloni in gomma, che toglie appena entrato in casa; toglie anche i calzini e li strizza, e sale a piedi scalzi al piano superiore, nella camera dove si è rifugiata tutta la famiglia (papà, mamma, nonna Angela, Laura e la neonata) Nella stanza ci sono savoiardi e crema marsala, i tipici "regali" che la pajoana (la neomamma) ha ricevuto dai vicini. Nella stanza ci sono anche il gatto e due galline, e la "cucina economica" che il capofamiglia ha fatto in tempo a salvare. Don Ferruccio battezza la piccola con l'acqua del Piave che ha raccolto al piano di sotto, dopo averla benedetta; il gesto tranquillizza la puerpera che finalmente si rilassa. Sul certificato di battesimo comparirà che “Carla Brocchetto è stata battezza a domicilio ob periculum alluvionis Plavis”. Fuori, in strada, in mezzo all’acqua, attende il parroco il giovane cappellano, don Mario Bortoletto...

Dalle finestre di casa sua Cesare immortala le poche immagini che restano della tragedia. Dalla finestra che dà su via Croce fotografa il centro del paese, quindi verso nord, inquadrando la casa dei Dariol.

 
(clicca sopra le foto per ingrandirle)

Quindi si affaccia alla finestra sul retro e scatta un’altra foto.

Durante la mattina a Croce l’acqua comincia a scendere, perché nella notte ha rotto sotto la ferrovia e se ne va da quella parte. Dalla rampa del casello si osservano arrivare i camion dell’esercito.



(la foto sopra e quella sotto sono del signor Sequi)

Si approntano zattere per le emergenze. Di spalle si vede Tano Rorato;tutti partecipano al lavoro, chi con le mani in tasca, chi dando consigli. 

L’acqua che era tra i due argini tracima sopra l’argine S. Marco dietro la casa di Lessi e corre lungo la ferrovia, per finire verso Trescalini. 

Ma tra i due argini sommerge tutto. Casa Cancellier è per metà sott’acqua.

Qualche ora dopo qualcuno (sempre Cesare Davanzo?) scatta una foto alla casa dei Moro, in via Croce, con Mario Moro e Feliciano Mariuzzo che pedalano e passeggiano tranquilli nell’acqua.

La Triestina è nelle stesse condizioni. Questo è ciò che si osserva presso casa Bizzaro, sullo sfondo i capannoni Bergamo...

...e nelle campagne del paese.

All'incrocio tra le Bellesine e la via Emilia

La metà casa verso via Bellesine era della famiglia Cadamuro mentre la parte verso via Emilia era dei Venturato. Dentro la tina ci sono Luigi Venturato e suo fratello Giovanni! L'uomo che dà la mano a Giovanni è Maurizio Cadamuro. Dietro di lui si intravede Antonio Venturato.
Mia nonna Elvira Tronchin mi raccontava che l'acqua coprì quasi tutto il piano terra e che faceva paura. Nei giorni successivi all'alluvione si vedevano passare davanti alla casa cadaveri di mucche morte. Le mucche rimaste vive in stalla erano rialzate da terra per mezzo delle "fassine", mentre il resto degli animali da cortile erano tutti annegati. Il mangiare veniva portato con l'elicottero e mio nonno Angelo Venturato lo prendeva dalla finestra del primo piano.
Michele Venturato

Verso le 17 del giorno 6 il sergente dell’anfibio chiede a Gualtiero se sa dov’è via Cadorna a Fossalta perché c’è una donna che ha appena partorito da andare a prendere. Gualtiero ve lo conduce, e un’altra famiglia viene portata all’asciutto.

Sulla riva sinistra, San Donà si è salvata; i maggiori problemi si sono avuti nelle campagne, ma non ci sono state vittime, grazie al fatto che l’acqua pur crescendo rapidamente, non è arrivata a valanga travolgente. È nella frazione di Grassaga che si è riscontrata l’acqua più alta in assoluto con episodi che hanno rasentato la tragedia: più di qualche persona ha trascorso diverse ore, se non l’intera notte, sopra il tetto di casa, unica parte emersa.
L’acqua da questa parte comincia a scendere. A Caposile e Millepertiche però…

lunedì 7 novembre

Per lavorare in sicurezza, a Zenson i soccorritori hanno bisogno di stivali alti e vanno a prenderli con il furgone di Crich a Monastier. A coloro che si erano presentati lì poco prima, il fornitore non aveva voluto consegnarli: «E dopo chi me paga?». Gualtiero lo convince a far caricare sul furgone tutti gli stivali alti che ha in fabbrica e a venire con lui a Zenson dove in municipio c'è il prefetto, che firma la bolletta di pagamento. Con Gualtiero vi sono Guerrino Girardi, Guido Vicino, Claudio Biasi e altri a distribuire stivali ai Zensonesi che li chiedono, registrando i nomi di chi li ha ricevuti. Così tutti possono tornare a controllare lo stato dei danni nelle loro abitazioni.
Albino Barbaran, ricevuti gli stivali, può tornare a ispezionare la propria abitazione; la prima cosa che fa è aprire la porta della cantina: e vede uscire un fiotto di liquido rosso; le grandi botti (i botoni) di vino non si sono salvate: hanno galleggiato e perso il contenuto; quell’anno la cantina dei Barbaran perde un centinaio di ettolitri di vino.

Verso Millepertiche e Caposile la situazione non si stabilizza: nel pomeriggio di lunedì 7 giunge al Comune di Jesolo la notizia dell’ulteriore invasione delle acque del rimanente territorio di Musile, con altre situazioni drammatiche di famiglie sulla strada, senza tetto, sotto la minaccia di passare la notte con i bambini all’addiaccio. Prosegue perciò l’opera di solidale collaborazione. Lo stesso giorno si riattiva l’albergo Aquileia, il più grande di Jesolo, che potrà ospitare 300/400 persone sfollate.

Quella sera, verso le 18, terminato di consegnare gli stivali, Gualtiero arriva in via Isola col fratello Orfeo a casa dell'altro fratello Tiberio: è tutto scuro, non c’è luce. La casa è vuota perché Tiberio ha portato la moglie e la figlia neonata Elena a San Donà, da parenti; il buio e il silenzio spettrale fanno impressione; per sentire un qualche rumore di vita, Gualtiero carica più volte il carillon della carrozzina della bambina, finché il fratello gli dice di smetterla, che il suono del carillon è quasi più sinistro. Stanco morto, Gualtiero si addormenta finalmente su un letto vero.

Intanto nelle case lasciate incustodite si verificano episodi di sciacallaggio e allora il sindaco di Musile Borgato decreta il coprifuoco: solo chi ha il permesso firmato da lui può andare in giro dopo una certa ora. Ma si rischia un proiettile, perché di notte c’è silenzio assoluto, si sente se un barca si muove:
«Chi situ?»
«Son Piero, son drio andar cior el sac de patate che...»
Se ci si conosce, ci si lascia passare, almeno se si ha un motivo per spostarsi di notte.
Agostino Montagner ce l’ha il permesso firmato dal sindaco, lui ha la barchetta, può essere utile, può arrivare ovunque... e andare a recuperare le cose che la gente gli chiede di recuperare…

Gianni Crich in quei giorni si fa immortalare in piazza davanti al suo stabilimento seduto nella sua poltrona in mezzo all’acqua.

i giorni successivi

Nei giorni successivi al Villaggio Marzotto prosegue l’opera di completamento e di sistemazione visto che alcuni padiglioni risultavano senz’acqua e senza luce: il Villaggio arriverà ad ospitare ben 735 profughi.

Mentre calano i pericoli dovuti all’alluvione comincia a crescere la disperazione perché quando sono arrivati i camion dell’esercito o le barche dei soccorritori e hanno cominciato a caricare la gente alla rinfusa, le famiglie nel momento del pericolo si sono sgretolate:
«Via via, salta su che doven ’ndar via...»
«Va ti che mi te raggiunge dopo».
Solo che dopo non ci sono i collegamenti, allora non c’era la Protezione Civile e non c’era il telefonino, sì e no il bar centrale aveva il telefono... Oggi invece sarebbe facile:
«Dove situ?»
«In parte al bar»
«Anca mi... Ah, de’à...»
Ma allora i cellulari non c’erano: uno che non sa dov’è finita la moglie, dove sono finiti i figli, non sa come cercarli; qualcuno viene a sapere che la moglie si trova al Villaggio Marzotto dopo otto giorni che la sta cercando, tutti cercano disperatamente notizie, chi va e viene cerca di portarle.
«Guarda che tua moglie è all’hotel Aquileia, non al villaggio Marzotto...»

E in tivù? In tivù si continua a parlare solo di Firenze. La città regina del Rinascimento è in ginocchio. Ma anche Venezia ha patito e con lei tutto il basso Piave, che era zona già depressa e cercava di risollevarsi dalla guerra, ha ricevuto una mazzata tremenda.

In quei giorni arriva il Presidente Saragat in visita ai Comuni alluvionati: ovunque si commuove e stringe mani, ma viene fischiato, a lungo, qualcuno gli tira addosso del fango: è sempre così con gli uomini delle istituzioni, se non giungono sul luogo della disgrazia li si fischia perché si disinteressano e se vi giungono li si fischia perché par quasi che abbiano colpa della disgrazia. A Zenson ha un incontro con le autorità comunali, poi saluta tutti per tornare verso Treviso ma, davanti alla chiesa, il corteo delle automobili sbaglia strada e invece di svoltare a sinistra per portarsi sull'argine San Marco, prosegue dritto, verso via Isola, cioè verso la rotta. Secondo un'altra versione, Saragat ha invece voluto proprio andare a vedere «dove il Piave per primo ha rotto». «Ha tracimato!» lo corregge urlando una signora, offesa perché il Presidente è disinformato sulla tragedia che ha colpito il suo paese.
Gualtiero vede passare il corteo di macchine davanti a casa, e immagina già l'auto bella lustra del presidente diretta a inpozoearse nel fango; prende la bici per raggiungerlo. Le auto, come previsto, si sono fermate alla rotta, senza poter proseguire; «Dovete tornare indietro» suggerisce Gualtiero, e aiuta gli autisti a spingere le auto dove le ruote trovano terreno duro e possono girarsi. Saragat e il presidente del Senato smontano dall’auto; il presidente della Repubblica parla ai giovanotti con le parole che da sempre i politici dicono dopo una disgrazia: «Vi aiuteremo… Voi giovani... vi aiuteremo, mi raccomando, non abbandonate questi luoghi, perché il paese deve tornare come prima grazie al vostro lavoro». Per l’aiuto ricevuto, il Presidente dà a Gualtiero una banconota da 5.000 lire, che il giovanotto consegna al padre, il quale la conserverà orgoglioso: «Queste li é i zinquemìe franchi che Saragat g’ha dat a me fiol».
Una delle storielle che girano nei giorni successivi, quando arrivano i volontari che vogliono sapere come è stata vissuta la vicenda, è quella che ripetono in tanti: «No vée gnent; ho pers tut». Pierri Azzolin, proprietario della latteria di Zenson, suole imprecare dicendo: «Patana frate, l’acqua me ha portà via tut el late» riferendosi a quello che aveva in casa e a quello che i clienti non possono più mungere per la moria delle vacche.

A Millepertiche, Meolo, Caposile c’è ancora l’acqua: in certi punti rimarrà per mesi. Ci sono le vacche morte che galleggiano...

C’è chi dice che l’alluvione è ancora più brutta del terremoto, proprio per le vacche morte che galleggiano: col terremoto c’è la vita distrutta, qua e là vedi una bambola, un piatto intero, frammenti di vita ma non c’è la testimonianza diretta della vita e della morte; con l’alluvione affiorano i corpi delle vacche morte, “Che ci sarà sotto quest’acqua?” ti chiedi, quante altre bestie morte?

i danni

I danni sono ingenti, maggiori di quel che avrebbero potuto essere, perché molti hanno creduto che le acque non avrebbero raggiunto il livello che hanno raggiunto.
Moltissimi sono gli animali morti.
Nonostante gli avvertimenti molti non hanno provveduto a portarli in salvo. Sono morte soprattutto le bestie dei mezzadri, dicono le malelingue. Chi ha potuto, le proprie bestie le ha fatte salire in luoghi rialzati, c’è chi le ha portate in casa e sistemate nei terrazzi, chi ha attraversato un mare d’acqua alto fino alle spalle per trascinarle in salvo.

Sulla sinistra Piave la perdita di bovini è rilevante a Grassaga più che a Calvecchia, Fossà, Cittanova: 160 in tutto sono i bovini annegati. Parte dei bovini sopravvissuti è ricoverata nella chiesa parrocchiale di Grassaga per ordine del sindaco Pilla, contro il parere del parroco, ma poi d’accordo col vescovo di Vittorio Veneto, monsignor Albino Luciani, uno che ha avuto un'infanzia povera, da contadino, e sa che cosa sia l'esser povero e contadino, e sa cosa significhino le bestie per i contadini, e sarà destinato anche per queste finezze a fare santa carriera.
Ora il problema è il sostentamento di migliaia di bovini che sono rimasti senza foraggio, portato via dall’acqua o resosi immangiabile. Il sindaco allora provvede a requisire le sanse delle barbabietole nello zuccherificio di Ceggia. In seguito verrà prelevato foraggio dal Friùli.

A Zenson l’80% del patrimonio zootecnico è andato perduto; è un dramma vedere tutte quelle bestie morte, con la fame che ancora c’è in questi paesi dove si mangia carne bovina solo la domenica
A Zenson le bestie morte vengono portate sopra l’argine S. Marco: ci si versa della calce sopra ma dalle autorità non arriva l’ordine di seppellirle: alcune potrebbero essere morte di epidemia; Zenson rischia la quarantena; poi per fortuna i veterinari scongiurano l’ipotesi.

A Musile è andato perduto un quarto del patrimonio zootecnico, sono morti oltre 600 bovini, un numero imprecisato di suini e animali da cortile. Desta impressione il seppellimento delle carcasse dei bovini. Per il trasporto si usano gru e carri in un andirivieni triste durato alcuni giorni. Vi si procede senza indugi in fosse profonde, per evitare epidemie.
Viene scavata una buca enorme di là della Piave, a Chiesanuova, e là si buttano le bestie morte: con le benne si scava, una buca grande ma così grande che ci sono tutt’attorno montagne di terra, e coi frontali degli escavatori si buttano dentro le bestie; e poi, sopra, si ricopre di tanta calce, a volontà… è come una torta: uno strato di bovini e uno strato di calce, uno strato di bovini e uno strato di calce…
Quando l’acqua sarà definitivamente scesa, altre bestie verranno eliminate perché
sono rimaste troppo tempo in acqua e soffrono di reumatismi.

«Toni, cossa ghe hatu dat ti ae vache restae tut el tempo soto acqua?»
«Mi ho provà darghe pastoni caldi de orzo, mais e lino, e de’infusi de àrnica pa’i reumatismi…»
«Arnica…?»
«’A pianta che fa starnudir. La cioéa anca me suocera...»

A Musile, dei 4500 ettari che costituiscono la superficie del Comune, 4450 sono stati allagati: il 99%. Dopo venti giorni dall’alluvione, quando si tiene il primo Consiglio Comunale, ancora 3500 ettari sono sott’acqua. Le persone ricoverate presso la Colonia Marzotto e presso l’Hotel Aquileia sono 1368; 2000 vengono assistite in loco.
I danni all’agricoltura e ai beni privati ammontano a centinaia di milioni di lire, che corrispondono pressappoco a centinaia di milioni di euro di oggi.

«Toni, ho provà a darghe quel che te me ’vea dita, ho fat rivar l’arnica in farmacia, ma ’e me bestie je morte tute...»
«Anca e mie...»

Ci sono danni anche meno rilevanti, ma che toccano il cuore e gli affetti: a Zenson l’acqua si è portata via la croce che ricordava la battaglia della I Guerra Mondiale; in cimitero le tombe sono state divelte dalla furia dell’acqua.
Una signora si lamenta che la tomba del marito è in stato pietoso, chiede all’E.C.A. aiuti per il cimitero: le rispondono che prima ci si deve occupare dei vivi.

L’E.C.A. è l’Ente Comunale di Assistenza, istituito in ogni Comune, che si occupa della distribuzione degli aiuti. Tutti chiedono, molti pretendono aiuti. Gli uomini, col sacco sotto braccio, vanno a prendere i sussidi in municipio. Gli uomini dell’E.C.A distribuiscono anche le pastiglie contro il tifo. E come nel momento del pericolo sono venute alla luce le qualità migliori della gente così al momento della distribuzione degli aiuti vengono fuori le gelosie, le recriminazioni; chi ha subito anche un danno minimo vuole gli stessi aiuti di quelli che hanno avuto la casa sotto due metri d’acqua.

Oltre all’E.C.A. sono le parrocchie, la Croce Rossa, altri Enti a coordinare la distribuzione degli aiuti.
A Zenson, insieme con il sindaco Augusto Peloso, a prendere le decisioni è Cristofoletto, il proprietario della Crich che ha 100 operai e dà praticamente ad ogni famiglia un posto di lavoro. Tanto più che il Ministro Ferrari Aggradi è amico di Cristofoletto e a Zenson ha fatto arrivare rapidamente aiuti di prima necessità: stivali, stufette dalla Zoppas…
A Caposile, temendo che gli aiuti vengano imboscati dai suoi parrocchiani, don Armando chiama le studentesse dell’Istituto San Luigi a distribuirli: loro non conoscono personalmente gli alluvionati, saranno eque.

Aiuti arrivano da tutta l’Italia e dal mondo: perfino dalle Repubbliche Sovietiche, che fanno arrivare del burro prodotto in Italia, dalla Giglio di Reggio Emilia. Arrivano patate, perfino banane che allora mangiavano in pochi, e roba da vestire, nuova o seminuova, tanta, ce n’è dappertutto, in Municipio e nelle parrocchie.

E arrivano anche gli “angeli del fango”, scout e studenti da altri paesi, da Carpenedo a Croce, da Treviso a Zenson, e da altre parti, da non si sa dove, ma glielo vai a chiedere? sono volontari, vengono a dare una mano, a pulire, a rimettere in sesto le case. Alle case e alle chiese vengono subito tolte le malte per asciugare i muri; resteranno senza intonaci per tutto l’inverno, ci si scalderà con le stufette arrivate dalla Zoppas, o da altre parti. (La chiesa di Croce porterà per molti anni all'interno il segno dell'alluvione)

Si cerca di tornare alla vita. Anche sdrammatizzando; A Zenson si organizza una processione che tocca tutte le osterie (del resto si pensa che l’alcol faccia bene contro il tifo). Crich battezza i due maialini che la scrofa di proprietà dell’Ancilla Calzetti ha partorito proprio la notte del 4 novembre uno “ACQUA” e l’altro “ALTA”. In tivù però si parla solo di Firenze…

Qualcuno dice che coi risarcimenti, chi più chi meno, tutti ci hanno guadagnato, e sono pochi quelli che ci hanno rimesso veramente: sono soprattutto quelli che hanno avuto la casa sott’acqua per tanto tempo. Purtroppo non c’è controllo: chi può chiede, e spesso ottiene. A volte anche senza chiedere. Il Comune fa un censimento dei danni: tutti hanno perduto lo stendino della biancheria (centinai di stendini che non verranno mai trovati), le scarpe, i mobili del salotto. Grazie agli aiuti vengono consegnate tavoli e sedie, reti, materassi a molle, stufette a gas che vengono distribuite in particolare agli anziani…
Dalla parti di Caposile e di Millepertiche, dove i danni sono molto più evidenti, qualcuno si lamenta dei mancati risarcimenti; ma anche lì c’è chi chiede di esser risarcito di tutta la mobilia del secondo piano anche se al secondo piano l’acqua non è arrivata.

Musile è il comune più colpito della provincia di Venezia.
Zenson è il comune più colpito della provincia di Treviso.

La rotta ha cancellato nei campi i fossi e le scoline, e gli agricoltori devono fare un lavoro enorme per ripristinare tutto.

La sera di Natale il Vescovo di Treviso Mistrorigo, con tutti i parroci del Comune di Musile, giunge al Villaggio Marzotto: al capofamiglia di ogni nucleo familiare lì ricoverato viene consegnato a suo nome “il dono di Natale”, un pacco con due chili di pasta, alcuni chili di zucchero, marmellata, cioccolato, una coppia di lenzuola e una coperta.
I Comuni dal canto loro cercano di alleviare la condizione degli sfollati e spendono parecchio: ad ogni famiglia che dal Marzotto o dall’Aquileia si appresta a rientrare nelle propria abitazione, quelli dell’ECA del Comune di Jesolo consegnano due coperte e le lenzuola.

Al Marzotto per coloro che devono andare a lavorare c’è una corriera che li va a prendere, li porta sul posto di lavoro e poi li riaccompagna la sera; e per il pranzo viene dato loro un cestino di cibarie; questa condizione li fa apparire dei privilegiati; c’è chi dice che al Villaggio Marzotto si fa vita da villeggianti, «tutto il giorno non fanno che… giocare a carte…» Oppure che «mangiano, bevono e dormono “agratis”, e neanche puliscono…» Questo perché tra le voci-spesa dell’E.C.A ci sono anche i compensi per le ragazze che vanno a pulire i locali del Marzotto…
Inevitabili attriti di una situazione difficile. La situazione è desolante: non occorre essere pessimisti per definire quello che è successo una catastrofe.
Un po’ ovunque aumenta il consumo della grappa: si dice che faccia bene e tenga lontano il tifo.

A Millepertiche e Caposile le ultime acque stagnano fino al febbraio successivo. Il prosciugamento avviene lentamente mediante idrovore mobili giunte dal Polesine, in quanto il manufatto di Caposile, sommerso dall’acqua, è andato subito fuori uso. I profughi di Millepertiche e Caposile cominciano a rientrare solo verso gennaio febbraio del ‘67; quelli di Riviera Sile sono gli ultimi, in marzo.
Il 1967, per le famiglie degli sfollati, è l’anno del boom delle nascite.

Per conoscere in dettaglio la storia dell’alluvione di Croce vedi
CARLO DARIOL - Storia di Croce Vol. III - IN ATTESA DEI SOTTOPASSI
Edizioni del Cubo, 2025