Testimoni del Novecento
(Testimonianza raccolta nel 2008)

Cesare Davanzo (1933-2009)

La canonica. C’era l’entrata, un corridoio e in fondo al corridoio la scala che portava al piano superiore. Al piano terra la prima stanza a destra era la cucina tipica col fogher e, dietro, il secier, grande. La prima stanza a sinistra era l’archivio parrocchiale, dietro c’era un’altra stanza, la stanza di don Ferruccio, alla quale si accedeva dal corridoio ma anche dalla sala grande, che attualmente è la sala d’aspetto dei medici; dalla sala grande si entrava sulla destra in archivio e a sinistra si entrava nell’ufficio privato di don Ferruccio, in fondo.

1918. Don Natale scappò poche ore prima che arrivassero gli Austriaci, poco prima che uccidessero Tito Acerbo, poco prima della battaglia del solstizio, quando gli Austriaci già venivano avanti. [scappò in novembre, invece. NdC.] Tito Acerbo rimase ucciso non dove c’è oggi il cippo ma di là della strada, nel fosso della casa di Sanson: questo si sa perché negli anni ’70 capitò a Musile un reduce, militare della brigata di Tito Acerbo, che veniva da Torino e venne col sindaco Lorenzon a Croce a vedere il luogo della morte di Tito Acerbo e spiegò bene dove era morto Tito Acerbo.

Renato Cuppini sposò la vedova del Conte Gradenigo. Si erano conosciuti durante la guerra, lei era rimasta vedova e faceva la crocerossina, lui era un ufficiale dell’esercito, era stato ferito e si trovava in un ospedale da campo, proprio dove lavorò lei. [I ricordi sembrano in realtà attribuili a Riccardo Gioia. NdC.]

Il brollo aveva una siepe di spini croseri arrivava fin dove c’è oggi il Centro Sociale; un fosso lo divideva dalla strada. C’era una baracca con fondamenta e un metro di muro e sopra la baracca; lì dentro veniva tenuto il carro funebre, nero con drappi neri e veniva trainato da un cavallo. L’aveva acquistato Don Natale in periodo di guerra e Croce era l’unica parrocchia ad averne uno

La prima chiesa di Millepertiche fu una baracca, poi i proprietari regalarono il terreno per la nuova chiesa. Poi Crich e don Saretta, “il vescovo del Basso Piave”, provarono a costruirla ma la finì don Natale.
Trovarono terreno solido, dicono i documenti, e costruirono il pavimento su colonne perché giungesse almeno a livello del mare, essendo il terreno sotto il livello del mare

Quando si muoveva don Natale si muoveva il Padreterno, era assai quotato e considerato in tutta la zona. Allora c’era la tradizione delle “benedizioni” e lui era molto quotato per quello; per tale motivo anche si scontrò con la Curia, perché lui si faceva nome con queste “benedizioni” e la curia non voleva questo mercato, perché lo considerava appunto un mercato.
Merito di Don Natale fu l’acquisto del palazzo dell’Asilo che cambiò la fisionomia e l’importanza del paese.

La parrocchia è intitolata all’Invenzione: la festa vera pertanto non è il 14 settembre (esaltazione della croce) ma è il 3 maggio: il 26 aprile è san Liberale, patrono della Diocesi, e subito dopo, il 3 Maggio, è la festa della Croce, titolare della Parrocchia. Per l’occasione si suonavano anche “gli organi”. Era così importante che durante la costruzione dell’acquedotto si interruppero i lavori per la festa della Santa Croce. Non so chi ha stabilito poi di cancellarla. Cioè lo so.

Missioni per il popolo. Nel 1934 ci fu la Grande Missione del padri Passionisti che eressero una croce in legno su basamento in cemento; i padri venivano a predicare da Venezia Poi la croce cadde perché instabile; fu fatta togliere nel 1950 da don Ferruccio. Eredità di quella missione fu la canzone “Evviva la Croce” e Toni Casonato, molti anni dopo, il venerdì santo si infervorava a cantarla perché gli ricordava la gioventù.
Don Ferruccio in 15 anni fece 3 missioni, ultima fatta sempre dai Padri Passionisti, un’altra dai Carmelitani Don Primo, che si vanta tanto, in 36 anni ne ha fatte solo 2.

Quando a Croce si inaugurò l’altare della Madonna del Carmine nel 1936 (per l’occasione don Natale era riuscito a ricostruire la storia di Tito Acerbo), c’erano anche i Fanti dell’Esercito per onorare Tito Acerbo; a un certo momento della cerimonia, al momento della Consacrazione, facendo il presentat-arm a un militare scivolò il moschetto, rimase immobile fino alla fine e poi lo raccolse.

Gli altri altari. Nel 1940, ci fu vendita degli ori, probabilmente ci fu il restauro dell’altare della madonna del Rosario. Mi ricordo che nel ’40 la vetrina della madonna del Rosario c’era già e c’era già la madonna seduta e con i vestiti di stoffa, l’attuale fu acquistata dopo al tempo di don Ferruccio [I ricordi sono imprecisi. Ndc.]
Con don Ferruccio andai ad acquistare la stratua del sacro Cuore, prima ce n’era una di cartapesta.
Interviene Valentino Dariol: «Mi ricordo che con don Ferruccio e Toni Bergamo, che eravamo fabbricieri, in macchina con Bassetto Amedeo andammo ad Ortisei ad acquistare Sant’Antonio e San Giuseppe, ma non mi ricordo l’anno».

Il Natale del 1940. Col primo morto in guerra di Croce, don Natale rischiò grosso. In tempo di guerra don Natale rischiò il carcere perché rivelò involontariamente una notizia coperta da segreto militare. Il primo dei caduti di Croce (secondo di Musile, il primo fu un certo Piasentin) della guerra del ’40 fu mio fratello. Sotto le armi con mio fratello c’erano due suoi amici da Jesolo, uno era nella sua stessa compagnia, l’altro, che era anche suo compare, era in un’altra compagnia. Mio fratello morì il 16 dicembre ’40 e il suo amico di Jesolo, Frasson, scrisse una lettera a don Natale dicendo che era morto Davanzo Erminio, di Croce. Don Natale la ricevette il sabato e la domenica, alla messa prima delle 6, ritenne opportuno dire che gli era arrivata notizia dal fronte (dal fronte greco-albanese) che era morto un nostro compaesano; era la domenica prima di Natale, alla messa delle 6 c’erano mia madre e mio padre. A casa c’era la vedova di mio fratello con un figlio nato a luglio, quel giorno ci fu un marasma a causa della predica, un trambusto; si cominciò ad aspettare la lettera con la triste notizia, lettera che non arriva, che non arriva più. Dopo non era più vero niente: per le autorità militari non era successo niente. Don Natale e Frasson avevano rivelato un segreto militare.
Ingenuo era stato don Natale a rivelare una notizia coperta da segreto militare e fece rischiare la fucilazione al soldato Frasson.
Don Natale era bonario, si era fidato diciò che gli avevano scritto, la morte del primo dei suoi parrocchiani gli era sembrata una notizia degna di essere comunicata. La notizia ufficiale della morte di Erminio mio fratello arrivò a marzo.

Gli anni ’40-’43 in canonica. Prima della Marcella e del marito anche mio fratello Domenico (Nini) era stato per un anno a servire in canonica; mio fratello andava dietro alla stalla perché don Natale aveva una vacca e un cavallo; all’epoca vivevano in canonica anche i nipoti di don Natale, c’erano da tanti anni, da sempre; i nipoti erano giunti qui con la madre, una ragazza madre [era vedova. NDC.], don Natale l’aveva chiamata a Croce perché si occupasse della canonica e di lui; i due ragazzi erano senza padre; erano qui a Croce con la madre e con la Giulia, sorella della madre; le due donne erano nipoti di don Natale, figlie di una sorella di don Natale.
Nel 1942 ci furono dei furti in parrocchia e furono accusati i nipoti, in particolare fu accusato el gobet, quello che ha tirato giù il crocifisso di via Pietra. Dopo i furti don Natale li cancellò dalla parentela. I nipoti andarono poi a vivere a Musile.

Si diceva che era diventato povero; ma don Natale aveva sempre vissuto da misero e sempre mangiato male.

Tenne alla parrocchia fino alla fine, mai si tirò indietro, con quattro pastrani messi addosso in inverno andava a Ca’ Malipiero, una settimana sì e una no, in alternanza col cappellano: se uno celebrava la messa prima a Croce poi andava alla 9 a Ca’ Malipiero; quello invece che faceva la messa delle 8 faceva anche l’ultima. Negli ultimi tempi ci andava col biroccio, ma ci andava. Il biroccio era un ‘alpine’ a due marce, guidato da Sergio “Toni” Dariol che un giorno lo rovesciò anche.

Dicerie. Si diceva che Carletto Montagner, impiegato della Banca Cattolica, fosse uno dei figli di Saretta. Così come a Roma, negli anni ’50, si diceva che Andreotti era figlio del Cardinale Ottaviani.

La morte di don Natale (10 marzo 1955). Eravamo nella sala grande. Don Natale lo vidi per l’ultima volta che stava andando a letto: uscendo dalla cucina, passò un attimo nella stanza di don Ferruccio per dirgli che andava a letto, che non si sentiva bene. Don Natale stava male da 4 o 5 giorni. Don Ferruccio sapeva delle condizioni di don Natale, il dottor Rorato gli aveva detto che don Natale non sarebbe durato tanto. Noi dell’AC avevamo riunione nella stanza che confinava con la camera di don Natale; con delicatezza, senza farcelo pesare, perché non disturbassimo, don Ferruccio ci disse: «Tosati, stasera se meten sul saeotin grando che se sta pì caldi...» Il salottino grande era più lontano dalla camera, non era vero che era più caldo; ma c’era un’altra stanza di mezzo. Era una pietosa bugia.
Durante la riunione all’improvviso si spalancò la porta «Don Ferruccio! Don Ferruccio …!! » Era la Brigida con la serva di don Natale, la Marcella [o la Biasi? O l’Autilia? NdC] Corremmoa vedere. Era in terra del letto: deducemmo che si era alzato, era sceso dal letto, quando aveva fatto lo sforzo per risalire sul letto lo sforzo era stato troppo grande, il cuore aveva ceduto. Era rimasto disteso a terra sulla schiena.
Rimase lì Bepi Sgnaolin, tutti gli altri andarono a casa, e tutti avvisarono le famiglie della morte di Don Natale. La mattina successiva alle 8 ero lì di nuovo, Don Ferruccio portò giù i soldi, 21000 lire e rotti: quello era tutto il capitale di Don Natale. Don Ferruccio si meravigliò perché 8-10 giorni prima lui stesso aveva consegnato a don Natale i soldi del soturco del quartese. I soldi non furono sufficienti nemmeno a pagare la cassa. Come stile di vita era sempre vissuto nella miseria. Poi arrivò Bepi Sgnaolin, che eravamo presidente e vicepresidente dell’A.C. e andammo in Curia, per chiedere cosa dovevamo fare; io andai a trovare Marino Corder, presidente diocesano dell’A.C.
Il funerale si fece il sabato. c’era una marea di gente, la chiesa era piena, era pieno dentro e fuori, c’era una marea di preti, allora si faceva la messa comunitaria
Celebrò monsignor Mantiero che commemorò la figura di don Natale, il personaggio che da 58 anni era a Croce, aveva attraversato due guerre. Don Mantiero scappò alla fine della messa diretto in canonica per la stradina in mezzo al brollo perché stava per farsela addosso. Il Vescovo Mantiero non andò in cimitero. Don Natale fu portato al cimitero e la cassa nemmeno passava per l'apertura della tomba e per far sì che la cassa entrasse nella tomba (di madre, padre e sorella) fu rotta la cornice della cassa. Poi la cassa fu trasportata nella cappellina che fu costruita all’inizio degli anni Settanta per don Natale e i due padri Paludetto; la quarta cassa che lì fu messa, che nessuno sapeva a chi appartenesse, è quella della sorella di Don Natale.
Nel testamento don Natale aveva lasciato tutti ai poveretti, ma non aveva niente, solo quattro libri.

Meriti di don Ferruccio. L’oratorio di Croce (ex Centro Sociale) è merito di don Ferruccio; fu costruito in 4 mesi, dal settembre ’56 al gennaio ’57,
Altri meriti di don Ferruccio sono l’altare di marmo e il tabernacolo di onice. Don Primo quando rifece il pavimento eliminò la lapide al centro con i nomi dei primi parroci, lapide con le quattro borchie, e avrebbe anche eliminato l’altra, quella grande tra i due altari di destra, fu Gianni a fargliela rimettere, oggi in controfacciata. I gradini che portano all’altare non sono dello stesso tipo degli altri Per quanto riguarda l’organo, don Ferruccio aveva l’intenzione di rimetterlo, tolse quello vecchio solo perché era da buttare e non conveniva ripararlo.

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