Di là del Piave, a Chiesanuova e Passarella i contadini erano per la maggior parte affittuari,
invece di qua erano mezzadri, cioè ignoranti.
Lungo la Roja è la strada degli Interessati, sotto Croce; c’erano tre famiglie,
i Domenin e le due famiglie dei Bottan, quelle sono le ultime case sotto Croce. Il proprietario
di quelle terre era Baio Zadra. Io vedevo passare don Natale col serét, lui salutava da distante
tutti quanti con la mano.
Matrimoni. Io mi ricordo che don Natale sposava tutti alle dieci, anche
quelle in conseguenze, non come don Tisato che sposava alle quattro di mattina o alle otto di sera
se una era incinta. Mi ricordo che nel ’34, ’35 io accompagnai mia cugina a Musile
alle quattro di mattina perché si sposasse. Poi li accompagnammo alla stazione,
partirono per Venezia, la sera erano a casa, quello era tutto il viaggio di nozze.
In palude. Di là della strada degli Interessati era tutta palude prima della guerra,
la bonifica venne fatta nel ’26-’28. In palude si andava a far strame, cioè a raccogliere
canne e paglia per le lettiere per le bestie. Della parte di Musile il proprietario
era Caberlotto. Io lo vedevo arrivare con la 1100 una volta la settimana da Casale, veniva
a controllare il lavoro dei contadini.
L’unico del comune che aveva la macchina era il dottor Rizzola
che aveva la Topolino 500. Lasciava la macchina sull’Argine San Marco e poi lo andavamo
a prendere col carro o con la barca. I veterinari che venivano qua per le stalle
erano Carletto e Davanzo, quest’ultimo fu veterinario comunale dal ’48.
Io le Rogazioni ricordo di averle sempre viste, una mattina
faceva il giro di là dell’Argine, la mattina dopo veniva giù di qua.
Sui campi tutto il giorno. Ci si alzava alle 4 di mattina, prima del sole, e si andava sui campi. Io
cominciai a sei anni ad andare sui campi: i bambini tiravano su le gambe del soturco. Si andava
sul campo a stomaco vuoto. Alle 7 si faceva la prima colazione: sul campo arrivavano le donne
con la cesta piena di polenta, si mangiava un po’ di formaggio, salame e sarde; a mezzogiorno
si tornava a casa dove le donne avevano preparato la seconda polenta della giornata, si mangiava
un po’ di musetto, fagioli; ma qualche volta si rimaneva sul campo a lavorare. La terza polenta
della giornata era per la sera e si mangiava con radici, fasioi, latte e vovi.
In estate che la giornata di lavoro era lunga alle cinque si faceva il marendin
con un po’ di polenta fredda e soppressa, talvolta anche pane, se le donne avevano avuto
il tempo di farlo: ci voleva un’ora per andare a casa.
Sarti e vestiti. Nei primi tempi mi ricordo che veniva uno da Treviso per
le case dei contadini, rimaneva uno, due giorni, quel che serviva e faceva gli abiti
su misura. Poi a Musile venne Iseppi e allora si andava da lui. A volte si sceglieva
una pezza di stoffa e con quella lui facevano camicie per tutti, tutte uguali. Due anni doveva
durare un vestito, anche se eri andato fuori misura. Solo i vecchi avevano diritto
al tabarro. Ai bambini con la prima comunione a 6-7 anni toccava il primo vestitino
con le braghe curte e si tiravano su le calze fino alle cosce se si aveva freddo. Poi un altro
vestito toccava alla cresima, 2-3 anni dopo. Le camicie e le mutande, invece,
si facevano in casa. La maggior parte delle famiglie aveva una macchina da cucire a manovella,
solo il vestito lo faceva il sarto. Le canottiere non esistevano. Solo in tempo di guerra
vennero introdotte: con la bavella dei cavalieri, meno pregiata, ci fu chi cominciò a usarla
per fare canottiere.
Per tutte le necessità di casa gli acquisti erano provveduti dal padrone di casa: era lui che andava a San Donà e portava a casa curàme, zhòcui, brochette …soto i zhòcui si mettevano un sacco di brochette per farli durare di più.
Si andava a far la Cresima a San Donà col lascia-passare
del parroco che però non ci accompagnava. Già dal ponte c’erano i rivenditori di santini,
di medagliette tutto per guadagnare un franco.
Strade . Mi ricordo che sull’Argine San Marco un po’ di asfalto c’era già prima
della guerra, poi fu lasciato andare e si rovinò tutto. La Triestina, invece, già nel ’34 era
stata asfaltata e fu mantenuta sempre in ordine.
Nel ’35 mi ricordo che furono costruite le casette popolari (in via Milano).
Propaganda. Nel 1935 finita la guerra d’Africa, tutti fummo chiamati a Musile
ad ascoltare il proclama del duce che proclamava “il risorto impero sui colli fatali di Roma”.
Tutte le proprietà di via Pietra sono in realtà inferiori di 700-800 mq rispetto ai 10.000 che dovrebbero
essere perché chi fece le misurazioni fece saltar fuori la campagna di Amadio. Tutta colpa
del brigantajo (malversazioni) dei fascisti; per questo Rupeo Montagner, che aveva denunciato
la cosa, fu mandato al confino: per insabbiare tutto (1936).
Il premilitare.
Mi ricordo che si andava tutti a Musile nel campo sportivo che allora si trovava presso
la curva di via XXIX aprile. Piero Lucchetta centurione o segretario del Fascio conduceva
i lavori, ci faceva fare due orette di marcia; al premilitare partecipavano i ragazzi
di tre annate, dai 16 ai 19 anni. Nel 1937, dopo che Dino Vianello era morto in Africa, Piero Lucchetta
elogiò al premilitare la sua figura di eroe davanti a tutti.
Poi si veniva chiamati via militare. Io sono partito il 16 marzo 1940.
Quando eri “grande” ti toccava una colombina (5 lire) una domenica sì
e una no a chi aveva la morosa, altrimenti non si prendeva mai niente, solo i soldi
per due arance alla sagra di San Valentino.
Fascismo e fascisti. Io mi ricordo il podestà Bimbi [’34-‘39] che era un fascista carogna e cattivo, aveva un negozio
di mobili a San Donà. Lui è il responsabile del confino di Rupeo Montagner (nel 1936).
Bimbi fu anche responsabile del fatto che a me fu tolto il sussidio. Eravamo della mia famiglia
in 5: io e quattro cugini dell’altra colonna; a loro quattro non era stato tolto il sussidio,
solo a me; allora io andai a protestare dal mio colonnello, il quale mi disse che avrebbe provveduto
e difatti poi la rendita mi fu restituita.
I fascisti vietavano le feste del 1^ maggio che la sera si andava a portare il maggio
alle tose: paglia, fieno a quelle che erano un po’ vacche, ci siam capiti...
Erano vietati gli assembramenti: “non più di tre persone”. I fascisti portavano in caserma
chi creava sommosse. Anche chi non andava al premilitare doveva presentarsi il lunedì
in caserma a San Donà a spiegare il motivo dell’assenza e qualche volta Piero Lucchetta
metteva gli inadempienti qualche ora in guardina sotto il municipio. Il premilitare all’inizio
si faceva la domenica, ma poi i parroci protestarono e quindi fu portato al sabato.
I fascistoni del comune erano, come si diceva allora, “Tisato, Rizzola, Sattin comanda tut el vin”.
Nel ’40 quando venni a casa in licenza, mi ricordo che Biscotto Vazzoler, don Tisato
e Piero Lucchetta avevano invitato un po’ di gente a mangiar castagne e vino e distribuirono
le spille con su scritto “Dio stramaledica gli inglesi” da attaccare sulla giacca. Anche don Tisato.
Altri fascistoni erano Potacio (Vazzoler), so fradel de Miro e Carlo Guerra, il quale prese
un po’ di strizza il 25 luglio 1943 quando cadde il fascismo e i ragazzi presenti
al bar de Bortoletto cominciarono a urlare “Ciàpeo, ciàpeo, ciàpeo”.
Dopo la guerra mi ricordo che Bizzaro era della DC, Antonio Guseo era del PSDI, Giacchetto del PCI
e Poletto del PSI.
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