HISTORIA de CROSE
dal 1914 al 1918



La grande guerra

Guerra! Il 28 giugno 1914 uno studente serbo uccise a Sarajevo l’erede al trono imperiale Francesco Ferdinando e la moglie, e l’Austria ne approfittò per lanciare un ultimatum alla Serbia perché entro 48 ore reprimesse tutti i Movimenti contro l’impero; il ministro degli Esteri italiano San Giuliano scrisse agli ambasciatori italiani a Vienna e Berlino che l’Italia non avrebbe avuto obbligo di intervento se l’Austria avesse dichiarato guerra, dato il carattere difensivo della Triplice Alleanza. La Russia si schierò al fianco della Serbia, il 28 luglio l’Austria dichiarò guerra alla Serbia, la Germania lanciò ultimatum alla Russia e alla Francia e dichiarò guerra alla Russia, Vittorio Emanuele III spiegò in un telegramma al Kaiser Guglielmo II i motivi per cui l’Italia si sarebbe adoperata per la pace, facendo gli auguri più cordiali a lui e alla Germania, il Kaiser bollò come menzognere e impudenti tali affermazioni, e dichiarò guerra alla Francia, con l’intenzione di far varcare alle proprie truppe i confini del Belgio, che pure aveva negato il passaggio; all’ultimatum britannico di rispettare la neutralità del Belgio il Cancelliere tedesco dichiarava «I trattati non sono che pezzi di carta», segnando l’ingresso in guerra della Gran Bretagna contro la Germania.

Abbandoniamo il dòmino europeo delle dichiarazioni di guerra e torniamo a Croce dove si stavano svolgendo gli esami di III elementare: a tenerli, in luglio a Musile e in agosto a Croce, venne da Portogruaro il maestro Antonio Capitanio: lo apprendiamo da una richiesta di rimborso spese trasporto e diaria al Comune. La maestra Santina Berton alla fine dell’anno scolastico riceveva lire 20 per la pulizia delle scuole.

Il 9 agosto, in una lettera “segretissima” al presidente del Consiglio Salandra, il ministro degli Esteri San Giuliano ipotizzava l’ingresso in guerra dell’Italia a fianco dell’Intesa solo “quando si avrà certezza di vittoria”. Questo era un ragionar da intelligenti! Il compenso dell’Italia sarebbe stato il Trentino. Più intelligente ancora sarebbe stato pensare alla pace. Come se presentisse l’arrivo della catastrofe, il 20 agosto morì Papa Pio X: un grave cordoglio colpì la cattolicità intera, e in particolare le diocesi di Treviso e Venezia. Sincero fu il cordoglio che don Natale comunicò durante la messa ai parrocchiani. Il 5 settembre saliva al soglio Benedetto XV, Giacomo della Chiesa. Il 20 settembre gli interventisti democratici dimostrarono a favore della guerra, il giorno dopo, su indirizzo di Mussolini, i socialisti approvarono un manifesto contro la guerra e l’Osservatore romano scriveva: “Noi cattolici siamo per la neutralità e crediamo che sia un delitto contro la Patria quello di gonfiare la portata degli interessi italiani che possono essere danneggiati, solo per spingere il Paese in avventure dalle quali non potrebbe ritrarre che sventure nuove e nuove rovine”. Il generale Cadorna sollecitava il Presidente del consiglio Salandra a rinviare l’entrata in guerra dell’Italia perché l’esercito non era in condizioni favorevoli.

Nell’anno scolastico 1914-15 non c’erano più le maestre Vianello, sostituite dalla Simionato Anna (non sarà mica la sorella di don Natale?) e dalla Guidi (?) Maria; c’erano sempre la Santina Berton a Croce e la Ada Valle alla Fossetta.
Toni Sgnaolin cominciò a frequentare la I elementare: l’incontro con la maestra Berton gli lasciò un ricordo indelebile: un giorno che ebbe un piccolo attacco di tosse lei, con tutta la dolcezza del mondo, lo istruì: «Caro, quando si tossisce si mette la mano davanti alla bocca». Nessuno gli aveva mai insegnato l’educazione in quella maniera e Toni da allora se lo ricordò per sempre. Era buona la maestra Berton.

Il 12 settembre Cesare Battisti pronunciava un discorso a Torino, riportato il giorno seguente sulla Stampa: «Il Trentino è baluardo naturale dell’Italia. Il Trentino ha 14 porte verso l’Italia e solo una verso l’Austria. Noi vogliamo murata la porticina e aperte le 14 porte che danno nel giardino d’Europa. Così Trieste. È il porto del Levante. È il porto naturale delle terre liberate dal giogo turco, i nuovi granai d’Europa. D’altra parte se anche Trento e Trieste avessero da perderci che importa? Se anche Trieste dovesse divenire un nido di pescatori, lo divenga pure, ma unita all’Italia...» Fu un peccato che nessuno gli dicesse che avrebbe potuto dedicarsi alla scrittura di romanzi gialli.
Che pensava don Natale della questione di Trieste? Non sappiamo.
Sull’ “Avanti!” Mussolini, che in precedenza si era espresso a favore della neutralità, scriveva a favore dell’intervento in guerra. La direzione socialista respingeva la posizione di Mussolini redigendo un manifesto contro la guerra. Mussolini di dimetteva da direttore dell’ “Avanti!”

L’edicola per la tomba di famiglia di don Natale giungeva a compimento. Moriva il ministro San Giuliano e Salandra assumeva l’interim degli Esteri. Il 25 ottobre il paroco portò altri 59 bambini a cresimare a San Donà. Lo stesso giorno il Comune diede mandato di pagare 350 lire a Vendraminetto Regina per il fitto di scuola e alloggio per la maestra alla Fossetta relativo all’anno scolastico appena trascorso; e di pagare alla fabbriceria di Croce 120 lire “per il trasporto di cadaveri con la bara” nel 1914. Per bara si deve intende il carro funebre? La parrocchia di Croce doveva essere tra le più benestanti se poteva permettersi un carro funebre.

Due giorni dopo venne in canonica monsignor Carlo Carminati a ispezionare i registri parrocchiali. Il 31 ottobre Salandra si dimetteva in contrasto col ministro del Tesoro sfavorevole alle ingenti spese militari, ma il re gli affidava un nuovo incarico. Il 1° novembre papa Benedetto emanava l’enciclica Ad Beatissumi Apostolorum Principis Cathedram, contro la guerra.
Per qualche motivo e da qualche mese il sindaco Janna doveva essersi dimesso perché il nuovo sindaco (sicuramente dalla fine di novembre) era Sattin Vittorio, mentre Montagner Eugenio è il fabbriciere di Croce che il 9 novembre andò a riscuotere in municipio i soldi destinati alla fabbriceria per il trasporto dei cadaveri.

Il 20 novembre, sul Registro dei Morti, in costa alla registrazione della morte del padre, don Natale scrisse con penna rossa:

Nota. Li 20 (venti) Novembre 1914, ore 3 pomeridiane, venne fatta l’esumazione della Salma, e deposta nella tomba di famiglia in questo cimitero alla presenza del Paroco Simionato.


Case di Croce prima della guerra


(Ricostruzione a cura di Carlo Dariol)

1915. Abbandoniamo il balletto della diplomazia italiana e del governo Salandra con l’Intesa e con l’Alleanza, prendiamo atto dell’ordine dato i prefetti di vietare manifestazioni che mettessero in pericolo l’ordine pubblico, ossia quelle neutraliste, e delle prove evidenti dell’impreparazione italiana alla guerra (il ritardo nei soccorsi dopo il terremoto in Abruzzo ad Avezzano in provincia dell’Aquila, con 33.000 morti) e pensiamo ai soldati del Comune: la leva militare arruolata nel 1915, ossia i nati nel 1895, era costituita da 56 ragazzi: 2 erano calzolai (Giuseppe Cadamuro e Giorgio Muccelli), uno era fabbro (Luigi Umberto Bozzo), due i falegnami (Giovanni Alfier e Giovanni Fuser) un sarto (Giuseppe Salmasi) e due erano studenti (Giovanni Baron e Angelo Bizzaro). Gli altri erano contadini: numeri che non lasciavano intuire un aumento di istruzione generale: su 56, ben 26 firmarono con la croce.
Il 26 aprile fu firmato il Patto di Londra tra l’Italia e la Triplice Intesa: in cambio di Trentino, Tirolo fino al Brennero, Trieste, Gorizia, Istria, buona parte della Dalmazia, protettorato sull’Albania e possesso di Valona, le isole del Dodecaneso e alcune colonie tedesche in Africa, l’Italia si impegnava a intervenire entro un mese. E cominciarono i preparativi di guerra. Sulla ferrovia Mestre-San Donà-Portogruaro, che tagliava in due il paese, i crocesi videro passare centinaia e centinaia di treni carichi di uomini e di armi, diretti alla fronte, sull’Isonzo (lì dalle parti dove era nato don Natale) per una guerra che si sperava veloce. Cadorna otteneva il comando dell’esercito italiano e il 24 maggio (era giusto passato un mese) l’Italia dichiarava guerra all’Austria.
La contessa Rachele Sacerdoti, vedova inconsolabile, maturò la decisione di ristorare la propria anima dedicandosi all’assistenza dei feriti della guerra e si arruolò volontaria nella Croce Rossa.

Un cooperatore recriminante e verboso

In estate giunse a Croce come cooperatore don Luigi Susan, che si era lasciato convincere dai superiori ad accettare il trasferimento da San Donà con l’argomento che i redditi della parrocchia di Croce erano buoni anche per il cappellano. Don Susan non era avido, tuttavia aveva alcuni debiti che desiderava appianare.
Quando, agli inizi di ottobre del 1915, il vicario foraneo monsignor Carminati, nella sua consueta visita annuale alle parrocchie della forania, giunse a Croce, don Luigi lo avvicinò e lo investì dei propri problemi economici: sottolineò di essere solamente “ospite” e non cappellano di Croce e di non dovere pertanto al Paroco tutte le quote che questi gli chiedeva. Pregò il vicario foraneo di adoperarsi con don Natale per stabilire definitivamente quali fossero i reciproci doveri e diritti, in modo che anche le entrate del cappellano fossero chiare e certe!
Monsignor Carminati si fece inviare, da parroco e cappellano separatamente, un rapporto sulla faccenda per poter decidere con ragionevolezza e risolvere le questioni esistenti tra loro. La risposta di don Natale gli arrivò velocemente, quella di don Luigi tardò ad arrivare; ma il paroco volle investire della questione anche la Curia:

Ill.ma Rev.ma Curia Vescovile
di Treviso

Nell’occasione della visita annuale della forania fatta da Mons. Carminati, sono stato interrogato circa le condizioni economiche del Cooperatore, cioè quali siano i suoi proventi e i suoi obblighi.
I diritti del Cappellano sono le cerche frumento, granoturco, uva e fieno, assistenze, uffici, e piccoli incerti di stola dei morti. Io sono stato cappellano di Croce di Piave per vari anni, e tutto sommato i suddetti proventi di questua ecc. erano oltre mille lire; facendo poi osservare che il prezzo dei generi raccolti allora, valevano circa la metà di quel che valgono al giorno d’oggi.
Dalla fabbriceria locale non percepisce alcun provento.
Le messe festive sono di lire tre assicurate dalla cassa anime o fabbriceria; le messe manuali in via ordinaria hanno la elemosina di lire due, e sono sufficienti per lo più per tutto l’anno.
Dalla casa canonica ha vitto, alloggio e bucato.
Nulla compete alla servitù di canonica, ad eccezione di pochi centesimi al giorno per la custodia del proprio cavallo.
I suoi obblighi sono:
I°. Una cura diligente di compiere i doveri di cappellano.
2°. Di corrispondere al parroco, come fu sempre fatto, una lira al giorno.
Nelle attuali circostanze in cui il valore dei viveri è salito molto alto, il paroco domanda per vitto, alloggio e bucato del Cappellano lire 1.50, considerando inoltre che il parroco non percepisce il quartese, com’è noto a cotesta Illustrissima e Reverendissima Autorità ecclesiastica, che in piccole proporzioni, essendo questi fondi considerati novali.
Pertanto io sottoscritto paroco presento a cotesta Illustrissima e Reverendissima Curia Vescovile, per Monsignor Carminati Vicario Foraneo, il presente rapporto, e domando umilmente una risposta.
A lode del Sac. Luigi Susan, devo dire ch’egli presta volentieri l’opera sua pel maggior bene della parrocchia.
Con profondo ossequio
Croce di Piave
23 Ottobre 1915

Devotissimo Paroco
Don Natale Simionato

Poiché la questione era delicata la Curia l’avocò a sé e il vicario foraneo, in dubbio sul da farsi, fu ben lieto di cedere la patata bollente:

Reverendissimo Pro Vicario Generale,
In occasione della Visita Foraniale a Croce di Piave, accogliendo le istanze a voce fattemi dal M. R. Don Luigi Susan, ospite come dice, e non Cappellano di Croce, perché mi adoperassi col M. R. Arciprete Don Natale Simionato per stabilire definitivamente quali siano i reciproci doveri e diritti, consigliai il Parroco di Croce a dirigermi un rapporto e il M. R. Susan un altro rapporto per poter decidere con ragionevolezza le questioni esistenti tra loro. Il rapporto del Parroco l’ho ricevuto subito e non quello del Susan. Oggi il Parroco di Croce mi scrisse di far recapitare a codesta Reverendissima Curia il suo rapporto. Io sperava di poter combinare un ottimo “modus vivendi” senza recare noia ai Superiori, ma dal momento che la Reverendissima Curia chiama a sé il non facile accomodamento, non solo ricapito il rapporto del Parroco di Croce, ma sono contento di poter dichiarare ch’io me ne lavo le mani.
Con ossequi
Noventa di Piave 30 – X – 915

Devotissimo
Mons. Carlo Carminati

Le decisioni (o non decisioni) della Curia non lasciarono soddisfatto don Susan: qualche giorno dopo egli scrisse una lettera-fiume in cui diceva e contraddiceva, rivendicava i proventi in quanto cooperatore avendo invece specificato al vicario foraneo d’essere “ospite”, lamentava d’essere stato insultato come “pieno di debiti” confessando però di averli, dichiarava di non voler fare i conti in tasca al suo parroco stilando un resoconto economico delle entrate della parrocchia interessantissimo per stabilire l’ordine di grandezza delle cifre e degli introiti della parrocchia di Croce agli inizi della guerra.

Croce di Piave il 17 Novembre 1915

Reverendissimo Monsignore
venni a conoscenza che i Fabbriceri di Croce si sono presentati a Lei onde concretare a mezzo dei Superiori il giusto compenso dovuto a me sottoscritto per l’opera che presto in assistenza al Parroco di Croce. Secondo quello che mi hanno riferito i suddetti Fabbriceri Lei avrebbe loro risposto che io non ho mai riferito nulla ai Superiori su questo argomento. Ora dunque dò relazione dello stato della cosa a mio riguardo che i fabbriceri erano venuti a trattare con Lei ad insaputa del loro Parroco. Prima ch’io ricevessi l’ordine di recarmi a Croce quale assistente al Parroco locale, aveva da Don Vittorio Sala che quando il Parroco di Croce con insistenza pregava i preti di San Donà perché mi persuadessero ad accettare, i patti sarebbero stati buoni cioè vitto ed alloggio gratis dal Parroco, e dai parrocchiani sarebbero state opposte le questue di fieno, di frumento, di vino e di granoturco; se veramente si fosse mantenuta la promessa da parte del Parroco le condizioni sarebbero buone quindi accettabili. Con questa persuasione il 25 Giugno p.p. io mi recai a Croce a prestare il mio servizio sacerdotale in assistenza del Parroco che non mi fece mai cenno a quali condizioni doveva io assisterlo nella cura della sua faticosa parrocchia, quindi mi convinceva sempre più che le condizioni fossero quali mi furono notificate da Don Vittorio Sala che è disposto a testificare davanti ai Superiori quanto disse il Parroco di Croce e alla presenza di lui Don Vittorio e, pare anche alla presenza di Don Valentino Spigariol.
Ora avvenne che il 19 Ottobre p.p. io ho chiesto a questo Parroco l’imposta del frumento offerto dai parrocchiani a me nelle questua fatta a suo tempo e che il Parroco ha venduto senza parlare con me e a quel prezzo che credette tenendosi il danaro ricavato per parecchio tempo dopo fatta la vendita. Finché non aveva bisogno di danaro io non glielo ho domandato solo fui costretto a chiederlo per una urgenza. Con mia grande sorpresa mi diede una risposta che non immaginava: mi disse che nel tempo di circa quattro mesi non gli ho mai dato nulla e che pel vitto ha speso lui. Io soggiunsi che non aveva fatto alcun patto con me e che io era convinto che i patti fossero quali mi furono notificati e che se dovrò pagare il vitto si pagherà col vino e col granoturco e che intanto mi consegni l’importo del frumento (71 lire e 71 centesimi) poiché ho un impegno assoluto. Insistendo nella domanda sempre dimostrando il gran bisogno che aveva fece un’espressione che mi ha offeso assai: mi disse che Lei lo avvisato che io ho debiti e cause con avvocati e che egli non intende di pagare i miei debiti e che egli non ne ha. Fu una risposta offensiva ed ingiusta: io ho domandato ciò di cui aveva non solo diritto ma anche urgenza. Io poteva dargli una risposta da confonderlo, ma non l’ho fatto: poteva dirgli che è minor meraviglia il far debiti poiché si può esser costretti alle volte o per disgrazia o per inganni avuti di quello che ingannava il prossimo con falsificare il vino. Io ho sopportato l’offesa ma non ho offeso e procuro di conservare la buona armonia poiché io amo assai la pace e mi piego anche se ho tutta la ragione davanti a chi ha tutto il torto. La conclusione è che il Parroco del frumento non mi ha ancora consegnato, né mi consegnerà quello ricavato dalla vendita del vino e del granoturco e dice poi di più che non sà se basterà per compensarsi del vitto e dell’alloggio che ho in canonica. Se non viene giustamente composta la cosa dai Superiori, vede Reverendissimo Monsignore, la mia condizione a Croce non è secondo giustizia, io non avrò danari nemmeno per i miei bisogni personali e così pure mi manca ogni mezzo per soddisfare ai miei impegni che sono diminuiti assai da quando son partito da S. Giuseppe. A San Donà aveva elemosine di Messe quasi tutte di 3, 4, 5, 10 lire ed avevo degli incerti, qui in quattro mesi neppure un centesimo d’incerti. Gl’incerti pei Battesimi bambini, stola bianca, se li tiene il Parroco. Per l’assistenza alle officiature sia per le solenni come per le comuni niente mi fu consegnato, ma lasciamo là, chissà che in fine dell’anno mi venga consegnato qualche cosa, aspettiamo. Se niente avrò per le assistenze, allora tutto il danaro che spetta a me pel servizio che presto andrà nella borsa grande. Possibile che questo Parroco non riconosca che anche a me spetta un compenso pel servizio che presto in suo ajuto! Le confessioni di tutti i parrocchiani le ascolto io, l’istruzione dei giovanetti le faccio io, ogni giovedì percorro 16 chilometri per recarmi a celebrare la S. Messa nella frazione di Ca’ Malipiero ove ogni volta faccio l’istruzione ai giovanetti e giovanette, quasi ogni festa percorro 16 chilometri per recarmi alla suddetta frazione per celebrarvi la S. Messa, tenere la spiegazione del S. vangelo e fare l’istruzione ai giovanetti; al Parroco non domando che di lavorare, di aiutarlo il più possibile cercando pure di dargli meno peso possibile in canonica accontentandomi di tutto senza mai lagnarmi di nulla. Ma perché non ha da riflettere che il modo con cui mi tratta non è giusto? Ripetutamente il Parroco ha detto che non ha da farmi alcuna osservazione, non ha da far di me alcun lagno. Sfido io, anche questo ci vorrebbe! che mi facesse osservazioni che si lagnasse di me dopo tutto quello che faccio senza compenso relativo; in questo caso ho io da far osservazioni sul Parroco ho da lagnarmi di lui che non mi tratta come dovrebbe trattarmi.
Sull’adempimento dei doveri di sacerdote e sul mio contegno i Superiori non credano a me, ma s’informino per filo e per segno da più persone e vedranno che la risposta verrà data in mio favore.
Reverendissimo Monsignore, ricordo che anche Lei un giorno per convincermi ad accettare di portarmi a Croce ha detto che accettando avrei migliorato la mia condizione economica ed avrei avuto mezzi per soddisfare ai miei bisogni. Ora dunque che Le ho notificato che la mia condizione a Croce non è quale dovrebbe essere La prego della carità di adoperarsi affinché venga migliorato nella giusta misura. I Superiori hanno l’autorità e la forza per obbligare i loro soggetti a compiere i loro doveri come si conviene e se non lo fanno li puniscono.
Questa verità pur troppo io la conosco a mie spese. Io dai Superiori che adoperarono tutto il rigore e usarono in modo assoluto di loro autorità, fui costretto a rinunciare al beneficio parrocchiale e ridurmi sul lastrico, ora non adoprarono il loro rigore, non useranno della loro autorità, non per punirmi questa volta, ma per giovarmi. Non obbligheranno il Parroco di Croce con giustizia?
Non credano i Superiori che venga aggravato di troppo il beneficio parrocchiale di Croce obbligando il Parroco pro tempore a dare vitto ed alloggio al Sacerdote assistenziale.
Il Beneficio parrocchiale di Croce per attestazione del Parroco di Fossalta di Piave sotto un’aspetto è più grande di quello di S. Donà non avendo le spese che il Parroco di S. Donà deve sostenere.
Per attestazione di parrocchiani di Croce che sono in caso di avere sicura conoscenza, il Beneficio di Croce oltrepassa le 10 mila lire annue. E poi veggo io cogli occhi e tocco con mano che questo beneficio è grande assai. Quest’anno di solo vino si caverà un 6 mila lire: in cantina ci sono oltre 100 ettolitri di vino che il Parroco li può vendere anche subito per più di 50 lire l’ettolitro. Dal frumento in quest’anno ad onta del raccolto scarso ha ricavato dalla vendita circa 2 mila lire. Non so poi calcolare cosa si caverà dal granoturco che finora che pochi lo hanno portato ce n’è una quantità grande assai. Ha detto la verità il Parroco di Croce quando mi offese dicendomi che io ho debiti e che egli invece non ne ha. Ma noti che il mio Beneficio non dava che 900 lire all’anno, mentre quello di Croce dà oltre £. 9000 annue. Invece di far debiti col Beneficio di Croce si è al caso di comperare case e terreni come l’ha fatto questo Parroco a Torre di Pordenone. Tutto quello che ho riferito l’ho fatto per sicura conoscenza e l’ho fatto non per fare i conti in casa d’altri senza sapere come la sia, ma perché i Superiori non abbiano riguardi di obbligare il Parroco attuale di dare a me vitto ed alloggio gratis e lasciare per mio conto tutte le questue che i parrocchiani intendono che siano fatte per me.
Mi perdonerà, Reverendissimo Monsignore, se un’altra volta ancora l’ho annoiata con una lunga mia. Ho ritenuto necessario il riferir la cosa dettagliatamente onde i Superiori possano meglio regolarsi nel trattar l’affare.
In quest’incontro invio a V. S. Reverendissima inviando i più rispettosi saluti col più profondo ossequio e con perfetta considerazione

Devotissimo _ Obbligatissimo

Sac. Luigi Susan

Forse pensando di non essere stato abbastanza esaustivo e temendo di aver dato l’idea di essere alla ricerca disperata di denaro, cinque giorni dopo don Luigi spedì al vicario generale un’altra lunga lettera:

Croce di Piave il 22 Novembre 1915

Reverendissimo Monsignore
troppo mi preme che la nota questione venga risolta il più presto in mio favore poiché attese tutte le circostanze che accompagnano il fatto giudico che se sarà risolta a mio favore si sarà agito secondo giustizia. Benché abbia spedito a V. S. Reverendissima un’altra mia lunga prima della presente, pure giudico necessario esporre altre mie idee, fare altre riflessioni. Sotto un certo aspetto io [sono] servo del Parroco di Croce perché devo far quello ch’egli mi ordina ed è necessario di fare, ora io so che il padrone dà al suo servo pel servizio che presta vitto, alloggio e un compenso in danaro. Nel caso mio il Parroco di Croce obbligandomi a pagare il vitto ed alloggio avrebbe in me un servo che dopo di avere eseguito i suoi ordini, di averlo servito a sollievo delle fatiche che dovrebbe sostenere egli stesso, io suo servo sarei obbligato a dargli un compenso in danaro invece che io lo avessi da ricevere da lui questo compenso. Chi non vede che ha dovere il padrone a pagare il servo e non il servo a pagare il padrone? Il Parroco pretende da me poi il vitto ed alloggio 550 lire annue a fermare la qual somma non bastano le questue secondo che mia ha detto il Parroco stesso il 19 Ottobre pp quando si è trattenuto le 71 lire e 71 centesimi ricavate dalla vendita di 2 quintali di frumento. Quando ripetutamente gli ho chiesto la somma di mio diritto vedendo che non si risolveva a darmela gli ho detto che se devo proprio pagare il vitto ed alloggio potrà servirsi del danaro ricavato dal vino e del granoturco ed egli mi rispose che non sà se corrisponderanno e quanto corrisponderanno. Dunque non bastando a pagare il vitto ed alloggio la somma di tutte le questue con che devo pagare dopo[,] coll’elemosina della Messa? In tal caso io sarei privato dei mezzi necessari per i miei bisogni materiali, ma può essere giusto questo? Se il Parroco fosse ragionevole sapendo di godere uno dei Benefici più grandi della Diocesi, sapendo di avere bisogno assoluto di un prete assistente, vedendo che io godendo salute ed a salute forte non domandando che di lavorare gli reco molto sollievo nelle fatiche del ministero parrocchiale, non avrebbe dovuto nemmeno far nascere la questione. Avrebbe dovuto mostrarsi con me ragionevole usando con me la convenienza o meglio, giustizia ed anche generosità. Invece obbligandomi a pagare oltre che avere da me un grande ajuto nella cura della parrocchia, avrebbe anche da [me] un vantaggio materiale; quando son molte persone in una famiglia un più, un meno per la spesa aumenta si può dire in modo insensibile e le 550 lire ch’io dovrei esborsare sarebbero quasi del tutto guadagnate dal Parroco locale. Io non ho invidia niente affatto perché si è formato una comoda e ricca condizione, ma viva lui e lasci che viva anche chi lo serve e lo ajuta il più che può. Io non domando che di lavorare perché so che il Parroco ha degli acciacchi non indifferenti, ho desiderio di essere occupato il più possibile anche perché così non ho tempo di pensare alla mia infelice condizione. Confido che come i miei Superiori furono inesorabili con me in guisa che sono ridotto nello stato che già conoscono al pari di me cioè privo di ogni beneficio che mi potesse offrire quanto mi è necessario a vivere con decoro conveniente, confido dico, che ora con premura paterna si adopereranno a migliorare la mia condizione anche perché abbia mezzi di soddisfare al resto dei miei impegni. Qui sono amato e stimato da questi buoni parrocchiani perché sono riconoscenti di quello che io faccio per loro, quindi per intanto non ci penso di essere ancora sbalestrato in altro paese in così poca distanza dall’ultimo trasloco da S. Donà a Croce. Prego dunque i miei Superiori che si muovano a compassione di me e a titolo di carità domando si adoperino a mio favore. Con profondo ossequio invio i miei più rispettosi saluti. Devotissimo Obbligatissimo Sac. Luigi Susan

P.S. Non si creda che ci sia attrito tra me e il Parroco locale, siamo in perfetta armonia, io faccio l’indifferente e dal 19 Ottobre p.p. né io né il Parroco abbiamo più parlato sull’argomento già noto.

Sac. Luigi Susan

Al termine della lettera don Luigi rilesse tutto quel che aveva scritto e nello stretto spazio tra l’ultima frase e la firma inserì, in caratteri più piccoli, la seguente frase:

“Il modo di agire del Parroco verso di me anziché rabbia mi desta compassione”

Chissà quali erano gli acciacchi di cui soffriva don Natale, dato che la tradizione tramanda di lui l’immagine della salute. Comunque la guerra ebbe il sopravvento sulla vita dei civili: Toni Sgnaolin, che era riuscito a frequentare anche i primi due mesi di seconda, dovette abbandonare la scuola.
Le battaglie sull’Isonzo si rivelarono una carneficina. Dai comandi militari cominciarono ad arrivare lettere destinate al sindaco e al parroco annuncianti il cordoglio per la morte di qualche soldato, con le condoglianze e bla... bla... bla... : si invitavano le due autorità a comunicare la notizia ai familiari della vittima. Il sindaco, o un messo comunale, giungeva in canonica dal parroco e al parroco toccava la penosa incombenza di bussare alle porte delle case, dare la temuta notizia e offrire la prima consolazione: «Pensé sol che’l gà fato el so dover».
I morti di Croce di quell’anno, registrati da don Natale su di uno speciale quadernetto furono nove:

REGISTRO SOLDATI MORTI E DISPERSI
NELLA GUERRA ITALO – AUSTRO – UNGARICA

dall’anno 1915 all’anno ...

1915

1. Antoniazzi Pietro, morto il 22 novembre 1915.
2. Bortoletto Giuseppe, morto il 6 novembre 1915.
3. Bortoletto Antonio, morto il 25 luglio 1915.
4. Crosera Giuseppe, morto il 20 novembre 1915
5. De Zotti Pietro, disperso dal dicembre 1915. Aveva 4 figli.
6. Rusalem Timoteo, morto nell’ottobre 1915. Con figli 3.
7. Montagner Francesco, disperso dal 30 luglio 1915.
8. Salgarella Vittorio, morto il 29 ottobre 1915. Aveva 3 bambini.
9. Salgarella Agostino, morto il 20 novembre 1915. Aveva 3 figli.

Il fatto che i cognomi dei soldati morti risultino in ordine alfabetico indica che don Natale non registrò i decessi man mano che ne ebbe contezza ma tutti insieme alla fine dell’anno.

12 dicembre 1915: morte di Reina Guseo
“che cadde dall’altalena”

Nell’osteria che aveva messo in piedi, tra la casa di Scantamburlo e quella dei Pittana (D’Andrea), osteria-casuin-rivendita che faceva concorrenza a quella del cugino Eliseo, Attilio Guseo aveva installato un organetto, da un lato perché era un amante della musica (era un baritono che aveva cantato anche alla Fenice in gioventù) dall’altro perché la musica richiamava clienti. Era un peccato che avesse dovuto smettere con gli studi di musica perché era davvero dotato: era uno che sapeva intrattenere tutti con la sua voce “che faceva tremare le stoviglie”, dicevano i parenti, e che in quattro e quattr’otto sapeva mettere in piedi una festa con canti e balli. Ma, sposata la Antonia, “Tonina”, e messa su famiglia, aveva dovuto scegliersi una professione. Dopo esser stato falegname come il padre, aveva aperto quell’osteria in cui d’estate vendeva anche le granatine. In quella domenica di metà dicembre in cui, come tutte le domeniche, la moglie era andata a messa, perché era molto religiosa “Tonina”, lui, socialista che non frequentava messa, era rimasto a casa coi tre figli. La piccola di tre anni e mezzo stava giocando con l’amica “Bisetta” (Pittana), e lui le teneva d’occhio; uno degli altri figli reclamò qualcosa, forse la colazione, e lui si assentò un momento per andargliela a preparare; in quell’intervallo di tempo le due amichette legarono una cordicella dalla maniglia dell’organetto a un altro appiglio, per dondolarsi, e si sedettero sulla corda (ma chissà se era possibile) e si rovesciò l’organetto sulla testa della bambina che rimase tramortita. La mamma che usciva di messa si ritrovò le comari attorno, come in una sceneggiata napoletana che tentavano di distrarla, «Tonina, vieni con noi, vieni con noi» le dicevano, per non farla entrare a casa, per scansarla dallo spettacolo della bambina morta.

1916

La vita procedeva. Il 24 febbraio don Natale accompagnò 137 bambini a cresimare a San Donà. La guerra si mangiava i giovani (l’11 maggio la quinta battaglia dell’Isonzo) e la vecchiaia i vecchi. E tra questi ci fu Maria Leban, l’adorata madre di don Natale:

Li 7 marzo 1916
N. 10 Leban Maria fu Andrea e fu Cociancec Catarina, nata a Podgora di Gorizia li 7 ottobre 1838, moglie di fu Vincenzo Simionato, d’anni 78, confessata, comunicata, e ricevuta l’estrema unzione con la benedizione papale assistita dal figlio Don Natale Paroco locale, dalla figlia Anna e nipote Maria, è morta placidamente in questa canonica li 5 (cinque) Marzo 1916, ore 7 pomeridiane, giorno di Domenica.
La Salma fu tumulata oggi 7 (sette) Marzo 1916, giorno di Martedì, ore 9 antemeridiane con messa solenne, essendo celebrante il M.R. D. Giovanni Gallina Paroco di Fossalta di Piave, e assistenti quattro Sacerdoti di S. Donà, Noventa, Musile nella tomba di famiglia in questo cimitero.
Don Natale Simionato Paroco

Sul margine del foglio aggiunse, in evidenza:

“Requiescat in pace”.

La salma della madre fu tumulata vicino all’edicola che due anni prima don Natale aveva fatto costruire per il padre. Il I aprile il paroco fece richiesta al Comune di licenza per ampliare la tomba dov’era sepolto il padre, in modo che i genitori potessero riposare sotto un’unica edicola.
Così rispose la Giunta:

N° 435 di Protocollo

Comune di Musile

La sottoscritta Giunta Comunale radunatasi il 20 Maggio 1916 presenti i Signori
Sattin Vittorio Sindaco
Gradenigo Conte Pietro Assessore effettivo
Janna Cav. Don Vincenzo “ “ S
ilvestri Nicolò “ “
Montagner Giuseppe “ supplente
assistita da Segretario Sig. Saladini Natale

Vista la domanda in data 1 Aprile pp del Sig. Don Simionato Natale Parroco di Croce di Musile diretta a conseguire l’uso della Concessione in perpetuo di un nuovo appezzamento di terreno di m. 1.30 x 2.30 nel Cimitero di Croce per uso tomba di famiglia intendendo ampliare verso ovest la tomba concessagli per il defunto suo padre giusta atto N° 446 delli 6 Marzo 1914_ e ciò allo scopo di acquisire il diritto per la concessione in perpetuo della tomba della propria Madre Liban Maria morta il 5 Marzo pp. collocata accanto alla tomba del padre suddetto.
Ritenuto che il Don Simionato Natale à versato in cassa Comunale l’importo di Lire 80 Ottanta giusta bolletta Esattoriale N° 21 del 19 Maggio corrente, e cioè lire 40 per tassa di Sepoltura in terra a perpetuità, e lire 40 per tassa di collocamento del feretro della propria madre nella tomba del padre – pel quale vennero già versate lire 48 in cassa Comunale giusta Bolletta Esattoriale N° 41 delli 30 Ottobre 1914.
Ritenuto che il Comune non dovrà sottostare ad alcuna spesa per manutenzione e conservazione delle tombe ed edicole – le quali dovranno essere sostenute totalmente dal Concessionario, anche nel caso che detti lavori venissero fatti eseguire immediatamente per ordine del Municipio –

Delibera

di concedere l’uso in perpetuo di un appezzamento di terreno di M. 1.30 x 2.30 nel Cimitero di Croce di Musile al Sig. Simionato Natale da adibire ad uso esclusivo per tomba di famiglia, e ciò fatto la piena osservanza delle disposizioni tutte contenute nel Regolamento per Cimiteri di questo Comune in data 27 Agosto 1905 N 20

La Giunta Comunale
Sattin
Gradenigo Co. Pietro
Janna Cav. Vincenzo
Silvestri Nicolo

N. Saladini Segretario

o – o – o – o

Il 28 maggio, dopo lo sfondamento austriaco sull’altopiano di Asiago, Cadorna faceva fucilare alcuni soldati del 141° fanteria “rei di aver ceduto”; il giorno dopo, il ministro della guerra Morrone, relazionando al Consiglio de ministri l’incontro avuto con Cadorna, comunicava che se l’Austria avesse attaccato sull’Isonzo, le forze italiane avrebbero ripiegato sul Piave.
Nel portare a due genitori del paese la notizia dell’ennesimo morto in guerra, colpito da una granata, il paroco doveva cercare leparole più consolanti: «Pensé che ’l gà fato el so dover. E che no ’l gà soferto...» Questo sempre gli chiedevano i familiari, se’l gavesse soferto, e invariabilmente don Natale rispondeva: «I me gà dito de no, che ’l é morto sul colpo. Preghémo».
L’infelice andamento della guerra provocò una crisi politica: cadde il governo Salandra e gli successe il governo Boselli. Tra il 10 e il 12 ottobre fu combattuta l’ottava battaglia dell’Isonzo.
Il 23 don Natale portò 37 ragazzetti a cresimare a Noventa, novelli soldati di Cristo.
Diciassette furono i crocesi morti in guerra quell’anno 1916, registrati sul triste quadernetto:

1916

1. Cappelletto Luigi, con 2 figli minorenni. Morto il 18 novembre 1916.
2. Diral Pompeo, morto il 28 agosto 1916.
3. Fornasier Carlo disperso dal 16 ottobre 1916.
4. Forcolin Luigi, morto il 16 ottobre. Con 4 figli minorenni.
5. Guseo Giuseppe, con bambini 4. Morto il 13 agosto 1916 per asfissia.
6. Gerotto Giuseppe, con una figlia minorenne, morto il 26 marzo 1916.
7. Grandese Eugenio, morto il 16 dicembre 1916.
8. Montagner Amedeo, morto il 18 settembre 1916.
9. Ormenese Nicola, morto il 7 agosto 1916.
10. Pasini Giosuè Guglielmo disperso prigioniero a Matausen li 6 agosto 1916.
11. Rossi Antonio, morto nell’affondamento della nave li 8 giugno 1916.
12. Rossetton Luigi, con 5 figli minorenni, come da notizie pervenute alla famiglia dalla Nob. Contessa Rachele Sacerdoti-Gradenigo e da testimonio oculare casellante di Croce.
13. Sperandio Valentino, con figli 4, morto per bomba asfissiante li 4 agosto 1916 sull’Isonzo.
14. Zusso Vincenzo morto il 3 marzo 1916 sul Santa Lucia di Gorizia
15. Zanco Pietro, prigioniero in Austria a Matausen, morto il 20 febbraio 1917.
16. Montagner Giovanni con figli 3 minorenni, morto il 16 gennaio 1916.
17. D’Andrea Osvaldo, morto sul Trentino nel luglio 1916

La registrazione in ordine alfabetico mostra che a fine dicembre le notizie certe riguardavano i primi 14. A riordinarli in senso cronologico si può dedurre in quale battaglia erano morti. Le notizie della morte degli ultimi tre arrivarono nel ’17, ma le riportiamo qui, esattamente come le scrisse don Natale.
Il 21 novembre moriva anche l’imperatore Francesco Giuseppe. S’era definitivamente chiusa un’era.

1917

In marzo insorgeva la popolazione di Pietroburgo, fiaccata dalla fame e dalla guerra, lo zar abdicava, in aprile Lenin rientrava in Russia nel “vagone piombato” che la Germania gli aveva messo a disposizione.
A metà maggio Cadorna dava il via alla decima battaglia dell’Isonzo, questa volta concentrando l’attacco in un breve settore del fronte, sul terribile Carso, in tre settimane gli italiani lasciarono sul terreno, fra morti e feriti, 130 mila uomini. L’Austria proponeva all’Italia il Trentino e una zona di confine lungo l’Isonzo in cambio di una colonia, ma gli alleati rifiutavano. Si ammutinava la Brigata Catanzaro e ne seguivano le decimazioni. Il morale era così scosso che Cadorna pensò di scatenare una nuova offensiva: gli Italiani conquistarono la vetta dell’Ortigara ma vi arrivarono così stremati che al primo contrattacco nemico la ripersero. In agosto Cadorna comandò l’undicesima battaglia dell’Isonzo, la più massiccia, con la conquista del Monte Santo e parte dell’altipiano della Bainsizza, ma procurava un’altra carneficina: in pochi giorni gli italiani avevano perso 100 mila uomini.
Nelle varie battaglie gli Austriaci avevano annientato col gas interi battaglioni di italiani: a Sdràussina, paese natale di don Natale, morirono più di 5000 soldati italiani, da riempire tre cimiteri. Il generale Cadorna ordinava la sospensione degli attacchi e si preparava alla “difesa ad oltranza”.
Le notizie circolavano come le facevano circolare i giornali, istruiti da Cadorna. Il mistero della tragedia aleggiava senza che nessuno in paese ne afferrasse i contorni.
Il 20 settembre 1917 l’economo della Curia di Treviso, il sacerdote salesiano Valentino Spigariol, venne a ispezionare i conti della

Parrocchia
di
Croce di Piave

§ I° Chiesa.-
1°_ a) La chiesa trovasi in ottime condizioni statiche. b) così pure le adiacenze.
2°_ C’è intenzione di dare l’intonaco alle pareti esterne appena cessate le condizioni presenti.
3°_ Da sole offerte dei devoti.
4°_ Ogni anno si raccolgono in media circa £ 2000.00 .
5°_ b) al Nonzolo £ 120.00 annue_ al campanaro £ 25.50_ all’organista £ 168.00_ Ai cantori £ 60.00 c) per assicurazione della Chiesa £ 13.60_ Per cera e olivo £ 140.00 circa.
6°_ I Registri della Fabbriceria sono tenuti nella massima regolarità e precisione.
7°_ L’ultimo consuntivo approvato risale all’anno 1908. (V. allegato)
8°_ La Cassa della Fabbriceria è presso il R.mo Parroco che la custodisce colla massima cura e se ne rende responsabile._
9°_ Lo stato della Fabbriceria al 31 dicembre 1916 era:
Entrate £ 3047.35 _ Uscite £ 1401.44 _ Civanzo £ 1645.91
Nell’esercizio 1917 però trovasi la correzione di un errore avvenuto nel 1916 _ per cui l’entrata veniva ad essere registrata superiore alla realtà per £ 89.76 e l’uscita di altrettanto inferiore.
10°_ Negativo
11°_ Negativo
12°_ V. N. 11
1912 Entrate £ 1188.60 Uscite£ 1086,17 Civanzo£ 102.43
1913 568.58 555.5310.05
1914 709.19 524.40184.79
1915 773.51 538.15235.36
1916 1117.15 490.60626.50

NB La oscillazione della cifra delle entrate dipende dall’abbondanza o meno della raccolta, secondo la quale si regolano i fedeli nel fare la grande offerta nella quarta domenica di Quaresima.

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§ II° Confraternite e Pie Unioni
1°_ Esiste la Confraternita della B. V. del Carmine e il Terzo Ordine Francescano.
2°_ La Confraternita della BV. del Carmine conta approssimativamente 2000 (duemila) iscritti; i quali contribuiscono £. 0.10 . Col ricavato si sostiene la festività e il resto va devoluto alla Fabbriceria a bene della Chiesa, perciò non havvi registrazione separata.
Il Terz’Ordine conta dal 1910 circa una settantina di Confratelli, che si mantennero sempre in egual numero.
La Cassa del terz’Ordine comincia col 1910- Attualmente in Cassa £. 37.47 .

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§ III° Beneficio Parrocchiale
1°_ La Canonica trovasi in buone condizioni statiche; e così pure le adiacenze.
2°_ a) C’è qualche piccolo bisogno di manutenzione ordinaria. b) nessuno di manutenzione straordinaria. Da notarsi che la canonica è di proprietà del Municipio che deve pensare alla manutenzione straordinaria. Il Parroco ne gode l’uso coll’onere di pagare la tassa sul fabbricato e sostenere le spese di manutenzione ordinaria.
3°_ Il beneficio è costituito da:
a) Cartelle di Rendita
1° Cert. N° 179.234 rendita annua £. 7.00 dopo il 1912
2° Cert. N° 676.026 “ “ 24.50 “
NB. I° Le predette cartelle provengono da indennità per occupazione di terreno per l’ingrandimento dell’argine del Piave.
II° Le frazioni delle suddette indennità sono depositate in due libretti della Cassa di Risparmio per l’ammontare di £. 100 e pochi centesimi. Sarebbe perciò opportuno come già suggerito all’Investito di investirle in una nuova cartella.

c) Il Beneficio possiede inoltre una chiusura di Pertiche censuarie 17.24 . Sui redditi di detta chiusura gravita l’onere di provvedere l’olio per la lampada del Santissimo, onere che fu sempre ottemperato, in seguito a richiesta della Reverendissima Curia 10 – 11 – 915, il Parroco rispose in data 19 – 11 – 1915.
Il Beneficio gode ancora l’usufrutto di un brolo adiacente alla Casa Canonica di proprietà del Municipio di pertiche censuarie 3.50; deve l’Investito pagare le prediali.
4°_ a) Per Tassa nel 1916 £. 481.55. Per cera nel 2 febbraio £. 90_ Per pranzi N° 2 £. 118.60_ Per l’olio della lampada del Santissimo (v. § III – 2°, c)) £. 100.00_ Quando c’è il Cappellano, vi sarebbe l’obbligo di dargli £. 78.35 ogni anno. attualmente l’Investito si fa assistere da un Religioso dal sabato alla domenica, al quale oltre al vitto dà circa £. 500.00 all’anno.
5°_ Negative.
6°_ Vi è diritto di quartese, però effettivamente ora può riscuotersi soltanto sui fondi vecchi. Sui fondi nuovi che costituiscono circa due terzi della superficie totale della Parrocchia è contestato il diritto. Qualcuno del resto dà come offerta qualche contribuzione. Sui fondi vecchi nessuna contestazione iniziata dal Comm. Costante Gris come vedesi fatto a Dese nella tenuta Treves ma il parroco qui sì è opposto. in media di frumento quintali 15 – di granone quintali 50 – di vino hli 60 (compresa la chiusura)
7°_ Non è tenuta registrazione del quartese ma solo conservata la specifica colle quali i contribuenti accompagnano il genere.
8°_ In Canonica sono state spese £. 5000.00 per rialzo e restauri. La spesa è stata sostenuta fra l’Investito e il Municipio.

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§ IIII° Beneficio Parrocchiale – Allegato
Stato attivo e Passivo del Beneficio Parrocchiale di S. Croce in Comune di Musile, conferito al Sacerdote Don Natale Simionato, cui venne con Bolla 15 luglio 1898.
Attività
Prodotto terreni (fitto) £. 200. -
Prodotto del Quartese “ 1200. -
Interessi di Rendita sul Deb. P. “ 10. -
Totale “ 1410.00
Passività
Imposte dirette £. 237.44
Tassa di manomorta “ 77.76
Ricchezza mobile sul pert. di Mend. “ 2.56
Cera nel 2 febbraio “ 68.88
Pranzi A 2 “ 118.08
Olio per la lampada “ 86.10
Al Cooperatore “ 78.35
Totale “ 668.61
Rendita netta £. 741.29

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§ V° Cappellania
Non c’è casa per Cappellano, il quale quando c’è abita in Canonica.
Il Cappellano ha diritto alla Questua, il cui ammontare è di circa £. 1200.00 all’anno.
Inoltre al Cappellano il Parroco deve £. 78.35.

Croce di Piave 20 – 9 – 917

Sac. Val. Spigariol

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Era la foto poco prima della tragedia. Il delegato visionò anche i registri parrocchiali e il quadernetto dov’erano registrati i soldati crocesi morti in guerra. Quell’anno, fino al momento in cui il delegato vescovile appose il suo visto, i caduti erano i seguenti:

1917

1. Cadamuro Vincenzo con figli 5 minorenni, morto il 22 maggio 1917.
2. Rossi Giovanni, morto il 18 giugno 1917 sul promontorio di Asiago .
3. Barbieri Giuseppe, con 6 bambini minorenni, morto il 27 giugno 1917 in seguito a ferite.
4. Tonetto Primo, morto il 6 agosto 1917 in ospedale da campo nel Carso.
5. Cattai Giovanni, morto il 12 agosto 1917 in ospedale da campo presso Gorizia.

Visto nella visita straordinaria
Sac. Val. Spigariol Delegato vescovile

Il 25 settembre don Natale portò altri 94 tra ragazzetti e ragazzette a cresimare a San Donà. Il mese successivo aggiunse l’ultimo nome che compare sul quadernetto dei morti di guerra, prima che ogni registrazione divenisse impossibile:

6. Fornasier Giuseppe-Francesco ferito sul Carso a Vertorba, morto il 19 agosto 1917, come da notizie spedite dal Cappellano della Croce Rossa alla Nob. Contessa Rachele Sacerdoti Gradenigo in data 10 ottobre 1917 per la famiglia Fornasier.

Caporetto

Al fronte stava per consumarsi il dramma. Il 24 ottobre gli austro-tedeschi iniziarono un’offensiva nei pressi di Caporetto, a fondovalle anziché sulle cime, sorprendendo i comandi italiani e facendo saltare i collegamenti tra i reparti; i generali italiani si ritrovarono impreparati alla bisogna, la II Armata si trovò nel caos, le truppe italiane, prese alla sprovvista, si sfaldarono, si disfecero, si lanciarono in ritirata, la ritirata divenne rotta, l’esercito italiano lasciò nelle mani del nemico una quantità impressionante di armi e munizioni, intere popolazioni, alla vista dei soldati in fuga, abbandonarono in fretta le case, e militari e civili si confusero in una marea umana in fuga dalla guerra; martedì 28 ottobre la fiumana di profughi proveniente dalle zone del Tagliamento, della Livenza, in disordine e senza meta, cominciò a riversarsi sul Piave.
A San Pietro al Natisone era stato gravemente ferito Antonio Boccaletto, abbandonato agonizzante dai suoi compagni di reparto. Pierina Chiagig, una ragazza slovena che viveva praticando il contrabbando e attraversava sovente il confine, lo vide in fin di vita e lo soccorse. Lo portò a casa sua e lo curò. Accadde durante la rotta di Caporetto o era già accaduto in occasione delle battaglie precedenti? Non lo so, ma sapremo più avanti come continuerà la loro storia.

I generali, nel tentativo di recuperare “la” fronte, pensarono solo per un attimo di attestare l’esercito sul Tagliamento, ma da subito il Piave apparve più sicuro. Alla Conferenza Interalleata di Rapallo i generali francesi e inglesi, sulla carta delle operazioni, proposero di stabilire il nuovo fronte addirittura sul Mincio, lasciando il Veneto (e Croce) agli Austriaci, come prima del 1866, ma Vittorio Emanuele III puntò il dito più a est, sulla linea del Piave: «Ci fermeremo qui!» disse, riferendo la decisione dei suoi generali. Il Veneto era costato così tanto alla dinastia... e non si poteva abbandonare Venezia, unico porto dell’alto Adriatico, in mano agli Austriaci. Dopo accesa discussione l’accordo fu raggiunto sulla rimozione di Cadorna, che fu “promosso” a una inutile Conferenza Interalleata; gli subentrò Diaz, che non era nemmeno Generale d’Armata ma era massone come il nuovo Ministro della Guerra. E gli fu affiancato come vice Badoglio, massone anche lui.

Mentre l’esercito si riorganizzava nella cosiddetta “battaglia d’arresto”, per giorni e giorni i contadini di Croce videro passare per le strade e per i campi soldati smarriti, uomini sui carri o a piedi, famiglie intere cariche di fagotti o senza nulla, per giorni e giorni. Gli abitanti di Croce non avevano mai visto tanta gente tutta in una volta!
Poi arrivò l’ordine di sgombero dall’Autorità Militare Italiana e anche gli abitanti del paese dovettero allontanarsi, partire profughi. Secondo notizie ufficiali il 6 novembre cominciarono a partire i primi profughi. Così ricorda Ferdinando Bortoletto la partenza improvvisa dalle Case bianche:

Nell’ottobre 1917 dovemmo partire profughi di guerra. Mollarono l’acqua, cioè ruppero uno dei “manufatti” [=idrovore]. Mia madre era incinta al nono mese. Mio poro barba Cencio e l’altro suo amico venivano su per lo stradone, non c’era allora strada, arrivarono fin da Bincoletto e trovarono un ufficiale che gli chiese dove stessero andando e li invitò ad andare via subito ché c’erano i tedeschi di là del Piave. I due tornarono indietro, la famiglia caricò tutto il possibile sui quattro carri che avevamo, tirati dalle bestie, e andammo verso le Porte [=Portegrandi], dove tutto era proprietà di Camarotto. Mia madre partorì. Rimanemmo lì tre giorni. Tutto ci fu requisito, carri e bestiame, niente più da mettere indosso. Lì morì la Sunta, di tre giorni, per il freddo. Dalle Porte andammo a Mestre in treno. A Mestre rimanemmo due giorni per fare carte. Avevo due zii via militare; mio padre doveva operarsi un’ernia e così, grazie alle conoscenze degli zii, poté rimanere a casa. Poi ricevemmo la destinazione, che era Ascoli Sartiano in provincia di Foggia; due giorni di viaggio e finimmo a vivere dentro un magazzino dove stavano altre due o tre famiglie, un magazzino per le bestie e il foraggio.

Altri partirono per Ferrara, per Parma, o ancora più a sud, verso Napoli e Salerno; molti arrivarono in Sicilia.
L’esercito asburgico era intanto giunto sulla sinistra del Piave e lì, lungo l’argine, stava piazzando i suoi cannoni e le sue mitragliatrici. Da Croce già si avvertivano le esplosioni, il paese stava diventando un tremendo…

...campo di battaglia

Don Natale resistette fino all’ultimo. Poiché l’anagrafe del Municipio di Musile andò subito distrutta, il prefetto chiese ai parroci del Comune di mettere in salvo i registri parrocchiali.

La mattina del 9 novembre, dopo che alle cinque fu fatto saltare il ponte ferroviario, don Natale e la sorella, caricati sul calesse i registri di Croce e quanta più parte delle suppellettili sacre, si diressero verso Meolo, alla stazione del treno, dove già era affluita una quantità incredibile di gente, famiglie intere che vociavano e urlavano e nessuno che sapesse bene cosa fare. Abbandonata la cavalla col calesse nella piazzetta della stazione, dove altri animali giacevano abbandonati al loro destino – sarebbero stati a breve requisiti dai militari – paroco e sorella caricarono i “bagagli della parrocchia” sul treno e partirono alla volta di Zelarino, dove i conti Gradenigo di colà, parenti di quelli di Croce, li avrebbero ospitati. Alle undici veniva fatto saltare il ponte stradale quando già le armate austro-ungariche entravano in San Donà.
Il 10 novembre don Natale celebrò la messa a Musestre con le lacrime agli occhi e “confermò le Sacre Patenti”, cioè rinnovò le proprie promesse di prete in vista della grande prova. Il 15 era ancora a Zelarino, come confermava un resoconto inviato al vescovo il 25 novembre dal cappellano militare Giuseppe Casonato:

Ritornai in bicicletta, non a san Donà già occupata, ma a Musile il giorno 15: avevo sentito che tutto a San Donà era stato distrutto. Volli andare a fare la verifica, e sotto i colpi di cannone giunsi fino a villa Sicher di Musile: la chiesa di Musile fu dalle granate nemiche rovinata in gran parte; così la cuspide del campanile fino alla cella campanaria. Sull’argine di Musile si trovano i nostri, su quello di San Donà gli altri. Di San Donà vidi ancora in piedi la chiesa, il municipio e diversi altri palazzi più emergenti. Pranzai dal parroco di Losson, deciso di fermarsi sul posto; vidi intatta la chiesa e il campanile di Croce: il parroco di Croce si trova a Zelarino.

Ma nei giorni successivi don Natale fu costretto ad abbandonare anche Zelarino e partire con la sorella alla volta di S. Lazzaro Parmense.
I Paludetto, i Guseo (e quanti altri?) arrivarono fino alla Sicilia. Lì la Tonina, moglie di Attilio, giunse con tutta la prole. Affranta. Toccò alla secondogenita Elisa(betta), di appena dodici anni sostenerla, ché lei era devota ma un poco fragile di carattere. Elisa aveva 4-5 fratelli cui badare, uno più vecchio di due anni, Antonio, e gli altri più giovani e doveva lavorare per tutti. Finirono a lavorare presso una famiglia nobile per sbarcare il lunario, là era come qua a Croce, poche famiglie di proprietari terrieri, ricchi sfondati, possedevano tutti e lei andava a tener loro la bambina e doveva lavarle la roba; “Quanta m... che ho lavà” avrebbe sempre raccontato alle figlie. In senso metaforico e letterale.

Sotto le nuove direttive l’esercito italiano venne riorganizzato, lo sforzo della Patria per garantire rifornimenti all’esercito e i ricambi in prima linea fu senza precedenti (tutto nella Prima Guerra Mondiale fu senza precedenti, l’intera Prima Guerra Mondiale fu senza precedenti!), la linea del Piave tenne, sanguinosamente, valorosamente, miracolosamente, e si preparò a sostenere la probabile offensiva austro-ungarica della primavera successiva.

1918


Foto aerea scattata dalla FliegerKompanie il 18 marzo 1918.
Mostra la zona di Croce di Piave là dove la Strada matta - o Strada della matta
si innesta sulla strada sopra l’argine della Fossetta.
Si noti Casa Franceschini che di lì a poco diventerà sede della Croce Rossa.

Per tutto l’inverno e la primavera piovvero granate. Il paese era zona militare e fu attraversato in lungo e in largo dalle camionette dei soldati.

Dobbiamo al capitano Ettore Borghi questa foto di Casa Montagner, quasi alla fine dell’attuale via Morosina (allora strada che metteva alle paludi Vendramin).


Al medesimo Borghi dobbiamo la foto del Capitello di sant’Antonio presso il bivio di Casa Gradenigo.



Dietro il capitello si vede Casa Gradenigo già colpita dalla guerra, ma non ancora ditrutta come sarà di lì a poco.
Si notino i cartelli stradali che indicano le località di San Michele del Quarto (oggi Quarto d’Altino) lungo la provinciale (attuale via Croce) e la direzione per Treviso (lungo l’Argine San Marco)

Il paese era alla mercé dei militari.

In qualche imprecisato momento il forno dei Calderan risultò occupato dai soldati per dar da mangiare all’esercito.
Cortellazzo era presidiata e mio nonno Nanei [Primo Granzotto] che era impresario di Croce andò a costruire tutti i fortini lungo la riva di Punta Sabbioni, tutti i pozzetti antisbarco, e là infuriò la guerra; e vennero a bombardare anche il forno dei Calderan.
[dai ricordi di Silvio Calderan]

Nella prima metà di maggio la pianura friulana formicolava di truppe e sul Tagliamento e sul Livenza i reparti si esercitavano al passaggio dei fiumi. Nelle scaramucce di fine maggio gli italiani stabilirono una testa di ponte a Caposile. Lì morì il Tenente Pellas.

LA BATTAGLIA DEL SOLSTIZIO
(VISTA DA CROCE)

(clicca QUI per la pagina monografica)

Il piano dell’offensiva austriaca era grandioso: consisteva in un unico attacco condotto su due fronti per colpire nel vivo l’avversario, e mettere l'Italia fuori combattimento.
Dalla grave di Papadopoli al mare, sulla sinistra del Piave sette divisioni austriache avevano compiuto tutti i preparativi per passare e aspettavano l’ordine di salire sui canotti e sulle chiatte, certe della sorpresa e del facile trionfo. Dietro a queste, altre cinque divisioni finivano di assestarsi sognando la marcia trionfale che le avrebbe portate a mettere le mani su Venezia e sulla pingue pianura padana.
Nella grava e sulle isole di Papadopoli gli austriaci avevano deposto il materiale per costruire il ponte ed armi, munizioni e viveri. Tutto era pronto per passare.
A sua volta l’esercito italiano, riorganizzatosi tempestivamente (ebbe percezione delle mosse nemiche e informazioni da patrioti boemi e cecoslovacchi), prese le contromisure per parare il colpo che prevedeva formidabile.

15 giugno, sabato

Alle due del mattino, il generale Borojevic diede l’ordine di attaccare. L’artiglieria austriaca iniziò il tiro di preparazione, il cannone rombò dagli altipiani alla laguna e l’inferno si scatenò su tutto il fronte. Sulle artiglierie italiane grandinarono proiettili gasogeni che, sulle linee dell’argine, produssero una fitta nube che doveva proteggere il passaggio del fiume mentre sulle fanterie si abbatteva una tempesta di granate. I proiettili speciali infestavano tutte le retrovie cercando di paralizzare il funzionamento dei comandi, di demolire le riserve, di diffondere il panico. Ma i comandi italiani, a conoscenza dell’attacco, avevano tenuto il grosso delle linee più indietro, al riparo dai bombardamenti. L’obiettivo austriaco di schiantare il fronte italiano era fallito.
I reparti italiani in prima linea, per paura dei gas, rimasero tuttavia rintanati nelle trincee più a lungo del previsto e reagirono in ritardo. Gli austriaci riuscirono a forzare in due punti. A sud i primi assalitori varcarono il Piave da sotto le porte del Taglio, dinanzi ad Intestadura, e, contemporaneamente, dalle curve di S. Donà, davanti alle scuole “San Rocco”, a Croce, a circa duecento metri dal passaggio a livello. Erano le 2 del mattino. Avvolto e protetto dalla nebbia artificiale, il nemico apparve sulle nostre prime linee e, subito, di sorpresa si spinse avanti, nelle seconde linee, tentando l’argine di San Marco e le paludi.
La difesa italiana si ritrovò immediatamente disperata. La 7a batteria del 34° reggimento di artiglieria di campagna comandata dal capitano Ottorino Tombolan Fava sostenne per cinque ore il tiro concentrato e preciso delle artiglierie nemiche sulla sua batteria rispondendo efficacemente col fuoco dei suoi pezzi. Al sopraggiungere di reparti di arditi avversari, esaurite le munizioni, si difese valorosamente finché, raggiunto dallo scoppio di una bomba a mano, cadde sull’ultimo pezzo ancora conteso dal nemico. Erano le 7. Il nemico ebbe via libera e passò.
Contemporaneamente, nella zona più a sud, lungo il fiume, il maggiore Giulio Marinetti, dello stesso reggimento, difese strenuamente le batterie affidategli finché, colpito da una bomba a mano, cadde gravemente ferito .
Il nemico era riuscito a passare. E ora voleva travolgere la difesa, dilagare, arrivare a Venezia. A Fossalta sbarcò alle 7 e fu subito contrastato sull’argine di San Marco. Superato l’argine il nemico si trovò in difficoltà all’Osteria di Fossalta ove fu nuovamente attaccato e perdette un tempo prezioso. Gli ordini erano che alle ore 12 avrebbe trovarsi all’altezza del canale Millepertiche, sulla strada Triestina, per congiungersi ai suoi commilitoni sbarcati a Musile che lo attendevano fin dal mattino, per proseguire insieme a Venezia.
Con violentissime azioni di fuoco e con rapidità di movimenti, l’esercito austriaco era riuscito a ottenere i successi che generalmente spettano a coloro che per primi prendono l’iniziativa; aveva anche occupato, sulla sponda destra, una lunga e stretta testa di ponte che, dall’ansa di Zenson a quella di Lampol, scendeva all’ansa di Gonfo.
Inserirsi nell’ansa di Lampol non era stato facile: gli austroungarici avevano dovuto scostare dalla sponda del fiume le brigate Ferrara ed Avellino e il 90° zappatori del genio (unità composte quasi esclusivamente di giovani della classe 1899), tenacemente avvinghiate e nell’impossibilità di manovrare perché accerchiate. Esse assediate, bombardate, decimate si rinchiusero a casa Marini [in nota: al tempo di Alba Bozzo casa Marini era divenuta casa Belloni].
Più a nord, tra le grave di Papadopoli e Zenson, il nemico era apparso verso le 9. Passare il Piave tra Sant’Andrea di Barbarana e le grave di Papadopoli e a Nervesa era stato meno difficile. Là il fiume scorre lento, placido, solcato da bagliori di luci. Si rompe contro i molti isolotti, contro grovigli di piante, fasci di reticolati, pali discesi da monte e rotolati sul greto coperto di ciottoli e di sassi. L’acqua spumeggia mandando lampi e scintille e corre via. Vi è un minuscolo arcipelago nelle grave di Papadopoli, intorno alle cui isole scivolano rivali d’acqua sottili e serpeggianti. Ci sono dei punti nei quali le rive si allargano fino a tre chilometri e più. vAl fuoco di preparazione degli Austriaci risposero le raffiche delle nostre artiglierie che battevano i ponti appena gettati, le vie di comunicazione, le zone di raccolta, riducendo al silenzio le batterie più moleste.
Per neutralizzare la micidiale avanzata nemica il nostro Comando Supremo aveva tratto dalle sue riserve unità di provato valore. Il primo urto fu sostenuto dalle Brigate Veneto, Caserta, Sesia, Cosenza, Ferrara, Avellino, Catania, Arezzo, dal 2° Bombardieri e dal VI - VII - VIII - X bersaglieri ciclisti.
I primi gruppi di urto austriaci cozzarono, nell’ala sinistra, verso Fagarè, e al centro contro una muraglia di petti umani incrollabili e ciò influì nelle sorti della battaglia fin dal primo momento. Il nemico aveva fretta. Treviso era lontana, lo sapeva dalle sue carte geografiche, sapeva anche che doveva giungervi a piedi, prima di notte. Ci voleva tempo per gettare la passerella e tanto valeva cominciare a passare a guado facendo catena con le mani per battere il tempo. I nemici passarono con forze preponderanti. Da case Ninni i comandi italiani trasferirono il 243° reggimento Cosenza, comandato dal maggiore Carlo Guadagni che, quella stessa mattina, oppose una disperata resistenza costringendo il nemico a ripiegare. Più tardi, nella stessa mattinata, nuovamente assalito, il maggiore si asserragliò con pochi superstiti nel caposaldo della posizione, a Sant’Andrea di Barbarana, si difese coraggiosamente con bombe a mano finché, colpito al petto da una scarica di fucileria, cadde gloriosamente sul campo.
Faticosamente, impiegando sempre nuovi battaglioni, gli austriaci riuscirono ad affermarsi da Saletto a Zenson, dall’ansa di Lampol e di Gonfo alla zona di Musile, addentrandosi a metà del triangolo limitato ai lati dal canale Fossetta e dal Taglio del Sile.
L’afflusso di forze nemiche fece ondeggiare il fronte italiano.
Anche a Capodargine sì combatté ma l’aggancio con i reparti più a sud era ormai fallito: a mezzogiorno i soldati della Marina Lagunare, immolatisi fra canneti e fanghiglia, avevano già provveduto a girare a rovescio le turbine delle macchine idrovore, ripetutamente conquistate e perdute, sistemate sul canale Millepertiche e gli austriaci erano stati immobilizzati dall’acqua. La «gita» austriaca a Venezia era sfumata. La situazione però non era rosea. A sud, la brigata Arezzo fu costretta a sgombrare Capo Sile. Data la situazione critica il Comando Supremo inviò la 33a Divisione, di cui faceva parte la Brigata Sassari, reggimento 151° - 152°, in rinforzo alla III Armata per ristabilire la situazione alla sua estrema destra cioè a Croce e a Musile. La divisione arrivò alle ore 22 e venne sbarcata a Meolo e a Fornaci. Il motto della Sassari era (ed è) «Sa vida pro sa Patria». L’avrebbero data in molti.

16 giugno, domenica

La notte non valse a fermare la battaglia che infuriava lungo tutto il fronte; le artiglierie nostre e nemiche batterono intensamente tutta la zona. La situazione era contraddistinta da incertezze e da incognite. Le informazioni, anche quelle del Comando Supremo, erano discordanti ogni minuto. Si sapeva solo che il nemico aveva varcato il Piave a San Donà e a Musile e cercava di far passare le sue riserve per rinvigorire la battaglia. Alle ore 3 del 16 Giugno il Comandante di Divisione diede l’ordine di operazione e ordinò che un reparto del 151° si assestasse sullo scolo Palumbo (strada Fornaci-Pralongo) e a Pralungo. Un reparto del 152°, alla stessa ora, doveva trovarsi allo scolo Palumbo, sulla strada Losson-Capodargine; un altro distaccamento alle Albere di Losson. Nello stesso tempo pattuglie di esplorazione sarebbero passate all’Osteria di Fossalta e a Croce, indi, attraverso i campi, sarebbero avanzate fino all’argine di San Marco e al Piave finché incontreranno le truppe nemiche.
Il 151° reggimento, riparandosi con pattuglie, occupò Capodargine ed avanzò fino a Millepertiche. Il 23° battaglione di bersaglieri ciclisti, in linea sulla Fossetta, avrebbe dovuto mantenersi sul luogo per difendere la destra della Sassari.
Le truppe arditamente si mossero verso gli obiettivi fissati. Fanti ed ufficiali, malgrado fosse ancora notte, si rendevano conto delle enormi difficoltà che presentava il terreno: un terreno piatto, senza una minima altura, solcato da una rete di fossi, di canali stretti e larghi, di viottoli e strade, il tutto nascosto da una fitta vegetazione quasi tropicale formata da viti disposte a festoni, alberi, siepi, campi di mais e di grano.
Tornarono le prime pattuglie; l’Osteria di Fossalta era sgombra, ma la località era in parte occupata come lo era Croce, Capodargine e, fatto estremamente grave, i nostri non si trovavano all’ansa di Gonfo. Era necessario esplorare la zona prima di cominciare l’azione. Il primo che chiese di scandagliare il terreno fu il sottotenente Attilio Deffenu. Oltrepassò con la sua pattuglia lo scolo Palumbo, si inoltrò in un terreno infido e grave di minacce e di agguati. Il nemico sparava da ogni lato insidiosamente. Il suo compito era di arrivare al caposaldo di Croce, di vedere com’era composto e disposto il nemico, quali erano i suoi numeri, di intuire le sue intenzioni per dare notizie precise al comandante e diminuire le incognite del combattimento.
Deffenu arrivò miracolosamente a Croce. Il nemico lo intuì, lo braccò, gli si accostò ai lati, alle spalle, lo circondò. Attilio Deffenu udì il suo battaglione combattere per arrivare ove egli si trovava con la sua pattuglia. Davanti a Croce l’insidia era maggiore, l’astuzia più silenziosa e più prudente; il suo compito non gli permetteva l’urto glorioso dell’assalto.
Il nemico vigilava e non poteva essere sorpreso perché occupava ogni palmo di terreno. Il cerchio si restringeva, il nemico premeva, i suoi sardi gli si fecero intorno, lanciarono bombe, mitragliarono, spararono. Una bomba lo raggiunse: era il primo ufficiale della giornata a morire il 16 giugno .
A Croce venne quindi inviato il 3° battaglione comandato dal colonnello Giovanni Giusti del Giardino, «uno dei più belli ufficiali della brigata». Veneto, proveniva dalla cavalleria. Il battaglione partì dal bivio dopo Capodargine, percorse la Strada Matta e, giunto alle case Gradenigo, piegò sulla via principale del paese, che passava sulla ferrovia, e oltrepassò il nuovo cimitero.
Il nemico lo attaccò da tutte le parti, le pallottole piovvero da ogni direzione, il combattimento si frantumò in gruppi e squadre; arrivato al centro del paese, l’assalto divenne furibondo. Il nemico fu ricacciato, i cadaveri coprirono ogni campo.
Il battaglione avanzò verso l’argine San Marco, verso il conteso Piave. La pressione nemica aumentava da ogni lato. Frontalmente, dall’argine di San Marco, scendevano numerosi reparti nemici lanciando i loro clamorosi urrah! Il battaglione ne fu investito, respinto nella piazzetta ma non cedette. Chiese rinforzi al comando di brigata che gli inviò una compagnia di mitraglieri.
Il battaglione riuscì a rompere l’accerchiamento, alle 9.30 una colonna del 152° occupò il caposaldo di Croce. Truppe fresche giungevano dall’ansa di Gonfo al nemico. Il colonnello riparò i suoi uomini nel sagrato ancora cintato, un tempo cimitero, davanti alla chiesa la cui facciata era ancora eretta sebbene sbrecciata. Il nemico si accanì, una granata colse il comandante che cadde, ferito. Era il primo durissimo scontro della giornata, altri ne sarebbero seguiti dalle 12 in poi, altrettanto feroci e sanguinosi.
Nello stesso momento un’altra colonna del 151° occupò Capodargine. Verso Fossalta, gli austriaci, penetrati dall’ansa di Gonfo, premevano il fianco sinistro della brigata.
Il Comando divisionale ordinò una sosta nel combattimento per riordinare e rinforzare le truppe. Inviò a Fossalta l’VIII bersaglieri ciclisti e la 137a compagnia di mitraglieri, con l’ordine di tenere il paese ad ogni costo per impedire che il reggimento fosse preso alle spalle alla ripresa dell’azione.
L’azione ripartì alle ore 12. Le due colonne di reggimento ripresero con slancio meraviglioso l’avanzata, una uscendo da Croce, l’altra da Capodargine. L’avanzata fu travolgente. I nemici che a gruppi occupavano fossi e siepi vennero assaltati furiosamente con bombe a mano. Le perdite erano sensibili anche tra i nostri ma la loro audacia fu stupefacente.
Il 152° superò casa Gradenigo [poi Cuppini poi Rorato], e avanzò sull’argine. Il 151° raggiunse la ferrovia col fine di arrivare, lungo lo scolo Gorgazzo, a Musile attraverso i campi. I due reggimenti impegnarono tra loro una gara fraterna e superba: chi sarebbe arrivato primo al Piave? Solo 300 metri separavano il 152° dal fiume. Alle 15, tre ore di combattimento avevano assottigliato i reparti ma centuplicato il valore e la forza. Il nemico si batteva valorosamente dappertutto e col fuoco delle mitragliatrici, premeva e arginava i nostri.
Ma dall’ansa di Gonfo il nemico dilagava e travolgeva.
Tre reggimenti austriaci furono inviati a Fossalta, a casa Silvestri, come riserva. Si preparava la lotta per Losson. La Sassari, insistendo nello sforzo di arrivare al Piave, s’accorse che il nemico tentava l’accerchiamento. La gloriosa Sassari non può cader prigioniera; i soldati ripiegarono dal Piave. Vicino all’argine verranno trovati, il giorno 24, i più valorosi dei suoi, morti da pugnale nemico. Eroi senza medaglia!
Alle 17 la situazione precipitò, alle 18 i reparti ripiegarono. L’ordine di ritirarsi sorprese il capitano Tito Acerbo ancora discosto dal centro. L’abruzzese dispose a gruppi e a squadre i suoi soldati e retrocedette combattendo per contrastare l’avanzata al nemico. Il nemico lo circondò, egli tentò di aprirsi un varco ma venne colpito a morte. Cadde a dieci metri dal campanile. Non ci fu tempo per seppellirlo. Gli sarebbe arrivata una medaglia d’oro. Una d’argento sarebbe arrivata anche al soldato Vitale Cossu .
Anche a Fossalta la situazione era andata precipitando: alle 16.15 i bersaglieri che la presidiavano avevano dovuto cedere al furore nemico, dopo essersi battuti come leoni contro una marea di nemici «ebbri di vittoria». Ripiegarono su Pralungo. Alle ore 16.45 fra Fossalta e casa Silvestri erano arrivati i 3 reggimenti austriaci i quali premevano il tergo e il fianco del 152°. Inoltre alle ore 18 un quarto reggimento rincalzava i tre precedenti.
Sul campo di combattimento di Croce fu trovato un biglietto austriaco:

Ai battaglioni I, II, III - 16 giugno, ore 6 pomeridiane.
- Conservare il raggiunto obiettivo fissato per la giornata (Croce);
- Prendere sicuri collegamenti;
- Già ordinato il rifornimento munizioni a mezzo della Compagnia Gendarmi;
- Il Comando di reggimento, ora a metà dell’argine di casa Gradenigo trasporterà subito il proprio posto a circa metà della strada dl Fossalta: casa Silvestri;
- Per norma: Croce è stata presa dal 100° fanteria verso le ore 4,45 del pomeriggio; il 20° reggimento fanteria è giunto come riserva di divisione a casa Silvestri.
- Fare economia di munizioni fino all'arrivo dei rifornimenti ora ordinati.
- Stabilire subito collegamento telefonico col Comando del reggimento a metà dell’argine, casa Gradenigo.

Morawschi

Alle 19 il comandante decise di lasciare sulla linea scolo Palumbo-Losson-Meolo i bersaglieri, i bombardieri, la brigata Bisagno perché la difendessero ad oltranza.
La sera del 16 il nemico, dopo aver preso Croce, mirava al caposaldo di Losson, mentre altre pattuglie nemiche si avventavano sulla Callalta. La situazione si faceva sempre più difficile per gli italiani.
Le nostre truppe ripiegavano sull’argine lungo tutto il fronte.

17 giugno, lunedì

Il 17 giugno, caduta Croce, la brigata Sassari si diresse verso Ca’ Tron per ripristinare le armi e i quadri e presentarsi al prossimo combattimento in piena efficienza. Restavano la brigata Bergamo e i bersaglieri ciclisti a presidiare scolo Palumbo, Losson e Meolo divenuti centri di combattimento dopo la caduta di Croce.
La importanza tattica dei capisaldi era di primissimo ordine; il nemico ivi aveva concentrato le sue forze nella speranza di estendersi a Meolo, aggirare il caposaldo di Monastier tentando così di rompere lo schieramento difensivo italiano sul Montello con conseguenze disastrose per la difesa. Il nostro Comando ne era conscio e si preparava a sostenere l’urto.
Le truppe italiane resistettero (e avrebbero resistito in tutto tre giorni senza viveri, senza acqua, dissetandosi in fossi infetti nei quali galleggiavano cadaveri, prive di armi e munizioni). Un pattuglione nemico riuscì ad infiltrarsi nei vuoti della linea ma reparti del Piemonte Cavalleria lo caricarono e catturarono. Tre giorni durò la resistenza, durante i quali caddero quasi tutti i nostri ufficiali e moltissimi soldati. L’anima della resistenza fu il maggiore Francesco Mignone che per tre giorni si mantenne incrollabile al suo posto finché, alla fine, il pomeriggio del 17, cadde tra i pochi superstiti . Il suo corpo non venne ritrovato. Scomparve nel mistero di quel pomeriggio di eroismo, quasi rapito nella atmosfera di silenzio che sopravvenne alla sua scomparsa.
Il nemico si sistemò nella grava attratto dall’argine per la virtù difensiva e protettiva che da esso derivava e più ancora perché Zenson, Lampol e Gonfo, saldamente in suo possesso, insieme alle precarie conquiste di Ronche, Fossalta e Capodargine, e a quella quasi permanente di Croce, costituivano una forte tenaglia nella quale le nostre azioni finivano sempre per essere attaccate da due fronti.
Nel settore, quindi, esistevano equilibrio ed elasticità che i reciproci attacchi movimentavano.
Conseguenza di tale situazione fu che tanto al di là di scolo Palumbo quanto sulla strada Fossalta-Capodargine i contendenti si alternavano. Prova ne sia che nessun Comando dovette cambiare di posto, che i luoghi conservarono, dopo la battaglia, i medesimi caratteri dei primi giorni, quelli cioè di un campo di lotta dal quale, ciascuno dei combattenti, usciva a sua volta vincitore senza essere mai un vincitore duraturo.
La battaglia andava ad ondate: un’ondata italiana riusciva a dare al nemico una spinta e a farlo retrocedere ma, poco dopo, un’ondata austriaca respingeva momentaneamente gli italiani e poi da capo.
Gli attacchi erano a volta a volta preceduti da terribili bombardamenti provenienti o da Noventa o da Capodargine che distruggevano ogni cosa.
Questa era la situazione in cui Fossalta si trovava la sera del 17 giugno quando la Ia Divisione di Assalto, creata e diretta dal Generale Ottavio Zoppi, entrò in azione. La Ia Divisione di Assalto partì ignorando tutto della situazione, del nemico, del terreno.
Gli Arditi non perdettero tempo, il loro programma era denso di appuntamenti: schierarsi sul fronte di Lampol-Ronche-scolo Palumbo; attaccare Capodargine, puntare sul Gorgazzo, case Gradenigo e Croce; riconquistare l’argine di San Marco e casa Gradenigo, Fossalta e perfino l’ansa di Gonfo, saldamente occupata dal nemico, chiamata la sentinella armata di Fossalta per la sua inviolabilità, non era avventura da poco.
Gli arditi consumarono il rancio e si avviarono in tutte le direzioni cantando, urlando, sparando, risvegliando echi lontani, allarmando il nemico che usci dalle sue trincee e rispose adeguatamente alla provocazione perché le truppe imperiali, ogni qualvolta furono, in quei giorni, a contatto con i nostri, si batterono sempre magnificamente. Gli arditi investirono il nemico con cortine fumogene, con gragnuole di petardi seguite da una violenta mischia a pugnalate. E se non poterono mantenere gli obblighi topografici né raggiungere alcuna posizione si fecero ben conoscere dal nemico che non si aspettava una simile ventata.

18 giugno, martedì

Il 18 giugno il nostro centro rioccupò la linea dello scolo Palumbo e alcuni salienti migliorando la situazione.
Nella giornata violenti acquazzoni portarono il Piave in morbida, lo ingrossarono, la corrente si rafforzò e si abbatté contro i ponti gettati dal nemico, che riuscì a stento, a far passare sulla destra nuovi reparti e attaccò il saliente Fossalta - Capodargine che divenne centro di furiosi combattimenti.
L’esercito austro-ungarico aveva al di qua del fiume ben 14 divisioni che non riusciva a rifornire. Ma non si rassegnava all’insuccesso: ordinò ancora di attaccare. Lottò a Candelù e a Losson. La lotta assunse proporzioni epiche per l’accanimento dell’assalire e la tenacia del difendere. Gli Italiani attaccarono i punti nevralgici che occupava il nemico per costituire una linea difensiva che dal Gorgazzo passava per la Fossetta, la stazione ferroviaria di Fossalta, Correggio, Losson, lo scolo Palumbo. I centri erano battutissimi dal nemico, le vicende alterne e sanguinose. La brigata Bisagno, la Bergamo e gli arditi lottarono con violenza. La Divisione di Assalto lanciò attacchi contemporanei e convergenti, di cui uno, fra Ronche e scolo Palumbo, di una veemenza tale da provocare nel pomeriggio un’ondata di ritorno infiammata di rabbia e di vendetta, indimenticabile. Le Fiamme Nere, dopo alterne vicende, finirono coll’impedire al nemico di superare in forza lo scolo Palumbo.
L’altro attacco doveva contemporaneamente puntare su Fossalta: un reparto di arditi incominciò dall’Osteria a ripulire dal nemico casa per casa, fino al Piave.
Si scontrò, ne seguì una mischia corpo a corpo. Si avviò cantando verso l’ansa di Lampol. Il nostro comando lo fermò mandando la fanteria a prendere in consegna il tratto di argine da loro conquistato. Le truppe nemiche erano costrette in spazio angusto alla destra del fiume. Ma tornò in gioco l’ansa di Gonfo che di Fossalta era la guardia armata. Ne risultò un continuo alternarsi di attacchi e di difese che, se logoravano noi, contenevano il nemico il quale in quei due giorni era divenuto più persistente nel puntare verso sud-ovest con evidente tendenza a superare scolo Palumbo e a raggiungere Meolo.
La 4a divisione nell’ala destra, verso Caposile, che per la sua dislocazione non era stata coinvolta nelle azioni dei giorni precedenti, passò il Sile e avanzò occupando il margine della zona allagata.
Ma più a nord gli italiani non potevano avvalersi di rincalzi e alle 21 Capodargine andò perduto e di conseguenza anche Fossalta dovette essere abbandonata, assieme al caposaldo delle Ronche che fino a quel momento aveva opposto una valida resistenza

19 giugno, mercoledì

Durante la notte, gli austriaci rioccuparono la posizione. Il 19 mattina si ebbero ancora due azioni contemporanee degli Italiani: una diretta contro Fossalta e l’altra contro Capodargine. Tali azioni furono affidate alle brigate Sassari e Bergamo con alla testa di ciascuna una Divisione di Assalto.
Gli italiani erano stanziati nelle scuole di Ca’ Malipiero ove il nemico, dal tetto di villa Prina, li bombardava. La villa era stata risparmiata per la sua preziosità dai nostri ma la necessità ne imponeva la distruzione. Il giorno 19 venne abbattuta. Esisteva dal 1600.
Alle 12,30, anche sul Palombo l’azione fu ripresa con ferma decisione, con disperata volontà, con impeto inaudito. La questione era vincere o morire, lasciar passare il nemico o lasciarlo sul terreno. Fanti della .Sassari e della Bisagno, aventi in testa un gruppo di Arditi della Divisione di Assalto (arditi reggimentali) rinnovano i colpi con maggior violenza seminando la morte tra i nemici che si opponevano con tenace ed indiscusso valore. Gli assalti si susseguirono. L’attacco venne rinnovato dopo intensa preparazione di artiglieria e condotto arditamente. Si rispose con potenti raffiche di mitragliatrici da tutti i lati, la lotta arriva al corpo a corpo. Negli scontri due militi si guadagnarono la medaglia d’oro, Soccorso Saloni e il Bersagliere Attilio Verdirosi.
Durante il combattimento, approfittando dal terreno molto coperto di vegetazione e rotto da fossi e canali, nuclei nemici penetrarono da Sud-Ovest di scolo Palumbo (cioè da Fornaci) che era in nostre mani, mettendo in pericolo l’esito del combattimento.
Giunsero in quel momento, circa le 15, tre squadroni di Lancieri di Milano di stanza a San Pietro Novello, belli, calmi, ordinati sui loro lucidi cavalli come se andassero ad una parata. Fu un apporto morale. Il generale Ottavio Zoppi, fondatore del Corpo degli Arditi, ordinò loro: «Voi caricherete il nemico a cavallo come in passato». Tra gli squadroni passò un fremito, era ciò che desideravano. In due ore la zona fu ripulita con perdite minime.
La notte del 19 sul 20 la 1a Divisione di Assalto fu tolta dalla linea del Basso Piave e avviata nella zona di Lonigo. Il nemico si batté con estremo valore. I morti furono tremila, i feriti ventimila. Alla sera i Lancieri furono appiedati e mandati a tener duro a San Pietro Novello.

20 giugno, giovedì

Il nemico dava ormai segni evidenti di stanchezza e di demoralizzazione; attaccò ancora qua e là, ma l’azione era slegata, la battaglia languiva, la nostra artiglieria flagellava i ponti e gli accessi alla riva sinistra. A Fagarè la mattina del 20 fu un inferno. Arrivarono rinforzi, si svolsero lotte estenuanti, avvennero episodi sovrumani davanti ai quali non si trovano parole sufficienti per lodare. Furono tutti eroi, dal soldato al generale. Alle 17.15 a Losson si svolse l’ultimo assalto, il più duro di tutti: masse compatte avanzarono urlando, ciecamente, con un ardore che farebbe onore ad ogni esercito. Avanzarono senza precauzioni, con disperazione, solo intente a stabilirsi definitivamente nella posizione che è passata di mano in mano.
Le nostre mitragliatrici colpirono inesorabilmente. I cadaveri nemici erano stesi sui campi, sulle acque, nei canali, ogni metro ne era seminato. I nemici resistettero ostinatamente, decisi a morire ma non a ritirarsi.
Alle ore 21 sospesero gli attacchi. La giornata si chiudeva con una brillante vittoria italiana conseguita a durissimo prezzo.
«Nella zona ad occidente di San Donà, l’avversario tentò una forte azione contro Losson.
Arrestato una prima volta dal nostro fuoco rinnovò per ben quattro volte l’attacco finché, esausto per le perdite eccezionalmente gravi subite, dové cedere di fronte all’incrollabile valore dei Sardi della Brigata Sassari – 151° e 152° - validamente coadiuvati dal III battaglione bersaglieri ciclisti. Firmato: Diaz». (Bollettino del Comando Supremo del 21 Giugno)
A loro si deve aggiungere la 1a Divisione di Assalto del gen. Zoppi, i Lancieri di Milano, la brigata Bisagno e i Carabinieri della 33a Divisione.

21 giugno, veneredì

22 giugno, sabato

Il 22 giugno gli ampi salienti di San Pietro Novello e Meolo scomparirono in seguito ai nostri attacchi. La striscia occupata dagli austriaci si restrinse sempre più, mentre alle loro spalle i ponti crollavano sotto la furia delle nostre artiglierie, ed il nemico, disperando di poter mantenersi sulla destra del fiume, si decise ad iniziare il ripiegamento e riesce ad effettuarlo senza che le prime linee se ne avvedano.

23 giugno, domenica

Alle prime ore del giorno 23 il Comando del Corpo d’Armata comunicò che, da informazioni date da prigionieri, risultava che il nemico stava per ripassare il Piave e ordinò di inviare pattuglie sul fronte della Divisione per conoscerne le intenzioni, tenendo le truppe pronte per profittare di ogni occasione favorevole.
I primi nemici partirono alla chetichella, si avviarono verso l’ansa di Gonfo, al ponte della ferrovia tra Croce e San Donà dove vi era una passarella nemica il cui centro era stato spazzato dalla corrente per una ventina di metri.
Passavano come potevano ed il Piave se ne portò molti al mare. Il Comando di Divisione ordinò che bersaglieri ciclisti, brigata Bergamo e Sassari raggiungessero il Piave nel tratto di casa Gradenigo, Capodargine e Croce.
Sui pochi campanili rimasti in piedi le campane lungo la fascia dei combattimenti suonarono come al Gloria. Toccò agli arditi del 26° reggimento marciare alla testa della colonna attaccante. Quella mattina c’erano tutti coloro che la morte aveva respinto per otto giorni: le indomite Sassari e Bisagno ripetutamente decimate; le uscite vive dall’inferno di casa Marini Avellino e Ferrara; il 25°e 26° della Bergamo e ancora la Jonio, la Potenza e la Bisanzio; c’erano gli invincibili Arditi Reggimentali; il famoso 23° reparto che aveva continuato, con magnifica abnegazione, a combattere dal primo giorno dell’offensiva; l’artiglieria della 33a Divisione; i bersaglieri ciclisti; i bombardieri; l’81° della Marina; i genieri, i pontieri, in una parola l’invitta III Armata.
Gli austriaci inseguiti, rincorsi si accalcavano sui barconi e sulle passerelle. Era la resa. Fossalta era interamente libera alle ore 18 del 23 Giugno. Lo stesso accadeva più a nord, a Fagarè: le truppe che avevano resistito magnificamente premevano il nemico verso la riva destra del Piave gonfio e veloce per le piogge ricevute, privo di ponti e collegamenti con la sponda sinistra verso cui sono diretti. Il Piave se li porterà, in gran parte, frettolosamente al mare e le loro perdite saranno spaventose .

Cosicché alla pressione italiana gli austriaci, nella mattina del 23, resistevano ancora con bravura e cedevano il terreno a palmo a palmo. Sull’ala sinistra i nostri incalzavano e la pressione si trasformava in inseguimento. Nel pomeriggio del 23 le nostre truppe risalutavano il Piave da Candelù a Zenson e a Fossalta. Da Croce a Caposile il nemico resisteva ancora, ripiegava lentamente. Le nostre artiglierie battevano l’altra riva, allungando i tiri, flagellando ponti, barconi, passerelle inchiodando il nemico dove si trova, mentre gli aerei tricolori volteggiano sul fiume mitragliando, flagellando e bombardando implacabilmente. Gli ultimi reparti della V armata del colonnello generale Von Wurm ingombravano la strada lungo 405 Km., sotto la pioggia incessante che quasi mai si placò durante la battaglia. Erano i fantasmi di quello che erano quando passarono e il Piave ne ha travolto reparti interi portandoli al mare.

24 giugno, lunedì

Il giorno 24, Musile vide il nemico tornare a ritroso, in disordine, stravolto, affamato, senza armi né fardelli, per dirigersi verso la testa di ponte da cui era sbarcato. Proveniva da Croce, da Millepertiche, dalle paludi, da ovunque potesse impunemente passare.
Contro la linea di Capo Sile il nemico si era accanito con forze preponderanti. La conquista sarebbe servita a imprigionare tutto l’arco del Piave e di Taglio del Sile tra Zenson, Fossalta e Porte Grandi. L’attacco e la difesa erano state estremamente tenaci e sanguinosi. Dappertutto il nemico, lusingato dallo sbarco iniziale, aveva tentato di allargare l’occupazione. La difesa era stata ostinatissima.
La sera del 24 gli italiani riconquistarono gli ultimi tratti occupati dagli austriaci nel settore di Musile cioè tra Intestadura e il centro di Musile. Alle ore 22 le ultime pattuglie della retroguardia nemica furono schiacciate contro l’argine nel settore di Musile e si arresero: la riva destra del Piave era libera da Nervesa fino all’Intestadura, e vigilata dai soldati italiani.

25 giugno, martedì

La mattina del 25 giugno le nostre pattuglie formate da mitraglieri, fanti, marinai, servendosi delle passerelle austriache, varcarono il Piave Vecchio e occuparono Chiesanuova.

I giorni successivi

La lotta continuò tra Sile e Piave Nuovo.

Quanto a Croce... la strada dell’Argine San Marco era stata mimetizzata con frasche per renderla invisibile alle ricognizioni nemiche.

Presso casa Franceschini si era installata la Croce Rossa.




Relax in attesa di una chiamata presso casa Franceschini

Qui sotto la medesima Casa Franceschini - divenuta nel frattempo Casa Barbirato - negli anni Settanta del XX secolo. Si noti il sistema di chiusura degli archi.

Molte foto di quei mesi le dobbiamo a un autista statunitense delle Croce Rossa, tal Harvey Ladew Williams, in servizio presso casa Franceschini nei mesi di giugno e luglio 1915. Il nipote di Harvey, Richmond H. Ackerman, si ritrova oggi in possesso di uno straordinario archivio fotografico al quale attingono tutti gli storici locali e grazie al quale un gruppo di appassionati di storia di Fossalta ha realizzato un interessante percorso iconografico dal titolo "Con gli occhi di Harvey".

Qui sotto è una foto di Casa Cento, allora estremo sud del territorio di Croce (e dal 1924 sotto la frazione di Musile in seguito all’amputazione delle Case bianche)



Casa Cento (sopra) e seconda linea vicino a Casa Cento (sotto).
(Archivio Ackerman)

Qui sotto infine ecco com’era ridotta la stazione di Fossalta (che, ricordiamo, è in territorio di Croce)

Qui sotto, infine, altre due foto dell’archivio Ackerman.


Esterno e interno della chiesa di Croce

Queste foto risalgono tutte tutte all’inizio dell’estate 1918.

Il pomeriggio del 6 luglio venne occupato l’argine destro del Piave Nuovo. Per sempre.

Alcune delle lapidi che in seguito saranno murate nel cimitero militare di Croce, dimostrano che la gioventù d’Italia tutta era venuta a morire sul Piave, a Croce.

“Sottotenente / Piani Alberto / da Lugo / Caduto il 20 giugno 1918”

“Aiutante di battaglia / Angelo Rizzo / diede se stesso per l’Italia / che tanto amò. / Le fiamme rosse del 23 Reparto / in ricordo / 16 giugno 1918”

“Al caporale / Fernando Mulinelli / d’anni 22 / morto il 17 giugno 1918 / la famiglia dolentissima”

“Zde / odpociva obet abetove / valkj nas drakj a jediny syn / Josef Nedoma / spi sladce vydalen od suych rodicu a ceske / vlasti v daleke / s nami spratelene dzine / n. 18-1-97 – m. 19-6-18” (era un cecoslovacco, che, unitamente a tanti suoi compagni, combatteva nella Brigata Regina)

“Pallotta Ubaldo / soldato / 2 Regg. Bombardieri 104 gruppo / 312 batteria / nato nel 1897 / cadeva eroicamente / il 16 giugno 1918”

“Maresciallo / Arnaldo Bresciani / tutte le sue energie dedicò all’Italia / e per essa morì. / Il 23 reparto. d’assalto / memore / 16 giugno 1918”

“Sottotenente / Giovanni Forti / a 20 anni moriva per la Patria. / Le fiamme rosse del 23 Reparto d’assalto in ricordo / 16 giugno 1918”

“Lodovico Ottonello / sottotenente 152 fanteria”

“Tenente / Giovanni Simone / esempio di coraggio / d’entusiasmo e di fede. / Le fiamme rosse 23 Rep. in ricordo / 16 giugno 1918”

“Sergente / Redento Sicuro / e caporali Attilio Verdinosi e Francesco Vicentini / morirono gridando Viva l’Italia. / Le fiamme rosse del 23 Rep. d’assalto / ai loro, eroi. / 19 giugno 1918”

“Giovanni Talamini / soldato dell’81 reggimento fanteria / 29 comp. mitraglieri Fiat / nato il 5 maggio 1895 / morto il 17 giugno 1918 / a Cà Malipiero / sul canale della Fossetta.

Giovanni Talamini... soldato dell’81° Reggimento fanteria della Brigata Torino. Era morto in uno degli ultimi scontri della Fossetta. La salma, rimasta due giorni insepolta custodita nell’oratorio di Cà Malipiero, il giorno 19, cessato il combattimento, fu dai compagni portata alla sepoltura.
Giovanni Talamini, che altre fonti danno nato il 15 maggio 1895 a Venezia, era fratello di Ennio ma soprattutto figlio di Gianpietro Talamini (Vodo di Cadore, 1845) fondatore il 20 marzo 1887 del "Il Gazzettino" di Venezia di cui era (e sarà) direttore (fino al giorno della morte,che avverrà il 20 settembre 1934).
A lungo il padre cercherà la salma del figlio, andata dispersa. Passerà fra i soldati chiuso nel suo dolore, col volto di uno stoico.
Per giorni e giorni la madre nulla saprà della morte del figlio, e il padre si assiderà nei giorni successivi a mensa, con simulata serenità, per brindare alla salute del figlio lontano...

“Marcuzzi Edido / di Pozzuolo / aiutante di Battaglia / da piombo nemico / colpito / cadeva sul Piave il giorno 15 agosto 1918 / nell’età di anni 28. / I parenti dolenti / posero”

“Le centurie lavoratrici / sulla strada delle Mille Pertiche / agli ignoti valorosi compagni / che prepararono col sacrificio / la grande riscossa / e qui dormono l’eterno riposo / giugno 1918”.

Croce e i paesi limitrofi erano distrutti, allagati, abbandonati. Ma l’esercito italiano sanguinosamente, disperatamente, miracolosamente aveva tenuto, ed era riuscito a ricacciare gli Austriaci oltre il fiume. Come se avesse cancellato l’onta di Caporetto, si sentì formidabile per capacità di recupero e prese coraggio; nelle primavera del 1919 avrebbe tentato la controffensiva. Gli Imperi Centrali invece, prodotto quel massimo sforzo, erano entrati in crisi: la perdurante crisi alimentare e di risorse energetiche aveva da mesi fatto montare le proteste tra i civili e nell’esercito, non si contarono più le rivolte entro i confini dell’Impero. Anche in Italia si percepì che la guerra era ormai alla fine; e poiché non era conveniente terminarla col nemico in casa, il temporeggiatore Diaz fu pressato ad anticipare all’autunno la controffensiva, che ebbe successo; ai primi di novembre giunse la richiesta di pace dell’Imperatore austriaco, il 4 novembre 1918 fu firmata la pace: era la vittoria.

Da San Lazzaro Parmense don Natale, sulla carta da lettere della parrocchia che aveva portato con sé, scrisse al suo vescovo:

DIOCESI DI TREVISO                               PROVINCIA DI VENEZIA
DISTRETTO DI S. DONÀ

PARROCCHIA DI CROCE DI PIAVE

Ecc. Ill. ma e Rev. ma e Mons. Vescovo
   Mi trovo ancora ospite presso l’eccellentissimo Arciprete di 
S. Lazzaro – Parma in suo aiuto, e godo grazie a Dio buona salute 
con la sorella Anna.
  Spero che l’esilio non durerà più a lungo, ma che presto potrò 
ritornare in patria, a rivedere i miei carissimi parrocchiani.
  Ho saputo dai Co. Gradenigo di Zelarino che la chiesa, la canonica 
e quasi tutte le case di Croce sono atterrate; ma pur di ritornare 
mi accontenterei di ricoverarmi in un baraccamento.
  Ho scritto al Commissario Prefettizio di Musile a Firenze, 
pregandolo di un provvedimento provvisorio, e m’ha risposto che 
tuttora non ha potuto adottare alcun provvedimento per nessuno. 
  Appena potrò ritornare in patria, sarò felice rivedere sua Ecc. 
Ill. ma e Rev. ma, baciarLe la mano e ricevere i suoi ordini e consigli.
  Tutti i giorni la mia mente e il mio cuore sono rivolti a Lei, 
Rev. mo Padre, oltre al memento speciale che faccio nella S. Messa.
  Augurandole ogni bene temporale e spirituale con l’animo profon-
damente commosso prego Sua Ecc. Rev. ma d’una benedizione per 
me, sorelle e parrocchiani.
  Con profondo ossequio mi firmo
  2 Dic 1918		  Dev mo Paroco
			 D n Natale Simionato profugo
			S. Lazzaro – Parma 

Nell’anno trascorso a San Lazzaro don Natale aveva ovviamente dato una mano all’Arciprete presso cui era ospite; e quegli si dimostrò grato per quanto il paroco aveva fatto, tanto che aggiunse in calce alla lettera:

...e il sottoscritto, appena il Don Natale sarà richia- mato nella sua Diocesi di Treviso sarà rifor- nito del certificato di buona condotta pel tempo che ha adiuvato lo scrivente nell’esercizio del Dovere Parle, che non potrà essere che favorevolissimo sotto ogni aspetto. Rilasciato il presente a solo scopo Religioso S. Lazzaro Parmense 2 Xbre 1918 C...panioni D n Antonio Priore S. Fr.

Durante la guerra la contessa Rachele Sacerdoti vedova Gradenigo, crocerossina in qualche ospedale da campo delle retrovie, aveva conosciuto un colonnello ferito, al quale aveva offerto cure particolarmente affettuose. Tra i due era sbocciato l’interessamento e l’amore. Il colonnello era Riccardo Gioia.

Attilio Guseo, appena congedato da militare,

...raggiunse il resto della famiglia in Sicilia e si fece amigo de un sior, un nobile, col quale andava anche a caccia, e condusse per qualche mese na vita da siori. «Ah che vita da siori che vén fat» avrebbe raccontato ai nipoti. «Tilio, vienne con mia» gli diceva il nobile, e con lui portava a casa di tutto, perché quello era un mafioso.
Là Attilio e la Tonina persero un’altra figlia di due anni a causa della influenza spagnola che stava mietendo vittime in tutto il continente.
[dai ricordi di Alma Granzotto]

Attilio pensava che solo il lavoro avrebbe potuto cancellare le disgrazie. Voleva rimettere in piedi più bella e più grande l’osteria che aveva prima della guerra.


Per una trattazione completa dell’argomento vedi
CARLO DARIOL - Storia di Croce Vol. 2 - DON NADAL, EL PAROCO DE CROSE
Edizioni del Cubo, 2016