Marco Foscari
L’abbiamo citato sopra di sfuggita, come colui che presentò il primo parroco di Croce, ma
è forse giunto il momento di dedicargli un capitolo a parte. Marco Foscari di
Giovanni (1477-1551) fu uno dei personaggi più notevoli della famiglia, un
grosso personaggio nella Venezia degli anni Venti e Trenta del XVI secolo:
nipote ex fratre del doge Francesco Foscari, era anche primo cugino
(figli di sorelle) del doge Andrea Gritti, morto nel 1538. Ambasciatore a Roma
presso Clemente VII dal 1523 al 1526, e poi a Firenze nel cruciale 1527, Marco
Foscari era colto, ricco, ambizioso; istintivamente portato alla
prevaricazione, fu anche uno dei massimi fautori dell’evoluzione in senso
oligarchico della costituzione veneziana: ce n’è abbastanza per giustificare
l’impopolarità puntualmente riscossa presso i concittadini.
Verso la metà del XVI secolo, Marco Foscari era il proprietario della
maggior parte della gastaldia di Croce. Boschi e paludi? Non solo: la gastaldia
era ubicata in un punto strategico, poiché di qua passavano le mandrie di
bovini e capre (i castrati) che dall’Istria e dalla Slovenia rifornivano
Venezia; ancora, di qua arrivava in laguna buona parte del legname per la
cucina e il riscaldamento, necessario ad una città di oltre 150.000 anime: non
a caso la gastaldia godeva di esenzione dal dazio delle legne, e non a caso
Marco Foscari aveva abilmente ottenuto per il figlio Girolamo, nel 1526,
l’episcopato di Torcello, le cui proprietà si frapponevano, appunto, fra la
gastaldia e la laguna. Questo significa che, da quell’anno in poi e per molto
tempo, i Foscari avevano potuto far giungere a Venezia i loro prodotti
trevigiani con il solo aggravio delle spese di trasporto.
Senonché,
a interrompere il serenante fluire del godimento di cotanto bene, capitò che
la laguna nord prese a interrarsi con progressione gagliarda, e il fenomeno
assunse dimensioni vistose proprio nei primi decenni del XVI secolo.
Giovanni da Lezze conte di Croce
Nell’anno 1533 il nobile Giovanni Da Lezze fu fatto Conte di Croce da
Carlo V. I “da Lezze” erano mercanti e armatori
originari di Lecce (da “Lezze” appunto) e avevano ottenuto l’iscrizione
all’albo d’oro della nobiltà veneta dietro pagamento di una forte somma di
denaro.
“E l’anno che a
quello andò dietro, dall’istesso imperatore Giovanni da Lezze, che poi
fu Promotore e Senatore della Repubblica di Venezia principalissimo, in Bologna
fu creato Cavaliere e Conte di Santa Croce che è un suo luogo posto sopra la
riva del Piave dalla parte di sotto, dirimpetto a S. Donato, con bellissime
prerogative, e successione de’ suoi legittimi discendenti”
[Bonifazio, Storia di Trevigi]
[da una ricerca del Gullino]
Nato a Venezia il 10 marzo 1506, Giovanni da Lezze era il primogenito
di Priamo di Andrea ed Elisabetta Dolfin di Dolfin.
Da Elisabetta Barbarigo di Daniele, sposata il 23 gennaio 1527, aveva avuto due figli maschi,
Andrea, nato il 15 ottobre 1527,
e Priamo, di qualche anno più giovane. Dopo la morte della moglie, avvenuta nel maggio 1531, Giovanni Da Lezze
aveva sposato un’altra Elisabetta, figlia di Alvise Zusto di Francesco e vedova, da pochi mesi, di Lorenzo Sanuto.
Sulle indubbie qualità del giovane patrizio (il 28 dic. 1531 era stato proposto oratore della Serenissima,
presso il duca di Mantova) si riversarono le ambizioni paterne:
nel marzo 1532 Priamo si oppose però alla nomina del figlio a sopracomito di galea -
un incarico che avrebbe potuto distoglierlo
dalla politica attiva; invece, grazie alle cospicue ricchezze e alle aderenze di cui la famiglia disponeva,
Giovanni riuscì a mettersi in luce presso
l’imperatore Carlo V, che alla fine del 1532 attraversò i territori della Repubblica per recarsi
al secondo congresso di Bologna. Riceveva così, nella città emiliana, il titolo di cavaliere
e conte palatino di Santa Croce - località del Trevisano nella quale i Da Lezze possedevano la giurisdizione civile
e criminale - e, con esso, la facoltà di creare notai, giudici, dottori e legittimare bastardi.
Il Pavanello riporta che nel 1533 i Foscari e Da Lezze rimettevano in piedi la chiesa di Croce
perché i boscaioli, i carbonari e i barcaroli della gastaldia, che avevano comperata dal doge, vi potessero ascoltare
la messa.
Bizze del Piave
Nel 1533 il Piave debordò in più punti e le acque torbidissime invasero il Sile portando forti interramenti
nella laguna.
Le autorità veneziane, preoccupate dagli effetti
che le torbide potevano avere sulla laguna con il ripetersi di rotte arginali
in destra pensarono a dei provvedimenti e a una persona che li rendesse
esecutivi.
Per questo il 16 maggio 1534 il Senato di
Venezia elesse un Provveditor al Piave, che varò una serie di lavori di
contenimento delle acque del fiume, realizzando
l’argine di San Marco da Ponte di Piave alla Cava del
Caligo, «da la banda destra... verso Venetia», cioè tra il fianco destro del
fiume e la valle lagunare di Grassabò, «quanto più al dretto sia possibile in
driedo dal detto fiume de comeada in comeada [=da gomito a gomito], sì che el
resti fuora de tutte le comeade de la ditta Piave almeno per passa vinticinque
trivisani restando tutte le ditte comeade tra il ditto arzere et il ditto
fiume, havendosi rispetto di lassar tutte le ville e case o dentro o fuora del
ditto arzere, come per la conservasion sua far si potrà: el qual arzere sia
fato di passi 6 in fondo e di sopra passi 2 e tanto alto che el superi l’arzere
davanti la Piave almeno piè 4, il qual sia per muraglia e segurtà de questa banda
de Venetia».
[Archivio di Stato di Venezia, SEA, r. 343, II, 25].
Il suggeritore dell’opera era di Cristoforo Sabadino,
ingegniere idraulico della Serenissima.
Si creava così una fascia di sicurezza sulla
destra del fiume che avrebbe potuto contenere le alluvioni entro un ampio
margine. I sei passi alla base sono 10,43 m, i due e mezzo alla
superficie sono 4,35 m, e i piè 4 sono 1,62 m.
Tale provvedimento, pensato unicamente a
protezione della Dominante, giungeva in fondo a protezione della Gastaldia. I
lavori sarebbero durati 11 anni.
1° luglio 1537: Priamo Da Lezze coglieva occasione dalle urgenze della guerra contro il Turco
per far ottenere al figlio Giovanni, Conte di Santa Croce, il titolo di procuratore di S. Marco,
mediante esborso di 14.000 ducati.
Ser Giovanni giungeva così, appena trentunenne, ai vertici del mondo politico veneziano,
senza dover sottostare all’abituale tirocinio nei reggimenti delle città dello Stato veneto.
Per un quindicennio non avrebbe ricoperto alcuna carica politica né si sarebbe mosso da Venezia,
lasciando all’unico fratello Andrea, e al padre, il compito di rappresentare la famiglia
nel Maggior Consiglio ed in Senato.
... dei Malipiero, i quali nel 1537 avevano già in Fossetta un oratorio dotato di tre mansionerie
Nella visita pastorale del vescovo a Noventa l’8 ottobre 1537,
Croce non appariva più come ‘Cappella’ di Noventa. Il giorno dopo,9 ottobre 1537,
ritiratosi forse per malattia don Aloysio
Durante, fu nominato ‘Pievano’ di Croce padre Daniele De Marchis; suo
cooperatore era un certo padre Battista.
[chiedere il documento a Don Primo]
Finalmente nel 1538 il vescovo Pisani, con qualche
maneggio o compromesso, poté entrare a Treviso: ebbe un fastoso ingresso, molte
facce accoglienti di chierici e laici; il 20 febbraio veniva eletto vescovo ausiliare di Treviso
il nipote Giorgio Corner, quattordicenne (era nato a venezia il 26 febbraio 1524 nel grande palazzo di famiglia
che dà su campo San Polo a Venezia).
Giorgio Corner era nipote del conte palatino Giorgio Corner e della regina Caterina Cornaro.
Provvide lo stesso zio cardinale Francesco Pisani a consacrarlo personalmente.
Per il resto il Pisani non si sarebbe mai fermato
a Treviso: (in data 20 febbraio si dimise dall’incarico?) tranne per tre o quattro
comparsate di pochi giorni in occasione di viaggi a Venezia, fu sempre assente
dalla diocesi di Treviso.
Nel 1543 ebbero termine i lavori della
costruzione dell’Argine San Marco. Si provvide quindi a lavori aggiuntivi
per lo scolo delle acque piovane che ristagnavano fra i due argini. Tuttavia il
problema non era risolto: presso la Torre el Caligo il livello della laguna era
assai più basso di quello della Piave, la quale scorreva duque pensile con
pericolo di esondazioni.
La chiesa di Croce venne a trovarsi tra l’argine e il fiume come mostrano due mappe sottostanti,
di poco successive.
Croce terra da sfruttare
Facilitate le
comunicazioni con Venezia mediante il Canale Fossetta (scavato, ricordiamo, nel
1483), i patrizi veneziani cominciarono
a costruire le loro ville nei dintorni: i Da Lezze
(la cui villa in territorio fossaltino passò in seguito alla
contessa Elena Prina di Breganze), i Da Mula (la cui villa passò poi ai
Contarini), gli Alberti, i Gradenigo, i Pisani (la cui villa passò ai Varisco),
i Bragadin (la cui villa passò poi ai Crico), fecero a gara a costruirsi le
loro ville nei campi migliori della zona di Croce, del musilese e del
fossaltino. E in seguito si aggiunsero i Trentin, i Borin, le Ferrari...
La
Gastaldia fu ritenuta campo di conquista e di dissanguamento da parte dei
nobili speculatori, i quali, specifica il Chimenton, sempre pronto a far la
morale a tutti, “si mostrarono preoccupati unicamente di aumentare i loro
capitali e a guazzare nei salotti veneziani, in quel lusso che doveva
preannunciare la caduta ignominiosa di una repubblica che un giorno forte e
maschia, faceva tremare l’Oriente e si imponeva all’Europa intera”.
L’assenza di una autorità propria locale contribuiva a determinare una recrudescenza di reati con
violazioni alle proprietà private. I provvedimenti del Senato rimanevano
sovente lettera morta. Lo dimostra, fra tanti, il seguente decreto del
20 settembre 1545 con il quale si proibiva
ai barcaioli del traghetto presso la Fossetta «di dar posto nel proprio natante
a viaggiatori armati di schioppi da rota da tre quarte et balestrine piccole,
d’aste et altri schioppi et archibugi».
[Chimenton, op. cit., pag. 40+]
Il 13 dicembre si apriva
a Bologna il grande Concilio voluto da papa Paolo III con lo
scopo di estirpare l’eresia diffusa da Martin Lutero e iniziata con la ‘protesta’
contro le indulgenze concesse dal Papa a
chi contribuisse per la costruzione della basilica di San Pietro a Roma. In
seguito il Concilio sarebbe stato trasferito a Trento ma avrebbe avuto una vicenda
tormentata.
Se la Chiesa cercava di
porre rimedio alla rilassatezza dei propri costumi, il Dogado era alle prese
coi problemi causati dal Piave nel suo tratto terminale. L’Argine
S. Marco era completato da quattro anni e il Piave (ir)rompeva di nuovo nella
gastaldia di Croce.
All’Archivio di Stato di Venezia, nel fondo
intitolato “Archivio Gradenigo rio Marin”, c’è una lettera indirizzata a Marco
Foscari, in data 20 ottobre 1547:
oggetto dello scritto è la gastaldia di Croce di Piave.
Illustre signor padrone,
vi mando sei botti di vino, più altri generi,
con una botticella speciale per voi. Qui c’è di nuovo che il Piave ha rotto gli
argini realizzati qualche anno fa, è tracimato a Fossalta e ha riversato le
torbide in laguna. Le acque sono giunte fino alle stalle del bestiame, tuttavia
- data la stagione, con le campagne a riposo - non possiamo lamentare troppi
danni. Però bisogna rifare le difese, ricorrendo al Collegio delle Acque e
facendo presente che ne va di mezzo anche la laguna nord. Occorre che i Savi
nominino un perito, ma che sia della zona, altrimenti non saprà agire con la
dovuta efficacia. Se poi io potessi ottenere la facoltà di costringere i
contadini qui intorno a lavorare al rifacimento degli argini, son sicuro che
rimedierei ad ogni cosa, e son disposto anche a farlo gratis, perché altrimenti
andremo tutti in rovina. Se vostro figlio Pietro è a Venezia, sarebbe bene che
i Savi alle Acque dessero a lui l’'incarico di sovraintendere ai lavori.
Soprattutto, è necessario che Vostra Magnificenza si faccia carico del’impresa,
perché è l’unico fra i proprietari interessati che sappia come si devono
eseguire queste opere, tanto più che nessun altro fattore avrà informato
dettagliatamente ed efficacemente il suo padrone come ho fatto io.
Aluvise C. a + Vestrae magnificentiae
|
[La lettera sopra e il pezzo sotto sono ricavati da una pubblicazione di Giuseppe Gullino]
Chi è lo scrivente? Il tono della
lettera, che talvolta sembra eccedere i limiti della deferenza normalmente dovuta
a uno dei più influenti senatori della Repubblica, e la presenza in essa di
alcuni avverbi latini, tipici del linguaggio giuridico, inducono a pensare che
l’autore possa essere persona non incondita: forse Alvise Cornaro? Questo
perché anche lui usava firmarsi Aluvise, e poi per il fatto che il Cornaro era
interessato alla gastaldia (ma a cosa non era interessato?); della gastaldia
insomma si occupava - almeno indirettamente - dal 1537, anno del matrimonio
dell’unica sua figlia, Chiara, con Giovanni Corner Piscopia, che era uno dei
comproprietari. Però i controlli grafici non lasciano dubbi: il mittente è un
pesce piccolo, tale Alvise Castaldo/Castaldello (Gastaldo/Gastaldello), da
Croce, fattore dei Foscari: oscuro personaggio che però godeva del non trascurabile
salario di d. 50 all’anno e, a quanto pare, sapeva rivolgersi in termini
inusuali al suo potente padrone.
La lettera fa anche intendere che
l’intervento dello Stato, nella regolamentazione dell’ultimo tratto del fiume,
era ostacolato da un duro contenzioso che opponeva i compatroni della gastaldia
ai finitimi proprietari del Dogado.
La lettera del fattore accennava
a due diversi problemi: da un lato si trattava di contenere le ricorrenti
escrescenze del Piave, dall’altro di regolare il contenzioso che opponeva i
proprietari della gastaldia a quelli del Dogado, dal momento che non sempre gli
interventi idraulici effettuati nei bacini fluviali collimavano con gli
interessi delle proprietà inferiori, quelle cioè situate a valle. L’annosa
vertenza è ampiamente documentata negli archivi di due magistrature veneziane:
i Giudici del forestier, ai quali sogliono appellarsi i proprietari del Dogado,
e gli Ufficiali alle Rason Vecchie, cui ricorrono i compatroni della gastaldia.
Cosa fece il nostro Marco Foscari,
di fronte alle puntuali sollecitazioni del suo fattore? Non si sa: si può
arguire che, dietro la copertura del padrone (il quale è Savio del Consiglio),
l’Alvise dovesse essersi messo all’opera, anche perché pare non aspettasse
altro; senonché il 4 aprile 1548 gli
affittuali del Dogado ottennero dall’ufficio del Forestier “di far certo
cognito, over comandamento a ser Aluvise Gastaldello, fattor del clarissimo
messer Marco Foscari, uno delli ditti consorti”, allo scopo di bloccarne le
iniziative. Qualche settimana più tardi (23 maggio ’48) le Rason Vecchie –
evidentemente sollecitate dal Foscari, subito passato al contrattacco -
intimarono ai giudici del Forestier (e al podestà di Treviso) di non ingerirsi
in una vertenza in cui esse rivendicavano l’esclusiva competenza. Finì dunque
per spuntarla l’accoppiata Foscari-Gastaldello: il 22 giugno e il 20 agosto
1549 gli ufficiali alle Rason Vecchie respinsero definitivamente le “pretese”
degli affittuali del Dogado. Tuttavia fu vittoria parziale, di uomini contro
uomini; quella vera, contro le acque del Piave, sarebbe stata questione di
molti anni, addirittura di secoli; sicché i nostri personaggi non ne avrebbero
visto la conclusione, neppure parziale: Marco Foscari morì di lì a poco, il 27
febbraio 1551.
Da documenti come quello sopra
capiamo che la Repubblica di Venezia aveva cominciato ad affrontare, almeno a
livello progettuale, il problema della diversione del basso corso del fiume;
l’azione si sarebbe concretata in una articolata sequenza di interventi di
ingegneria idraulica mirati a ridisegnare la geografia fluviale esistente e a
tutelare la laguna dai naturali processi involutivi denunciati dai fenomeni di
impaludamento. Uno dei progetti che cominciarono ad essere discussi in quegli
anni è quello dell’escavazione del “taglio” che avrebbe deviato l’acqua del
fiume, a partire da Chiesanuova, attraverso la campagna jesolana (Passerella,
Ca’ Pirami) fino a Cortellazzo, convogliando parte delle acque nella Cava
Zuccherina e, attraverso questa, al mare. Per la spesa, tale taglio sarebbe
stato chiamato “del Re”.
Ma torniamo a Croce. Che in
quegli anni (1549) vi esercitasse la
sua professione un “notaro publico”
lo rivela il seguente “infrascripto”, un’appendice a un testamento che ser
Bortolo di Marbasi, di professione tessitore, sentiva di dover aggiungere al
testamento stilato due o tre anni prima, avendo egli sentore che la nuora Zana
se ne sarebbe andata di casa; chissà qual era la “notizia del giorno”.
Questo infrascripto sit
uno codicilo fato over ordinato per [=da] Ser Bortolo di Marbasi da Zenzon de
Piave: scripto par [=da] mi nodaro infrascripto: ordinando per [esso medesimo]
[= ordinato da lui medesimo] drio lo
anno scripto suo Testamento
1548 Indizione VI adi 7 zenaro fato in Crose de Piave territorio de Treviso in casa de Ser Bortholo
Tessadore : havendo ali zorni passati et mesi Ser Bortholo di Marbasi da Zenson
fato el suo Testamento scripto per mano de mi nodaro infrascritto come apar in
quello, ha deliberato anchora al primo
voller correzer et Codicillar, perché la notizia del horno [=giorno] camina
fino ala mura et è murabile, per tanto (h)a fato chiamar io nodaro infrascripto
et mi ha pregato volergli scrivere questa sua richiesta e correzione: prima
(h)a fato nel suo Testamento che la Zana sua nora alora mogier de anulo fio del
dito Tessadore, vollindo […]diare et
vignir a star in casa cum li heredi del Tessadore essendo dona daben che la
debia hauer tuto el tempo de la vita sua el suo viver ad cressare et non altro:
per tanto per questo codicillo la cassa et sua roba et volle che mai ni [=né] ella ni suj heredi possino hauer mertiti
[=vantar crediti] da la familia del
dito Ser Bortholo salvo per roba laqualdita Zana porta fuora della casa del
dito Ser Bortholo in lo sagundo
[=secondo] matrimonio: Item el simal ordena che sia della Benedeta sua nora la
qual al presente è mogier de Ser Tita di Liberali mai non possino hauer cossa alguna de la familia de Ser
Bortholo Tessadore: ni maturando del qual che al pretor predetto di Toni suo
fio fu del Michiel: Infrascripto ordena che quello sia messo in lo Testamento
lasiando copia ali sui heredi over
solum in quella parte che li aspetta: presenti Iuba fio de Ser Zuanne de
Romanziol de Tarviso, et Domenego fio
del Zamarhio Ferlato
tuti habitanti a Crose de Piave.
Et in pro Baptista di Boni nodaro publico in Crose de Piave.
|
Si ricordi che il calendario della Repubblica
Veneta cominciava il I di marzo, e pertanto, secondo i nostri conteggi, lo scritto sopra fu
redatto nel gennaio 1549.
Che cos’è invece l’indizione, parte della Data nei documenti medievali?
Essa indica l’anno
all’interno di un ciclo quindicennale, i cui anni sono numerati
progressivamente da 1 a 15 e a conclusione del quale il conto riprende da 1.
Probabilmente tale computo ebbe
origine in Egitto dove ogni cinque anni, a causa delle piene del Nilo, si
“indiceva” un censimento fiscale. Con il IV secolo d.C. il computo si estese a
tutto l’Impero Romano, ma la durata passò a quindici anni; l’Indizione
fu inizialmente segnata solo in documenti di carattere fiscale, poi per volontà
dell’Imperatore Costantino I fu adottata dal 313 d.C. come elemento cronologico
di tutti i documenti. Nel VI secolo Giustiniano fissò l’indicazione dell'anno
indizionale nelle norme del Corpus Iuris Civilis relative alla confezione dei
documenti; pertanto l’uso restò in tutto il Medioevo, anzi, per l’alto
Medioevo, risulta essere uno dei criteri di datazione più certi in rapporto
alla progressiva perdita di funzionalità di altri computi come gli "Anni
del Consolato" ed alla varietà del calendario cristiano.
L’anno indizionale si può
calcolare sommando 3 all’anno di cui si vuole sapere l’indizione, dividendo poi
il tutto per 15: l’ultimo resto prima dei decimali sarà l’Indizione; se il
resto è 0 l’ndizione sarà la XV.
Un prete manesco
Nel 1552
tornò come rettore della chiesa di Croce don Aloysio (Luigi) Durante; suo coadiutore
era padre Giovanni Solario, detto Princival, un tipo un po’ manesco, a carico del quale abbiamo, ahimè per lui, una denuncia
per aggressione.
TRADUZIONE
1552, Decima Indizione, il 2 di agosto
presentatosi di persona
a Treviso nella Cancelleria Episcopale, Battista del fu Pietro detto “figliastro”,
Grusaro della villa Campi Sancti Boni Plavis, denunciò e querelò all’ufficio
della Curia predetta il prete Giovanni detto Princival sostituto nella Chiesa
di Croce della diocesi Tarvisina.
Da lui [veniamo a
sapere] che domenica scorsa, dopo pranzo, mentre il detto accusatore si trovava
in Villa Lampolis nel [..?..] del padrone [..?..] di Santi Giovanni e Paolo
veneziani ad una festa che era lì. A tale festa egli era stato invitato insieme
con le sue donne.
Lì giunse per la festa
anche lo stesso prete querelato e vedendo che il Battista era lì a festeggiare
e non stava menando i cavalli, gli disse: «Andate fuori!». Poiché egli aveva
risposto al prete «Andarò adesso…», l’accusato, impaziente per l’attesa,
cominciò a spingere via dalla festa il querelante. Il Battista disse al prete:
«Voi sete troppo fastidioso»; a tali offese il querelato disse: «Io son
fastidioso e son bon di far questioni, e di dare delle botte…» E subito colpì
il querelante con un pugno in faccia ferendolo (lacerandogli la pelle) e
facendogli perdere sangue. E non contento di sé, improvvisamente gli torse
dietro la schiena il braccio che il Battista aveva sciolto lungo il fianco, e
lo tenne a lungo così, di tanto in tanto torcendogli la testa; e lo avrebbe
conciato male e forse anche ammazzato se qualcuno degli astanti non si fosse
messo di mezzo e non lo avesse fatto desistere.
. . . . . nel disprezzo dell’ordine sacerdotale, il
detto prete Giovanni è solito commettere non solo atti simili ma anche di molto
più scandalosi. a tal punto che da tutti è (stato) ritenuto vizioso e
scandaloso.
Perciò contro di lui –
per l’accusa fatta dal Battista – ho stabilito che si procedesse, e ritenutolo
colpevole, che lo si correggesse e punisse[..?..] affinché giustizia venisse fatta.
|
TRASCRIZIONE
1552 Indictione Xma die vero 2a augustj
Tarvisij in cancelleria episcopali personaliter constitutus Bapta
quondam petri dictum figliastro Grusaro de villa campi Sancti boni plauis
dennunciavit et querellavit officio curiae praedictae
presbiterum Joannem dictum princival substitutum in Ecclesia villae crucis Tarvisinae dioceses,
Ex eo, ... die dominico proximo decurso post prandium dum dictus accusator
reperiebatur in villa lampollj in cur... dominici di... coloni ... ven... fructum Santorum Joannes Pauli
venetiarum super tripudio quod ibi fuibat. Ad quod invitatus fuerat una cum suis mulieribus.
Eo venit ipse presbiter querellatus causa tripudiandi, et cum vidisset ipusm Baptistam sic stantem
et choveas non ducentem Dixit eidem andé fuora. Cui presbitero cum ipse respondisset andarò adesso Ipse accusatus
cepit impatiens moram expellere ipsum querellantem de dicto tripudio, qui Baptista Dixit eidem presbitero
voi sete troppo fastidioso, ad quas ipse querellatus dixit io son fastidioso et son bon de far costion, et di dare delle botte.
Et subinde percussit ipsum querellantem pugno super facie cum fractione cutis et sanguinis effusione.
Nec sui contentus statim in...it manum in posterio..., quem ipse Baptista habebat ...
accinen..., et ...agma ipsum extraxit, et cepit punctim admenare
in ipsum querellantem, quem male tractasset,
et fortasse interemisset nisi personae astantes sese interposuissent et ipsum detinuissent,
comittens praedicto suum ordinem sacerdotalem, qui presbiter Joannes solitus est committere
non solum similia verum et multo maiora scandala,
Adeo, ut ab omnibus vixosus et scandolus deputatus est, unde contra ipsum ipse Baptista accusator insti... procedi,
et culpae
repertus currigi, et puniri, ... ut justitiae visum fuerit
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VISITA PASTORALE DELL’11 DICEMBRE 1554
Con il vescovo cardinal Pisani che non si faceva vedere a Treviso, la visita alle parrocchie
della diocesi fu affidata ai suffraganei Alessandro Orso e Gianfranco Verdura;
fu probabilmente quest’ultimo, vescovo titolare di Chitone, a venire a Croce
nel dicembre del 1554. Non sappiamo se il rettore don Aloysio Durante
risultasse in parrocchia più presente o meno di trent’anni prima. Il giorno
della visita era comunque assente; a ricevere il vescovo c’erano Giovanni Solario, il prete manesco,
e il cappellano, don Ottavio. Titolare dello Juspatronato era Pietro
Foscari.
Martedì 11 dicembre 1554
Il predetto Reverendo Domino Suffraganeo visitò la chiesa di Santa Croce di Piave, nella quale udita la Messa e fate le debite cerimonie, si portò al luogo del Corpo di Nostro Signore Gesù Cristo e, umilmente adoratolo, lo ripose nel tabernacolo di vetro; in proposito ordinò al prete Don Giovanni de Solario che avrebbe dovuto tenerlo in un tabernacolo d’avorio; poi (guardò?) gli Olii Santi nei vasetti di stagno, ispezionò il fonte battesimale in vasca di pietra tenuto sotto diligente custodia.
Quindi interrogò il cappellano Don Ottavio sul rettore di detta chiesa, e quegli rispose che era Don Aloysio Durante; e che il beneficio stesso è di diritto patronale di Pietro Foscari patrizio veneto; da ultimo, interrogato sulla vita e i costumi dei suoi parrocchiani “Rettamente” rispose, e similmente interrogato su quante sono le anime in detta Villa che assumono il sacramento dell’Eucarestia, rispose “230 all’incirca”.
Assunti come testimoni riguardo alla vita e i costumi del predetto cappellano sono i sottoscritti Andrea di Visiani e Gaspare Visentin, i quali deposero: “Rettamente”.
Inventario dei beni mobili della detta chiesa…
una croce di rame dorata;
un calice d’argento con patena simile; un altro calice con coppa d’argento e piede e patena tutte dorate;
2 messali vecchi;
2 camici con i loro … …;
3 pianete di diverso colore di cui una in damasco turchino;
3 palii di diverso genere;
un palio di cuoio con figure;
Candelabri in auricalco numero 8;
Candelabri di ferro numero 5;
Un vessillo di tela dorato con figure e i suoi … … ;
2 ceroferari dorati;
2 palii per defunti dei quali uno è di panno scarlatto con croce di velluto verde.
|
Die martis XImo mensis decembris 1554
Predictus Reverendus Dominus Suffraganeus visitavit Ecclesiam Sanctae Crucis Plavis
in qua audita missa et factis debitis cerimonijs, adivit ad locum Corporis Domini Nostri Jesus Christi :
quo, humiliter adorato ipso inmisit in tabernaculo cristalino .
ideo … iuxit Domini presbiteri Joanni de Solario ut tenere ipsum debeat in tabernaculo iburneo;
postea olea sancta in vasculis stamneis … (visitavit?),
postremo fontem baptismalem in vasi lapideo inspexit . sub diligenti clausura observatum
denique interrogatus octavius dominus capellanus de rectore dictae ecclesiae respondit
esse dominum Aloysium durante et beneficium ipsum …e de jure patronatus domini petri Foscari pr… veneti;
ultimo interrogatus de vita et moribus suorum parochianorum Rcte respondit,
et similiter interrogatus quot animae sunt in dicta Villa eucharistiae sacramentum sumentes,
respondit 230 in circa : :
Testes assumpti de vita et moribus predicti domini capellani, sunt infrascripti
Andrea de visianis
qui recte deposuerunt :
Gaspar vincentinus
quo ad computa
Inventarium Bonorum mobilum d … ecclesiae… siq…
Et p.. una crux ramea deaurata
Unus calix de argento cum patena similiter
Unus alius calix cum cupa argentea pede autem et patena omnia deaurata
Missalia duo vetera
Camisi duo cum suis f…l…mentis,
tres planete diversi generis quarum una est damasci turchini
palia tria diversi generis.
Palium unum de coreo deaurato cum figuris :
Candelabra d’auricalco numero /8/
Candelabra ferrea numero /5/
Unum vexillum de tela deauratum cum figuris et suis f…l…mentis,
Ceroferaria duo deaurata
Palia defunctorum duo quorum unum est de panno scarlatino cum cruce veluti viridis :
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Fine resoconto visita pastorale del 1554
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Il 16 aprile 1555 c’era un nuovo fattore
nella gastaldia di Croce a curare gli interessi dei Foscari: Gian Giacomo da
Marostica.
[dall’articolo di Giuseppe Gullino]
Cambiavano
i fattori nella gastaldia e continuava l’andirivieni di parroci; a volte di
parroci nemmeno se ne trovavano, se è vero che il I settembre 1557 la
parrocchia venne assegnata a padre Francesco Filomela da Aquileia, il quale
aveva ricevuto fino allora solo gli ordini minori (nel 1553) e soltanto nel
1559 avrebbe ricevuto gli ordini maggiori, ordinato sacerdote dal vescovo
diocesano Francesco Rossi. Padre Francesco restò poi parroco a Croce fino alla
morte, che avverrà nel 1566. Viceparroco prima e cooperatore poi fu padre
Francesco Martinelli.
1558: sistema dei fiumi nel disegno del Trivisan,
nel volume di C. Sabbadino
Nel 1558 tenne a Croce una “missione” fra’ Claudio da Pisa.
Trovò fiorente la “Scuola di San Matteo”. Che cos’era la “Scuola di San
Matteo”? Le “scuole”, sempre intitolate a qualche santo, erano delle libere
associazioni o confraternite che avevano il compito di curare un qualche
aspetto della vita religiosa. Quella di san Matteo si occupava della sepoltura
dei morti dei suoi associati. Poiché poteva accadere che non rimanesse nessuno
della famiglia a dare onesta sepoltura alla propria salma, e poiché era
cosa temuta essere sepolti senza
ricevere un degno funerale, i fedeli iscritti pagavano la loro piccola quota
annua e s’impegnavano a rendere dignitose le cerimonie funebri degli altri
associati con la certezza che si poteva morire in pace e con la certezza che
tutti gli estremi uffici sarebbero stati svolti con solennità e dedizione.
Per passare a un argomento più festaiolo, ricordiamo che la Sagra
Paesana si teneva il giorno di San Marco.
Prende aìre la carriera di Giovanni Da Lezze
[da un articolo del Gullino]
Provveditore sopra i Ogli dal 15 ottobre 1557 al 14 ottobre dell’anno successivo e, per lo stesso periodo,
provveditore sopra la Fabbrica del palazzo, il 25 gennaio 1561 Giovanni da Lezze fu nominato ambasciatore straordinario a Parigi,
assieme al cavalier Marino Cavalli, in occasione dell’ascesa al trono del nuovo re di Francia,
il giovanissimo Carlo IX. La missione, date le circostanze, era puramente rappresentativa e si risolse,
tra maggio e giugno, in una serie di sontuose formalità. Ma intanto, l’anno successivo, Giovanni poteva ottenere,
per il semestre dal 31 dicembre 1562 al 30 giugno 1561 l’elezione a savio del Consiglio, che gli era stata rifiutata
due anni prima, forse anche a causa di invidie e rancori suscitati dal suo atteggiamento,
non di rado improntato a superbia e prevaricazione. Ad una nuova ambasciata straordinaria,
analoga alla precedente, venne chiamato il 23 gennaio 1563, allorché gli venne affidato, in unione con Michele Surian,
l’incarico di presentare l’omaggio della Repubblica a Massimiliano, figlio dell’imperatore Ferdinando I,
eletto re dei Romani.
Stavolta la missione non era priva di importanza, sia perché si trattava di una potenza direttamente
confinante con i territori veneziani, sia perché presso il nuovo sovrano mancava una rappresentanza diplomatica
della Serenissima. La relazione, letta in Senato nel luglio 1563, sottolinea soprattutto le direttive politiche
che sembravano ispirare la condotta di Massimiliano verso gli altri sovrani, a cominciare da quello turco,
“perché non teme niuna altra forza più che questa, la quale è tanto vicina, che li penetra sino nelle viscere”.
Quanto agli Stati italiani, “poco stimati” appaiono i duchi di Savoia, di Urbino e Parma,
ed anche “Sua Santità non è havuta in quella veneratione, et stima” che in precedenza gli professava l’imperatore,
mentre, a causa dei comune pericolo ottomano, il re si dimostra “di buonissima mente, et molto inclinato
a conservarsi amico della Serenità Vostra”. La soddisfazione per il successo della missione diviene
poi palese compiacimento quando viene descritto l’ingresso ad Innsbruck, dove soggiornava l’imperatore,
avvenuto con un seguito di settanta cavalli e sedici carri, “et fussimo veduti da tutta la Corte,
et anco da Sua Maestà, la quale si fece ad uno balcone”.
La carriera politica di Giovanni Da Lezze sembrò, allora, non conoscere ostacoli:
provveditore sopra le Fortezze (luglio-settembre ’63), e alle Pompe (ottobre ’63-settembre ’64),
provveditore sopra l’Armar (ottobre ’63 settembre ’64); poi savio del Consiglio (giugno-dicembre ’64)...
Abbandoniamo uno dei signori delle terre di Croce per seguire le vicende del signore della anime
dei crocesi.
Giorgio Corner
Il vescovo trevigiano Giorgio Corner, eletto vescovo nel 1538 ma
consacrato solo nel 1557, aveva avuto vari incarichi presso la curia romana e
inizialmente aveva partecipato anche alle sedute del Concilio di Trento,
seppur saltuariamente, per i suoi ricorrenti dolori artritici; fino a quando,
nel 1561, venne nominato da Pio IV Nunzio apostolico nel Granducato di Toscana:
su pressione di Cosimo I de’ Medici primo Granduca di Toscana,
il 16 settembre 1562 fu inviato al Concilio di Trento con diritto di voto;
avrebbe mantenuto, tuttavia, l’interim della nunziatura per altri tre anni.
Il Concilio di Trento era stato in realtà
avviato a Bologna il 13 dicembre 1545 da papa Paolo III; quindi era
stato trasferito a Trento, città imperiale esente dal controllo papale, per
favorire la partecipazione dei protestanti, che non ci fu. Le richieste dei
‘protestanti’ trovarono
invece accoglimento presso i prìncipi tedeschi che aspiravano all’indipendenza
politica da Roma. La divisione dell’Europa in due sancì il definitivo
sgretolamento del Sacro Romano Impero.
Il 14 dicembre 1562, contrariamente a quanto potrebbe far pensare la sua condotta appena descritta,
il Corner votò a favore dell’obbligo di residenzialità
dei vescovi nella diocesi cui erano a capo. Partecipò quindi ai lavori sui decreti riguardanti
l’istituzione dei seminari diocesani e a quelli sul matrimonio.
Fu anche assertore della maggior indipendenza dei vescovi diocesani
rispetto alla Sede Apostolica negli atti di governo.
Finalmente, nel 1563 (3 dicembre), dopo diciotto anni
di gestazione e varie interruzioni, il concilio di Trento si concluse .
A tirar le somme, non era stato un grande successo, ma aveva dato occasione alla Chiesa di definire la
dottrina sui Sacramenti, in particolare sull’Eucaristia, di rivedere tutti i
libri liturgici e di riaffermare l’autorità del papa. Perché le decisioni del
Concilio non restassero lettera morta, i vescovi ricevettero l’ordine di
vigilare sui seminari, sulle parrocchie e sulla vita cristiana dei fedeli.
Nell’ultima fase del Concilio Giorgio Corner
si era fatto notare per la serietà, la moderazione, i saggi interventi: «Sa
fare ogni cosa bene – affermava di lui il confratello Muzio Calini – e con
dignità». Era divenuto amico di Carlo
Borromeo, il cardinale più influente del Concilio. Terminato il Concilio, in
seguito alla rinuncia da parte dello zio cardinal Pisani all’amministrazione
della diocesi, e un breve soggiorno a Roma, il Corner il 12 settembre del 1564,
in ottemperanza a quanto da lui stesso votato a Trento,
prese possesso personalmente della Diocesi presso la Cattedrale di Treviso.
Non aveva una grande cultura
teologica, ma era edotto su tutti i problemi di ordine ecclesiologico e
pastorale dibattuti al Tridentino e sulle conclusioni ivi concordate. Giunto in
diocesi indisse subito il primo sinodo per promulgare i canoni conciliari e
farli accettare da tutti i suoi chierici obbligando tutti i beneficiati alla
professione di fede e al giuramento di obbedienza al papa. Invitò i curati al
dialogo, possibilmente mensile, con il proprio vescovo: un atteggiamento nuovo
volto a introdurre uno stile nuovo di comunione.
Già nel 1565 diede inizio
alla visita pastorale e riorganizzò le cariche di curia;
oltre al sinodo diocesano del ’65, ne celebrò uno nel 1566 e uno nel 1567.
E per preparare una
nuova generazione di sacerdoti volle istituire quanto prima il seminario,
traducendo in atto i canoni tridentini. Diede l’incarico al canonico
Giambattista Oliva di cercarvi un sacerdote e un luogo adatto.
L’11 novembre 1566 istituì ufficialmente il seminario vescovile diocesano,
inizialmente ospitato nelle canoniche della cattedrale.
Si sa che nel
1566 un gruppo di ragazzi già lo frequentava.
In data 8 giugno 1565
fu ordinato agli abitanti lungo il Piave di riparare gli argini che erano
stati sistemati completamente nel 1550, di scavare i fossi e canali e l’alveo del
Piave (Plateo).
Nel 1566, morto il sacerdote Francesco Filomela, le famiglie Foscari,
da Lezze e Corner vantarono ciascuna
il diritto di nomina del successore. La controversia si risolse l’11 novembre
con una transazione che mise d’accordo i contendenti
(e che verrà citata nel 1762 in seguito ad altra controversia:
Il Ius patronato dell’elezione del Rettore nella Veneranda Chiesa Parrocchiale di Santa Croce
in villa di Croce di Piave e il modo con cui abbia ad esercitarsi chiaramente si veda fissato
con la transazione 11 novembre 1566 seguita tra li nunc quondam NN. HH. S. Andrea da Lezze, S. Piero Foscari
e Ser Francesco Corner cadauno per le loro respettive rappresentanze).
Da tale documento arguiamo che era il primogenito di Giovanni, Andrea, nato nel 1527, e il primogenito di Marco, Pietro, ad occuparsi della
Gastaldia di Croce, e che alle due famiglie si era affiancata la famiglia Corner.
Quali sono le notizie che si hanno su Pietro Foscari?
[Da un articolo di Giuseppe Gullino]
Pietro Foscari era nato a Venezia il 21 luglio 1517 da Marco di Giovanni, del ramo a S. Simeon Piccolo,
e da Orsa Cappello di Filippo.
Del padre (abile, colto, ricco, dal tratto naturalmente superbo) abbiamo detto sopra.
Fu lui a procurare il matrimonio del figlio, appena diciassettenne (29 agosto 1534), con la giovanissima Elena Grimani,
figlia del patriarca di Aquileia (e in precedenza procuratore) Marco.
Naturalmente un tal legame accrebbe le già notevoli ricchezze dei Foscari: Elena infatti non solo portò
in dote 18.000 ducati, ma anche numerosi e cospicui vantaggi legati alla posizione del padre, come la procura generale
rilasciata da questo al genero il 15 settembre 1541.
Con tutto ciò gli esordi di Pietro Foscari nel mondo della politica non furono brillanti né assidui,
forse per le cure richieste dall'amministrazione patrimoniale, forse anche per il ruolo ricoperto dal padre
che, sin quando era morto (nel 1551), aveva continuato a rappresentare la famiglia ai vertici dello Stato.
Pietro Foscari era stato camerlengo di Comun dall'11 gennaio 1545 al 10 maggio 1546,
provveditore al Cottimo d'Alessandria dal 21 dic. 1547 al 20 apr. 1549; quindi, dopo un intervallo
di quasi cinque anni, era diventato uno dei tre titolari ai Dieci uffici, dal 27 genn. 1555 al 17 maggio 1556;
di lì a qualche mese, infine, accettava il saviato alle Decime, dove era rimasto per un anno, a partire dal 19 ott. 1556.
C'era stata quindi un'altra lunga latitanza dalla politica, essendo rivolti altrove i suoi interessi:
tra la fine del 1560 e l'inizio del 1563 la morte della moglie e di un fratello vescovo avevano riunito infatti
nelle sue mani ingenti capitali, con i quali nel novembre 1560 aveva provvisto ad accasare il figlio
Girolamo con Chiara Mocenigo (in seguito accaserà la figlia Orsa, nel 1570, col futuro procuratore Barbon Morosini,
e Bianca a Marcantonio Priuli, nel 1573).
Il giuspatrono Pietro Foscari, titolare del diritto di
nomina che gli giungeva non direttamente da Marco Foscari suo padre ma, come
spiega il documento sotto, per parte di madre, Elena Grimani, figlia d’una
figlia di Francesco Foscari il grande doge, presentò a Biagio Guillermo,
archivista e canonico vescovile, facente funzioni del vescovo, il padre Domenico Andriggi, detto
‘Torta’. Era il 15 novembre 1566.
[riportare il documento e tradurlo]
La cosa andò però per le lunghe e solo il I
febbraio 1567 (e si deve intendere 1568), ovvero quindici mesi dopo, egli prese
possesso della parrocchia; e dapprima come vicario, ché figura come rettore
solo cinque mesi dopo, a partire dal 23
luglio 1568. Come i suoi predecessori il Torta se ne rimaneva sovente a
Venezia, da Venezia in sua sostituzione giungeva padre Camillo Canali.
[documento assai rognoso da decifrare]
Gli effetti del
Concilio tridentino cominciavano a farsi sentire: fin dal suo ingresso in
diocesi il vescovo Corner aveva costituito una commissione per sottoporre i
parroci della diocesi a un esame di sufficienza in ordine alla cura animarum.
Su 455, molti furono ammessi per diversi titoli, un’ottantina fu abilitata in
quella circostanza, alcuni vennero rimandati perché troppo giovani, nove furono
respinti perché inabili. Fra tutti, 150 risultarono extradiocesani (il Torta),
110 non residenti (il Torta!), 200 vennero interrogati de ancilla suspecta,
sospettati cioè di avere una donna.
L’attenzione che il vescovo Corner pose sul
clero non gli fece trascurare il laicato. Girando per le parrocchie egli voleva
una partecipazione devota della messa, chiedeva una decorosa custodia del
Santissimo sull’altare maggiore, l’esercizio delle 40 ore, una solenne
processione nella Festa del Corpus Domini, la Scuola del Santissimo in ogni
parrocchia. Inculcava sempre e dovunque la necessità del catechismo “ai putti”,
facendo recapitare qua e là copie del suo “libretto” allo scopo di presentare
ai ragazzi con facilità i misteri della fede.
Alcune precisazioni: la Scuola del SS.
Sacramento era un sodalizio laicale che s’era diffuso in Italia dopo il
miracolo di Bolsena: si dedicava alla cura dell’altare relativo, curava di
organizzare la processione nella festa del Corpus Domini, di onorare il
antissimo quando veniva portato quando veniva portato agli infermi e in
molteplici altre occasioni. In cattedrale a Treviso era stata istituito nel
1496 a opera del vescovo Nicolò Franco. A Croce la troveremo in occasione della
VISITA PASTORALE DEL 1568
Il I settembre del 1568 il vescovo Giorgio Corner
giunse in visita pastorale a Croce.
[chiedere a don Primo l’originale]
Ea die (13 settembre 1568)
Visitò poi la Chiesa di Santa Croce in villa Croce di Piave: entrato,
fatta l’orazione e ascoltata la Messa, si portò a visitare il Sacratissimo
Sacramento dell’Eucaristia il quale è riposto all’altare maggiore nel
tabernacolo di legno dorato e decentemente ornato in un vaso di legno dorato e
sotto buona chiusura. Parimenti (vide) l’olio santo degli infermi in sagrestia
in un vecchio armadio senza chiusura e nello stesso luogo gli altri oli santi
in vasi rustici in cassetta di cipresso. Poi il fonte battesimale di marmo con
l’acqua battesimale in un altare senza chiusura e nello stesso luogo l’olio
santo dei bambini e il sacro crisma in vasetti di auricalco [= bronzo]. Poi lo
stesso Vescovo si sedette a mensa.
Inventario: Un calice in argento con la sua patena in una cassa di cuoio; un
altro calice con coppa d’argento con piede e con patena di rame dorato; una
croce di rame dorata e due corporali da calice; un vaso di vetro con reliquie
posto dove è il Santissimo; un fazzoletto di cremisi sopra il tabernacolo; due
messali nuovi; un camice con i quadretti in damasco dorato; una pianeta di raso
rosacea con la croce di damasco dorata; due croci di legno dipinte dorate; 14
tovaglie da altare; un turibolo in lamiera; un messale vecchio; due paramenti
con i camici e stole; un antipetto da altare con cuore d’oro e con figure; un
ferale da Santissimo; una pietà; un lampadario; 12 candelieri in ferro; una
ombella di raso cremisino; un vecchio gonfalone di buona tela con figure; un
bacile di rame per acqua santa.
Quindi il vescovo
interrogò il da poco rettore della parrocchia, il presbitero
Domenico de Andriggi detto Torta:
“Il titolo della
Chiesa è Santa Croce, è Chiesa curata e ha il nome di Pieve; non ha chiese
campestri sotto di sé, né cappelle, né oratori, né cosa alcuna. lo sono rettore
di questa Chiesa e l’ebbi per morte del rev.do Filomella dal Vescovo di Treviso
su presentazione dei patroni Foscari e da coloro cui spetta il diritto di
presentazione. Questa chiesa ha di proprio una chiesura di due campi circa ed
ha anche il quartese, dai quali campi non ho cosa alcuna per la ruina della
Piave e quanto al quartese l’anno passato ho scosso 13 staia di frumento e
quest’anno 20 e questo avviene per la ruina della Piave: miglio 9 staia; sorgo
24; vari ortaggi 4; biada da cavai 3; vino botti 6. Codesta chiesa non ha beni
di fabbrica, né cosa alcuna. Provvedo a mie spese all’illuminazione del
Santissimo; altre cose si comprano con le elemosine. Vi sono circa 250 anime da
comunione. Vi è un legato all’altare della Madonna che io possiedo con
l’obbligo di celebrare una Messa alla settimana (avuto) da Giovanni Gastaldello
osto in Fossalta di lire 24, che io celebro ogni settimana per le intenzioni
del testatore. Vi sono 2 Scuole: una del SS.mo Sacramento e l’altra di San
Matthio che non hanno nulla di proprio, ma il tutto si fa con le elemosine.
Nella festa di San Matthio fanno dire alcune Messe e si fanno con elemosine: I
Massari di anno in anno rendono conto delle elemosine che amministrano bene”.
Interrogazione dei testi. Il signor Matteo fu Innocente così rispose:
“Il rettore è
persona da ben, ma non sta qui e lascia la cura delle anime a un altro
sacerdote giovane di cui non so il nome, ma è un giovane da ben e ha in casa
sua una vecchietta che non dà scandalo alla villa (= al paese)”
Poi fu la volta di Bernardo Buscarollo fu Andrea,
da Meolo, ma ora abitante in villa:
“Quando prese il
beneficio non sta qui alla residenza, ma sta in Venezia; e viene qui spesse
volte e dice la Messa, ma viene un cappellano e ha nome Padre Camillo da
Venezia a dire Messa e amministrare i Sacramenti; in casa tiene una vecchietta
che è la sua governante”.
Infine ebbe luogo l’interrogazione del cappellano presbitero Camillo de
Canali di Venezia:
“Sono stato
presentato dai Foscari e possono essere 6 mesi, ma io non sono stato fermo, ed
io son qui da quando il rettore è andato a star via ma non so dove il stia, e
mi menò qui perché sua madre stava mal alla morte e anche la sua amada
(=governante) a se fece mal sulla scala e morì. Ho in casa mia una amada che me
governa, ne manco ho licenza di esercitare la cura delle anime ma ho confessato
e esercitato la cura delle anime, e possono essere in questa parrocchia 200
anime da comunione”.
Questi gli ordini che diede il vescovo:
“Avendo noi Giorgio
Corner per grazia di Dio e della Santa Sede Apostolica Vescovo di Treviso
visitato questa Chiesa di Santa Croce della villa di Croce e osservato molte
cose che hanno bisogno di provvisione e principalmente intorno ai Santissimi
Sacramenti, perciò ordiniamo le cose da farsi:
1. Che il Santissimo Sacramento
del Corpo di Cristo sia posto in un vaso di argento ovvero in un vaso di rame
dorato perché non sta bene in quel vaso di legno dove al presente s’attrova.
2.
Che si faccia una pila di pietra per il Sacramento del Santo Battesimo il quale
sia posto nella chiesa a man stanca (=a sinistra) e entrar dentro dalla porta
grande non essendo conveniente che questo Sacramento che è porta di nostra
salute sia tenuto in quello altare dove l’habbiamo ritrovato e si tegni sotto
diligente serratura e coperto.
3. Che li Olii Santi siano posti in una
casselletta di legno in vasi di stagno in simile forma alle medesime
costruzioni e sia fatto un foro in chiesa nel muro dove meglio parerà al
rettore tenendogli con diligente custodia, nel qual loco anco siano poste il tabernacolo
con le reliquie.
4. Che sia acconciato li vetri della chiesa acciò gli uccelli
non possino entrare in essa e che in sagrestia sia fatto un lavello per buttar
le lavature delle cose sacre e lavar le mani su detto loco e che sia tenuta la
chiesa netta dalle brutture.
5. Che questi miei ordini siano letti domenica
prossima ventura in chiesa a intelligenzia del popolo per il rettore, il quale
esortiamo insieme con tutto esso popolo subietto alla chiesa sopraddetta e si
voglia a gloria di Dio e a beneficio delle anime loro agiutar con le sue pie
elemosine perché siano fatte tutte queste cose che abbiamo di sopra narrato
facendogli noi certi che riceveranno il premio in Cielo per tali e altre sue
buone opere e ciò si faccia quanto prima”.
Fine resoconto visita pastorale del 1568
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A Croce vivevano dunque 200 anime da comunione.
Due anni dopo, nel 1570, a Musile le anime da comunione saranno 150 [W. Dorigo,
p. 309]. Lo scambio dei numeri sanciva che il sorpasso demografico era dunque
avvenuto.
Nel 1570 il vescovo Giorgio Corner si ritirava a Venezia per motivi di salute,
inizialmente per brevi periodi.
7 ottobre 1571: battaglia di Lepanto
Non registriamo qui la genesi e la storia della battaglia, che sembrò segnare un momento d'arresto della crisi veneziana.
Ci interessa qui ricordare che figlie di quella vittoria memorabile furono le tante Madonne del Rosario la cui venerazione
si diffuse nelle chiese della Serenissima. Una di queste, a Croce.
La venerazione per la madonna del Rosario, invocata a Lepanto, comportò - non potendosi permettere le chiese più povere
l'acquisto di più statue - la diffusione delle madonne vestite: non potendo alternare le statue in occasione delle varie festività
della Madonna si alternavano i vestiti.
I giorni che vanno
dal 5 al 14 ottobre 1572 mancarono per volere di papa Gregorio XIII
Boncompagni che intese così recuperare il ritardo accumulato dalla riforma di
Giulio Cesare: un bisestile ogni quattro anni era troppo; d’ora in poi degli
anni multipli di 100 solo i multipli di 400 lo sarebbero stati ancora.
Nel 1573 Pietro Foscari era impegnato in operazioni di bonifica nella sua gastaldia di Croce.
Nel 1573 alla Fossetta, in prossimità della
“catena” che interrompeva il passaggio dei barcaroli sulla Fossetta, furono
murate le seguenti lapidi sul muro dell’agenzia dei Da Lezze (in futuro Agenzia
Prina-Scarpa)
La peste infestava il trevigiano e nel 1577 a Venezia
andò a fuoco il Palazzo Ducale: fu una disgrazia per i Veneziani, ma per i
fedeli della diocesi di Treviso quell’anno costituì perdita maggiore quella del
vescovo Giorgio Corner che si dimise per malattia e si ritirò definitivamente a Venezia
(e poco dopo sarebbe morto, in concetto di santità, dopo tredici anni di attività intensa
nonostante le sofferenze fisiche) dopo aver ottenuto che il successore alla guida della Cattedra
di san Liberale fosse il nipote Francesco Corner, che dunque
il 29 novembre 1577 fu eletto vescovo di Treviso.
Francesco Corner, nuovo vescovo
Sulla trentina, culturalmente preparato, specchio dello zio
che spesso aveva avvicinato a Venezia e a Treviso assimilandone lo spirito e la
volontà di riforma, Francesco era nato a Venezia nel 1547 e s’era laureato
presso l’università degli Studi di Padova in utroque iure nel 1571,
subito dopo aveva ottenuto dopo la commenda dell’abbazia di Santa Bona di Vidor,
già stabilmente giuspatronato dei Corner.
Avrebbe presso possesso canonico della cattedra vescovile di Treviso l’8 febbraio 1578 per procura;
vi entrò modestamente, in forma privata, nel marzo 1578, e subito si attirò la
simpatia e la benevolenza sia del clero sia del popolo per le sue qualità umane
e sacerdotali.
Si sarebbe adoperato anche con contribuzioni dal vasto patrimonio personale
al mantenimento del seminario vescovile, istituito pochi anni prima dallo zio predecessore
e che ancora stentava dal punto di vista dell’autonomia economica.
Allo stesso tempo, si sarebbe adoperato energicamente per risollevare le sorti della città,
debilitata dal morbo della peste, che aveva avuto la sua ondata maggiore tra il 1575 e il 1577.
1578: Giovanni Da Lezze sfiora il colpaccio
Abbiamo abbandonato Giovanni da Lezze a metà della sua straordinaria carriera.
Riprendiamola: ancora provveditore sopra le Fortezze (aprile ’65-marzo ’66) e sopra l’Armar (dicembre ’66-settembre ’67),
quindi savio del Consiglio (giugno-dicembre ’67 e novembre-dicembre ’68),
provveditore sopra i Confini (gennaio ’68-gennaio ’69) e all’Arsenale (maggio ’69-marzo ’70),
dove ebbe modo di distinguersi nel porre riparo al rovinoso incendio scoppiatovi il 13 sett. 1569.
Forse per l’energia e la capacità organizzativa dimostrate in tale drammatica circostanza,
il 17 marzo 1570 gli era conferito l’incarico di provveditore generale in Dalmazia.
La guerra di Cipro era ormai nell’aria, e nei dispositivi preventivati dalla Repubblica la difesa della costa dalmata rivestiva un ruolo di primo piano. Tuttavia, neppure con l’arrivo del D. la sparuta cavalleria veneziana riuscì a contrastare le scorrerie dei Turchi, e il Consiglio dei dieci inviò a Zara Giustiniano Giustinian che accusò il D. “di negligenza, dapocagine, avaritia ... per il mal successo di tutte le cose, et per la manifesta contesa, et inimicitia da lui esercitata con Giulio Savorgnan, antico et principal Condottiere della Signoria”. Difficile giudicare l’operato del provveditore, anche per l’esiguità del tempo in cui si espresse: già il 2 novembre di quello stesso 1570 veniva eletto a succedergli Giacomo Foscarini, il quale, però, si affrettò ad informare i Dieci che il Savorgnan “è dalli soldati universalmente mal veduto e odiato, e li capitani anche ... li portano poco amore”. Al processo che segui, il D. poté contare su amici potenti: il suo implacabile accusatore, Giustinian, fu inviato podestà a Treviso e sostituito. Si nominò una commissione per esaminare i documenti, confrontare le carte. Venne la giornata di Lepanto, a cancellare le diffidenze verso i responsabili dell’armata, a sopire tanti umori ostili verso gli esponenti delle “case vecchie”: l’istruttoria si risolse, nella seconda metà del ’73, in un breve dibattito a porte chiuse, nel quale, secondo la testimonianza del Tiepolo, il D. “per haversi molto ben giustificato, fu da tutti i voti assoluto, onde subito ritornò alli honori, et alla reputation Prima”.
Già nell’ottobre di quello stesso anno era infatti savio del Consiglio, e poi provveditore all’Arsenale (aprile ’74-marzo ’75); ancora savio del Consiglio per il periodo giugno-dicembre ’75, provveditore sopra l’Armar (aprile ’75-marzo ’76), conservatore delle Leggi (gennaio ’76-gennaio ’77). sopraprovveditore alla Sanità (novembre ’76-maggio ’77)., savio del Consiglio (dicembre ’76-giugno ’77), provveditore all'Arsenal (luglio ’77-marzo ’78); inoltre, fu sempre presente nel Consiglio dei dieci dal 1° ott. ’74.
Era ormai, indiscutibilmente, uno dei più potenti ed influenti rappresentanti della vita politica veneziana,
e nel marzo 1578 poté concorrere al dogado con Nicolò Da Ponte.
Non riuscì, tuttavia, a evitare nuove pesanti accuse al proprio operato: il 19 nov. ’79 i revisori sopra le Procuratie
(tra i quali era quel Giustinian che l’aveva fatto porre sotto processo, al tempo del generalato in Dalmazia)
non esitarono a denunciare gravi malversazioni nella sua amministrazione, per aver egli “indebitamente contra
la forma delle leggi, et in grave danno della sua Procuratia” stornato a privati “grande et notabile summa di denaro”.
Sospeso da ogni ufficio sinché non avesse reintegrato la cassa morì improvvisamente il 9 marzo 1580.
Lo ricordano una lapide ed un busto, nella tomba di famiglia da lui fatta costruire nella chiesa dei crociferi
(ora S. Maria Assunta dei gesuiti).
Il Taglio del Re
Le disgrazie per coloro
che abitavano sulla destra Piave, in particolare verso la foce, continuavano:
l’argine San Marco si era rivelato insufficiente, più volte vi erano state
delle inondazioni negli anni precedenti. Nel 1579 si pose mano allo scavo
del canale detto Taglio di Re, detto anche Taia de Re, Tagliata
Regum, Taiada Regis, Taiata Maiore. Ma nonostante i tanti
nomi l’opera sarà abbandonata prima della ultimazione, in quanto manifestamente
inadeguata a eliminare il pericolo di tracimazioni.
Per una trattazione completa dell’argomento vedi
CARLO DARIOL - Storia di Croce Vol. I - IL PAESE DELL'INVENZIONE
dalle origini all’arrivo di Don Natale (1897), Edizioni del Cubo